Ascesa e declino dei Serbelloni
di Paolo Colussi
Le origini dei Serbelloni sono molto incerte. Non si sa nemmeno se la famiglia fosse milanese o napoletana anche se è
ricordato un Francesco Serbelloni a Milano nel 1130 come autore di tre libri sulla Trinità. Il nome originario forse era Sorbelloni
perché nello stemma della famiglia compare l’immagine di un sorbo, ma anche questo fatto non è comprovato. Il primo esponente che noi conosciamo - Giovanni
Pietro figlio di Gabriele - è a Milano agli inizi del 1500 e sposa Isabetta Rainoldi di un’importante famiglia nobile milanese.
Anche la sorella Cecilia, sposando nel 1496 Bernardino Medici, si imparenta con una famiglia importante di Milano e il
suo matrimonio darà frutti rilevantissimi: uno dei suoi figli, Giovan Angelo, sarà papa (Pio IV), un altro sarà il celebre Medeghino, la terza, Margherita, sarà la madre di
san Carlo Borromeo.
Anche i figli di Giovanni Pietro Serbelloni comunque, in parte grazie agli illustri cugini, sapranno farsi onore,
soprattutto Gabrio, il più inquieto e spericolato. Gli altri fratelli maschi sono Giovan
Battista, Filippo, Giovan Antonio e Fabrizio;
solo Gabrio però avrà discendenti maschi.
La frenetica vita di Gabrio Serbelloni
Nato nel 1508 o 1509, Gabrio Serbelloni, siccome non era tagliato per gli studi, se ne va presto di casa per raggiungere
a Lecco il cugino Gian Giacomo Medici, il Medeghino, che spadroneggiava sul lago di Como con le sue armate e le sue barche di pirati. Diventa presto suo luogotenente nella guerra
che Milano conduce contro il Medeghino nel tentativo di contenerlo. La sua carriera militare al fianco del cugino continua poi con gli imperiali in Ungheria (1542), in Sassonia
(1546). Conquistata così una solida esperienza, al servizio di Carlo V partecipa alla conquista di Saluzzo (1547-51) e combatte per i Medici di Toscana nella guerra contro Siena
(1554-59) occupandosi anche delle loro fortezze. Con l’elezione al pontificato del cugino Gian Angelo (Pio IV), tutta la famiglia Medici e Serbelloni si precipita a Roma,
compreso il cuginetto Carlo Borromeo che sarà subito il preferito del papa. Gabrio, nominato Cavaliere di Malta, diventa Capitano generale della guardia papale;
il fratello Giovan Battista Serbelloni è castellano di Castel Sant’Angelo e poi vescovo di Cassano in Calabria; Giovan Antonio è nominato cardinale e vescovo di
Foligno e poi di Novara; Fabrizio, che già aveva seguito Gabrio nelle sue imprese in Piemonte, è governatore di Avignone.
Alla morte del papa nel 1565, Gabrio passa al servizio di Filippo II di Spagna e su suo incarico ispeziona e modifica le
fortificazioni di Napoli e della Sicilia. Nel 1571 partecipa alla battaglia di Lepanto dove mostra tutto il suo valore tanto da meritare la carica di viceré di Tunisi. Una
carica scomoda che lo vede impegnato strenuamente contro i Turchi, che assediano la città e la prendono, facendo prigioniero il Viceré, che perde in uno dei tanti scontri il
figlio Giovan Paolo. (L'episodio è citato nel cap. 39 del Don Chisciotte
della Mancia di Cervantes.) La prigionia di Gabrio a Istanbul non è delle peggiori, grazie all’intercessione dell’ambasciatore veneziano Antonio Tiepolo che ottiene
il permesso di ospitarlo nella sua casa. Il soggiorno comunque è breve perché il fratello cardinale Giovan Antonio riesce a liberarlo in cambio di 36 schiavi turchi.
Nel 1575 torna quindi a Milano dove si prende un po’ di “riposo” dirigendo la città durante la peste del 1576 (la peste di San Carlo) al posto del governatore
scappato fuori Milano. Finita la peste, torna subito agli amati campi di battaglia. Tra il 1577 e il 1579 partecipa alla guerra di Fiandra con molto onore, conquistando la città
di Maastricht, oggi famosa per altre ragioni. All’età di settant’anni torna definitivamente a Milano per morirvi nel gennaio dell’anno successivo.
