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Palazzo Bolagnos, Viani, Visconti di Modrone-Grazzano

di Mauro Colombo

Palazzo Bolagno, incisione di Marcantonio Dal Re

Palazzo de Conti Bolagno, incisione di Marcantonio Dal Re (1745 ca.)

L’ubicazione

La storia di palazzo Bolagnos, poi Viani, ed infine Visconti di Modrone-Grazzano, comincia all’inizio del Settecento, in Porta Orientale, nella contrada della Cervietta (poi via Cerva 44, e oggi, come ribattezzata recentemente nella sua ultima parte, via Cino del Duca[1]).

Portale del PalazzoCortile del Palazzo

Portale e Cortile del Palazzo

 

La zona era caratterizzata per la presenza di quattro chiese: San Babila, San Romano, Santo Stefano in Borgogna e San Damiano. Le ultime tre persero la loro funzione religiosa tra la fine del settecento e la metà dell’ottocento, e vennero poi demolite negli anni successivi.[2]

Nell’isolato compreso tra la via Cerva, il corso di San Romano (oggi Monforte), la via di Santo Stefano in Borgogna (oggi solo Borgogna), e il terraggio di San Damiano (oggi via Ronchetti[3]), si trovavano alcune abitazioni nobiliari: casa Pieni, casa Figini, casa Masserati, e casa Serponti.

La casa da nobile Figini, d’origine secentesca, è il nucleo principale della costruzione di palazzo Bolagnos, ed era descritta come una grossa casa civile che si sviluppava su due livelli, e che poteva godere di un vasto giardino annesso.

L’edificio passa nei primi anni del settecento al conte Boselli, la cui figlia, Isabella, sposa nel 1708 Giuseppe Bolagnos, che ottiene così l’edificio quale bene dotale.

Giuseppe Bolagnos Navia

Giunto in Italia al seguito di Carlo VI, dal 1710 ottiene la reggenza del Consiglio d’Italia e la luogotenenza della Regia Camera di Napoli.

Ottenuto il diploma di cittadinanza milanese, entra a fare parte del patriziato della città con tutti i privilegi conseguenti[4]. Dal 1717 al 1727 è reggente togato per lo Stato di Milano all’interno del Supremo Consiglio di Spagna (nuovo organo che riunì il Consiglio d’Italia e la Giunta d’Italia).

Nel 1718 è nominato decurione[5]. Nello stesso anno l’imperatore gli dona i feudi di Fracchia, Pizzighettone, Regona[6] ed altre terre, col titolo marchionale nella sua persona e con diritto di trasmissione del feudo.

I lavori su casa Figini-Boselli

All’inizio del Settecento, nell’atto costitutivo di dote di Isabella Boselli, l’edificio è descritto come una casa grande da nobile con almeno due appartamenti al primo piano e uno al piano terreno, giardino, stalla, cucine e cantina. L’esistenza del giardino, che occupa la parte di lotto verso il terraggio, è desumibile dall’atto di acquisto della casa Pieni , tanto che al marchese Giovanni Antonio Serponti che intende estendere la propria residenza sino al confine con la proprietà Boselli, è consentita l’apertura di due finestre, una per piano, con il solo diritto di luce e aria ma non di vista.

Il palazzo che andava così formandosi si estendeva verso la contrada della Cervietta, con una corte d’onore, sicuramente una corte di servizio oltre che un giardino verso il terraggio di San Damiano.

Giuseppe Bolagnos non solo migliorò la proprietà avuta dal suocero, ma iniziò anche ad ingrandirla, rivolgendo le sue mire alle proprietà confinanti.

Nei costumi d’epoca, infatti, il palazzo di città occupava un posto privilegiato tra i monumenti famigliari (palazzi, cappelle gentilizie e ville) che assumevano il valore di segni tangibili di autocelebrazione, monumenti che potessero testimoniare l'antichità e la continuità della presenza della famiglia in quel ristretto gruppo elitario che aveva le credenziali per continuare a occupare o per aspirare a occupare le cariche pubbliche di maggior prestigio, e potere.

