A partire dall’800 le ferrovie sono divenute un elemento
molto importante del panorama urbano delle città del mondo sviluppato. Dopo il
1830, le strade ferrate e le locomotive a vapore si sono diffuse rapidamente
dall’Inghilterra, loro luogo di origine (vedi approfondimento), a tutta
l’Europa. Milano non è stata da meno di tante altre città italiane ed europee,
ed il treno, con i suoi binari e le sue stazioni, ha iniziato a caratterizzare
(e condizionare) l’assetto territoriale e viario della città, anche se, come
vedremo, la ferrovia non è mai penetrata all’interno dell’antica cerchia delle
Mura Spagnole.
Le ferrovie sono presto diventate un elemento molto
importante per lo sviluppo economico e l’espansione della città, che grazie ad
esse ha rafforzato il suo ruolo di centro primario di scambi con il Nord
Europa. Se ne potrebbe quindi parlare a lungo, e da tanti punti di vista, ma in
queste brevi note mi limiterò a descrivere lo sviluppo della rete urbana di
binari e stazioni, allo scopo di fornire informazioni ai lettori che siano
curiosi di collocare oltre che nello spazio, anche nel tempo, le stazioni ed i
tracciati ferroviari con i quali quotidianamente ciascuno di noi si imbatte,
girando per la città o prendendo il treno per qualche altra destinazione.
La ferrovia Milano-Monza e la prima
Stazione di Porta Nuova
A Milano, il primo progetto per una strada ferrata, che
avrebbe dovuto arrivare a Como, fu presentato nel 1837 dall'ingegner Giuseppe
Bruschetti e da Giovannino Volta, figlio del famoso fisico comasco, inventore
della pila elettrica. La stazione di partenza sarebbe dovuta sorgere a Porta
Tenaglia (il piazzale Biancamano della Milano d'oggi), ma nonostante il
progetto fosse stato approvato dalle autorità austriache che governavano a
Milano, la linea non fu mai costruita.
Migliore sorte toccò al nobile
Giovanni Putzer, rappresentante della ditta Holzhammer di Bolzano, che ottenne
dall'imperatore Ferdinando I d'Austria, nel novembre del 1839, ”il privilegio
per la costruzione di una strada a rotaie di ferro da Milano a Monza”.
A differenza della prima
ferrovia italiana (Napoli-Portici), che era di progetto francese, la prima
ferrovia lombarda fu interamente progettata dall'ingegnere milanese Giulio
Sarti, figura di geniale costruttore e imprenditore, di cui un contemporaneo
così tesseva le lodi:
”Dotato egli di un genio
straordinario, volando all'avvenire, pensava qual sorgente di ricchezza e di
prosperità commerciale erano destinate a produrre quelle vie di comunicazione,
ch'erano ancora a que' tempi bambine. E noi che avemmo la troppo rara fortuna
d'essere stati alla sua scuola educati, ricordiamo sempre con meraviglia le
idee veramente sublimi da cui era guidato. Considerando egli la strada che
costruiva non destinata solo pei piaceri e pegli ozii dei milanesi, ma come un
filo di quella rete che dovea riunire le province lombardo-venete, il
principale pensiero era quello che la strada dovesse servire al commercio”.
In quest’ottica sorse a
Milano la prima stazione, la cui costruzione suscitò non poche polemiche e
contrasti, soprattutto per la sua collocazione, che alcuni avrebbero voluto più
centrale. Ma in quegli anni il Comune di Milano era contenuto entro la Cerchia
dei Bastioni e le porte della città, ben munite, e presidiate da efficienti
guarnigioni militari, venivano ancora tassativamente chiuse all'imbrunire.
Anche il "Tombone di San Marco", attraverso il quale le acque del
Naviglio, passando sotto i Bastioni, si riversavano nella Fossa Interna, veniva
chiuso, impedendo il passaggio dei barconi che, prima dell'avvento della strada
ferrata, costituivano uno dei principali mezzi di trasporto per le merci. Venne così deciso di costruire la stazione
accanto alla Porta Nuova, vicino al Ponte delle Gabelle, fuori le mura,
quindi non nel comune di Milano[1],
ma nel Comune dei Corpi Santi (vedi pagina), nel settimo
Mandamento, settimo Riparto. Non si trattava semplicemente di una costruzione
provvisoria, ma di un solido edificio in muratura, che esiste ancora[2],
dalla linea classica, a due piani, sormontato da un timpano triangolare. Qualcosa che doveva durare, e già previsto per un futuro sviluppo, anche se
in realtà, come vedremo, rimase in funzione solo per pochi anni. Di fronte ad
essa si attestavano i binari, completi di due piattaforme girevoli per le
manovre, e coperti da più modeste tettoie.
Un cronista di allora così
riferiva sulla giornata inaugurale della ferrovia:
“Il 17 agosto del 1840, la locomotiva Lombardia pavesata di
vessilli e festoni, traina un convoglio di tre carrozze sulle quali, hanno
preso posto l'Arciduca, l'arcivescovo, tutte le autorità, una scorta militare
d'onore e una banda militare. Il percorso, di km 12,8, viene coperto in soli 19
minuti, realizzando una media di 40,4 km/ora, di gran lunga superiore a quella
delle più veloci carrozze a cavalli. A Milano, alla stazione di Porta Nuova al
Ponte delle Gabelle, il treno è accolto con travolgente entusiasmo; a breve
distanza, giunge un secondo convoglio (con le autorità minori, e con una
seconda banda militare) trainato dalla locomotiva Milano”.
Le prime due locomotive, la Milano e la Lombardia, erano gemelle, e nel ‘41 ne verrà messa in servizio una
terza, la Lambro. Tutte e tre
provenivano dalla Gran Bretagna, ma le carrozze erano invece un prodotto
completamente milanese, costruite nell’officina di via Quadronno del sig
Arnoldi, fabbricante di veicoli stradali. Così la strada ferrata costituì, fin
dal suo inizio, un importante fattore di sviluppo economico e commerciale, e
non solo una curiosità puramente turistica; in effetti anche tutti i “pulvini”
di ghisa di appoggio delle rotaie, necessari per il compimento della strada
ferrata furono costruiti nell’antica ferriera di Dongo, sul lago di Como.
La costruzione della ferrovia era
avvenuta velocemente nella primavera del 1840. Numerose squadre di operai
avevano lavorato a fianco della strada postale per Monza. Nel terreno vennero
infissi dadi di pietra per il sostegno delle guide metalliche. Le traversine
invece non esistevano, ma ogni 90 metri venivano messi in opera robusti
traversi di pietra. La linea, fu costruita “a un solo corso di ruotaie”: un
binario semplice che percorre in linea pressoché retta quella dozzina di
chilometri.
