Anselmo da Baggio
di Maria Grazia Tolfo
Gli esordi
La casa-forte in via del Lauro
A ridosso della Porta Cumana aperta nelle mura romane, al Ponte Vetero, si estendevano fino al XIII secolo le proprietà dei da Baggio. I possessi di questa
potente famiglia non si limitavano all'interno della città, ma occupavano quella che veniva chiamata la brera del Guercio, cioè
l'attuale via Brera, nella quale si sperimentò quel fenomeno di organizzazione religiosa del lavoro dalla quale ebbe origine l'ordine degli Umiliati. In un documento del 1036 la braida o brera risulta già abitata dai fratres de Guercio.
Più che a una casa, dobbiamo pensare a una turrita rocca cittadina, che occupava l'area compresa
tra gli attuali numeri civici 1-5. La rocca seguì la sorte di tutte le altre fortificazioni urbane quando venne smantellata dalle truppe imperiali dopo la vittoria del
Barbarossa.
Qui nacque da Arderico, negli anni Venti dell'XI secolo, Anselmo, il primo dei da Baggio a entrare di prepotenza nella scena internazionale come papa, col
nome di Alessandro II.
Guerre civili a Milano per l'affermazione del Comune
L'adolescenza di Anselmo fu segnata da un endemico clima di guerra civile.
Prima si ebbe la rivolta dei valvassori, raggruppati nella Motta, decisi a veder riconosciuti i loro diritti di eredità dei feudi. L'arcivescovo Ariberto d'Intimiano nel
1035 aveva reagito indicendo un eribanno contro i sovversivi dell'ordine feudale, scontentando l'imperatore Corrado II, che non voleva ulteriori problemi da risolvere in Italia. Nel 1039 lo scontro era ancora aperto quando morì
l'imperatore, lasciando il figlio Enrico III di ventidue anni. La città insorse contro l'arcivescovo, che nella primavera del 1040 fu costretto a rifugiarsi a Monza, dove morirà nel 1045, assolutamente refrattario alla
comprensione dei tempi nuovi ed estraneo alla repubblica che Lanzone aveva instaurato a Milano.
I rapporti tra la famiglia dei da Baggio e l'imperatore in questo frangente furono improntati all'estrema fedeltà. Anselmo entrò al servizio dell'imperatore in
Germania e vi restò fino al 1053, quando tornò a Milano. Suo fratello Adalardo sarà missus di Enrico IV a Milano nel 1064.
La scuola con Lanfranco
Anselmo si considerò discepolo del famoso retore Lanfranco da Pavia, ma non è chiaro quando e dove, perché le
vicende legate a questo personaggio sono piuttosto complicate.
Lanfranco nacque intorno al 997 a Pavia, da una famiglia di giudici appartenenti all'ambiente del sacrum palatium.
La formazione dell'epoca si basava essenzialmente sull'oratoria, perché era come oratore che lo studente doveva riuscire nella vita, nella cancelleria imperiale o nella politica
cittadina. L'istruzione scolastica si basava quindi essenzialmente sulle arti linguistiche del trivio: grammatica, logica e retorica e su solide basi di lingua e letteratura
latina.
Secondo il normanno Roberto da Mont Saint-Michel nel
1032 Lanfranco e il suo socius Guarnerio scoprirono a Bologna le leges
romanae. Lanfranco lasciò quindi l'Italia alla volta della Francia e dopo il 1039 lo si trova come insegnante ad Avranches, in Normandia, alle dipendenze di
Mont St Michel, dove era abate il suo concittadino Guglielmo Suppone, un monaco proveniente dall'abbazia di S. Benigno di Fruttuaria vicino ad Ivrea.
Nel 1042 Lanfranco decide di dedicarsi alla vita eremitica ed entra nel monastero del Bec in Normandia, che otto anni prima il nobile Herluin aveva fondato
nelle sue terre presso Brionne. E come Herluin aveva abbandonato la spada per dedicarsi alla preghiera, così Lanfranco decise di farsi monaco, accantonando l'eloquenza al
servizio del potere temporale.
La regola del Bec era severissima, di pura mortificazione del corpo: i trentacinque monaci che appartenevano alla comunità non disponevano di entrate sicure
e vivevano di pane nero e verdure del loro orto, in regime semi-eremitico. Tre anni dopo troviamo Lanfranco, l'ultimo arrivato, a
ricoprire la carica di priore, affiancando nella direzione del Bec l'abate Herluin. Tutto ciò che sappiamo sulle consuetudini del Bec rimanda alle Regole dell'abbazia di
Fruttuaria, fondata da Guglielmo da Volpiano, esportate a Fécamp dal suo discepolo prediletto nonché nipote Giovanni di Ravenna e a Mont St Michel dall'altro discepolo Suppone.