Si consideri che un ricco e prestigioso palazzo in città conferiva credibilità e credito al proprietario, consentendogli di ospitare personalità di rilievo, per intrecciare una rete di relazioni ai più alti livelli che potevano fruttare privilegi di varia natura.

La casa Pieni

La casa da nobile Pieni confinava per un lato con la casa Figini-Boselli e come quest’ultima occupava un lotto con due affacci verso strada, sul terraggio di San Damiano e sul corso di Santo Stefano in Borgogna. L’ultimo confine è adiacente da una parte alle proprietà del marchese Serponti[7] e del monastero di Santa Marcellina.

L’immobile, acquistato nel 1713 dal marchese Serponti, viene poi diviso tra il conte Boselli e lo stesso marchese Serponti.

La proprietà Bolagnos si amplia così arricchendosi della quasi totalità della casa Ponti, ad esclusione della corte rustica, del portichetto, della stalla e di un cortiletto di servizio, che restano ai Serponti.

La residenza dopo tali acquisizioni appariva disposta con una pianta a C intorno alla corte nobile di forma quadrilatera e regolare. Il corpo di fabbrica verso il corso di Santo Stefano in Borgogna comprende un tinello, la rimessa e la dispensa . Le stanze dedicate al soggiorno sono situate al piano terreno nella parte più privata del lotto, tra la corte e il giardino, nel corpo di fabbrica parallelo al corso di Santo Stefano in Borgogna.

Qui una saletta e due sale allineate comunicano con l’andito che porta al giardino e con un’altra sala in posizione secondaria rispetto alla corte nobile. Verso quest’ultima si affacciano altre due stanze che con la saletta già citata, costituiscono un’altra sequenza verso il giardino, posta perpendicolarmente al corso Santo Stefano.

La corte principale presenta due lati porticati ad arco su colonne in pietra, il primo libero addossato al confine di proprietà con il giardino Bolagnos, mentre il secondo serve la parte di corpo di fabbrica che dà verso la strada della Cervietta. La colonna posta all’incrocio dei due portici in corrispondenza dell’andito di ingresso è stata levata per consentire l’ingresso delle carrozze. La scala principale, in pietra, che conduce al piano superiore è posta nell’angolo sinistro della corte, in asse con il portico.

L’andito d’ingresso al palazzo, collocato nell’estremo destro della fronte verso la contrada della Cervietta, è in asse con un altro andito che introduce al giardino. I due accessi sono collegati mediante uno dei lati porticati della corte, in quattro campate, che mantiene la stessa loro profondità.

La casa Banfi

L’espansione delle proprietà prosegue con l’acquisto da parte di Giuseppe Bolagnos dei lotti contigui alla residenza principale. In questa situazione si può comprendere l’acquisto nel 1726 della casa d’abitazione con prestino di miglio, situata all’angolo tra la Cervietta e il corso di San Romano dai fratelli De Banfis.

La proprietà acquistata consta di due corpi edilizi di due piani oltre al sottotetto, organizzati intorno a due corti. L’ingresso, che avviene dal corso di San Romano, immette nella prima corte con un lato porticato al di sotto del quale si trovano le scale che conducono ai piani superiori e alla piccola cantina. I locali al piano terreno (cucina, bottega, forno), sono destinati alla fabbricazione e alla vendita di pane di miglio.

Al primo piano si trovano cinque camere, così al secondo.

Una piccola porta consente il passaggio dalla prima alla seconda corte, dove si trovano la stalla, la rimessa e altre due stanze al di sotto delle quali sono situate le cantine con volte di cotto. Anche nella seconda corte si trova un portichetto sostenuto da una colonna in pietra, al di sotto del quale vi sono il pozzo e le scale per il primo e il secondo piano, entrambi percorsi per due lati da un loggiato.