I due primi palazzi Serbelloni a Porta Orientale
Gabrio
Serbelloni non sta dunque quasi mai a Milano, dove vivevano la moglie e i figli, il fratello più tranquillo Filippo e saltuariamente gli altri fratelli e nipoti. Nessuno di loro
pensa a costruire un palazzo di prestigio, ma acquistano invece grandi aree a Porta Orientale dove riadattano case preesistenti. Per prima viene acquistata quasi tutta l’area
situata tra San Babila e la chiesa e il convento di Santa Maria dei Servi rilevando il palazzo della famiglia Mozzanica. Il “giardino” viene decorato da Callisto Piazza con
il Monte Parnaso e divinità pagane. Il portale di questo palazzo con le insegne dei Mozzanica, rimasto in loco fino agli anni ‘30 dell’Ottocento, verrà venduto quando al
posto del palazzo Serbelloni si costruirà la Galleria De Cristoforis ed è oggi murato nel cortile di palazzo Trivulzio in piazza Sant’Alessandro. Viene acquistata anche una
cappella nella chiesa di Santa Maria dei Servi dove vengono sepolti molti Serbelloni.
Ad una famiglia così vasta ed illustre questo primo palazzo nella Corsia dei Servi non era sufficiente tanto è vero che
nel 1565 ne sistemano un secondo di vaste dimensioni sul corso di Porta Orientale, tra il complesso ecclesiastico di San Babila e il palazzo Fontana-Silvestri, che diventerà dal
1679 palazzo Arese.
I discendenti di Gabrio Serbelloni
Gabrio Serbelloni ha quattro figli maschi: Giovan Battista, Giovan Francesco,
Giovan Paolo e Alessandro.
Giovan Battista, forse per i meriti del padre, viene nominato nel 1581 conte di Castiglione d’Adda, ed è perciò il
primo titolato della famiglia, mentre i fratelli seguono le diverse carriere (militare, ecclesiastica, forense) destinate ai cadetti. Sempre per i meriti del padre la famiglia
ottiene il privilegio di partecipare obbligatoriamente a tutte le future ambascerie della città. Questa prerogativa, lo vedremo in seguito, resterà ai Serbelloni fino
all’epoca napoleonica.
Durante il Seicento la linea che discende da Giovan Battista si ramifica e si arricchisce di sempre più importanti
titoli nobiliari: marchesi di Romagnano nel 1649, duchi di San Gabrio nel 1684, signori di Gorgonzola (1689) e di Camporicco (1691), marchesi di Incisa (Scapaccino) nel
Monferrato (1693).
Giovanni Maria, figlio di Giovan
Battista e marito di Luigia Marino, è ancora un militare di valore che muore sul campo di battaglia dopo aver messo al mondo 11
figli. I discendenti sono anch’essi in divisa, ma per comandare più modestamente la Milizia Urbana, una servizio municipale adibito
al mantenimento dell’ordine pubblico istituito nel 1635 dal governatore marchese di Leganes, che forse temeva il ripetersi di sommosse come quella descritta dal Manzoni nei Promessi
Sposi.
La Milizia Urbana
La Milizia Urbana è l’unico “esercito” milanese durante tutto il periodo della dominazione spagnola e austriaca.
Era un corpo di volontari autorizzati a portare armi di giorno e di notte, costituito da sei “Terzi” uno per porta più altri sei per i territori esterni dei Corpi Santi. Un
Terzo era comandato da un Maestro di campo che aveva sotto di sè sei capitani, altrettanti tenenti e alfieri, un aiutante e quattro sergenti. Maestri di campo e capitani erano
patrizi. Sopra tutta la milizia c’era un Soprintendente generale eletto dal governo.
Le bandiere avevano da un lato la croce rossa in campo bianco e dall’altro l’arma gentilizia del Maestro di campo del
Terzo.