Nel 1059 Lanfranco aprì la scuola del Bec anche ai laici, per ottenere fondi coi quali ricostruire il monastero. La fama del suo insegnamento attirò
allievi dall'Italia e dalla Germania, e quando Lanfranco si spostò nel 1063 a Caen, gli affezionati lo seguirono nella nuova sede, sebbene alla direzione della scuola del Bec ci
fosse il ben più prestigioso e moderno Anselmo d'Aosta.
Ritorniamo ora al nostro Anselmo da Baggio. Una tradizione riporta questa storia: quando Lanfranco si recò a Roma nel 1071, Alessandro II si alzò per
salutarlo, dicendo: "Honorem exhibuimus, non quem archiepiscopatui tuo, sed quem magistro cuius studio sumus in illis quae scimus
imbuti, debimus" (Tributiamo quell'onore che dobbiamo non alla tua carica di arcivescovo, ma al maestro al cui studio siamo stati formati). Anche la Vita
Lanfranci ribadisce lo stesso concetto: "Non ideo assurexi ei quia archiepiscopus
Cantuariae est; sed quia Becci ad scholam eius fui, et ad pedes eius cum aliis auditor consedi" (Non mi alzai davanti a lui perché era vescovo di Caen, ma perché fui a
scuola da lui al Bec e sedetti ai suoi piedi con altri come auditore).
Gli studiosi avanzano l'ipotesi che Anselmo possa essersi recato al Bec tra il 1050 e il 1053, prima del suo rientro a Milano. La sua partecipazione come auditor
alle lezioni di Lanfranco può essere considerata un privilegio, perché prima del 1059 la scuola era riservata ai monaci interni e invece Anselmo nel 1050 era ancora laico. Fu
inviato al Bec dall'imperatore? La storia tace. Sappiamo comunque che Anselmo affiderà a Lanfranco l'educazione di suo nipote Anselmo, che diverrà il padre spirituale di
Matilde di Canossa.
Il soggiorno in Germania
Possiamo ritenere che dal 1040 circa il giovane Anselmo si fosse posto al servizio dell'imperatore Enrico III in Germania, dove rimase fino al 1053 circa.
La figura di questo imperatore si presenta a dir poco come ambigua: da una parte abbiamo il grande sostenitore della moralizzazione della Chiesa attraverso
la lotta alla simonia e al concubinato, la repressione della nobiltà romana che imponeva antipapi, il sostegno alla riforma promossa dai Benedettini di Cluny contro il sistema
delle nomine religiose. A fronte di questa che sembrerebbe un'opera di sostegno al potere spirituale, si ha la sua continua ingerenza nelle nomine di religiosi - non sempre in
linea con la riforma - e nelle frequenti deposizioni. Il papa sembra essere un suo dipendente.
Un caso emblematico di questa sua condotta fu quello che riguarda l'elezione del successore di Ariberto nell'episcopato milanese. Il clero e l'assemblea
cittadina avevano selezionato quattro candidati canonici diaconi, che andarono in Germania con un'ambasceria. Al di là di ogni previsione, Enrico III ignora i candidati e nomina
a sorpresa il prete Guido da Velate, che faceva parte della scorta. Guido, appartenendo alla nobiltà minore, non avrebbe avuto diritto di accedere all'alta carica. Secondo
Landolfo, l'imperatore Enrico aveva già conosciuto Guido che gli aveva reso dei servigi (di spionaggio) durante l'episcopato di Ariberto.
E' difficile capire il motivo di una scelta così provocatoria per i Milanesi, tanto più che, accantonata la
controversa questione della liceità del matrimonio per i preti, che Guido discusse con successo nel maggio 1050 davanti a papa Leone IX in Laterano, resta sempre enigmatica la
scelta di un personaggio anonimo, che non aveva aderito neppure alla riforma religiosa. A meno di non voler considerare Guido un agente dell'imperatore, al di là della sua
estrazione sociale.
Enrico intervenne a Roma nel 1046 per sanare lo scisma che vedeva eletti contemporaneamente tre papi. Forte dei poteri conferitigli dal Privilegio
ottoniano, risolse lo spinoso problema deponendoli tutti e tre ed eleggendo al loro posto il vescovo di Bamberga, Clemente II, un
suo amico di indubbia integrità morale e religiosa, che provvide a conferirgli l'ambita corona imperiale.
