Carte da gioco: trionfi e tarocchi
di Maria Grazia Tolfo
Sommario
Mazzi di carte con figurazioni
animali
Marziano da Tortona e il
mazzo degli dèi
Filippo Maria Visconti e i
primi Trionfi: Il mazzo Visconti di Modrone - Il mazzo Brambilla - Il mazzo Colleoni
Mazzi successivi sforzeschi
Bibliografia
Dalla seconda metà del Trecento fra i giochi da tavolo le carte hanno ormai conquistato tutti, ricchi e poveri, istruiti ed analfabeti. L’introduzione del
gioco in Europa datava però almeno dalla seconda metà del XIII secolo e si discute ancora circa la provenienza, che per lo più viene accettata come araba. Il gioco si era
diffuso nella Spagna araba, dove aveva trovato la sua codificazione, allo stesso modo degli scacchi. Queste carte di presunta origine saracena si chiamano naibi e
sono numerate da 1 a 9 o 10, divise tra quattro semi variabili a seconda dei mazzi. Inizialmente prevalgono soggetti venatori: anatre, falconi, cani e cervi; oppure aquile,
falconi, fagiani e tortore.
A queste 36 o 40 carte numerali se ne aggiunsero - in un periodo imprecisato e per un motivo ancora da scoprire - altre sedici figurate con Re, Regina,
Cavaliere e Fante, dette “carte di corte” o “onori”. Data l’avversione del mondo arabo per la rappresentazione umana, dobbiamo arguire che questa serie di
carte sia stata introdotta espressamente in Europa, forse direttamente in Spagna, con l’intenzione di riprodurre l’ambiente cortese. Forse giocando a carte si volevano mimare
battute di caccia nelle lunghe e tediose serate invernali, quando il tempo non passava più. Il Re e la Regina erano legati al seme che rappresentavano, ossia “il Re dei
Falconi” o “la Regina dei Cervi”, e richiamavano alla mente un ambiente fiabesco. Nel Landesmuseum di Stoccarda, ad esempio, è conservato un mazzo di 49 carte (in origine
52) già appartenuto ai duchi di Baviera e datate circa 1430. Le carte numerali (da 1 a 9) sono divise in Anatre, Falconi, Cani e Cervi e le carte di corte hanno figure
maschili per i semi relativi agli uccelli e femminili per i quadrupedi.
Un altro mazzo del genere, appartenuto al ramo di Innsbruck degli Asburgo intorno al 1440-45 (oggi
conservato al Kunsthistorisches Museum di Vienna) ha per semi Aironi, Falconi, Cani e Piumagli (oggetti per l’addestramento dei falconi). Il gioco era fatto con la
presa, come con la briscola, e si può immaginare che il Falcone fosse il nemico delle Anatre come il Cane fosse il predatore dei Cervi, ma non ci sono pervenute regole precoci
del gioco.
E’ indubitabile che alla corte di Gian Galeazzo Visconti si giocasse a carte. La figlia maggiore Valentina, quando nel 1389 sposò Luigi di
Turenna, fratello di re Carlo VI di Francia, recò con sé un mazzo di “carte di Lombardia”. Il figlio minore Filippo Maria, fin da piccolo, era più attratto dal gioco di
carte che dai dadi e non imparò mai a giocare a scacchi.
Non esistevano solo mazzi standard; per movimentare e variare il gioco si inventava di tutto. Filippo Maria Visconti
commissionò lo studio di un
mazzo mitologico, il mazzo degli dèi, al suo anziano precettore e consigliere Marziano de’ Rampini da S. Aloisio, detto Marziano da Tortona. Alle 36 o 40
carte numerali invece delle 16 carte di corte si aggiunsero 16 carte così suddivise:
Aquile Virtù: Giove, Apollo, Mercurio, Ercole
Falconi Ricchezza: Giunone, Nettuno, Marte, Eolo
Cani Castità: Diana, Vesta, Pallade, Dafne
Colombe Piacere: Venere, Bacco, Cerere, Cupido.
Non era solo un gioco d’azzardo, ma anche di erudizione e sul tavolo si scontravano gli eroi della Virtù contro quelli della Ricchezza e quelli della Castità contro quelli
del Piacere, Virtù e Castità alleate contro Ricchezza a Piacere. Marziano scrisse anche un libro di accompagnamento, il primo manuale d’istruzione per un gioco, dove non si
sofferma tanto sulle regole, quanto sulle allegorie delle divinità da tener presenti nel gioco. Non tutti i giocatori erano così ferrati in cultura classica come il suo pupillo
e quindi qualche istruzione supplementare non guastava. E poi, non era l’educazione il fine ultimo dei giochi?