I passeggeri viaggiavano divisi in tre classi, su vagoni
dalle caratteristiche diverse, pagando naturalmente tariffe differenziate. In
prima classe le vetture erano 4, coperte e capaci in tutto di 55 persone. In
seconda classe cinque vetture a cassa quadrata coperte, distinte in quattro
corpi, atte a raccogliere 40 persone. In terza classe dieci vetture con quattro
corpi di cassa, non coperte e capaci di 40 persone, e altre due egualmente atte
a raccogliere 40 persone”.
Per quanto riguarda la sicurezza, si utilizzava un sistema
un po’ rudimentale (non c’era ancora il telegrafo), ma affidabile: da ognuna
delle due estremità un treno non poteva partire se prima non era arrivato il
convoglio che viaggiava in senso contrario. Per le segnalazioni erano in
funzione delle “torri d'osservazione”. Avevano l'aspetto dei fari di marina, e
ce n'erano in diversi punti lungo il percorso:
dall'alto i segnalatori potevano vedere lontano, e si trasmettevano i messaggi
con bandiere, secondo un codice di segnali di cui si è persa la memoria.
Dopo la solenne inaugurazione, la Milano-Monza entrò in
pieno servizio: tutto funzionava alla perfezione (prima di ogni partenza, le
locomotive facevano una "corsa di prova", percorrendo un centinaio di
metri, poi tornavano indietro e venivano agganciate al convoglio) e nei primi
mesi i passeggeri giornalieri furono in media 1750. La strada ferrata piaceva, e la domenica costituiva un vero e proprio
svago.
Il 20 dicembre dello stesso
anno (1840) entrava in attività da piazza del Duomo alla stazione della
ferrovia il primo omnibus a cavalli, e venivano così superate anche le critiche
e perplessità di quelli che avrebbero voluto la stazione più nel cuore della
città (vedi pagina).
La Stazione di Porta Tosa
Milano ebbe una seconda stazione ferroviaria dal febbraio 1846, quando fu inaugurato il tronco ferroviario da
Milano a Treviglio della “Imperial Regia Privilegiata Strada Ferrata
Ferdinandea Lombardo-Veneta Milano-Venezia”. La concessione per questa linea era
stata richiesta ancora nel 1835 da Francesco Varè e Sebastiano Wagner, ed il
progetto, affidato all'ingegner Giovanni Milani, era già pronto dal 1838.
Come nel caso della linea per
Monza, valeva la proibizione di far entrare i convogli dentro le mura, e la
stazione sorse perciò appena al di fuori, in corrispondenza della Porta Tosa.[3]
Per la precisione la stazione sorgeva un po’ più a nord delle porta, allo
sbocco della direttrice del Borgo della Stella (l’attuale via Corridoni), ed
all’incirca in corrispondenza dell’attuale incrocio fra via Archimede e viale
Premuda, e si trovava nel Comune dei Corpi Santi, nel settimo Mandamento,
quarto Riparto.
C'erano state aspre
divergenze sulla realizzazione della linea, fatta con un tracciato che prendeva
in considerazione soltanto la via più breve (già il primo tratto,
Milano-Cassano, era assolutamente rettilineo), senza preoccuparsi dei centri
incontrati lungo il percorso, che avrebbero dovuto poi essere collegati con
l'asta principale da tronchi di diramazione, e non mancarono i contrasti anche
sulla collocazione delle due stazioni di Milano e Venezia.
Sulle locomotive in servizio sulla linea non si sa molto, ma
è interessante il fatto che le carrozze erano a tre assi, le prime
espressamente realizzate per le ferrovie, e del tipo “a terrazzini di testata”
(non costringevano il personale di scorta a correre lungo il treno per
richiudere le porte laterali che qualche disattento viaggiatore poteva avere
lasciato aperte).
La nuova ferrovia era “a
doppio corso di rotaie”, per dare
una maggiore possibilità di traffico, anche se, inizialmente, il
movimento dei treni non era certo importante.
In pochi anni si erano compiuti progressi nel campo delle segnalazioni. Non si piazzavano più in
alto gli uomini sulle torri di osservazione, ma si portavano in alto i segnali
su pali o antenne: alla sicurezza provvedevano i guardiani che erano dislocati
lungo la linea. Venivano usate “vele” o “ali semaforiche”, e lanterne nelle ore
di scarsa visibilità. Poco dopo il 1850
entrò anche in funzione il telegrafo elettrico Morse (vedi pagina).
Anche i viaggiatori nella nuova
stazione di Porta Tosa disponevano di maggiori comodità grazie alla presenza
del “Caffè Gnocchi”, che svolgeva funzioni di biglietteria, sala d'attesa,
toilettes, ed offriva anche la possibilità di uno svago ancora sconosciuto ai
milanesi, andare a guardare i treni. Il Gnocchi fu il primo di tanti
"caffè della stazione" che compariranno ovunque, in Italia, negli
anni successivi, seguendo la crescita delle ferrovie[4].
Dal primo tronco Milano-Treviglio
del '46, passarono ben 11 anni per il completamento, nel 1857, dell’intero
percorso Milano-Venezia.
Alla stazione di Porta Tosa, faranno
anche capo, nel 1861, i treni della linea di Piacenza, e di quella di Pavia
l'anno successivo. La stazione, comunque, non conobbe mai un grande sviluppo, e
divenne secondaria quando sorse la prima Stazione Centrale, per essere poi
ridotta ad officina e successivamente demolita.
La seconda stazione di
Porta Nuova
A Porta Tenaglia (Porta
Volta), come già si è accennato, sarebbe dovuta sorgere la stazione della
ferrovia per Como, ma il progetto, peraltro molto interessante e accurato, non
era mai stato realizzato. Nel 1841, a titolo sperimentale, era stato costruito
un breve tronco, poco più d'un chilometro, tra Camnago e Lentate. Nel 1846 la
concessione era passata al signor Antonio Grassi che d'accordo con una Società
Anonima derogò dal primitivo progetto e pensò
di inserirsi nel già realizzato tronco di Monza. La proposta suscitò il
malcontento dei comuni (Bruzzano, Cormano, Paderno, Palazzolo, Varedo, Bovisio,
Cesano Maderno, Seveso e Meda) che non sarebbero stati serviti dalla ferrovia
(dovettero infatti aspettare fino al 1879, la costruzione della Milano-Erba),
ma venne approvata.
Apparve però evidente che la prima
stazione della linea Milano-Monza non sarebbe stata sufficiente, e si decise
pertanto di costruirne una nuova in uno spazio più ampio. Spostandosi di poche
centinaia di metri c’era la possibilità di usufruire di una grande superficie,
lungo il canale della Martesana.