Carlo Bolagnos

Dopo l’acquisto di casa Banfi, Giuseppe Bolagnos si trasferisce a Venezia come ambasciatore imperiale, e nella città lagunare muore qualche anno più tardi, nel 1732. La presentazione delle credenziali al doge, il 29 maggio 1729, viene immortalata dal Canaletto in un celebre dipinto eseguito su commissione del Bolagnos. Sempre per il Bolagnos, Canaletto esegue nel 1729 uno dei suoi massimi capolavori: Il ritorno del Bucintoro al molo il giorno dell'Ascensione (collezione privata).

L'arrivo dell'ambasciatore

Il ritorno del Bucintoro

Gli succede, come da testamento, il figlio Carlo, già Questore del magistrato delle entrate ordinarie[8], e, occupando il posto del padre secondo le nuove regole di trasmissibilità delle cariche, Decurione.

Come primo intervento sul palazzo di famiglia, egli porta a compimento i lavori finalizzati all’assorbimento delle varie precedenti acquisizioni.

Suoi sono poi gli interventi per dare maggior risalto e prestigio al palazzo così ottenuto.

Approfittando delle ricchezze ottenute, Carlo acquista anche, nelle campagne di Milano, una villa per i soggiorni estivi, che oggi può essere ammirata nel comune di Brugherio, in frazione Moncucco.[9]

Carlo muore senza eredi e senza testamento.

Per espressa disposizione del padre, il palazzo di Milano passa dunque, in assenza di discendenza, all’ospedale Maggiore, che ne diventa proprietario nel 1758.

Il marchese Giuseppe Viani

L’anno successivo l’ente ospedaliero lo cede al fine di ottenere liquidità al migliore offerente (137.000 lire imperiali), il marchese Giuseppe Viani, originario di Pallanza, che entrato a far parte della nobiltà cittadina, ha la necessità, come del resto avevano avuto i Bolagnos e come era usanza invalsa nel periodo, di dotarsi di un palazzo rappresentativo che gli permettesse di mettersi in risalto e di ricevere nei propri saloni gli altri membri dell’aristocrazia cittadina.

Anche il nuovo proprietario, pertanto, inizia ad effettuare una serie di acquisti mirati, cercando di entrare in possesso dei lotti confinanti col palazzo ex-Bolagnos, al fine di aumentarne ulteriormente la superficie.

Il marchese Viani muore nel 1783, lasciando un’unica figlia, Maria Teresa, la cui tutela passa alla madre, che ne amministra il patrimonio immobiliare con l’obbligo di redigere un inventario completo di tutti i beni caduti in successione.

Maria Teresa sposa un Dugnani, e lascia il palazzo per trasferirsi nella residenza del marito.

I Visconti di Modrone

Soffitto di Gersam TurriNel 1834, Maria Teresa Viani Dugnani vende il complesso immobiliare a don Carlo Finelli, il quale però, pochi anni dopo (è il 1840) lo rivende, per 750.000 lire milanesi, ad Uberto Visconti di Modrone, di nobili origini (i Visconti di Modrone sono un ramo collaterale dei Visconti, signori di Milano) ed affermato imprenditore tessile, nonché mecenate della Scala.

Dopo una serie di spese per ammodernamenti e migliorie, il palazzo diviene fonte di reddito per la nobile famiglia, che decide di affittare i vari appartamenti ricavati nel palazzo[10].

Tra le opere per rendere più appetibili i sontuosi spazi all’alta borghesia, ricordiamo il riscaldamento degli ambienti e gli impianti idrico-sanitari: ai camini si affiancano le stufe Franklin[11], nella cucina viene posto un camino con tubi per portare l’aria calda all’appartamento, i bagni sono dotati di latrine, di rubinetto per l’acqua fredda e di impianto per l’acqua calda.

Anche le variazioni del gusto dell’arredamento e del modo di abitare hanno influito sulla differente destinazione di alcuni locali. Il frazionamento in unità abitative ha portato ad alcune modifiche nelle parti adibite ai servizi, ma complessivamente nelle descrizioni degli appartamenti si ritrovano ancora in parte gli ambienti dell’articolazione settecentesca.