Per uno strano errore di citazione da parte di Pier Candido Decembrio, la miniatura del mazzo venne attribuita allo stesso Marziano, che invece non
sembra essere stato un artista. E’ probabile che il segretario ducale ne affidasse la realizzazione a Michelino da Besozzo; anche la cifra di 1500 ducati che il
Decembrio afferma essere stati pagati per il mazzo sembra eccessiva.
Alla morte di Filippo Maria seguì il triennio (1447-1450) della Repubblica Ambrosiana, inaugurato con il saccheggio e la distruzione del Castello di Porta
Giovia. Il bel mazzo di carte miniato venne comprato dal veneziano Antonio Marcello, che nel 1449 ne fece dono a Isabella di Lorena, moglie di Renato d’Angiò. Le carte
dovevano trovarsi a Milano, mentre il manuale di istruzioni era rimasto nella Biblioteca di Pavia, requisita nel 1499 dai Francesi alla caduta di Ludovico il Moro e confluita
oggidì nella Biblioteca Nazionale di Parigi.
Il mazzo Visconti di Modrone
Un accenno al nome di “Marziano” sembrava fosse rimasto anche su una carta, la Fede, appartenente a un sontuosissimo mazzo di 67 carte,
oggi conservato alla Beinecke Library della Yale University di New Haven (USA). Quando venne descritto per la prima volta nel 1831 da Leopoldo Cicognara, il mazzo apparteneva
alla contessa Amelia Visconti Gonzaga; venne venduto da U. Visconti di Modrone a Melbert B. Cary nel 1947 e confluì col suo lascito alla Yale University.
Il mazzo era stato molto probabilmente realizzato al più presto in occasione delle nozze tra Filippo Maria e Maria di Savoia, celebrate nel 1428,
quindi almeno tre anni dopo la scomparsa di Marziano da Tortona. La scritta, ormai illeggibile, accompagnava la figura di un re – re Nino di Ninive, l’idolatra –
schiacciato sotto il trono della Fede, il cui manto è intessuto di colombine raggiate. Una carta un po’ strana per portare la firma (ma quando mai, purtroppo, i miniatori
firmarono le loro opere?) di Marziano, che si sarebbe così identificato con un eretico.
Le carte sono molto grandi, mm 90 x 190, e poco idonee al gioco di presa, data anche la delicatezza delle punzonature. Ogni carta è dipinta su uno strato di
cartone ingessato, ricoperto da una lamina d’oro per le figure e d’argento per le carte numerali, punzonate con un motivo a losanghe. Il bordo di tutte le carte è rosa con
piccoli fiori azzurrini.
Il mazzo originario era composto da 40 carte numerali dette “naibi” o carte saracene (manca solo il 3 di denari), che utilizzano semi diversi da quelli
zoomorfi: coppe, denari, spade e frecce. Le carte di corte erano particolarmente numerose: sei per ogni seme, a formare un principesco corteo nuziale, per un totale di 24 carte
(7 sono andate perse; restano Re, Regina, Cavallerizza, Dama di Spade; Regina, Cavallerizza, Fante e Dama di Frecce; Re, Cavaliere, Fante e Dama di Coppe; Re, Regina, Cavaliere,
Cavallerizza e Dama di Denari). Fin qui, a parte il numero maggiore di carte d’onore, non c’era nessuna novità rispetto ai mazzi di carte da gioco che circolavano dal 1370.
La particolarità consisteva nell’aggiunta di altre carte allegoriche che, data la parziale conservazione del mazzo, non sappiamo a quante ammontassero in
origine. Le carte figurate superstiti sono : Mago, Imperatore, Imperatrice; Matrimonio, Carro; Fede, Speranza, Carità, Fortezza; Ruota del Destino,
Morte, Giudizio, Mondo. Queste carte, di
lì a breve, sarebbero state identificate come “trionfi”. Qui si apre il primo enigma relativo a questo gioco: cosa volevano rappresentare queste carte figurate? Erano
probabilmente un dono nuziale di Filippo Maria alla sposa Maria di Savoia e dovevano completare l’allegoria del corteo nuziale. E’ bene tener presente che è in questo mazzo
che per la prima volta compare questa particolare serie di carte.