Fu così realizzato un fabbricato di
grandi dimensioni, entrato in servizio nel 1850, che sul retro era
dotato di una gran tettoia a tre campate a protezione dei binari di transito e
di manovra, e dei treni. I viaggiatori, a giudicare dal resoconto del primo
anno di esercizio, non dovevano essere molti. Forse più numerosi erano, invece,
gli spettatori che accorrevano a godersi lo spettacolo delle partenze e degli
arrivi dei treni, nonché quello della manovra delle locomotive, le quali, non
essendo ancora entrati in uso gli scambi[5],
passavano da un binario all'altro mediante tre piattaforme girevoli, ed un
tronco di congiunzione delle stesse, situate alle due estremità della tettoia.
L’edificio di questa stazione si può
ancora riconoscere nell'attuale Caserma della Guardia di Finanza, in via
Melchiorre Gioia. Per la precisione si tratta della ex-Dogana, la funzione a
cui la stazione fu in seguito destinata, e per la quale, come si vede dalla
fotografia, fu rialzata di un piano rispetto all’edificio originale della
stazione.
Sulla linea Milano-Como erano in servizio tutte locomotive
di nuovo modello[6], prodotte
dalla Maschinenfabrik di Esslingen, ed ognuna aveva il suo
nome:“Stoccarda”, “Enrichetta”, “Como”, “Ercole”, “Eolo”, “Matilde” e
“Napoleone”. I vagoni erano di tipo diverso per le tre classi; i viaggiatori
che non potevano permettersi il lusso delle prime due dovevano fare affidamento
sulla clemenza del tempo, perché le vetture di terza classe erano completamente
scoperte.
Ci vollero molti anni prima che
un treno, partito dalla nuova stazione di Porta Nuova, raggiungesse
direttamente Como. La linea fu infatti realizzata per tronchi successivi: dal
primo ottobre 1849 fu attivata la Monza-Camnago Lentate, dal 6 dicembre dello
stesso anno la Camnago Lentate-Albate Camerlata, dal 27 luglio 1875 la Albate
Camerlata-Como S. Giovanni, che per le pendenze in gioco era la tratta più
difficile da realizzare. Nel settembre del 1879 la linea raggiunse infine il
confine svizzero (Como S.Giovanni-Chiasso).
Nella nuova stazione confluì dal
1859 anche il nuovo tronco ferroviario Magenta-Milano della linea
Torino-Milano. La costruzione di questa linea era iniziata nel 1852 e
la sua entrata in servizio nell’ottobre del 1858 precedette di pochi mesi lo
scoppio della Seconda Guerra d’Indipendenza, durante la quale le ferrovie
contribuirono non poco al rapido spostamento verso est delle truppe
franco-piemontesi. E proprio per favorire il rapido spostamento delle truppe
nel luglio del 1859, in pochissimi giorni, fu steso un binario provvisorio che,
costeggiando i bastioni, permetteva di collegare le due stazioni di Porta Nuova
e Porta Tosa. Così i treni carichi di soldati e vettovaglie potevano
direttamente proseguire dalla linea di Torino su quella di Venezia[7].
La prima Stazione Centrale
Nei due decenni dal 1840 al 1860 la rete ferrovie italiane
ebbe un discreto sviluppo, specie nell’Italia settentrionale, dove in
particolare il governo sabaudo vide nelle ferrovie un elemento indispensabile
al progresso economico ed alla emulazione delle altre nazioni europee. Non a
caso fu il conte Cavour in persona che promosse e sostenne la costruzione della
ferrovia Torino-Genova, terminata nel 1853, per la quale furono realizzate
imponenti opere di ingegneria, fra cui la galleria dei Giovi (che allora era la
più lunga al mondo).
Il treno cominciò a diventare un elemento molto
significativo nella vita delle città e dei popoli, ed anche a Milano si sentì
l’esigenza di una prima razionalizzazione di quello che era già stato
realizzato.
Nel 1856 l'architetto Giambattista Bossi presentò il
progetto di nuovo tracciato della linea per Treviglio-Venezia, proponendo di
attestarla in una nuova stazione, alla Fossa Interna del Naviglio, presso il
Ponte di Porta Vittoria, prolungando gli esistenti binari oltre la stazione di
Porta Tosa. Di questo progetto non se fece niente, ma rimase aperto il problema
di una nuova stazione, che unificasse partenze ed arrivi di tutte le linee, e
del luogo in cui costruirla. Alcuni volevano che sorgesse all'interno del
Lazzaretto, cioè a nord-est, appena fuori le mura; altri, soprattutto i
commercianti, ne proponevano più di una in zone diverse della città, e
collegate tra loro da un servizio di tram a cavalli; altri, infine, ne
proponevano una tra Porta Orientale e Porta Nuova, soluzione che richiedeva la
costruzione di un enorme cavalcavia che attraversasse l’area del Lazzaretto e
scavalcasse lo stradone di Loreto (l’attuale Corso Buenos Aires).
In ogni caso la Direzione delle Strade Ferrate del
Lombardo-Veneto stabilì fermamente di rimanere
esternamente ai bastioni, nonostante la città di Milano avesse ancora, a
quei tempi, all'interno del perimetro delle mura, estesissime superfici di
terreno non fabbricato, sulle quali, come aveva ipotizzato il Bossi, si sarebbe
potuto erigere l'edificio della stazione con contenuta spesa. Ad appianare ogni
dissidio sulla collocazione della stazione intervenne lo stesso imperatore
d'Austria, che con sovrana risoluzione del 23 luglio 1857, approvò la terza
delle soluzioni elencate, imponendo comunque, per evitare di deturpare
completamente il paesaggio, di costruire il cavalcavia di Loreto in muratura
anziché in ghisa e ferro[8].
Il 12 settembre del
1857 venne posta con grande solennità, la prima pietra della nuova stazione,
che avrebbe preso il nome di Stazione Centrale. Il completamento dei lavori
richiese molti anni, abbastanza da vedere il passaggio di Milano nel regno
d’Italia, e così il 10 maggio 1864 la
Stazione Centrale, iniziata sotto gli austriaci, venne inaugurata dal re Vittorio Emanuele II.
Lo studio delle opere
strutturali della nuova stazione era stato inizialmente affidato all'ingegner
Deigrement, capo dell’ufficio costruzioni delle ferrovie, ma c’erano state
divergenze sull’ampiezza degli spazi coperti tra il direttore generale della
Società e l’ingegnere capo addetto agli armamenti, cosicché l'incarico venne
passato all'architetto Bouchot, di Parigi (in effetti l’impronta della scuola
d'oltralpe risultò chiara nell’architettura dell’edificio.