Molti Serbelloni ricopriranno la carica, più che altro onorifica, di Maestri di campo durante un periodo tutto sommato
tranquillo dal punto di vista delle sommosse popolari. Altri continuano ad essere ecclesiastici o soldati. Arriviamo così a Gabrio
Serbelloni, il padre di Gian Galeazzo, l’ultimo duca Serbelloni ed il più noto per la costruzione del palazzo di Corso Venezia e
per la sua partecipazione alle vicende di Napoleone a Milano.
Gli ultimi Serbelloni
Anche Gabrio Serbelloni, tra le altre cariche, è nominato Maestro della Milizia Urbana nella Milano dei primi decenni
del Settecento tormentata dalle guerre per la Successione spagnola. Nato nel 1693, sposa nel 1741 Maria Vittoria Ottoboni, romana, che aveva allora solo vent’anni. La
differenza d’età e la forte personalità della moglie rende il matrimonio molto difficile, dove i contrasti erano acuiti anche da questioni d’interesse. Maria Vittoria,
messo quasi subito in disparte il marito, ottiene grandi successi nella società milanese per il suo spirito e la sua cultura. Fu amata da Pietro Verri, che scrisse il Proemio
alla sua traduzione dal francese del teatro comico di Destouches pubblicata a Milano tra il 1754 e il 1773. Il Parini le dedicò un’Ode di cui rimane un frammento e il sonetto Mentre
fra le pompose. Carlo Goldoni le dedicò la commedia La sposa persiana. Il Parini fu per otto anni (1754-1762) al suo servizio come
precettore dei figli, fino a quando uno schiaffo dato da Maria Vittoria alla figlia del musicista Sammartini non lo convinse a lasciare la famiglia.
Maria Vittoria ebbe cinque figli: Maria Ippolita (morta molto giovane),
Gian Galeazzo, Alessandro, Fabrizio e Marco.
La costruzione del nuovo palazzo
La
famiglia abitava sempre nel vecchio palazzo nella Corsia dei Servi, un edificio di grandi dimensioni, in una zona centrale della città, ma privo di quei grandi saloni da
ricevimento dei quali erano dotati tutti i nuovi palazzi nobiliari milanesi. Forse per quest’ultima ragione e sotto la pressione della moglie che conduceva una vita ricca di
incontri mondani, il 26 agosto 1756 il duca Gabrio acquista la casa Trotti (sua madre era una Trotti) lungo il naviglio di San Damiano con l’idea di costruire un nuovo palazzo
di grandi dimensioni che doveva spingersi fino al corso di Porta Orientale dove avrebbe avuto una degna facciata e un magnifico ingresso.
A questo primo acquisto ne seguono infatti numerosi altri ancora dai Trotti (1758), dai Gilardini (1758), dai Ravasi
(1759). L’ultimo acquisto sarà la casa Bussetti, l’ultima lungo il corso, ed è datato 3 ottobre 1769.
Nel 1760 iniziano le lunghe trattative con la Municipalità per le rettifiche stradali sulla strada di San Damiano e sul
corso. La contesa è sull’angolo tra le due vie che deve consentire la possibilità alle carrozze di svoltare agevolmente. Si arriva alla fine a concordare sulla smussatura
dell’angolo e quindi del nuovo palazzo. I lavori sul palazzo Trotti e lungo la via San Damiano iniziano nell’agosto del 1765 e sono condotti dall’impresa di Giuseppe
Fontana, uno dei tanti ticinesi impegnati da secoli nell’edilizia milanese.
Alla fine del 1768 arriva a Milano Simone Cantoni (
vedi schede), il futuro architetto del palazzo. Giuseppe Fontana lo conosceva bene dato che ne aveva sposato la sorella. Il Cantoni, anche lui di origine ticinese, nato nel 1739,
era cresciuto a Genova, aveva studiato con il Vanvitelli a Roma e poi all’Accademia di Parma, acquisendo tutti i dettami del nuovo linguaggio neoclassico. Al suo arrivo a
Milano aveva sperato che il Vanvitelli lo scegliesse come suo sostituto per i lavori del Palazzo Reale e quindi come architetto di Stato. E’ invece il Piermarini ad essere
prescelto e da qui nasce un’inimicizia che costerà molto cara al Cantoni, privandolo di ogni possibilità di avere incarichi pubblici. I Serbelloni invece lo stimano
moltissimo e lo ingaggiano per tutti i loro lavori, non solo a Milano. Messosi subito all’opera, il Cantoni elabora un primo progetto del palazzo. Nella casa ex Trotti, che
subisce poche modifiche, è previsto l’appartamento “di comodità” cui si contrappone, verso il corso, l’appartamento “di
parata”. Tra i due appartamenti si distende il grande cortile rettangolare con lo scalone sul lato verso il giardino e le scuderie verso San Damiano.