Altra caratteristica del governo di Enrico III è la sua alleanza coi nuovi protagonisti dello scacchiere internazionale, i Normanni. Per riprendere la
penetrazione in Italia meridionale contro i ducati longobardi e i presidi bizantini, Enrico legittima gli insediamenti dei Normanni in Campania e in Puglia. Anche qui si può
notare l'ambiguità della sua politica: da un lato l'appoggio ai Normanni, che invadevano le terre pontefice, giungendo a far prigioniero Leone IX, dall'altro la sua pretesa
protezione del papato. O forse era lungimiranza, perché nel 1059 con papa Niccolò II si ebbe il Trattato di Melfi che riconosceva i
Normanni in Italia vassalli della Chiesa e concedeva loro il ducato di Sicilia, ancora sotto la dominazione araba.
Non sono chiari neppure i rapporti che l'imperatore intrattenne col duca di Normandia, Guglielmo il Bastardo. E
qui ci riallacciamo alla vicenda della visita di Anselmo da Baggio al Bec in un periodo in cui era al servizio della corte imperiale.
Ritorno a Milano
Anselmo torna a Milano nel 1053 come emissario imperiale. La nobiltà milanese si sta riavvicinando all'imperatore e la città diverrà in breve uno dei capisaldi della politica
italiana di Enrico III. Anselmo è ancora laico e uno dei primi avvenimenti noti al suo riguardo è nel 1054 l'occupazione, insieme
ai fratelli, della pieve di Cesano, presso Baggio, ai danni del monastero di S. Vittore.
La chiesa di S. Ilario
Tra il 1055 e il 1056 Anselmo fonda l'oratorio di S. Ilario presso la dimora che i da Baggio avevano nella via publica, oggi via Lauro, quasi di rimpetto all'arco quadrifronte di Giano, trasformato in chiesa di S. Giovanni alle Quattro facce, pure in loro possesso.
La dedicazione a S. Ilario può essere letta in relazione ai rapporti intrattenuti da Anselmo con l'ambiente francese. Ilario di Poitiers fu esiliato insieme
a Eusebio di Vercelli da Costantino. La sua agiografia narra che venne sostenuto dal vescovo di Milano Protaso e venne adottato come esempio contro l'arianesimo da S. Ambrogio.
Può essere forse indicativo che nei possessi dei da Baggio esistesse un'altra chiesa, di fondazione longobarda o carolingia, che forse proprio nell'XI sec. venne intitolata al
vescovo di Vercelli. La chiesa di S. Ilario venne distrutta nel 1789.
Contemporaneamente Anselmo fece una donazione per la costruzione della chiesa di S. Apollinare a Baggio.
La festa di S. Maria Maddalena
Nella contrada del Lauro si festeggiava solennemente sin dal 1061 S. Maria Maddalena, la santa prediletta dai cluniacensi. Le sue reliquie erano custodite
dall'inizio dell'XI secolo a Vézelay, in Borgogna.
Oddone di Cluny scriveva nel IX sec.: "E' a buon diritto che Maria sia qualificata la Stella del mare. Senza
dubbio questo simbolo è particolarmente adatto alla Madre di Dio, poiché attraverso il parto virgineo il Sole di Giustizia ha brillato sul mondo. Ma lo si può applicare anche
a Maria Maddalena, che andò al sepolcro munita di aromi e, per prima, annunciò al mondo lo splendore della Resurrezione". Maria Maddalena incarna la peccatrice
pentita, colei a cui molto fu perdonato perché molto aveva amato, l'apostolo degli apostoli, il primo testimone della Resurrezione.
Vézelay era al tempo di Anselmo uno dei luoghi più importanti della cristianità occidentale, meta di pellegrinaggio fino al 1279, quando il culto si
sposterà a Marsiglia, e punto di raccolta dei pellegrini per Santiago di Compostella.
Data a quest'epoca il ms C 133 inf all'Ambrosiana, elaborato forse nello scriptorium di S. Tecla, che contiene
insieme ad altri testi anche la Vita di Maria Maddalena.
I rapporti con Guido da Velate e la Pataria
Il 13 aprile 1055 venne eletto papa Vittore II, Gebardo vescovo di Eichstadt, lontano parente di Enrico III.
L'anno dopo, in settembre, Anselmo da Baggio fu consacrato ordinario del Duomo da Guido da Velate. Il 15 ottobre dello stesso anno Guido e Anselmo
si recarono a Goslar per il solenne ricevimento tributato a papa Vittore II. In quell'occasione Anselmo venne nominato dall'imperatore vescovo di Lucca, al fine di
controllare l'importante diocesi del marchesato di Toscana, a capo del quale era il conte-marchese Goffredo di Lorena.
In questa frettolosa elezione si è voluto vedere una mossa strategica dell'arcivescovo Guido da Velate per allontanare Anselmo da Milano e distoglierlo
dall'appoggio che avrebbe potuto dare ai Patarini. Secondo la storiografia sette-ottocentesca, a Natale del 1056 Anselmo sarebbe tornato a Milano e qui con Arialdo da Cucciago,
Landolfo Cotta, canonico ordinario, e altri riformisti avrebbe fondato una società, i cui aderenti si obbligavano con giuramento a combattere in tutti i modi, anche a rischio
della vita, il concubinato del clero. Su questa versione, derivata dal cronista Landolfo senior, esprimiamo molte riserve, anche in base alla cronologia degli avvenimenti.
