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 La cultura neoclassica a Milano

di Paolo Colussi

 

 

Il Neoclassico della Restaurazione a Porta Venezia

Veduta del Campo di MarteGran parte della zona di Porta Venezia si presenta oggi come il prodotto di quasi un secolo di neoclassicismo. Naturalmente anche le altre zone della città sono state influenzate da questo vasto fenomeno culturale e possiedono alcuni dei principali monumenti edificati in quest’epoca, basta pensare all’Arco della Pace, all’Arena, all’Arco di Porta Ticinese e ai palazzi del Piermarini e del Canonica. La zona di Porta Venezia, però, dove non è stata completamente stravolta dagli interventi di questo secolo è quella dove l’influsso di questo stile è stato più diretto e più forte. Ciò è vero per il corso Venezia, ed era vero anche per il corso Vittorio Emanuele prima dei bombardamenti del 1943 che hanno portato al suo quasi completo rifacimento. Restano però nel corso Vittorio Emanuele due sopravvivenze neoclassiche che risalgono al periodo della Restaurazione quando la via si chiamava corso Francesco in onore dell’imperatore d’Austria, e cioè il palazzo Tarsis e il complesso della piazza San Carlo.

 

Il palazzo Tarsis

Questo palazzo di via San Paolo 1 fu costruito nel 1834 dall’architetto Luigi Clerichetti per il conte Paolo Tarsis come residenza del proprietario mista ad appartamenti d’affitto. Luigi Clerichetti ha costruito a Milano anche il palazzo Gavazzi in via Monte Napoleone 23 e la facciata di palazzo Orsini in via Borgonuovo 11, ma il palazzo Tarsis è il più ambizioso per la ricca decorazione della facciata con il grande loggiato e la serie degli Dei Consenti appoggiati all’ultimo piano posto sopra il cornicione, opera di Luigi Marchesi (le due sul corso e le prime 6 su via San Paolo) e di Gaetano Manfredini (le ultime 2 su via San Paolo). La facciata, prima oppressa dalla stretta via San Paolo, ha guadagnato dall’ampliamento della strada ma ha subito una certa manomissione dall’apertura dei portici lungo il corso Vittorio Emanuele. Il palazzo è ancora di proprietà dei conti Tarsis.

 

Il complesso di San Carlo al Corso

La storia di questo imponente complesso, vero emblema del neoclassico della Restaurazione, inizia nel 1814 quando Giacinto Amati viene nominato parroco della chiesa di Santa Maria dei Servi. Questa antica chiesa occupava lo spazio dov’è oggi la piazza San Carlo ed era stata per secoli la sede dei Serviti a Milano, ricevendo di tanto in tanto modifiche e migliorie, senza tuttavia subire profondi stravolgimenti. Il nuovo parroco, fratello del celebre architetto Carlo Amati, inizia ben presto a coltivare il sogno di una nuova chiesa degna del corso Francesco che dagli anni ‘30 è soggetto a imponenti lavori di ampliamento. Finalmente nel 1836, dopo la morte dell’imperatore, nel clima generale di distensione che si sta diffondendo, ottiene l’autorizzazione ad avviare i lavori per un tempio votivo da dedicare al santo che aveva protetto la città dal colera. La nuova chiesa sorge nell’area dell’ex convento dei Serviti, dietro la vecchia chiesa, ed è terminata nel 1847. Più tardi, demolita la vecchia chiesa, sarà costruito il colonnato e i due edifici gemelli sulla piazza che fanno parte integrante del complesso (vedi ). Sul fronte opposto della strada, il corso avrebbe dovuto allargarsi per formare un’esedra che avrebbe consentito una visione ottimale della cupola, ma questa parte del progetto non venne mai realizzata. Di fronte alla chiesa, un po’ arretrato fu invece costruito l' Hotel de la Ville.

Anche le sculture esterne della chiesa sono rimaste sulla carta. Sul timpano avrebbe dovuto figurare un rilievo con San Carlo che comunica un appestato nel Lazzaretto, altre statue erano previste sulle nicchie poste attorno al tamburo della cupola. Il 25 giugno 1895 un incendio distrusse la cupola, che fu presto ricostruita.