Non c’è alcuna ragione per affermare che siano andate perse alcune di queste carte o, per lo meno, non nel numero che si vorrebbe in base al confronto coi
mazzi più tardi. A Ferrara, ad esempio, nel
1422 venivano pagate 6 lire di marchesini a un certo Giacomo per 13 cartexelle da zugare, ma non si sa di che tipo.
Neppure l’attribuzione della committenza del mazzo a Filippo Maria è un dato assodato, perché alcuni studiosi propendono per Galeazzo Maria Sforza
e Bona di Savoia intorno al 1468. Vediamo allora di analizzare alcune carte e di chiederci se, tutte insieme, significavano qualcosa.
L’Imperatore può essere identificato con Sigismondo del Lussemburgo, che nel 1426 aveva confermato a Filippo Maria il titolo ducale
conferito a Gian Galeazzo Visconti. L’imperatore sta ricevendo una corona da un personaggio in basso a destra identificabile quindi con lo stesso Filippo Maria, tanto più che
sulla sua veste c’è il motto visconteo a bon droyt. Ma Sigismondo verrà incoronato imperatore solo nel 1433, anno in cui
Filippo Maria si rifiuterà addirittura di incontrarlo a Milano per la tradizionale incoronazione a re d’Italia in S. Ambrogio.
Se l’Imperatore è Sigismondo, allora l’Imperatrice dovrebbe essere la moglie Barbara von Cilli, sposata nel 1408. Barbara ricevette però
nel 1414 solo la corona di Germania e, dopo il Concilio di Costanza, perse ogni credibilità istituzionale per le sue posizioni religiose molto eterodosse, visto che negava
apertamente l’esistenza dell’inferno e del paradiso, degli angeli come dei diavoli. Il fatto che fondò col marito l’Ordine del Dragone (Dracul) e che, ancora in vita,
godesse di una reputazione molto discutibile (veniva detta la “Messalina di Germania”), contribuì a creare intorno a lei la leggenda della prima vampira. Nel 1428, quando
Filippo Maria ordinò queste carte figurate o allegoriche, Barbara von Cilli aveva già rotto ogni rapporto col marito e si occupava di amministrare il suo cospicuo patrimonio
personale. Forse Filippo Maria non era al corrente di questa separazione di fatto e continuava a credere che Barbara sarebbe divenuta Imperatrice? Perché inserire una figura
così problematica nella serie di carte? L’Imperatrice è accompagnata da una damigella, sul cui manto compare la scritta deus propicio
imperatori.
La carta del Matrimonio dovrebbe riferirsi alle nozze celebrate il 2 ottobre 1428 a Robecco sul Naviglio tra Filippo Maria e Maria di Savoia, figlia
di Amedeo VIII. Il padiglione per la cerimonia all’aperto porta gli stemmi dei Visconti e dei Savoia. La cerimonia avviene con l’unione delle destre e sul cappello dello
sposo compare il solito motto a bon droyt.
Il Carro è trionfale, una Vittoria, così come la carta del Mondo è una Gloria, quindi pertinenti a un’occasione di festa come un
matrimonio e bene auguranti. Fede, Speranza, Carità e Fortezza sono virtù scelte per accompagnare la coppia. Non si può escludere anche la presenza fra queste virtù
della Giustizia, carta forse persa ma che comparirà sempre nei mazzi successivi. Ai piedi della Speranza giace un re col cappio al collo identificato come Juda
traditor.
Arriva infine l’immancabile memento mori, con la Morte a cavallo che falcia indistintamente tutte le classi sociali, e il Giudizio Finale,
con la resurrezione dei corpi dagli avelli, un dogma di fede non accettato universalmente, ma al quale Filippo Maria dava segno di aver aderito. Nella carta del Giudizio
si legge surgite ad judicium. E’ molto probabile che in questa serie manchi l’indispensabile Ruota del Destino, con la
quale si raggiungerebbe il numero di tredici carte (o dodici senza Giustizia).
Il mazzo era appartenuto a Giovanni Brambilla, che intorno al 1900 lo aveva trovato casualmente a Venezia, usato da alcuni ragazzi per giocare. Venne
messo all’asta presso la FINARTE e comprato nel 1971 dalla Pinacoteca di Brera.
E’ composto da 48 carte (mm 178 x 88): 2 carte allegoriche (Imperatore e Ruota del
Destino), 7 carte d’onore (Re, Regina, Cavaliere di Frecce; Cavaliere e Fante di Coppe; Cavaliere e Fante di Denari); 39 carte numerali (il mancante 4 di Denari si trova a
Torino in una collezione privata).