Il grande rettangolo (242 per
78 metri) della stazione era coperto con tetto a padiglione curvo in ardesia,
con terrazza tutt’intorno balaustrata con colonnine.
L’atrio, di 731 metri
quadrati, aveva un aspetto grandioso con i suoi 24 metri d’altezza; era voltato
a botte, e rinforzato da sei lesene corrispondenti alla divisione esterna della
facciata. Sulla parte di fronte alle porte di ingresso, due grandi arcate
ribassate immettevano nelle sale destinate al servizio bagagli. Sul lato
sinistro, si apriva il corridoio che introduceva nelle sale d’attesa, molto
grandi e ben illuminate.
I viaggiatori in arrivo erano tenuti lontani dai parenti:
per essi era riservata l’ala destra dell’edificio dove erano ricavati gli
ambienti per il transito in uscita e lo smistamento dei bagagli in arrivo. Nel
padiglione destro erano ricavate le sale reali ed ambienti connessi. Ma la
grandiosità della Stazione Centrale non era soltanto legata all’edificio: c’erano ben sei binari, di
cui quattro “a marciapiede” per i viaggiatori, e la tettoia che li proteggeva,
con una lunghezza di 233 metri, una larghezza di 40, una superficie coperta di
9340 metri quadrati, era la più grande d’Italia. La tettoia era in parte
trasparente ed in parte cieca e l’illuminazione era assicurata da sessantadue
fiamme di gas sospese, più altre quattordici sostenute da altrettanti
candelabri, emergenti dal marciapiede centrale.
Insomma, una “grande” stazione. Anche gli spazi destinati ai
vari servizi erano cospicui, e l'unico problema era creato dalla concorrenza delle due Società che gestivano le linee che vi
facevano capo, l'Adriatica e la Mediterranea.
Ma si trattava di una realizzazione imponente anche in
quanto l’intervento effettuato non si limitava al solo edificio, ma aveva
richiesto la sistemazione di una vasta area all’intorno e la realizzazione di
notevoli opere per i tracciati dei binari[9].
Dunque, a differenza delle prime modeste stazioni, con la costruzione della
Stazione Centrale, che servì a consacrare definitivamente l'importanza del
sempre crescente sviluppo delle ferrovie per la vastità degli interventi che
mise in atto, la ferrovia cominciò ad avvolgere il perimetro a nord-est della
città con una vasta cintura di binari ed edifici che ne avrebbe nei decenni
condizionato ed indirizzato le linee di sviluppo.
La ristrutturazione urbanistica della zona che venne occupata
dai nuovi impianti ferroviari richiese, oltre che la costruzione del vasto
piazzale, anche la creazione di una adeguata via di comunicazione con
il centro della città: nacque così la via Principe Umberto (la via Turati di
oggi), e un sottopassaggio che attraversava i bastioni tra Porta Venezia e
Porta Nuova, inaugurato nel novembre 1865 (vedi pagina).
L’entrata in servizio della prima Centrale implicò l’abbandono
della stazione di Porta Tosa, alla quale avevano peraltro fatto capo, per
qualche tempo, anche la linea per Piacenza, attivata nel 1861, ed quella per
Pavia, attivata nel 1862.
Vennero di conseguenza modificati i tracciati dei binari, in
particolare quelli che si dirigevano verso sud est per raccordarsi con le linee
di Treviglio-Venezia e di Piacenza. Dopo l’entrata in servizio della prima
Centrale, e l’abbandono della stazione di Porta Tosa, la diramazione di queste
due linee avveniva al Bivio Acquabella, che prendeva il nome da una antica
cascina, e si trovava dove ora esiste il piazzale Susa. [10]
Con il passare degli anni, le
aumentate necessità del traffico ferroviario posero sempre nuovi problemi, che
dovettero venire affrontati e risolti volta per volta. Così si arrivò a
decentrare gli spazi destinati ai servizi, e si trovarono soluzioni per il
sempre crescente afflusso di viaggiatori. Ormai, dopo la proclamazione dell'Unità
d’Italia, viaggiare in treno non era più un’impresa avventurosa e rara. Milano,
per la sua posizione geografica, attirava e distribuiva correnti di traffico
che divennero anche internazionali. Il traffico delle merci, poi, cresceva in
continuazione sulla spinta della forte industrializzazione e della
realizzazione dei trafori alpini (il traforo del Frejus, verso la Francia entrò
in servizio nel 1871, quello del San Gottardo, verso la Svizzera e la
Germania, nel 1882), tanto che nel 1884 si dovette creare un apposito scalo,
quello di Milano Sempione, specificamente destinato allo smistamento merci.
L'incrementarsi dell'importanza di Milano quale nodo
ferroviario, risulta indirettamente testimoniato dallo spostamento a Milano
della direzione generale della Società Ferrovie dell'Alta Italia. Questa aveva
avuto in origine la propria sede a Torino, in quanto capitale del Regno
Sabaudo, poi a Firenze, temporanea capitale d'Italia. Sulla scia di questa
tendenza, nel 1870, dopo lo spostamento della capitale a Roma, avrebbe dovuto
insediarsi colà, ma a questo punto la Società preferì trasferirsi a Milano,
baricentro della sua rete, ed acquistare il palazzo Litta[11],
ove si insediò nel gennaio 1871.
La stazione di Porta
Genova
All'inizio del 1868 una società privata stava lavorando alla
costruzione del tronco ferroviario Milano-Vigevano che fu terminato ai primi
del 1870. Con questa linea Milano guadagnava un secondo importante scalo
ferroviario, che prese il nome dalla sua prossimità alla Porta Ticinese. La
nuova stazione, secondo gli atti del Municipio, sarebbe dovuta sorgere sull’area
comunale a ponente di Piazza Castello. Ma la vicenda prese un’altra piega
perché gli industriali che già gravitavano nella zona di Porta Ticinese,
invitati a sottoscrivere le azioni della nuova stazione, posero una precisa
condizione: che la stazione venisse collocata nella loro zona.
Prima
dell’attivazione della linea Vigevanese, l’unico stabilimento industriale di
Milano collegato alla ferrovia era quello dove si costruivano i carri
ferroviari, che si trovava sulla linea di Monza, in località Magna. Sorta la
stazione di Porta Ticinese, il vicino quartiere fuori le mura, che già era uno
dei più vivaci e popolosi del Comune dei Corpi Santi, si arricchì di impianti
industriali, diversi dei quali furono collegati direttamente alla ferrovia. Non
bisogna dimenticare che, all'epoca, i trasporti stradali per le merci non erano
certo facili, e per questo i raccordi ferroviari all'interno delle fabbriche
incominciarono a moltiplicarsi.