All’interno della chiesa, accanto a molti reperti dell’antica Santa Maria dei Servi, si trovavano due imponenti capolavori di Pompeo Marchesi, il più celebre artista di questo tardo neoclassico: il Venerdì Santo e il San Carlo che comunica San Luigi Gonzaga. La prima opera, un grande complesso scultoreo composto da ben nove figure, venne trasportata nel 1962 nella chiesa dell’Addolorata a San Siro dove fu gravemente danneggiata da un incendio. Quanto si riuscì a salvare fu poi trasportato nella Rocca Brivio di Melegnano. Il gruppo con San Carlo è invece ancora nella chiesa, che nel 1925 è tornata ai Serviti.

 

I Caselli di Porta Venezia

Solenne ingresso da Porta Orientale dell'imperatore FerdinandoLa creazione di un degno coronamento al corso di Porta Orientale rimase lungo tempo insoluto. Era infatti sconsigliabile creare un arco, come era avvenuto nel caso della altre porte di Milano, per non privare il corso del suo sfondo naturale rappresentato dalla catena alpina. Solo nel 1828 si decise finalmente di costruire due caselli monumentali e si affidò il lavoro a Rodolfo Vantini, un architetto di Brescia che aveva vinto il concorso bandito a questo scopo. Più che l’architettura, è interessante qui il complesso di statue e rilievi che ornano il monumento, sia per la fattura delle opere che per il programma iconografico, che è il seguente:

 

Verso la campagna:

Minerva e Mercurio di Benedetto Cacciatori

Cerere e Vulcano di Democrito Gandolfi

Verso la città:

Abbondanza e Giustizia di Pompeo Marchesi

Fedeltà e Eternità (o Longevità) di Gaetano Monti

 

Due artisti neoclassici a Porta Orientale

Andrea Appiani

Queste brevi note non pretendono di fornire un profilo di questo artista che operò in gioventù nel periodo delle riforme teresiane e giuseppine e poi fu protagonista assoluto nel campo della pittura in epoca napoleonica. Vogliamo soltanto fornire alcuni elementi che facilitino la comprensione delle opere attualmente visibili a Milano, che sono prevalentemente raccolte nella Civica Galleria d’Arte Moderna della Villa Reale di via Palestro.

Nato a Milano il 23 maggio 1754, l’Appiani studiò a Brera e iniziò la sua attività affrescando alcuni palazzi (Palazzo Greppi, Palazzo Busca oggi Collegio San Carlo) sulla scia dei suoi maestri Martin Knoller e Giuliano Traballesi. Dopo il rituale viaggio a Roma, nel 1792 raggiunse la notorietà grazie a due importanti incarichi: i quattro Evangelisti e i quattro Dottori della Chiesa nei pennacchi e nelle lunette della cupola di S. Maria presso San Celso e i nove episodi della storia di Amore e Psiche nella Rotonda della Villa Reale di Monza. Di poco successivi sono gli affreschi di casa Sannazzaro in piazza San Fedele conservati parte a Brera (Carro di Apollo, Apollo e Dafne, Apollo e Giacinto) e parte nel Museo di Milano (Apollo e Marsia, Apollo e Clizia).

Con l’arrivo a Milano di Napoleone, la vita dell’Appiani muta radicalmente. Entusiasta sostenitore dei Francesi, spia attentamente il generale mentre entra in città donandogli subito un suo ritratto. E’ l’inizio di una simpatia reciproca che non si incrinerà mai. Comincia in quest’epoca la serie dei ritratti dei principali seguaci di Napoleone, che gli procurerà numerose commesse dalle principali famiglie della città. Ma non esegue solo ritratti: nel museo di via Palestro sono conservate quattro piccole opere del 1801 che ci mostrano la sua capacità anche come pittore di paesaggi. Sono Cefalo e Aurora e Plutone e Proserpina, due olii su rame eseguiti per degli sportelli di carrozza. Gli altri due dipinti raffigurano Diana e Atteone e Marte e Venere.

Sempre in via Palestro sono visibili due affreschi trasportati su tela che provengono dal salotto di casa Litta: Orfeo ed Euridice e Il Genio dell’Arte e gli invidiosi, del 1805. Nel secondo dei due gli “invidiosi” sarebbero i pittori Errante, Boldini e Dell’Era, nemici dell’Appiani.

Il trionfo di Napoleone procurò al pittore incarichi sempre più prestigiosi. Dei molti lavori eseguiti per il Palazzo Reale, perduti in seguito ai bombardamenti, se ne sono salvati soltanto due: il primo è il ciclo comprendente l’affresco con l’Apoteosi di Napoleone e quelli delle quattro Virtù che lo contornavano e che erano stati precedentemente staccati e posti al sicuro. Oggi sono a Villa Carlotta a Tremezzo, il sacrario del neoclassico lombardo.