Agli inizi di dicembre Anselmo e Guido erano ancora insieme a Vittore II alla corte di Goslar. Per essersi trattenuti tutti così a lungo, si deve dedurre
che le condizioni di salute del trentanovenne sovrano non fossero buone e infatti Enrico III spirò all'inizio di dicembre, lasciando un bambino di sei anni, Enrico IV, sotto la
tutela della madre Agnese e del vescovo di Colonia Annone. Agnese, che era andata sposa nel 1043, era figlia di Guglielmo il Grande, conte di Poitiers e duca d'Aquitania. I due
milanesi restarono alla corte tedesca fino al 12 febbraio 1057 (quindi a Natale difficilmente erano a Milano) e dal 24 marzo 1057 datano gli atti di Anselmo come vescovo di
Lucca.
La prima predicazione di Arialdo di Cucciago contro il concubinato risale al 1057 e i primi scontri al maggio di quel anno, del tutto imprevisti.
Un vescovo molto diplomatico
Il 1057 fu un anno particolarmente difficile per Anselmo: il nuovo incarico a Lucca, in maggio i violenti disordini patarini a Milano contro l'arcivescovo Guido, la morte di papa
Vittore in agosto. Venne subito eletto col nome di Stefano IX Federico di Lorena, abate di Montecassino, ma soprattutto fratello del temuto marchese di Toscana Goffredo.
E' ovvio che, in assenza di una salda figura a capo dell'impero, il controllo della sede romana passasse al suo rivale politico in Italia. Forse la scelta
scontentò l'imperatrice Agnese, che considerò traditore Anselmo per non essersi opposto: il fatto è che a partire da questo momento il vescovo di Lucca dovette fare i conti
con l'ostilità dell'imperatrice. In effetti Anselmo divenne, insieme a Pier Damiani, a Desiderio di Montecassino e a Ildebrando di Soana, uno degli uomini di fiducia del papa.
In ottobre 1057 il patarino Arialdo dovette presentarsi davanti a papa Stefano per esporre le ragioni della rivolta contro l'arcivescovo Guido. Anselmo
dovette essere presente, insieme a Ildebrando di Soana, per ascoltare le accuse di Arialdo, perché il papa li inviò come suoi legati in dicembre a Milano. Qui Anselmo trovò la
sua città in preda alla guerra civile; non prese però alcuna misura disciplinare contro Guido e i due legati procedettero per la Germania.
La situazione politica stava attraversando un periodo di forti incertezze, quando in marzo del 1058 morì di malaria a Firenze papa Stefano. Mentre a Roma
l'aristocrazia, stanca dei papi tedeschi, eleggeva papa il vescovo di Velletri col nome di Benedetto X, a Milano si riaccendevano più forti gli scontri tra i patarini e il clero
tradizionale. Solo alla fine di dicembre i cardinali, riuniti a Siena, riusciranno a eleggere e imporre Gerardo di Borgogna, vescovo di Firenze e candidato di Ildebrando di
Soana, col nome di Niccolò II. E' la seconda candidatura dell'ambiente del marchese di Toscana e il disappunto dell'imperatrice Agnese aumenta, tanto più che il concilio
laterano riunitosi nel 1059 sgancia l'elezione del papa dall'approvazione imperiale. Viene tradotta in pratica la dottrina agostiniana della supremazia della chiesa celeste su
quella terrena. Agnese convoca una dieta a Worms, che invalida la risoluzione conciliare e contesta l'autorità del papa in materia.
Poi il papa affronta la questione patarina. Il 13 aprile 1059 papa Niccolò tiene a Roma un concilio nel quale si intima ai vescovi di rimuovere i diaconi e
i sacerdoti sposati e di deporre i simoniaci. Vi partecipa ovviamente Guido da Velate coi suoi vescovi suffraganei, che sottoscrivono le risoluzioni. Guido ritorna a Milano
accompagnato dai legati Anselmo da Baggio e Pier Damiani e fa solenne promessa, sottoscritta dal clero ordinario, di rinunciare alla simonia e al matrimonio. Guido accetta anche
di andare in pellegrinaggio a Roma o a Tours o a Santiago di Compostella, sottomettendosi alla flagellazione, imposta da Pier Damiani, che ne dà un'elaborata giustificazione
teologica, sostenendo che è la suprema manifestazione dell'umiltà e dell'amore di Dio, un'imitazione perfetta delle sofferenze di Cristo stesso. La cosa sembrava risolta.