La linea per Vigevano fu collegata con
i tracciati preesistenti con un lungo raccordo che aggirava tutto il lato ovest
della città, diramandosi dalla Milano-Torino, al bivio “Vigevano”, in località
San Rocco, al confine nord del Cimitero Monumentale. Con l’entrata in servizio
di questo raccordo la Stazione Centrale diventò realmente “centrale” e punto di
partenza e d’arrivo anche dei treni che si dirigevano a sud della città, ed in
comunicazione diretta con la rete piemontese. Successivamente,
all’apertura attraverso i bastioni della Barriera di Porta Genova, la stazione
cambiò nome, diventando di Porta Genova.
Quando, nel
1873, avvenne l’unificazione del Comune di Milano con quello dei Corpi Santi (vedi pagina), la città era già quindi collegata per ferrovia con Torino, Venezia, Monza-Como,
Vigevano e Piacenza, e, come si vede chiaramente nella carta qui sotto, i tracciati ferroviari avevano già avvolto significativamente le future
aree di espansione della città al di fuori delle mura. Si osservi inoltre che
a questa data la originaria stazione della linea per Venezia (Porta
Tosa-Vittoria) non esisteva già più.
Lo scalo merci di Porta Garibaldi e le
Ferrovie Nord
Nel 1873 entrò in servizio anche lo scalo merci di Porta
Garibaldi: la sua posizione (diversa da quella dell’attuale, omonima stazione)
era abbastanza vicino alla Centrale, al di là del Naviglio della Martesana, e
più a ovest della seconda stazione di Porta Nuova; quest’ultima cessò la sua
funzione e l’edificio divenne sede della dogana. Il cambiamento di destinazione
d’uso di questo edificio, costruito solo 25 anni prima, dà l’idea che lo
sviluppo ferroviario della città stesse procedendo a ritmo rilevante.
Porta Garibaldi era una piccola stazione per il servizio
merci. Sul raccordo con la linea di Monza erano disposti i magazzini del
materiale fisso mentre, tra il Naviglio della Martesana e la Centrale, il
deposito delle locomotive e le officine.
Cinque anni dopo, nel 1878, erano
in corso i lavori di sistemazione e riordinamento dell'area e delle strade
attorno a una nuova stazione che si stava costruendo, vicino a piazza Castello,
per la ferrovia Milano-Saronno e Milano-Erba, sulla base di un progetto che era
stato redatto d'accordo fra l'ufficio Tecnico Comunale e quello della Società
della Ferrovia. Si trattava di un edificio piuttosto modesto, con ossatura in
legno, in uno stile che richiamava gli chalet alpini. Anche in questo
caso il tracciato ferroviario non superava l’antico confine dei Bastioni, ma
comunque penetrava più in profondità nel tessuto urbano, attestandosi lungo il
confine della vasta Piazza d’Armi e del Castello, fino quasi alla cerchia
interna dei navigli. Nel marzo 1879 il Sindaco Giulio Bellinzaghi
poteva inaugurare la Milano-Saronno, con un convoglio che coprì il tragitto in
quaranta minuti. Il 31 dicembre dello stesso anno fu inaugurata la Milano-Erba
con un treno di quattordici vetture, trainato da due locomotive, che trasportò
cinquecento persone coprendo il tragitto fino ad Erba in un'ora e mezzo
(comprese le quattro fermate intermedie).
La Società che gestiva queste due
ferrovie nel novembre 1883 prese il
nome con cui ancora oggi è nota di “Società
Anonima Ferrovie Nord Milano”. La prima modesta stazione capolinea milanese
fu demolita ed al suo posto fu edificato un edificio importante, a tre piani,
completato nel 1895. Sarà poi sopraelevato di un piano nel 1920 e
rimarrà totalmente distrutto nel bombardamento del 13 agosto 1943 (e dopo la
guerra ricostruito totalmente nella forma attuale).
Lo (scomparso) scalo
merci di Porta Sempione e la linea di circonvallazione
Nei
primi anni ottanta del XIX secolo la situazione ferroviaria milanese era
dominata dalla nuova stazione Centrale alla quale pervenivano tutte le linee
fino ad allora costruite. Come si è appena visto, dal lato occidentale c’erano
le linee di Torino e la linea di Como; quest’ultima, abbandonata la stazione di
Porta Nuova, si raccordava alla Centrale con una curva quasi ad angolo retto.
Dal lato orientale, c’erano le linee di Venezia, Piacenza e Pavia. Appena fuori
della Centrale, sul lato ovest, superato il bivio con la linea di Como, era
situata la stazione di Porta Garibaldi (che non ha niente a che fare con l'attuale, omonima stazione), che fungeva da scalo per le merci; più
oltre si inseriva la linea più recente, quella di Vigevano, sulla quale era
sorta la stazione di Porta Ticinese. Lungo quest’ultima direttrice secondo i
progetti della Società dell'Alta Italia si doveva costruire un grande piazzale
di smistamento per far fronte al traffico in continua crescita, sia per
l'aumento del numero delle linee confluenti a Milano, sia del traffico
proveniente d’oltralpe, tramite i trafori del Frejus e del Gottardo.
Questa stazione, che sarà
chiamata di Porta Sempione, si collocava all’incirca nell’area
compresa fra le attuali vie Ippolito Nievo e Reggimento Savoia Cavalleria; la
sua costruzione andò un po’ a rilento per le difficoltà frapposte dagli enti
cittadini interessati, i quali l'accusavano di essere troppo vicino al centro e
quindi di impedimento allo sviluppo urbanistico che andava allargando a macchia
d’olio gli insediamenti residenziali ed industriali (in effetti essa è
successivamente scomparsa, riassorbita completamente nel tessuto urbano). Ma la
congestione del traffico delle merci in Milano era causa di seri danni
finanziari. Ad essa occorreva porre rimedio con provvedimenti immediati, primo
fra tutti questo nuovo scalo di smistamento, ma anche trovando uno sbocco verso
sud.
Subito dopo, si avvertiva
l’esigenza del riordino della stazione per le merci di Porta Garibaldi,
all’origine destinata alla duplice funzione di smistamento e scalo per le merci
in arrivo e in partenza. Qui si lamentava l'insufficienza dei magazzini e dei
piani caricatori che non potevano assolutamente trattare il milione di
tonnellate di merci, che vi transitavano annualmente. Fu perciò raccomandato di
accelerare l'apertura della stazione di Porta Sempione nella quale trasferire
quanto fino ad allora si faceva a Porta Garibaldi; così la stazione, seppure
non completa, cominciò a funzionare[12]
dal settembre 1883.