Le carte numerali sono su lamina d’argento, le figure su lamina d’oro punzonata, che forma come nel mazzo precedente l’effetto di fondale, perché i
personaggi appoggiano i piedi su prati fioriti. Il miniatore è più attento ai particolari della moda che non ai dettagli anatomici (le mani sono inesistenti o grassissime, le
gambe dei cavalieri sembrano aggiunte per caso).
Sul Due di Denari, accanto allo scudo col Biscione compare la scritta Dux Mediolani et Comes e Filippus Maria Anglus. I semi di Denari
esibiscono il recto e il verso delle nuova moneta coniata da Filippo Maria nel 1436, col cavallo impennato.
Sull’Asso di Frecce e di Spade: a bon droyt e phote mante (il faut maintenir).
La corona piumata è sulla gualdrappa del Cavaliere di Denari, il capitergium cum gassa su quella del Cavaliere di Frecce e la colombina
raggiata su quella del Cavaliere di Coppe.
Gli abiti sono cambiati rispetto al mazzo precedente, perché le mantelle sono chiuse alle maniche. In compenso i tessuti sfoggiano motivi decorativi
vegetali, non araldici, come nel mazzo ora alla Yale University. Il cappello dell’imperatore, un colbacco dipinto realisticamente dal Pisanello, è in questo mazzo un
copricapo che sembra un ventaglio, non può stare in testa. Il bastone di comando è un’asticella rossa, quasi invisibile.
Se non fosse per la moneta nuova di Filippo Maria, sembrerebbe il mazzo più vecchio, che risente dello stile di Gentile da Fabriano. Non venne
dipinto per una particolare occasione, ma è di committenza viscontea.
Di questo mazzo s’ignora il committente, o Filippo Maria Visconti
per il matrimonio della figlia Bianca Maria con Francesco Sforza, o direttamente Bianca
Maria. Se ne ritrovano le tracce a partire dal conte Ambiveni, che lo trasmise alla famiglia Donati, che a sua volta lo vendette al conte Alessandro Colleoni, il quale
trasmise il nome al mazzo, conosciuto e riprodotto oggi col nome di “Tarocchi dei Visconti”. Fu il conte Colleoni a smembrare il mazzo, quando vendette 26 carte al conte
Francesco Baglioni in cambio di oggetti d’arte. Alla morte del Baglioni nel 1900, le 26 carte insieme a tutta la sua raccolta vennero cedute all’Accademia Carrara. Si tratta
di 5 trionfi, 7 carte d’onore e 14 numerali.
La famiglia Colleoni vendette altre 35 carte, che nel 1811 vennero acquistate dalla Pierpont Morgan Library di New York (ms 630). Vi si trovano 15 trionfi e
8 carte d’onore. Alla famiglia Colleoni restarono 13 carte tutte numerali, forse per mancato acquirente.
E’ comunque il mazzo più completo ed è quello più riprodotto e venduto. Dei 20 trionfi alcuni furono aggiunti da un miniatore identificato in Antonio
da Cicognara (Sole, Luna, Stelle, Mondo, Fortezza e Temperanza), il Diavolo è un’aggiunta moderna perché la carta del XV secolo è andata persa, ma restano
comunque 14 carte dell’epoca di Filippo Maria: Matto, Mago, Papa, Papessa, Imperatore, Imperatrice, Matrimonio, Carro, Ruota, Eremita,
Traditore, Morte, Giustizia, Giudizio. Le carte misurano 176 x 87 mm e sono meno sontuose di quelle dei mazzi precedenti, anche se per le figure si è usata la lamina d’oro.
Rispetto alle carte del mazzo Visconti di Modrone è intervenuto un cambiamento radicale nella valenza simbolica. Sono state aggiunte cinque carte a
sfondo religioso: Matto, Papa, Papessa, Eremita, più una serie di altre tre carte dedicate dalla rappresentazione dell’Inferno: Appeso o Idolatra, Diavolo,
Casa del Diavolo (Torre che crolla). Sono sette carte che trasformano profondamente la valenza festosa del corteo nuziale in una riflessione religiosa. Scompaiono però le
virtù teologali di Fede, Speranza, Carità, ma viene introdotta la Temperanza ad affiancare le preesistenti Fortezza e forse Giustizia.
La serie diventa quindi composta da:
Matto, Mago, Papa, Papessa, Imperatore, Imperatrice, Matrimonio, Carro, Ruota, Eremita, Temperanza, Fortezza, Giustizia, Morte, Appeso, Diavolo, Casa del
Diavolo, Giudizio, Mondo. Dall’ambito ferrarese deriveranno altre tre carte: Luna, Sole, Stelle, che porteranno il numero finale e fisso dei Trionfi a 22.