E invece no. Nell'aprile 1060 Arialdo denuncia nuovamente Guido, accusandolo di non rispettare gli impegni presi, e a dicembre Anselmo e Pier Damiani
ritornano a Milano come legati. Fino a questo momento l'atteggiamento di Anselmo non sembra particolarmente severo nei confronti del suo antico alleato Guido, né particolarmente
favorevole ai patarini.
Fondazioni religiose di patrocinio vescovile
Appena assunta la carica vescovile, Anselmo iniziò la ricostruzione della chiesa di S. Alessandro, la più antica
chiesa lucchese pervenuta fino ai nostri giorni con poche modifiche. La chiesa è citata in un documento del 1059 come alle dipendenze di S. Pietro in Vaticano. E' un edificio a
pianta basilicale a tre navate, con una cripta molto interrata, rifatta interamente su una chiesa paleocristiana, della quale vennero riutilizzati capitelli e colonne del IV
secolo. Divenuto papa nel 1061, Anselmo vi fece traslare il corpo di papa Alessandro I (105-115). La possibilità che Anselmo avesse riconosciuto in questo pontefice - almeno in
base ai cataloghi - quelle doti che lo avevano indotto a prenderne il nome come successore, ci permette di spendere due parole anche su questa figura risalente al
paleocristianesimo.
Non esistono documenti storici che lo riguardino, ma solo la tradizione che sottolinea l'importanza del suffragio col quale Alessandro I venne eletto. Prima
di lui il vescovo di Roma era designato dal predecessore, ora gli elettori appartengono al clero romano. Alessandro I era ben introdotto a corte, ma questo non lo preservò nel
115 dalla decapitazione sulla Nomentana, dove la tradizione poneva il suo corpo.
Cosa colpì Anselmo da Baggio nella vita tessuta intorno a questo papa da indurlo ad assumerne il nome e a
dedicargli una chiesa? Si potrebbe vedere una relazione col sinodo lateranense del 1059, proprio l'anno di dedicazione della chiesa lucchese, nel quale papa Niccolò II stabilì
che l'elezione del papa, che fino ad allora seguiva le regole di ogni altra elezione vescovile, fosse riservata solo ai cardinali vescovi e sottoposta poi all'approvazione dei
cardinali, preti e diaconi, mentre al popolo non veniva riservato che un diritto di acclamazione dell'eletto. Le elezioni papali venivano in tal modo sottratte alle ingerenze
dell'aristocrazia romana.
Nel 1060 vennero intrapresi i lavori di rifacimento del Duomo intitolato a S. Martino, forse per ampliarlo. La
consacrazione ebbe luogo nel 1070 alla presenza della contessa Matilde di Canossa, di sua madre Beatrice di Lorena e di ventitre
vescovi, quando Anselmo era già stato eletto papa. La cattedrale aveva una pianta basilicale a cinque navate, preceduta da un atrio e dotata di una cripta, ma non ebbe
terminata la facciata. Una targa commemorava la costruzione: "I fastigi risplendenti di questo eccleso tempio furono innalzati sotto
papa Alessandro II, a cura sua e per gli usi propri e del vescovo. Egli costruì le case, gli edifici adiacenti e le abitazioni ove la terrena potestà ponendo un ospizio
stabilì, sanzionandolo con pena di scomunica, che restasse in eterno. Gettate le fondamenta nel 1060, il tempio è portato a compimento e consacrato alla fine del secondo lustro".
All'interno dell'atrio, sopra l'arco che guarda verso la piazza Antelminelli, è murata una testa di personaggio mitrato ritenuto dalla tradizione Alessandro II.
Anche la chiesa di S. Michele, rifatta nel 1070 per volere di papa Alessandro, era più antica, risalendo all'età
longobarda. La chiesa che si vede oggi mostra ancora l'impianto dell'XI secolo, sebbene la maggior parte dei lavori sia stata compiuta nella prima metà del XII secolo.
Ci si potrebbe chiedere come mai Anselmo, pur da papa, continuò a frequentare Lucca e a consacrarvi chiese. Il fatto è che non lasciò mai la carica di
vescovo di questa città, come si deduce dal suo testamento: morendo, stabilì che il suo episcopato passasse al nipote Anselmo. Forse
papa Alessandro II era, più che simoniaco o nepotista, un epigono del feudalesimo. Il nipote Anselmo, monaco cluniacense educato da Lanfranco di Pavia, rifiutò l'investitura
poiché - da uomo nuovo - riteneva la carica non ereditaria ma elettiva. Solo il 29 settembre 1074 si ebbe la sua consacrazione a vescovo di Lucca e non fu ugualmente un vescovo
popolare.