Alcuni interventi furono
anche effettuati alla Stazione Centrale, con il raddoppio dei binari sul
viadotto del Lazzaretto e l'aggiunta di altri binari sulla parte Nord
dell'esistente, oltre il fabbricato degli uffici. Questi provvedimenti
avrebbero consentito all'impianto di far fronte all'incremento del traffico
merci a grande velocità, determinato anche dalle numerose linee in corso di
ultimazione nell’Italia settentrionale: la linea della Valtellina per Sondrio,
la Porrettana per Roma, la Pontebbana per La Spezia e quella per Cremona.
Lo scalo di Porta
Romana
Verso il 1880 Milano era
ormai il punto cruciale di incrocio fra le direttrici ferroviarie Nord-Sud e
Est-Ovest. Un intoppo nel suo funzionamento avrebbe messo a repentaglio tutta
la circolazione dell'Italia settentrionale. Dagli impianti di Milano
dipendevano non solo i traffici che la interessavano direttamente, ma anche
quelli dell'Italia intera. Milano era inoltre diventata anche un polo importante
dell’industria ferroviaria, con la presenza di varie fabbriche di materiale
rotabile, la più importante delle quali era l’officina di costruzione delle
locomotive della Breda, verso Sesto San Giovanni.
Vista la criticità
della situazione, nel 1884 fu insediata una commissione di studio (presieduta
dall’assessore Tagliasacchi), che fu incaricata di esaminare la situazione
ferroviaria milanese. Nelle sue conclusioni veniva sottolineato un fatto
evidente, cioè che gli impianti erano concentrati a Nord e ad Ovest della
città, mentre nulla esisteva ad Est e a Sud, benché di là provenissero linee di
grande importanza (da Venezia, da Bologna, da Genova). Si evidenziava pertanto
la necessità di aprire una nuova stazione nella zona Sud Est di Milano, nei pressi
della Porta Romana. Difficoltà finanziarie non consentirono comunque di
costruire questa stazione, nella cui area inizialmente furono posati solo tre
binari ed alcuni raccordi industriali.
Inoltre, perché l’intervento potesse
considerarsi veramente completato, mancava ancora il raccordo fra la linea di
Venezia e lo scalo di Porta Sempione, quella che fu chiamata la Circonvallazione [13].
Fu così che la stessa Società dell’Alta Italia si decise a chiedere
l’intervento del Governo per aprire un raccordo verso Rogoredo, dal quale poter
ricevere il traffico dal Sud. Essa stessa aveva già progettato l'insieme delle
opere necessarie. Nel progetto era anche previsto il raddoppio della linea per
Vigevano nel tratto fra Porta Sempione e Porta Ticinese, oltre alla costruzione
di un sovrappasso del corso Vercelli per eliminare l’esistente passaggio a
livello.
Intanto, nel 1885, era avvenuta una
riorganizzazione delle società ferroviarie italiane, nota come le “convenzioni
Genala”, in virtù della quale le linee occidentali (versante tirrenico) erano
tutte confluite nella Società delle Ferrovie del Mediterraneo, mentre
quelle orientali (versante adriatico) erano confluite nella Società
Adriatica. Quest’ultima, subentrando a Milano, fece propri i progetti della
Società dell’Alta Italia, e con l'orario estivo 1891 i treni delle merci
provenienti dal Sud poterono essere avviati direttamente alla stazione di Porta
Sempione senza dover passare per Milano Centrale e Porta Garibaldi
Nel
luglio 1896 si ebbe una prima apertura dello scalo di Porta Romana. Nel contempo nella Stazione Centrale
si appaltarono i lavori per la nuova sede dello scalo per le merci a grande
velocità con impalcature e pensiline, mentre veniva bandita la gara per il
nuovo fabbricato degli uffici postali sulla Via Galilei. Si decideva inoltre di
costruire un sottopassaggio di collegamento fra la parte Nord e quella Sud
della stazione, destinato ai viaggiatori in arrivo.
Anche il Governo finì per rendersi conto dell'urgenza di
sistemare la situazione ferroviaria di Milano ed il Ministro dei Lavori
Pubblici, dal quale dipendevano anche le Ferrovie, istituì una Commissione,
presieduta dal Senatore Gadda, comprendente i rappresentanti degli enti
interessati, tra i quali le due Società ferroviarie che operavano a Milano.
Nel giugno 1904 venne aperto
il raccordo della linea di Venezia con la Circonvallazione, verso la stazione
di Porta Romana, lungo quasi cinque chilometri. Nello stesso 1904 furono anche
ultimati i lavori del secondo sottopassaggio nella stazione Centrale.
Le
Ferrovie dello Stato e
il riassetto ferroviario di Milano
Il 1o luglio 1905 con la revoca delle concessioni
ferroviarie a tutte le società private, e l'assunzione da parte dello Stato
dell'esercizio della rete ferroviaria nazionale, nacquero le Ferrovie dello
Stato. Questo evento (del quale non abbiamo qui spazio di analizzare
l’origine ed il contesto socio politico in cui nacque) semplificò molto la
questione del riordino ferroviario milanese, in quanto scomparve il dualismo
prodotto dall'esistenza di due società ferroviarie, furono eliminate
distinzioni e ripetizioni, e fu facilitato anche il colloquio fra il Municipio
e l'esercente. La Giunta comunale istituì una nuova Commissione, presieduta dal
senatore Giuseppe Colombo (vedi pagina), con l'incarico di studiare il migliore assetto da
dare ai servizi ferroviari della città di Milano. In seno ad essa si formarono
due sottocommissioni, l'una per lo studio degli impianti ferroviari della
stazione Centrale e l'altra per lo studio della nuova stazione di smistamento e
della nuova linea di cintura. Le indicazioni di questa Commissione possono
essere così riassunte:
·
abbandono della esistente stazione centrale, del tipo
di transito, e costruzione di una nuova grande stazione di testa, a Nord di
essa, nella zona del Trotter; (vedi sotto)
·
conservazione della stazione di Porta Ticinese, ma
soppressione del raccordo con Porta Sempione e con lo scalo del bestiame;
·
abbandono dello scalo di Porta Garibaldi e costruzione
di uno nuovo di testa nell'area Nord del Cimitero Monumentale;
·
conservazione dello scalo per le merci a piccola
velocità di Porta Romana ed abbandono di quello di Porta Sempione. Per lo
smistamento dei treni merci costruzione di una nuova grande stazione adiacente
alla linea di Venezia, ad Est;
·
costruzione di uno scalo a Porta Vittoria per le merci
a grande velocità, soprattutto frutta e verdura, posto in prossimità del nuovo
mercato che dovrà sorgere nell'area del Fortino.