Il 26 novembre 1774 Gabrio Serbelloni muore senza testamento. Il figlio maggiore Gian Galeazzo rileva il palazzo versando
320.000 lire ai fratelli che continueranno ad abitare in Corsia dei Servi. L’anno successivo fa progettare al Cantoni il cimitero di Gorgonzola dove i Serbelloni avevano una
villa e dove sorgerà il loro sacrario.
Nel
dicembre 1774 arriva finalmente l’autorizzazione per la rettifica delle strade e si può pensare alla nuova facciata monumentale sul corso. Si inizia dal casino in miarolo
rosso corrispondente all’attuale n. 18 di corso Venezia. La prima pianta del palazzo subisce alcune modifiche: sparisce lo scalone sul cortile, sostituito da una scala di
fronte all’atrio. L’elaborazione della nuova facciata e le trattative economiche tra i fratelli richiedono comunque qualche anno. I lavori riprendono nel 1779 quando vengono
acquistate le pietre per la facciata: granito di Baveno (miarolo rosso) per la parte inferiore fino al piano nobile, colonne, pilastri e lesene; pietra di Viggiù per il
poggiolo, la loggia, l’architrave e il cornicione. Probabilmente in questo stesso anno vengono ordinati agli scultori Francesco e Donato Carabelli il fregio dove figurano tre
episodi della guerra contro il Barbarossa: Il Barbarossa ordina la distruzione delle mura di Milano, Il rientro in patria dei milanesi, la Pace di Costanza.
I lavori esterni ed interni del palazzo proseguono lungo tutti gli anni ‘80 parallelamente ai grandi lavori sul corso
di Porta Orientale che vedono sorgere i Giardini pubblici, i Boschetti e i nuovi Caselli daziari mentre viene finalmente interrata l’Acqualunga, la fognatura a cielo aperto che
scorreva nel mezzo della strada. Il 29 luglio 1793 la facciata è quasi ultimata e si chiede l’autorizzazione ad utilizzare il suolo pubblico per collocare la macchina che dovrà
innalzare sul loggiato le grandi colonne di granito. A lettere di piombo campeggia ormai la scritta: IO GALEATIUS GABRI F. SERBELONUS A.D. MDCCLXXXXIII.
All’interno, al piano nobile, il Traballesi affresca sul soffitto "Giunone
che mostra a Eolo le Donzelle tra le quali può sceglierne una in cambio della tempesta che deve sommergere le navi troiane", e altri episodi dell'Eneide alle pareti.
Altre sale sono decorate con le pitture di Luigi Sabatelli (Nozze di Psiche) e del Podesti.
Purtroppo questi affreschi sono andati perduti a causa dei bombardamenti del 1943.
La vita di Gian Galeazzo Serbelloni
Gian Galeazzo, nato nel 1744 ed educato, come abbiamo visto, dal Parini,
sposa nel 1771 Teresa Castelbarco Visconti Simonetta dalla quale avrà nel 1772 l'unica figlia: Maria Luigia. Dopo la morte del padre, diventato duca, si occupa attivamente del
nuovo palazzo. Seguendo la tradizione di famiglia è anche lui Maestro di campo della Milizia Urbana, anzi, nel 1775 ne è nominato Soprintendente generale. Nello stesso anno
viene coinvolto in un episodio che sollevò molto scalpore a Milano e in tutta la Lombardia: l’arresto del famoso ladro sacrilego Carlo Sala.