Papa Alessandro II
Un'elezione contrastata
Il 30 settembre 1061, alla morte di Nicolò II, viene eletto precipitosamente su pressione di Ildebrando di Soana il vescovo di Lucca, Anselmo da Baggio, che
scrive subito una lettera ai suoi concittadini, confidando nella condotta pacifica e nella vita pura del clero. L'augurio dovette suonare come una provocazione al clero milanese,
che si schierò contro questa elezione.
Anche questa volta l'imperatrice Agnese insorse, sollecitando un concilio, che si aprì a Basilea il 28 ottobre
1061: i padri convenuti rifiutarono la scelta del papa, troppo compromesso con i marchesi di Toscana e coi Normanni.
Contemporaneamente una delegazione di nobili romani offriva al giovane Enrico IV le insegne del patriziato romano e lo pregava di usare il diritto che quel titolo gli conferiva
nell'elezione del pontefice. Il concilio si concluse con l'elezione del vescovo di Parma Cadaloo a papa, col nome di Onorio II, riconosciuto anche dall'episcopato milanese.
Anselmo si trovò nuovamente coinvolto in una guerra. La reggente Agnese inviò a Roma il vescovo d'Alba, Benzone, per preparare l'ingresso di Onorio II agli
inizi del 1062. In aprile si arrivò allo scontro aperto e a fianco di Onorio scese in campo oltre all'esercito imperiale, guidato da Agnese, anche l'esercito bizantino, naturale
nemico dei Normanni che sostenevano Alessandro II. Ma la debolezza era proprio a capo dell'impero, perché l'altro tutore di Enrico IV, il vescovo di Colonia Annone, attuò un
colpo di stato facendo rapire l'imperiale famiglia e relegando la scomoda Agnese nel monastero di Fruttuaria.
Ora che non c'era più nessuno alla guida dell'impero, il marchese di Toscana Goffredo poteva diventare l'unico arbitro della situazione politica italiana e
avere sufficiente forza per convincere i due papi a ritirarsi nelle rispettive diocesi di provenienza, Cadaloo a Parma, Anselmo a Lucca, in attesa delle deliberazioni di un nuovo
concilio.
Il 22 ottobre 1062 si aprirono i lavori di un concilio ad Augusta: la spuntò Anselmo, che era rappresentato
dalla foga di Pier Damiani, sostenuto dal marchese di Toscana e dai Normanni, ma soprattutto perché i rapporti di potere in Germania erano cambiati da quando Agnese era stata
esautorata. Il 23 marzo 1063 Alessandro II, scortato da Goffredo di Toscana, poteva entrare a Roma.
Il primo atto di Alessandro è quello di indire nell'aprile un concilio per condannare Cadaloo e rinnovare i decreti antisimoniaci. Per tutta risposta
l'irriducibile antipapa occupò con un esercito lombardo la città leonina e rinnovò ad Alessandro II l'accusa di essere al servizio dei Normanni. Sarà solo a Pentecoste del
1064 col concilio di Mantova, città al centro del territorio degli Atti di Canossa, che si potrà dirimere lo scisma. In una drammatica seduta papa Alessandro II, alle accuse di
simonia e di sudditanza nei confronti dei Normanni, risponde che si discolpa sua sponte, perché il pontefice non è tenuto a giustificarsi davanti a nessuno se non a Dio. Dice di essere stato eletto contro la sua volontà da chi aveva il
diritto di farlo. Comunque sia, ce la fa a relegare il rivale nella sede di Parma, accogliendo anche il riconoscimento di Guido da
Velate dietro pressione patarinica.
Per ringraziamento del sostegno ricevuto dai patarini, Alessandro II consegnerà il gonfalone di S. Pietro a Erlembaldo, stabilendo così i vincoli di una
sorta di vassallaggio spirituale; il campione patarino si legava al papa col vincolo dell'obbedienza, realizzando una trasposizione di rapporti feudali sul piano religioso:
essendo un laico, era autorizzato ad esercitare coercizioni fisiche sui nemici della Chiesa. Nel 1065 era già a Roma a informare il
papa dell'indegna condotta di Guido da Velate, impenitente spergiuro; tanto fece che nel 1066 riuscì a tornare a Milano con le bolle della scomunica del papa contro Guido,
seguito dall'infausta apparizione della luminosa cometa di Halley.
La tragedia patarina a Milano
Alla vigilia di Pentecoste del 1066 l'arcivescovo fece avvisare i cittadini che si trovassero adunati di buon'ora la mattina seguente in S. Tecla. Arialdo ed
Erlembaldo, i capi patarini, non mancarono all'adunata, mettendosi ben in vista.