Tra il 1907 e il 1908 Giuseppe Visconti di Modrone[12], intraprende ulteriori lavori edili di notevole importanza, sia per dividere diversamente le varie unità abitative, sia per migliorarne la fruizione alla luce dei nuovi standard abitativi. I lavori sono progettati dall’architetto Alfredo Campanini[13].

Inoltre, affida a Gersam Turri, pittore legnanese molto conosciuto e apprezzato per la sua abilità nell’interpretare lo stile barocco, l’incarico di affrescare il soffitto del salone da ballo.

Tra le numerose opere pittoriche che l’artista legnanese eseguì in quegli anni in palazzi nobiliari e edifici religiosi, questo è ritenuto il suo capolavoro[14].

Il salone con gli affreschi del Turri

La seconda guerra mondiale

Durante l’ultima guerra, l’edificio venne seriamente danneggiato dai bombardamenti aerei dell’agosto 1943, soprattutto nell’ala verso via Ronchetti.

Nel 1947 i Visconti di Modrone presentano al Comune di Milano un progetto per il recupero funzionale del palazzo nel corpo centrale interno e nell’ala verso la via Ronchetti. Nella richiesta del nulla osta si dichiara che le opere consistono nella ricostruzione di solai, coperture, tavolati e relative rifiniture in modo tale da rendere godibile lo stabile come lo era di fatto prima del crollo.

Della parte di palazzo che si affacciava verso il giardino e verso via Ronchetti in realtà non si è conservato nulla; sull'area si trova ora un edificio contemporaneo che dell’antica fabbrica ha mantenuto solamente una balaustrata di pietra.

I lavori apportano sostanziali modifiche ad alcuni corpi scala dell’intero palazzo, per l’installazione di ascensori, d’impianti di riscaldamento e di canne di caduta per la raccolta dei rifiuti.

Il 21 ottobre 1958 avviene l’atto di vendita da Edoardo Visconti di Modrone ed eredi, alla immobiliare Lonate S.p.a.

Con quest’ultimo atto notarile la proprietà del palazzo cessa di essere, dopo più di 250 anni, motivo di orgoglio e vanto per le varie famiglie del patriziato milanese.

 

Bibliografia

Mascione, Maria, Palazzo Bolagnos, Viani, Visconti di Modrone a Milano (testo on line molto ricco di notizie storiche e immagini)
Bascapè, Giacomo C., I palazzi della vecchia Milano, Milano, Hoepli 1945
De Carlo, Valentino, Le strade di Milano, Milano, Newton & Compton 1998
Lanza, Attilia - Somarè, Marilea, Milano e i suoi palazzi, Milano, LIbreria Milanese 2001
Latuada, Serviliano Descrizione di Milano – tomo primo, Milano 1737
Mezzanotte, Paolo, Itinerari sentimentali per le contrade di Milano, 4 voll., Milano, E. Milli 1955-58 (Edizione fuori commercio per la Banca Popolare di Milano)
Pedrocco, Filippo, Canaletto, Firenze, Giunti 1995, Dossier n.102, pp. 19-20
Pellegrino, Bruno, Così era Milano - Porta Orientale, Milano, Libreria Milanese, 1991
Porta, Carlo, Poesie edite ed inedite, Milano, Hoepli 1946

Il sito ufficiale del Palazzo Visconti



[1] Al n. 2 dell’attuale via Cino del Duca (editore fondatore del quotidiano Il Giorno), ricordiamo la casa in mattonato ove ebbe i natali il poeta Giovanni Berchet (nato, appunto, alla Cervietta).

[2] San Romano, era un’antica chiesa del IX secolo, posta dietro l’abside di san Babila. Soppressa in epoca giuseppina, fu in parte demolita nel 1797, e in parte trasformata in osteria e locanda, dove si dice andasse a mangiare il giovane Giuseppe Verdi. Fu poi definitivamente demolita alla fine dell’ottocento.