Inoltre, per quanto riguarda le
linee di raccordo, si suggeriva l’abbandono dei collegamenti della Centrale con
Porta Garibaldi e con Porta Sempione, e di costruire le linee di raccordo degli
impianti milanesi in modo tale da consentire l'espansione edilizia secondo il
piano regolatore della città, senza ostacolare la viabilità. In sostanza quindi
la commissione si pronunciò per l'abbandono della Circonvallazione rimandandone
la ricostituzione, in forma ampliata, a tempi futuri secondo un tracciato già
definito, ma che per il momento non venne giudicato necessario.
Le conclusioni della
Commissione Colombo trovarono piena approvazione presso le Ferrovie dello Stato
che iniziarono quasi subito a lavorare ad un progetto che trasformava
profondamente non solo l’assetto ferroviario della città, ma tutto il
territorio circostante, e che avrebbe richiesto lunghi anni per essere
realizzato. In particolare per quanto riguardava la progettazione della nuova
Stazione Centrale,[14]
la direzione delle ferrovie era consapevole che per una grande città come
Milano per la nuova stazione c’era bisogno di un fabbricato che oltre ad
adempiere tutte le funzioni ad esso assegnate avesse un aspetto degno della sua
importanza. Per questo nel dicembre 1906
fu bandito un concorso per il progetto architettonico sulla base di uno schema funzionale e
strutturale già definito dai tecnici delle FF.SS.
Oltre alla Centrale, il piano
di riassetto prevedeva un ampliamento dello scalo merci di via Farini
andando ad occupare la maggior parte dell'area a Nord del Cimitero Monumentale,
nel triangolo di San Rocco. Un nuovo grande scalo di smistamento merci
sarebbe sorto oltre Lambrate, accanto alla linea di Venezia e avrebbe potuto
trattare fino a 7.000 carri al giorno pari a circa 230 treni di 30 carri. Un
ulteriore nuovo scalo merci a Porta Vittoria sarebbe stato destinato esclusivamente
al traffico ortofrutticolo, per alimentare l'adiacente mercato. Infine dovevano
essere potenziate le stazioni di Rogoredo, sulla linea per Bologna e Genova, e
di San Cristoforo, sulla linea di Vigevano.
Al progetto delle opere, approvato
con Decreto reale del 1906, fece seguito un pronto avvio dei lavori, cominciati
con le opere per il collegamento della stazione di Greco con la nuova Centrale,
necessarie per il transito dei materiali terrosi provenienti da cave situate a
nord, a Seregno ed a Monza. In marzo si avviarono i lavori della stazione di
smistamento di Lambrate; si trattava di realizzare un grande rilevato, largo
135 metri lungo 1.000, la cui costruzione venne alimentata da ottanta carri al
giorno, provenienti da una cava situata a Cassano d’Adda.
Nel 1908 venne stipulato il
contratto per i lavori della nuova stazione di Porta Vittoria, che prevedevano
la costruzione del fabbricato degli uffici, di due grandi magazzini e del
rilevato di 110.000 metri cubi di terra, cui si devono aggiungere i raccordi
con Rogoredo e con Lambrate. Furono anche appaltati i lavori di ampliamento
della stazione di San Cristoforo sulla linea per Vigevano mentre si incontrarono difficoltà ambientali per
cominciare i lavori dello scalo di via Farini. Nel frattempo la vecchia
Centrale doveva assolvere ancora ai suoi compiti e si provvide perciò ad
ampliarla negli edifici dei viaggiatori e delle merci, a costruire piani
caricatori sul davanti e sul dietro e ad impiantare nuovi binari per la manovra
ed il ricovero dei treni. Da parte sua il Comune di Milano si interessava della
sistemazione viaria intorno alle nuove installazioni ferroviarie al fine da un
lato, di servirle e, dall'altro, di evitare interferenze. Tra i lavori
necessari figura in primo piano la realizzazione del piazzale d'accesso e la
sistemazione delle vie adducenti alla stazione del Trotter e, per la nuova
stazione di Lambrate, l'allargamento e la rettificazione della strada della
Vallazza.
Nel maggio 1911 venne ultimata la
stazione di Porta Vittoria che alleggerì il servizio della stazione di Porta
Romana. Nello stesso 1911 furono ultimati la parte sinistra del
piazzale/viadotto della nuova Centrale ed il raccordo con la linea di Monza.
Nel 1912 si cominciarono i lavori del lato Est, e fu bandito un secondo
concorso per il fabbricato viaggiatori, di cui sarebbe risultato vincitore, dopo lunghe vicende, il progetto dell’arch.
Ulisse Stacchini.
Nel 1914 era pronto il lungo arco di binari della cintura nord, che si
estendeva fra Lambrate e Musocco, mentre nel 1918 era terminata la cintura est.
Con la costruzione di queste cinture, che furono pienamente completate verso
sud quando nel 1931 entrò in servizio la nuova Centrale, la città si trovò
avvolta da una specie di nuovi grandi “bastioni”, certo senza porte e sempre
aperti, ma comunque dotati di un numero limitato di passaggi obbligati, che
soprattutto nel secondo dopoguerra, con l’espansione della città verso
l’esterno, avrebbero condizionato non poco il traffico e l’interscambio fra
città storica e periferia.
La nuova Stazione
Centrale
I lavori per il nuovo assetto
ferroviario milanese procedevano con alacrità quando sopravvenne la Prima
Guerra Mondiale allo scoppio della quale essi in pochi mesi rallentarono fino
ad arrestarsi pressoché totalmente, sia a causa della requisizione degli
impianti da parte dell'esercito sia per l'esaurirsi delle disponibilità
finanziarie. Alla fine della guerra, poi, le risorse della nazione erano molto
indebolite, e le Ferrovie dello Stato nei primi anni ‘20 attraversarono un
momento molto difficile. Così bisognò
attendere il 1925 per vedere una
ripresa dei lavori di sistemazione ferroviaria di Milano. Nel frattempo la
vecchia Centrale aveva dovuto continuare il suo lavoro nonostante le sue
deficienze ed i suoi limiti. Però nel 1921 era stato deciso di rimuovere la
grande tettoia, perché il tempo, ma soprattutto gli agenti atmosferici e il
fumo delle locomotive, avevano prodotto danni irreparabili nelle strutture
portanti. In particolare tre delle centine erano notevolmente corrose, e
piuttosto che sopportare ingenti spese annuali di verniciatura e manutenzione,
o di sostituire le parti danneggiate, si preferì demolire la tettoia
sostituendola con lunghe pensiline in legno, in parte coperte con i vetri
recuperati dalla demolizione della tettoia. Sopra gli attraversamenti a
livello, furono inoltre realizzate tre pensiline metalliche perpendicolari alle
precedenti, per i pedoni e per il trasbordo dei bagagli.