Guido comparve con le bolle pontefice e cominciò a inveire contro i patarini, perché miravano a sottomettere la Chiesa ambrosiana a Roma,
vanificando quando aveva fatto S. Ambrogio e i suoi successori. Questo era il tasto giusto per i Milanesi, che furoreggiarono contro i sovvertitori della tradizione
ambrosiana. Per far ancora maggiormente colpo, l'arcivescovo si dichiarò disposto a sottomettersi alla maggioranza, pregando quelli che amavano l'onore di S. Ambrogio e di
Milano di uscire dalla chiesa. Il biografo di Arialdo sostiene che se ne andarono settemila persone, mentre in chiesa ne restarono dodici. Così isolati, i patarini erano alla
mercé del vescovo: gli ecclesiastici ferirono a morte Arialdo e i laici si scagliarono contro Erlembaldo che si difese strenuamente, riuscendo a sottrarsi al linciaggio e a
difendere l'amico Arialdo da altri colpi.
I settemila che erano usciti dalla chiesa dovevano essersi rintanati in casa, perché, sparsasi come il vento la notizia della morte di Arialdo, la rivolta
patarina fu cruenta e immediata: saccheggiarono il palazzo vescovile, poi si diressero verso la chiesa davanti alla quale trovarono
Guido che stava montando a cavallo: lo assalirono, lo spogliarono e lo lasciarono a terra tramortito; poi entrarono in chiesa dove trovarono Erlembaldo accanto ad Arialdo,
fortunatamente ancora vivo. Arialdo li trattenne dal compiere ulteriori violenze, inviandoli a pregare sulla tomba di S. Ambrogio, tanto per dimostrare che i patarini erano
fedeli alle tradizioni locali.
Guido, seppur malconcio e ferito nel suo onore, pose la città sotto interdetto finché non fosse stato consegnato Arialdo o almeno finché il patarino fosse
rimasto in città. Cominciò la diaspora di Arialdo finché non venne catturato dai fedeli dell'arcivescovo e assassinato il 28 giugno 1066. La pataria perse così il suo
ideologo e il suo capo. Poco dopo Alessandro II mandò a Milano come legati pontifici Mainardo di Silva Candida e Giovanni Minuto, che sanarono la situazione, lasciando al suo
posto l'impunito arcivescovo Guido.
Nel 1068 Erlembaldo tornò a Roma per denunciare la solita situazione. Questa volta Alessandro II non gli diede retta, era occupato con la ben più grave
questione inglese. Inoltre Guido era vecchio e pieno di malanni e fu felice di rinunciare a favore di un arcivescovo scelto dall'imperatore, l'ordinario Goffredo di Castiglione,
segretario di Guido. Alessandro II non inviò il pallio al nuovo arcivescovo, giudicando simoniaca la nomina. Guido tornò a Milano scortato da Erlembaldo, che lo tenne agli
arresti cautelari nel monastero di S. Celso. L'arcivescovo morì il 23 agosto 1071 a Bergoglio (Alessandria).
Il sostegno a Guglielmo il Conquistatore
Edoardo il Confessore governò sull'Inghilterra dal 1043 al 1066; figlio della normanna Emma ed educato nel suo esilio in Normandia, dimostrò il suo
attaccamento alla stirpe materna nominando suo successore - in mancanza di eredi - il figlio di suo cugino Roberto, Guglielmo il Bastardo.
Alla sua morte, Guglielmo accampò i suoi diritti successori, ma la dieta dei nobili inglesi gli oppose il
sassone Aroldo, cognato del defunto Edoardo. Guglielmo dovette organizzare una flotta per sottomettere i riottosi e sconfiggere Aroldo; l'epopea della conquista è narrata negli Arazzi
di Bayeux, un rotolo di lino ricamato lungo 70 m e alto 0,50 m. Se la conquista fu rapida, le ribellioni durarono anni, finché i Normanni riuscirono a impadronirsi del
governo delle province, delle chiese e delle potenti abbazie.
Come si comportò Alessandro II in questa occasione? Bisogna innanzi tutto premettere che il papato aveva dei
conti aperti con la Chiesa inglese, soprattutto con l'arcivescovo di Canterbury Stigand, che usurpava il seggio, sostenuto da Aroldo. Si poteva quindi appoggiare Guglielmo se
prometteva di rimettere "ordine" nelle cariche episcopali.
Poi Ildebrando di Soana fece il resto: espose al papa tutte le malefatte di Aroldo e della sua famiglia, la loro presunta responsabilità nell'assassinio del
principe Alfredo, fratello di Edoardo il Confessore, la disinvoltura con cui si erano impadroniti nel Wessex di numerosi possessi ecclesiastici, lo spergiuro di Aroldo che si era
impegnato solennemente a rispettare la scelta ereditaria di Edoardo, ecc. Di contro si avevano i Normanni, che avevano disseminato il loro territorio di abbazie riformate, rette
da rigorosi monaci nord-italiani, che Anselmo conosceva personalmente e che avevano sostenuto la sua elezione.