Santo Stefano in Borgogna, elencata tra le parrocchie di porta orientale nel XV secolo, amministrava un numero di anime, conteggiato tra la Pasqua del 1779 e quella del 1780, pari a 710. Con il nuovo compartimento territoriale delle parrocchie della città e dei Corpi Santi di Milano che ebbe pieno effetto dal 25 dicembre 1787, la parrocchia di Santo Stefano in Borgogna fu soppressa e unita alla parrocchia di Santo Stefano maggiore. La chiesa fu sconsacrata a metà ottocento, e divenne deposito di legname. Anche per tale ragione, la via Santo Stefano in Borgogna assunse con delibera del 1865 la dicitura di via Borgogna. Nell’ottica del rifacimento della via, la chiesa fu demolita al termine della prima guerra mondiale.

Santo Stefano in Borgogna

San Damiano, antica chiesa edificata a ridosso della pusterla a difesa del ponte che permetteva al corso di San Romano di scavalcare il naviglio, diede il nome al terraggio che si elevava alle sue spalle. Soppressa nella seconda metà dell’ottocento, venne abbattuta nel 1921.

Ecco tre mappe della zona verso il 1640, il 1740 e il 1880:

Mappa del 1640 ca.

Mappa del 1740

Mappa del 1884

[3] Il terraggio di San Damiano venne ribattezzato e dedicato ad Anselmo Ronchetti, famoso calzolaio dei primi decenni dell’ottocento, che aveva la bottega in zona. Una lapide, purtroppo rimossa e ormai perduta, ricordava l’esatta ubicazione dei locali da lui occupati.

Era famoso per essere frequentato da illustri personaggi, tra i quali lo stesso Napoleone. Il Porta, regalandogli la sua raccolta di poesie nell’edizione del 1817, gli fece questa dedica, con tanto di sonetto: “L’autore all’amico Ronchetti, in segno di amicizia e di vera gratitudine universalmente da esso sentita dalla testa fino ai piedi:

”Se il mio capo sul busto torreggia,
E s’atteggia – al cangiar degli oggetti,
Sol lo ebbe alla forza del piè;
Ma se il piè regge franco e passeggia
A chi reggia – non v’è, mio Ronchetti,
Che alle scarpe e a stivali di te.”

[4] Entrare nel Patriziato milanese significava poter dimostrare di aver abitato in Milano e aver vissuto more nobilium per più generazioni, ma non infrequenti erano forzature per ottenere facilitazioni e corsie preferenziali.

[5] I Decurioni erano i membri del Consiglio generale dei 60, organo amministrativo e giudiziario formato da 60 rappresentanti della città, 10 per ogni porta cittadina. Tale organo, nato in epoca sforzesca, fu mantenuto durante la dominazione spagnola, che però modificò i requisiti personali per accedervi: appartenere al patriziato milanese, non avere debiti o cause pendenti con la città, avere un’età non inferiore ai 35 anni. Inoltre, rese le cariche da elettive ad ereditarie, con trasmissibilità tra padre e figlio. Oltre al compito di nominare i membri di altri organi, il Consiglio era investito di altre competenze, che spaziavano dalle questioni di ordinaria amministrazione a quelle di più vasta importanza e di interesse generale. Decideva della concessione di terreni della città ad enti religiosi e a privati a scopo “di ornato e di culto”, si occupava della manutenzione di acque e canali, dell’ordine pubblico e del vettovagliamento, costituiva commissioni decurionali incaricate di affrontare questioni particolari, organizzava la rappresentanza della città nelle celebrazioni solenni religiose e civili, si batteva per difendere gli interessi locali presso la corte e nei rapporti con le maggiori autorità ecclesiastiche, nominando e inviando ambasciatori.
Risparmiato dal ritorno degli austriaci, non sopravvisse al rivoluzionario Napoleone, che lo abolì con decreto del 30 florile anno IV (19 maggio 1796).