Minerva che presenta a Clio lo scudo istoriato con le gesta di NapoleoneL’altro affresco sopravvissuto è l’Olimpo proveniente dallo studio di Napoleone che era stato dipinto come sovrapporta assieme all’Apollo citaredo, che è andato invece distrutto. I cartoni di questi due affreschi sono in via Palestro.

Purtroppo è andato completamente distrutto invece il grande affresco dipinto sul soffitto del Salone delle Udienze solenni che rappresentava Minerva che presenta a Clio lo scudo istoriato con le gesta di Napoleone contornato dalle quattro Virtù cardinali. Il soggetto è molto interessante e ci conferma la grande attenzione riservata da Napoleone ai mezzi di comunicazione di massa. Il dipinto rappresenta Vulcano seduto che porge a Minerva e ad una Vittoria lo scudo. Clio trascrive sul suo taccuino le imprese di Napoleone che vi sono rappresentate appoggiandosi al Tempo. La Fama le divulga con la tromba.

La scena oggi potrebbe essere intitolata “L’ufficio stampa di Napoleone consegna la cartella stampa ai giornali e alle televisioni”.

Se i rapporti con Napoleone furono sempre ottimi, lo stesso non si può dire di quelli con Eugenio di Beauharnais. Quest’ultimo infatti si risentì molto con l’Appiani perché l’aveva dissuaso dall’acquistare un quadro, che poi invece si era rivelato un vero affare per il pittore. Si arrivò comunque ad una rappacificazione giusto in tempo perché l’artista potesse realizzare nella Villa Reale il suo ultimo capolavoro: l’affresco con Apollo e le Muse della Sala da pranzo della villa. Poco dopo l’Appiani fu colpito da paralisi e trascinò gli ultimi anni penosamente nella sua casa in corso Monforte fino al 1817, anno della sua morte.

Vedi immagini dell'Appiani:

 

Pompeo Marchesi

 L’artista neoclassico che, dopo l’Appiani, riscosse a Milano la più entusiasta approvazione fu lo scultore Pompeo Marchesi. Anche questo artista, che abbiamo già incontrato più volte nella zona di Porta Venezia, è presente con numerose opere nella Galleria d’Arte Moderna di via Palestro.  Nato nel 1789 a Saltrio (Varese) da una famiglia di marmorari, studiò a Brera e poi andò a perfezionarsi a Roma. Iniziò lavorando ad alcune statue per il Duomo (1810) ed ebbe subito dopo l’importante incarico di alcuni rilievi dell’Arco della Pace (vedi in Appendice). Nel periodo della Restaurazione divenne il maestro più ossequiato dal governo austriaco che gli assegnò come studio il Salone dei Giardini Pubblici rimasto inutilizzato dopo la caduta di Napoleone. Incendiatosi nel 1840 il Salone, la città intera si tassò per costruirgli un nuovo studio in via San Primo, dov’era l’ex convento dei Celestini. In questo studio lavorò fino al 1858, anno della sua morte, quando ormai il mutamento del gusto l’aveva relegato in una posizione di secondo piano.

Lo studio di Pompeo Marchesi in via San PrimoMolte sono le sue opere rimaste a Milano e altrove. Nella zona, come abbiamo visto, realizzò statue per il Caselli di Porta Orientale, per palazzo Rocca-Saporiti e per Palazzo Tarsis, per la chiesa di San Carlo al Corso. Altre opere importanti a Milano sono la grande statua di Sant’Ambrogio nella controfacciata del Duomo, il monumento Tarchetti in Duomo (accanto all’altare del Crocefisso), il modello per il Sant’Ambrogio sulla facciata del Palazzo dei Giureconsulti, la statua di Cesare Beccaria sullo scalone di Brera, la tomba del governatore Strassoldo sulla navata sinistra di Santa Maria della Passione.

Nella Galleria d’Arte Moderna si conservano i busti di Andrea Appiani, Antonio Canova, Antonio Battaglia, Giovanni Bozzotti e Carlo Amati. Le stele funebri di Carlo Della Bianca e Luigi Rossi. Le statue di Tamar e di Venere (Eva?).