Messa così, la scelta era inevitabilmente a favore dei Normanni. Alessandro II inviò a Guglielmo, per accompagnare la spedizione in luglio contro Aroldo,
lo stendardo di S. Pietro, l'equivalente secolare del pallio, che trasformava la conquista in una sorta di guerra santa, e una preziosa reliquia, un capello di S. Pietro
incastonato in un anello d'oro.
I doni coi quali il nuovo re d'Inghilterra compensò il papa non furono solo spirituali. Alessandro II ricevette una gran quantità di monete d'oro e
d'argento, preziosi paramenti e un vessillo tessuto con fili d'oro, raffigurante un guerriero, che era stato strappato ad Aroldo sul campo di battaglia di Hastings.
Lanfranco primate di Canterbury
Inizialmente Guglielmo fu accettato dalla nobiltà anglosassone laica ed ecclesiastica, né egli cercò di modificare lo status
quo. Nell'autunno 1067 l'unanimità dell'incoronazione era già svanita, l'Inghilterra era tutta in rivolta e la responsabilità venne individuata nei vescovi.
Guglielmo, detto ora il Conquistatore, si affidò diplomaticamente al legato papale per ottenere una decisione politica basata sul diritto canonico. Il riordino cominciò nel 1070 proprio dall'antico punto dolente, dall'arcivescovo di Canterbury Stigand, considerato fulcro della ribellione. Al suo posto venne nominato il riottoso
Lanfranco di Pavia, spinto da Alessandro II che vedeva nel suo antico maestro il suo più valido rappresentante in Inghilterra, arrivando a stabilire il primato del vescovo di
Canterbury su tutti gli altri vescovi inglesi.
Lanfranco scrisse a papa Alessandro II : "Ho accettato, sono venuto,
ho assunto il mio ufficio, però sento, vedo, constato di continuo in diverse persone tali agitazioni, tribolazioni, vessazioni, durezze, avidità, immondezze, e un così grande
declino nella santa Chiesa, da aver a noia la vita e da dolermi d'essere giunto fino a questi giorni. E temo che il futuro sarà ancora peggiore". Donde la richiesta di
essere lasciato libero di ritornare alla vita cenobitica, poiché "da me e per mezzo mio in questa terra non proviene alle anime vantaggio alcuno, e, se mai c'è, è talmente ridotto da non poter essere proporzionato al mio danno"
(Ep. 1).
Ciò nonostante a Canterbury Lanfranco terrà l'episcopato per quasi vent'anni, dimostrandosi il grande ricostruttore della cattedrale, l'instauratore della
comunità monastica della Christ Church, con biblioteca e scriptorium. Sopraviverà al suo potente protettore, Alessandro II, che
morirà nel 1073, lasciando il seggio pontificio a Ildebrando di Soana, Gregorio VII. Lanfranco rimarrà a Canterbury fino al 1089.
Bibliografia
Gli esordi
Corsi M.L., Note sulla famiglia da Baggio (sec. IX-XIII), I vol., contributi dell'Istituto di Storia Medievale,
Università Cattolica di Milano
Dizionario Biografico degli Italiani, voce Baggio, di Cinzio Violante
Gibson M., Lanfranco. Da Pavia al Bec a Canterbury, Jaca Book, Milano 1989
Ritorno a Milano
Ambrosioni A., Gli arcivescovi di Milano e la nuova coscienza cittadina, Bologna 1988
Giulini G., Memorie, I, 616; II, p. 368 (Bibl. Arte)
Lucioni A., La Pataria, in Storia Illustrata di Milano, 1993, pp. 561-580
Mongeri, Nuovi cenni sulla chiesa di Baggio, in Bull. Consulta Archeologica, II, 1875, p. 11
Savio F., Gli antichi vescovi d'Italia dalle origini al 1300. La Lombardia. Parte I, Milano, Firenze 1913, pp.
411-429 (Bibl. Arte 0 763)
Papa Alessandro II
AA.VV., La Pataria. Lotte religiose e sociali nella Milano dell'XI secolo, Novara-Milano 1984
De Bouard M., Guglielmo il Conquistatore, Salerno Editrice, Roma 1989
Rodolfo il Glabro, Storie, note 82-84, p. 331
Tabacco G., Merlo G.G., Il medioevo V/XV sec., Il Mulino, Bologna 1981, pp. 290, 293, 304, 368
Gugliemo il Conquistatore:
http://cla.calpoly.edu/~dschwart/engl513/courtly/will.htm
Ultima modifica: lunedì 29 luglio 2002
mariagrazia.tolfo@rcm.inet.it
inizio pagina
|