Carlo Sala, costretto molti anni prima da uno zio a farsi frate per ragioni di eredità, era fuggito in Svizzera ed aveva
imperversato in Lombardia per alcuni anni svaligiando le chiese. Si diceva, forse per colorire il personaggio di ulteriore anticlericalismo, che avesse lavorato per qualche tempo
come scritturale per Voltaire. Scoperto e arrestato nel 1775 fu condannato a morte e affidato alla scuole di San Giovanni Decollato. Molti confratelli tentarono di ottenere dal
Sala un segno di pentimento senza risultato. Quando fu la volta di Gian Galeazzo Serbelloni, che era prefetto di quella scuola, questi chiese di restare solo con lui e gli offrì,
se si pentiva, la grossa cifra di 100.000 lire per indennizzare le chiese e fornire ai figli i mezzi di sostentamento. Anche questo tentativo non riuscì e il Sala, giustiziato
senza i Sacramenti, venne sepolto nella zona dell’attuale piazza Aquileia che da allora fu infestata dal suo fantasma.
Tornando
al ruolo di Gian Galeazzo come comandante della Milizia Urbana, va ricordato il suo impegno per dotare finalmente quella milizia di una divisa che desse al corpo una nuova dignità.
Fu lui infatti a proporre quella divisa bianca e verde che procurò ai poveri volontari il nomignolo, non certo eroico, di “remolazitt”
(ramolacci) perché ricordavano ai milanesi quelle grosse rape bianche sormontate da un ciuffo di foglie verdi. La nuova divisa consisteva infatti in una sopravveste verde, con
colletto e paramani bianchi, sottoveste e calzoni bianchi. Aveva inoltre spallette d’oro, fiocchi nel cappello, portaspada con pendone verde e oro, sciarpa simile. Gli
ufficiali portavano galloni d’oro.
Gian Galeazzo era ancora Soprintendente generale della milizia nell’aprile 1796 quando il giovane generale Napoleone
Bonaparte superava le armate piemontesi e marciava verso Milano e la Lombardia con la sua Armata d’Italia. Dopo l’armistizio di Cherasco (28 aprile), l’arrivo a Milano dei
Francesi sembra ormai certo. Il 7 maggio viene emesso il bando di reclutamento della Milizia Urbana in vista dell’imminente partenza della Corte con il grosso dell’esercito
austriaco. Solo un ridotto numero di soldati sarebbero rimasti a presidiare il Castello mentre la città sarebbe rimasta del tutto sguarnita. Il pomeriggio del 9 maggio
l’Arciduca Ferdinando abbandona la città con gli ultimi soldati della sua guardia, lasciando alla Milizia anche la sorveglianza del Palazzo Reale. Iniziano giorni di grande
trepidazione in attesa dei nemici, per alcuni, dei liberatori per altri. Il Serbelloni è tra i secondi, il suo spirito è con i rivoluzionari. Il 12 maggio, quando arrivano
notizie allarmanti di un ritorno in città dell’esercito austriaco, lo vediamo precipitarsi in Broletto per chiedere di usare la Milizia per impedire questo ritorno. Gli
angosciati decurioni gli ricordano pacatamente che la Milizia “è diretta all’unico fine di proteggere e conservare la tranquillità pubblica e il buon ordine della città né
mai ad altre incombenze” e cercano di calmare il comandante. Per fortuna tutte quelle voci erano nate da un piccolo episodio senza importanza: cinque croati sbandati avevano
rapinato un salumiere presso Lambrate. Furono arrestati dalla milizia e si tirò un respiro di sollievo.
Quando
il 15 maggio finalmente Napoleone entrò con le truppe da Porta Romana si pensò di alloggiarlo nella casa del “duca repubblicano” e così il palazzo Serbelloni, appena
terminato, entrò nella Storia. Il Serbelloni, ormai completamente conquistato dalle nuove idee, chiese ed ottenne di aderire alla Società popolare, il gruppo più esagitato di
rivoluzionari che si radunava in via Rugabella, e con due membri di questa Società venne mandato a Parigi a fine giugno per chiede una mitigazione della tassa di 20 milioni di
franchi richiesta a Milano da Napoleone. L’ambasciata non ottenne nulla, ma la figura del duca repubblicano impressionò favorevolmente il Direttorio tanto che il Serbelloni fu
incaricato di scortare fino a Milano la moglie di Napoleone, Giuseppina, che fu anch’essa ospitata nel palazzo di Porta Orientale, dove si fermerà fino all’anno successivo
alternando il soggiorno a palazzo con quello nella villa Crivelli di Mombello.
