L'arte di Ariberto d'Intimiano
Croce
di Ariberto (Museo del Duomo )
Venne donata dall'arcivescovo Ariberto alla chiesa di S. Dionigi in un
periodo collocabile tra il 1037 e il 1039. E' realizzata con un'anima di legno
rivestita con una lamina di rame dipinta e dorata e misura cm 220 x 168 (i
motivi trilobati alle estremità dei bracci sono un'aggiunta trecentesca). La sua presenza sull'altare della chiesa di S. Dionigi rappresentò
un'innovazione, collegata da una parte allo sviluppo della devozione per
l'umanità di Cristo nella sua passione e morte, dall'altra alla recente
prigionia ed umiliazione del potente arcivescovo milanese. La raffigurazione
del Cristo in croce introdotta nel Mille diverrà un elemento irrinunciabile
della liturgia nei secoli successivi. Sotto
il Cristo si trova Ariberto, con in mano il modello della
chiesa di S. Dionigi; ai suoi piedi si trovava una lamina, vista e disegnata da G.B.
Castiglione, in cui comparivano dei ceppi e i chiodi, simbolo della prigionia
appena subita, mentre qualcuno ha voluto leggerli come la raffigurazione del Santo
Chiodo, la reliquia appena arrivata a Milano.
Dopo la riforma della liturgia promossa da Carlo Borromeo, la Croce venne
spostata sopra la porta di accesso al monastero. Nel 1783 fu portata in Duomo,
ma nel 1796 fu trasferita a S. Calimero, quindi a S. Maria del Paradiso (insieme
alla ruota del Tredesin de Mars). Dal 1870 tornò in Duomo, sopra l'arca
di serizzo che contiene le spoglia dell'arcivescovo, ma venne sostituita per
motivi di sicurezza nel 1970 da una copia, mentre l'originale fu riparato al
Museo del Duomo e recentemente restaurato.
Oggetti
in rame sbalzato sull'ambone di S. Ambrogio.
I due oggetti in rame sbalzato risalgono al secolo XI e non si trovano, molto
probabilmente, nella loro collocazione originaria. Il loro inserimento
nell'ambone di S. Ambrogio è attribuibile alla ricostruzione fatta da Guglielmo
da Pomo tra il 1196 e il 1201 in seguito al crollo del tiburio della basilica. Il
rame sbalzato come materiale per la realizzazione di oggetti liturgici era una
novità e i centri che ne avevano avviato la lavorazione si trovavano lungo la
Mosa, ma anche la Croce di Ariberto era stata realizzata localmente con questa
nuova tecnica. Il rame viene trattato come una pagina miniata tridimensionale,
mantenendo però tutte le caratteristiche grafiche. Inizialmente il debito
iconografico verso l'oriente bizantino fu rilevante, come si può vedere dalla
figura sul trono, interpretabile come un Cristo imberbe, che ha perso la
mandorla (ne restano le tracce) e le gemme incastonate nel trono. Non è
possibile stabilire se i due oggetti facessero parte dei doni di Corrado II alla
basilica o se siano stati commissionati da Ariberto in occasione della
cerimonia.
Telo di lino ricamato
(Diviso tra le
Raccolte del Castello Sforzesco e il Museo di S. Ambrogio).
Corrado II siede circondato dai suoi armati sotto una galleria d'oro ornata da
una filigrana a racemi d'oro. E' avvolto in un manto d'oro e lo scettro è
sormontato dall'aquila. Il dignitario alla sua sinistra gli porge la spada,
mentre sotto l'arco alla sua destra è seduta una figura femminile con un'asta,
identificabile forse con l'imperatrice vedova Cunegonda che, secondo le
cronache, consegnò a Corrado le insegne regali. Quella rappresentata sul lino
dovrebbe quindi essere l'incoronazione a re di Germania di Corrado II, avvenuta
a Magonza l'8 settembre 1024. Il tessuto faceva parte della veste di cerimonia e
venne donato da Corrado ad Ariberto in occasione della cerimonia d'incoronazione
a re d'Italia in S. Ambrogio per deporla nell'urna di S. Ambrogio.
Copertina
di Evangelario
(Tesoro del Duomo di Milano)
Venne commissionata da Ariberto per la cattedrale
di S. Maria Maggiore nei primi anni del suo episcopato, tra il 1018 e il 1024,
vivente ancora l'imperatore Enrico II. Si tratta di una lastra di argento
sbalzato su due fasce: in alto S. Giovanni Battista e la Vergine presentano
Ariberto a Cristo che regge un rotulo con la scritta Lex et Pax.
Nella fascia sottostante S. Ambrogio è affiancato dai SS. Gervasio e Protasio.
L'Evangelario era custodito dentro una cassetta con un coperchio di alta
oreficeria, noto come Pace di Ariberto, realizzato in anni posteriori
Pace di Ariberto
(Tesoro del Duomo
di Milano)
Con questo nome si definisce il coperchio della cassetta che conteneva
l'Evangelario, una finissima opera di oreficeria realizzata tra il 1034 e il
1036 per la cattedrale di S. Maria Maggiore. La tecnica degli smalti cloisonnés
era già conosciuta e praticata in Lombardia.
Al centro si vede il Crocefisso, Lux
mundi; ai vertici della croce vi sono quattro scene a smalto:
| Cristo tiene per mano il buon ladrone e lo conduce in paradiso, come da
promessa |
| Cristo risorto appare alla Maddalena |
| Discesa nel Limbo (Anastasi), dove l'arcangelo Michele trafigge il drago-demonio |
| Ascensione, col Cristo affiancato dal Sole e dalla Luna personificati. |
Sotto i bracci della croce S. Giovanni Battista e la Madonna con i due
soldati muniti di lancia e di canna con spugna. In basso si vedono S. Ambrogio e
S. Satiro, mentre ai quattro angoli del
coperchio si trovano i simboli dei quattro Evangelisti. Le iconografie sono
derivate da Bisanzio, soprattutto il Ladrone in Paradiso e l'Anastasi.
Viene chiamata "Pace" perché, persa la cassetta che custodiva
l'Evangelario, a partire dal XV secolo divenne la tavola per il bacio di pace
durante la messa.
Sacramentario
detto di S. Satiro o di Ariberto (Milano,
Biblioteca Capitolare, II.D.3.2)
E' noto come Sacramentario di S. Satiro perché reca nel canone (preghiera
centrale della Messa che menziona i santi) anche il nome di S. Satiro, ma non
pare che sia stato in uso nella basilichetta omonima. Venne realizzato a Milano
da abili miniatori che ornarono le pagine con intrecci metallici.
Affresco
del secolo XI nel sottarco dell'abside minore sinistra di S. Ambrogio.
La frammentaria decorazione del sottarco è la più antica superstite nella
basilica. Risale all'età del vescovo Ariberto e può essere messa in relazione
all'incoronazione di Corrado II nel 1026. La fascia è divisa in riquadri
contenenti busti clipeati di santi e vescovi, ma a rompere la regolarità
dell'impaginazione c'è una scena (di martirio?) ormai illeggibile inserita in
uno "squarcio" di cielo fermato da motivi vegetali, un motivo che
avrà molto successo nelle miniature trecentesche.
Ultimo aggiornamento: martedì 30 luglio 2002
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