Nella nuova serie di carte a carattere religioso ci sono alcune figure che meritano qualche commento. Il Matto, in questa sua prima versione
iconografica, è un povero demente gozzuto che gira seminudo con una mazza in spalla e delle piume in testa. Se la carta viene osservata singolarmente, ci si deve fermare a
questa interpretazione, ma invece è stata inserita insieme ad altre carte a sfondo religioso-ereticale, come la Papessa. E’ quindi probabile che voglia rappresentare quei
movimenti pauperistici di ribellione, soprattutto contadina, che agitavano tutti i paesi europei e che sfoceranno di lì a breve nella riforma protestante.
La Papessa,
alla stessa stregua, vestita con il saio francescano, potrebbe proprio simboleggiare l’auspicata Chiesa francescana, ispirata alla povertà, ovvero l’Osservanza, un tentativo
di prevenire gli incombenti danni della riforma. Abbiamo già fatto notare che tutto il mazzo di carte si presenta sobrio, modesto, niente a che vedere con il sontuoso mazzo
Visconti di Modrone.
Il Mago (poi prenderà il nome di Bagatto) è un’altra carta molto interessante: il personaggio indossa un abito rosso foderato di vaio se non di
ermellino ed esibisce un tricorno pure orlato di pelliccia. Un tale abbigliamento lo connota, seconda le rigide leggi suntuarie del medioevo, come un medico o un alchimista, in grado di trasmutare con la sua “bacchetta” la polvere bianca ammucchiata su un lato del suo desco nei pezzi d’oro che si vedono lì accanto.
Il Papa porta una barba lunga e fluente, la stessa della
carta dell’Eremita. E’ uno dei papi dimessi dal Concilio di Costanza? E’ forse lo stesso duca di Savoia Amedeo VIII, padre di Maria di Savoia, che era
stato antipapa col nome di Felice?
La carta del Matrimonio è stata aggiornata e rappresenta l’unione delle destre tra Francesco Sforza e Bianca Maria Visconti, l’erede del Ducato
milanese. La scena non si svolge più davanti a un padiglione campestre, ma sotto la mira di un Cupido bendato.
Se fu Bianca Maria a scegliere questo mazzo di carte, perché mantenne la carta dell’Imperatrice? La carta non ha la connotazione negativa di cui
godeva la vera imperatrice, che morirà di peste nel 1451, ma che dal 1441, anno delle nozze tra Bianca Maria e Francesco Sforza, si era ritirata a Melnik a nord di Praga.
Sulla sua veste esibisce l’impresa dei tre anelli di Cabrino Fondulo, che si trovano anche sul manto dell’Imperatore. Mancando ogni informazione circa la
committenza del mazzo, non possiamo neppure azzardare ipotesi di associazione fra le carte e i personaggi dell’epoca.
Il mazzo Colleoni divenne il prototipo dei mazzi lombardi e specialista per la loro produzione fu la bottega dei Bembo a Cremona. Nel 1451 Bianca
Maria Visconti scriveva al marito Francesco Sforza di inviare a Sigismondo Malatesta un mazzo di “quelle carte di trionfi che se ne fanno a Cremona”. Tra il
1450 e il 1452 al tesoriere ducale di Cremona Antonio Trecchi gli Sforza commissionarono “carte da triumpho per zugare, de belle quanto più sarà possibile et ornate con le
armi ducali et le insegne nostre”.
Bandera S. (a cura di), Brera. I Tarocchi. Il caso e la fortuna, Electa, Milano 1999
Berti G., Marsilli P., Vitali A., Tarocchi. Le carte del destino, Ed. Le Tarot, Faenza 1993, 2a ed. ampliata e riveduta
Berti G., Vitali A., Le carte di corte. I Tarocchi: gioco e magi alla corte degli Estensi, Bologna 1987
Kaplan S.R., I tarocchi, Milano 1973
Mandel G., I Tarocchi dei Visconti, Monumenta Longobardica, Bergamo 1974
Mulazzani G., I tarocchi viscontei di Bonifacio Bembo. Il mazzo di Yale, Shell Italia, Milano 1961
Link nel WEB
http://www.tarotpassages.com/artcat-so.htm
http://www.associazionehermes.com/carte.htm
http://www.wicce.com/deivisconti.html
http://www.geocities.com/secretive/FillerInfo/chap2.html
Ultima modifica: mercoledì 31 luglio 2002
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