Gian Galeazzo intanto accumula cariche. E’ presidente della prima Municipalità all’arrivo di Napoleone e diventa
presidente del Direttorio esecutivo della Repubblica Cisalpina non appena questa viene costituita nel luglio 1797. Nel novembre del 1797, partiti da Milano Napoleone e
Giuseppina, parte anche il Serbelloni per andare a Parigi come ambasciatore della nuova Repubblica. Nella capitale francese egli si ferma per tutto il periodo in cui Milano è
nuovamente “liberata”, questa volta dagli Austro-Russi. Riprende il suo ruolo politico con il ritorno in Italia di Napoleone e la creazione della Consulta Legislativa che
doveva redigere la Costituzione della Repubblica Italiana nei Comizi di Lione (vedi il testo della Costituzione).
Qui, a Lione, egli giocherà tutte le sue carte per arrivare ai vertici dello Stato, ma invano. Fa spese “da pazzo” in sontuosi banchetti offerti ai deputati, facendo dire ai
maligni “per comprarsi a forza d’arrosto e di intingoli una delle prime dignità”, per ottenere cioè la presidenza della
Repubblica. Invece viene solo nominato membro della Consulta di Stato.
Appena rientrato da Lione a Milano, Gian Galeazzo muore e viene sepolto nella cappella gentilizia di Gorgonzola. Impone
per testamento di erigere un ospedale e una nuova chiesa a Gorgonzola.
La sua unica figlia Luigia, che aveva sposato nel 1789 il marchese Lodovico Busca Arconati Visconti resta l’unica
erede. Fa eseguire dal Cantoni la chiesa e il sacrario di Gorgonzola e porta a termine la decorazione del palazzo. Riesce anche a farsi pagare dalla Francia due milioni per il
soggiorno di Napoleone e della sua famiglia nel palazzo e nella villa di Mombello.
Le ultime vicende
Antonio Busca, figlio di Maria
Luigia, resta proprietario del palazzo che, in mancanza di suoi eredi, passa poi ad Antonietta Busca, nipote di Carlo Ignazio,
l’altro figlio di Luigia. Il matrimonio di Antonietta con Andrea Sola Cabiati trasferisce le proprietà a quest’ultima famiglia che oggi dà il nome alle ville e ai palazzi
ex Serbelloni.
Gli altri Serbelloni, fratelli di Gian Galeazzo, restano anch’essi senza eredi maschi, per cui la famiglia nel 1916 si
estingue passando nome e titoli ai Serbelloni Crivelli, estinti anche questi nel 1935. Attualmente il nome Serbelloni è passato,
sempre per via femminile, ai Cetti Serbelloni, noti nel mondo di Internet per la E-Gabrius, una Web Publishing Company con una forte
specializzazione nel settore dell'arte contemporanea, fondata nel 1997 da Alberico Cetti Serbelloni.
Dei due palazzi di famiglia, quello della Corsia dei Servi venne completamente demolito nel 1832 per costruire al suo
posto la Galleria De Cristoforis. Il palazzo sul corso, ormai diventato Sola Cabiati o Sola-Busca perse gran parte del giardino nel 1926 quando fu lottizzato dall’architetto
Aldo Andreani che vi costruì la casa Fidia. Subì poi i bombardamenti del 1943 che rovinarono gravemente gli appartamenti sul corso e l’ala verso il giardino dove c’era la
grande biblioteca e l’archivio di famiglia, distruggendoli quasi completamente. La scala sull’atrio, danneggiata, si poteva recuperare ma venne sostituita da una scala più
piccola per guadagnare qualche locale da affittare. Attualmente il piano nobile sul corso ospita il Circolo della Stampa
che, nei saloni in parte recuperati, organizza iniziative culturali e convegni. La proprietà è della società LA.GO Spa, che prende il nome da Antonietta Lalatta e Amelia Gola,
due dei numerosi eredi Sola Cabiati.
Bibliografia
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