[6] Comuni e frazioni oggi appartenenti alla provincia di Cremona.

[7] I Serponti erano un’antica famiglia milanese di origine germanica, e a donna Maria Serponti, il giovane Parini dedicò nel 1757 un libretto di poesie.

[8] Il Magistrato delle entrate ordinarie (organo istituito in epoca visconteo-sforzesca e mantenuto dagli Spagnoli) si componeva di un presidente e di sei questori: tre di toga, incaricati dell’esame delle questioni di carattere giuridico, e tre di cappa e spada, ai quali erano invece attribuite funzioni di ordinaria amministrazione e di vigilanza sull’applicazione ed esecuzione degli ordini impartiti.
I membri del Magistrato ordinario, quasi interamente patrizi milanesi, occupavano (nella gerarchia dei poteri) una posizione immediatamente successiva a quella dei Senatori, e  la carica di presidente di entrambe le magistrature (ordinaria e straordinaria) garantiva la dignità necessaria per poter accedere al Senato. Il Magistrato ordinario era competente in qualsiasi materia economica e finanziaria. Esso svolgeva una parte preponderante nella preparazione dei progetti di legge che avessero attinenza con le finanze.

[9] La villa, che Carlo Bolagnos acquistò dal marchese Silva nel 1733, era una tipica costruzione con pianta ad U, circondata da un giardino all’italiana dove svagarsi e dove cacciare. La villa passò poi agli Andreani, che la elessero sede della loro pinacoteca. Paolo  Andreani, peraltro, appassionato di volo sperimentale, fu il primo italiano a riuscire, con una mongolfiera ispirata a quella dei Montgolfier, a staccarsi dal suolo, durante un esperimento che si svolse proprio nel giardino della villa, nel 1784.

[10] La famiglia Visconti di Modrone aveva il proprio palazzo cittadino poco distante, dove oggi c’è il civico 28 della via Cerva. Il nobile palazzo, famoso per le sue sale e il suo giardino con affaccio sul naviglio, fu distrutto dai bombardamenti dell’ultima guerra, e al suo posto venne innalzato un moderno edificio, che ha inglobato, qua e là, alcuni elementi architettonici recuperati, tra i quali la celebre balaustra, oggi visibile dalla via Visconti di Modrone.

Palazzo Visconti di Modrone

[11] Il caminetto-stufa ideato da Benjamin Franklin alla fine del settecento, detto anche caminetto di Pennsylvania, risolse il problema della risalita dei fumi nelle canne fumarie, evitando il ritorno di fumo nell’ambiente tipico dei camini.

[12] Giuseppe Visconti di Modrone, entrato a far parte delle industrie tessili di famiglia, fu durante l’epoca fascista Podestà di Milano, distinguendosi per l’interessamento che ebbe nei confronti di due istituzioni storiche: la Scala e il Conservatorio. Sposò Carla Erba (nipote dell’industriale farmaceutico), e dal matrimonio nacque il regista Luchino.
È ricordato anche per aver fatto edificare nel borgo di Grazzano (Piacenza), del cui castello era entrato in possesso acquisendo così il titolo nobiliare di duca di Grazzano (1937) un curioso villaggio in stile tardomedievale.
Appassionato del nuovo sport arrivato dall’Inghilterra, il football, fu tra i fondatori dell’Inter, della quale rimase per alcuni anni presidente.

[13] Alfredo Campanini fu un significativo interprete del genere Liberty. A Milano, celebre l’edificio che progettò per sua dimora, in via Bellini 11, dietro Santa Maria della Passione.

[14] Tra gli altri interventi del Turri (1879-1949) in ambiente milanese, si segnala il ciclo di affreschi di casa Belloni, dell’architetto Magistretti, in via della Spiga 20; casa Durini, in via Guastalla 5; casa Silvestri in corso Venezia 17.

 

Il palazzo visto da via Cino del Duca

La corte nobile

Il retro del palazzo in via Ronchetti

 

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Ultima modifica: venerdì 2 luglio 2010

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