Fondata come Accademia Alfonsina nel 1443 da studiosi napoletani, con sede nel nuovo castello Aragonese. A presidiarla fino al 1471 fu
Antonio Beccatelli il Panormita, al quale successe Giovanni Pontano. Le riunioni si tennero fino alla sua morte (1503) presso il tempietto che aveva fatto costruire nel 1492 nell’attuale
via Tribunali a Napoli. Le discussioni coprivano l’intero scibile, spaziando dalle recenti scoperte geografiche alla riscoperta dei classici.
Andrea Assaraco da Vespolate
Nel frontespizio del suo libro (conservato alla Biblioteca Trivulziana) vi è l’immagine della Fede tra Minerva e Giunone che porge al
Trivulzio la corona dell’immortalità alla presenza del re di Francia Francesco I. (cfr. Gombrich, Immagini simboliche, fig. 35).
Lancino della Corte detto
Lancino Curzio
Allievo di Giorgio Merula, nato nel 1460. Era considerato uomo estroso e bizzarro per il modo di vestirsi. Fra le sue opere: Meditatio
in hebdomadam Olivarum, sonetti in dialetto dedicati a Gaspare Visconti, suo mecenate; satire sulla persona e sull’opera di Baldassare Sacconi, segretario di corte e poeta;
sonetto contro Ludovico il Moro, scritto nel 1500; Epigrammi stampati nel 1521. Muore il 2 febbraio 1512 e viene sepolto in S. Marco, nella cripta sotto l’altare
maggiore. Lancino aveva lasciato molti suoi libri a S. Marco. Il monumento è commissionato dal fratello Giovanni Francesco nel 1513 al Bambaja, ma non essendo finito nel 1515,
il Duomo concede a Cristoforo Lombardo il permesso di prestare il suo aiuto. La lapide, dettata dall’amico Stefano Dolcino, che lo celebrava come “poeta immortale” venne
tolta nel 1799.
Pier Candido Decembrio
Nato a Pavia il 24 ottobre 1392 (ma lui sosteneva 1399), da Uberto Decembrio di Vigevano. Fu assunto come segretario ducale nel 1419 (capo
della cancelleria) grazie al prestigio paterno. Uberto era stato segretario di Pietro Filargo, ambasciatore di Gian Galeazzo Visconti, arcivescovo di Milano e quindi papa
Alessandro V, ma nei torbidi successi alla morte del duca era stato imprigionato nella rocchetta di Porta Romana, fino alla successione di Filippo Maria. Uberto aveva recitato
nell’ottobre 1418 l’orazione pubblica per la venuta a Milano di papa Martino V e quindi era normale che il figlio seguisse le orme paterne nella carriera diplomatica (Uberto
morirà a Treviglio nel 1427). Durante la prigionia del padre, Pier Candido si era rifugiato a Genova, dove aveva frequentato i circoli dei D’Oria (Doria) e dei Fregoso. Più
che come diplomatico, Pier Candido ebbe successo come traduttore e volgarizzatore di storie. Nel 1438 dava a Giovanni Matteo Bottigella la sua traduzione della Storia di
Alessandro e di Giulio Cesare di Quinto Curzio, dedicata a Filippo Maria Visconti e miniata nella bottega milanese del Maestro
del Vitae Imperatorum (Torino, Biblioteca già Reale, ms. varie 131 e Budapest, Libreria Nazionale).
Se come studioso non riusciva ad elevarsi al di sopra della media, come diplomatico Pier Candido si dimostrò presto inadeguato e venne
relegato a ruoli marginali finché lascerà Filippo Maria con una liquidazione irrisoria, a causa dell’accusa lanciatagli dal Filelfo di essersi introdotto nell’ala del
castello riservata alla duchessa Maria di Savoia, proibita a qualsiasi uomo come un harem turco. Pier Candido si attaccherà al carro di Francesco Sforza, attendendo il suo
insediamento a Milano per farvi ritorno. E’ in questo periodo, appena successivo alla morte di Filippo Maria nel 1447, che inizia la stesura della biografia dell’ultimo
Visconti. Si trasferisce quindi a Roma, dove dal 1447 è stato eletto l’umanista Tommaso Parentucelli col nome di Niccolò V, dal quale riceve l’incarico di tradurre dal
greco in latino la Storia romana di Appiano (con scarso esito) e la Biblioteca storica di Diodoro Siculo (cominciò il libro XVI e si fermò quasi subito). Per lo Stato
pontificio assumerà incarichi di ambasciatore a Napoli e a Milano, dove vorrebbe rimanere, ma non trova accoglienza, anche dopo l’adulatrice Vita di Francesco Sforza.