Finalmente nel 1931 la nuova Centrale fu ultimata ed entrò in servizio. (Vedi approfondimento)
La vecchia Centrale, passato
gradualmente il traffico da essa alla nuova, nel 1932 fu totalmente demolita insieme con i raccordi ed i
rilevati. Oggi, passando in piazza della Repubblica, cioè nella zona ove essa sorgeva, un occhio attento può ancora avvertire un segno della sua lunga esistenza nei terrapieni su cui sorgono i grandi alberghi ai lati della piazza, ma non è facile immaginare che proprio sul fondo, all'altezza dei viali della Liberazione e Tunisia, la vecchia Centrale aveva il suo piano di calpestio sette metri più elevato del piano viario, ed esisteva un largo piazzale in pendenza per arrivarci. Con la demolizione della stazione scomparve quasi tutto quanto l’edificio aveva portato con sé nei suoi sessantasette anni di vita. Tra le poche cose a salvarsi alcune parti della tettoia di copertura
dell’ingresso, in ghisa, che l’ing. Caproni (quello degli aeroplani, vedi pagina) trasportò nella sua proprietà di Vizzola Ticino nella Brughiera della Malpensa
(dov’è tutt’oggi visibile).
Scomparve anche il lungo viadotto
delle linee che arrivavano da est e da sud, che seguiva la direttrice degli
attuali viali Tunisia e Regina Giovanna, attraversando l’area del vecchio
Lazzaretto, ed anche il ponte che scavalcava il corso Loreto (il corso Buenos
Aires attuale).
La nuova Stazione di
Porta Garibaldi e il Passante
Con l’entrata in servizio della
nuova Centrale l’assetto ferroviario di Milano aveva ormai assunto una
fisionomia non troppo diversa da quella attuale, e il nostro racconto, che ha
più che altro l’intento di ritrovare le origini del sistema ferroviario
milanese, potrebbe fermarsi qui.
Voglio però brevemente accennare
anche qualche vicenda successiva, per un rapido collegamento al presente ed al
prossimo futuro.
Sul prolungamento dell’asse della
vecchia stazione rimase, verso nord-ovest, il rilevato dei binari che
raccoglievano gli arrivi delle linee locali per Novara, Gallarate e Varese, che
andarono a costituire l’ultima modesta stazione di Porta Nuova, o delle Varesine,
rimasta in funzione per altri trent’anni, fino all’entrata in servizio, nel
1963 della nuova Stazione di Porta Garibaldi. Questa stazione, che fu
realizzata arretrando di circa 800 m il precedente fronte delle Varesine, fu
ampliata nel 1966 con l’attivazione di un tratto sotterraneo, la “Galleria
Garibaldi”, lunga circa 2 km, che spunta a nord di piazza Carbonari, al bivio
di Mirabello, dove i binari si diramano verso Greco e verso Lambrate.
Il lettore che abbia avuto la
pazienza di seguirmi fin qui, potrà forse essersi reso conto che il riassetto
ferroviario concluso negli anni ’30, mise in ordine molte cose, ma privò la
città di un collegamento ferroviario diretto fra le linee provenienti da
sud-est e quelle dirette a nord-ovest.
A questa
carenza sopperirà, circa 75 anni dopo,
il Passante Ferroviario. Questa grande opera era stata progettato verso la fine degli anni ’60, anche se fu iniziata solo nel 1984
(gli scavi cominciarono proprio dalla stazione di “Repubblica”, cioè dal sito della vecchia Centrale); essa dovrebbe
essere finalmente completata, verso sud-est, nel 2007, quando arriverà nella stazione di Rogoredo. Come si vede dalla
mappa, in effetti il Passante, che segue la direttrice
Garibaldi-Liberazione-Tunisia-Regina Giovanna-Dateo, non fa altro che ripercorre, in sotterranea, il tracciato della
vecchia ferrovia per Venezia-Piacenza, soppressa agli inizi degli anni ’30.
Analogamente la già citata galleria Garibaldi segue il primo tratto della
vecchia ferrovia per Monza-Como (anch’esso soppresso).
Con l’ingresso in servizio del
Passante (già completamente in servizio sulle direttrici di nord-ovest, ed
attivo verso sud-est fino alla stazione di Porta Vittoria, con allacciamento
fino a Pioltello) si sveltiranno non solo i servizi ferroviari regionali,
trovando una migliore integrazione con la rete dei trasporti urbani sotterranei
e di superficie, ma si creeranno anche le interconnessioni con la rete dei
treni ad alta velocità, nelle stazioni di Rogoredo-Pioltello e di Rho-Pero. La
città di Milano avrà così, finalmente, un sistema ferro-tranviario integrato
con il suo vasto hinterland, ed un po’ più all’altezza di quello posseduto da
decenni da tante altre metropoli europee.
Riferimenti per tutta la sezione
ferrovie
1) ANGELERI G.,COLUMBA C., Milano Centrale, storia di una
stazione, Edizioni Abete, Roma, 1985
2) ANGELINI Ivo e AL., Prime stazioni a Milano, BBE
Edizioni, Torino, 1987
3) AA.VV, La stazione Centrale di Milano, monografia
ufficiale illustrata, Edita a cura dell’Associazione Nazionale Mutilati e
Invalidi di Guerra, Sezione di Milano, 1931
4) BELGIOJOSO A.B., MARESCOTTI L., Il
passante ferroviario e la trasformazione di Milano, CLUP, Milano, 1986
5) BRIANO I., Storia delle ferrovie in
Italia, Cavallotti Editore, Milano, 1977
6) HAMILTON ELLIS G., Lo sviluppo dell'ingegneria
ferroviaria, in: Charles Singer (a cura di), Storia della tecnologia,
vol. 5, tomo 1, Bollati Boringhieri, Torino, 1993
7) LACCHE’ C., Quell’antico odore di fumo dei treni,
Edizioni Medicea, Firenze, 1986
8) OGLIARI F., MUSCOLINO P., 1840-1990, centocinquantanni
di collegamenti tra Milano e Monza nella storia dei trasporti italiani,
Socimi Edizioni, Milano, 1990
9) OGLIARI F., Ruote e binari in Lombardia , Silvana
Editoriale, Milano 1993
10) OSNAGO C., Ferrovie e stazioni, in: AA.VV, Milano
Tecnica dal 1859 al 1884, Hoepli, 1885, Ristampa Edizioni L'Archivolto,
Milano, 1988
11) SAPORITO P., La Stazione Centrale di Milano, Di
Baio Editore, Milano, 1981
12) ZAMBINI GUGLIELMO e AL., Ferrovie
regionali per l'area milanese, Edizione a cura del Centro studi piano
intercomunale milanese, Milano, 1963
13) WWW.MIOL.IT/STAGNIWEB