Aspetti comici del neoclassicismo

Lo stile neoclassico è ancora oggi ricercato nel campo delle arti applicate (mobili, ceramiche, bronzi, tessuti) ed è sempre gradevole nelle decorazioni degli interni, oggi frequentemente restaurati e valorizzati (ad esempio, Palazzo Litta Modignani, Palazzo Greppi). Molto meno interesse riscuote invece la vastissima letteratura di gusto neoclassico, che ha inondato la prima metà dell’Ottocento con opere interminabili ormai competamente dimenticate. Ci è sembrato interessante riportarle qui alla memoria sulla scorta di un divertente saggio scritto da Carlo Tenca sulla “Rivista Europea” nel 1845, intitolato Epici moderni in Italia.

La "Rivista Europea" del Tenca, come "Il Politecnico" del Cattaneo, segnano in questi anni l'enorme distanza che si è venuta ormai a creare a Milano tra i sogni infarciti di allegorie dell'epoca dell'Illuminismo e della Restaurazione e la nuova mentalità "positiva" (già quasi positivistica) introdotta in Europa dalla rivoluzione industriale. Milano, diventata la capitale dell'editoria italiana, è la prima città che sente questo mutamento pur continuando a stampare i poemi più strampalati e ad incensare le surgelate statue di Pompeo Marchesi. Non si dovranno attendere ancora molti anni per arrivare alla grande stagione del realismo degli Scapigliati, del Verga, del Teatro Milanese e di Paolo Valera.

Secondo il Tenca, nella prima metà dell’Ottocento furono scritti più di 50 poemi epici per un totale di circa un milione di versi.

Questi poemi sono suddivisi in generi ciascuno dei quali annovera numerosi lavori, che già allora suscitavano nel nostro critico una irrefrenabile ilarità. Seguiamo le sue tracce.

 

Poemi storici o politici su avvenimenti contemporanei

Oltre al celebre capolavoro di Vincenzo Monti su Napoleone, il Bardo della Selva Nera, sono ricordati la Pronea di Melchiorre Cesarotti, L’Italia rigenerata da Napoleone di Giusto Navasa, la Russiade (le gesta dello zar Alessandro) di Girolamo Orti, La Verità nello spirito dei tempi e nel nuovo carattere di nostra età (sul Congresso di Verona) di Troilo Malipiero, Napoleone a Mosca di Domenico Castorina, l’Emeide (gesta di Angelo Emo) di G. Andrea Miovilovich, il Pietro di Russia di Angelo Curti, l’Aerostiade (sul volo di Mongolfier) di Vincenzo Lancetti e sopra tutti il Triete Anglico di Bernardo Bellini del quale riportiamo il sunto in Appendice.

 

Poemi eroici su fatti storici lontani

Anche in questo caso c’è un esempio illustre - I Lombardi alla Prima Crociata di Tommaso Grossi - accompagnato da una nutrita serie di emuli. Vengono ricordati la Teseide della Bandettini, il Cadmo del Bagnoli, due poemi su Gerusalemme distrutta, uno di Michele Mallio e uno di Cesare Arici. C’è anche una Cartagine distrutta di Domenico Castorina e un’ Asia conquistata e un’ Alessandriade di Luigi Budetti. Il Ricci scrive una Italiade. Moltissimi i poemi su Cristoforo Colombo, di gran moda nella prima metà dell’Ottocento. Si cimentano in questo soggetto Antonio Forleo, Massimina Fantastici-Rosellini, Lorenzo Costa e il Bellini già ricordato per il Triete Anglico.

 

Poemi religiosi e filosofici

Questo genere più “gesuitico” è in declino ma ancora vivo. Vengono ricordate la Stanislaide sulla vita di San Stanislao Kostka di Lino Corinto (nome arcadico), il San Benedetto di Angelo Maria Ricci, il Salvatore di David Bertolotti e la Fine del Mondo di Giuseppe Malachisio.

Tra i poemi filosofici, oltre alla Panteide di Luigi Pieraccini, l’Armonia Universale di Natale Beroaldo, e l’Atenaide di Francesco Franceschinis, viene ricordata l’Ipazia di Diodata Saluzzo-Roero nella quale “col pretesto di raccontare le vicende delle celebre donzella d’Alessandria, si evocano e si confrontano tutti i sistemi di filosofia più conosciuti. Le sette degli epicurei, dei cinici, degli stoici, dei gnostici, dei platonici, degli eleatici, degli eclettici, dei pitagorici, dei pirronisti, dei magi sono descritte in tanti Inni e Canti. Ipazia rappresenta il cristianesimo e il trionfo della vera religione sulle false dottrine.” (Tenca, Saggi critici, p. 229)

 

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Ultima modifica: venerdì 3 agosto 2007

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