Il Decembrio morirà comunque a Milano il 12 novembre 1477, nella casa che fu del padre in S. Pietro in Camminadella e verrà sepolto in S. Ambrogio. La sua arca, posta sotto il
portico accanto all’ingresso di sinistra, ha il seguente epitaffio, dettato dallo stesso Pier Candido:
PETRUS CANDIDUS VIGLEVANENSIS MILES, PHILIPPI
MANE DUCIS SECRETARIUS, SUINDE MEDIOLANENSIUM
LIBERTATI
PREFUIT, PARIQUE MODO SUB NICOLAO PAPA
V ET ALPHONSO ARAGONUM REGE MERUIT: OPERUMQUE
A SE EDITORUM LIBROS SUPRA CXXVII, VULGARIBUS
EXCEPTIS, POSTERITATI MEMORIEQUE
RELIQUIT.
Pietro Antonio Piatti detto
Piattino
Suo padre, Giorgio, fu il giureconsulto che pronunciò un’incisiva arringa contro l’avvento di Francesco Sforza e i pericoli della
tirannide. Dopo l’insediamento degli Sforza, Piattino entrò come Gian Giacomo Trivulzio al seguito del giovane Galeazzo Maria e lo seguì nel Delfinato nel 1465-66 al comando
di una delle squadre ducali. Nel 1468 accompagnò il fratello Teodoro a Lucerna e da lì indirizzò al segretario Giacomo Alfieri dei versi sulle sue impressioni di viaggio.
Tornato a Milano nel febbraio 1469, fu imprigionato nel castello di Porta Giovia da Galeazzo Maria l’8 aprile a causa di un obbligo di corte disertato (Libellus a carcere).
Piattino tentò di impietosire – invano – il duca con un suicidio, ma ottenne solo il carcere più duro dei Forni di Monza. Fu liberato nell’estate 1470 e si trasferì a
Modena, nel Monferrato, a Urbino come poeta di corte, facendo ritorno a Milano solo dopo l’assassinio di Galeazzo Maria.
Giovanni Pontano
Considerato uno dei massimi esponenti dell’Umanesimo. Lasciata l’Umbria per entrare al servizio di Alfonso I d’Aragona, assunse dal
1466 al 1486 le cariche di precettore, consigliere e segretario di Alfonso d’Aragona. Dal 1475 fu segretario di Ippolita Sforza e dal 1486 primo ministro, senza per altro
trascurare le sue passioni letterarie. Ricordiamo solo i suoi lavori di carattere astrologico: l’Urania, un poema in cinque
libri che riassume le sue conoscenze astrologiche, seguita dall’appendice Meteororum liber sui fenomeni atmosferici; due libri delle Commentationes in centum
Ptolomaei sententias e tredici libri del De rebus celestibus.
Stefanardo da Vimercate
Nato forse a Milano. Nel 1251 entra nell’ordine dei Domenicani in S. Eustorgio. Dal 1270 al 1286 è più volte priore del convento di
Verona. Dal 1290 fino al 1292 ricopre la carica di priore nel suo convento di origine a Milano. Nel 1296 è lettore di Teologia nella Scuola del Duomo, nominato dall’arcivescovo
Ottone Visconti, suo amico personale. Il suo poema De gestis in civitate Mediolani (RR.II.SS., X/1) è la fonte storica principale per gli avvenimenti del
tempo (1259-1277) e per l’ascesa della casata viscontea nel dominio lombardo. Alla Biblioteca Ambrosiana si trovano anche alcuni suoi manoscritti: De irregularitate (cod.
D 35 sup, ff. 9-43) e Questiones super certi locis apparatus decretalium (cod. D 35sup, ff. 44-205). Altre
sue opere sono andate perdute. A lui ha dedicato una biografia G. Cremaschi, Stefanado da Vimercate, un contributo per la
storia della cultura in Lombardia nel secolo XIII, Milano 1950.
Ultima modifica: martedì 14 gennaio 2003
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