Capitolo III
Galeazzo II Visconti (1355-1379)
Imprese:
Tizzoni ardenti con funi e secchi. Motto: “Humentia siccis”
Leone galeato con tizzoni e
secchi. Motto: “Ich hof”
“Ich hof”…. “Perch’io no spero di tornar giammai…” avrebbe potuto tradurre un altro esule famoso, Guido
Cavalcanti, per questo figlio di Stefano Visconti e Valentina Doria. Dieci anni
di esilio trascorsi in terra straniera non lasciavano
molte speranze di tornare, c’era di che ringraziare lo zio Luchino. Ma la triste esperienza fu davvero una grande scuola di vita
per il giovane Galeazzo. Vinto in duello il Conestabile di Borbone – stando a
quanto dice il codice Cremosano [1]
– s’impossessò della sua impresa composta da tizzoni ardenti con funi e secchi
e la trasferì tra le zampe di un leone accosciato e “galeato”. Gàlea in latino
significa elmo, “galeatus” è colui che porta l’elmo:
sotto le sembianza di questo superbo animale si cela quindi Galeazzo che,
umiliato dal dover far dipendere il proprio destino dall’altrui voglia, ha
imparato a controllare l’ardore del proprio temperamento con la freddezza della
ragione (l’acqua contenuta nei secchi). In una parola, ha imparato la
temperanza, dote fondamentale per un politico.
Tavola 6 - Tizzoni ardenti con funi e secchi (a sinistra). Impresa conquistata in occasione del duello con il Connestabile di Borbone e in seguito trasferita tra le zampe del Leone galeato (a destra). Milano, Castello Sforzesco, cortile della Rocchetta.
Buon politico si mostrò al suo ritorno in patria, una volta scomparso
Luchino. Obbedì allo zio, l’abile arcivescovo Giovanni, che suggerì per
Galeazzo e Bernabò il matrimonio rispettivamente con Bona di Savoja e Beatrice
“Regina” della Scala. Assicurata la pace con i due potenti vicini del Piemonte
e di Verona, potè dedicarsi alla costruzione del castello di Porta Giovia,
frapponendo una prudente distanza fra sé e l’esuberanza crudele di Bernabò, col
quale, morto l’altro fratello Matteo, era costretto a dividere il potere.
Preferì custodire moglie e figli nel bel castello di Pavia. Su consiglio del
Petrarca, vecchio ospite ed amico dell’arcivescovo Giovanni, fondò in questa
città un’università ben presto famosa. Avviò una politica di matrimoni regali
che introdussero i Visconti nello scacchiere internazionale: il giovane
Giangaleazzo sposò Isabella di Valois, figlia del re di Francia e signora della
contea di Vertus; Violante convolò a nozze con Lionello duca di Clarence,
figlio del re d’Inghilterra.
Una dolorosa artrite tormentò gli ultimi anni di Galeazzo, accentuando
nei suoi atti quanto di torbido e malfido ci fosse nel
carattere dei Visconti e facendogli tradire l’impegno palesato nella sua
impresa. Oltre alle membra, gli si rattrappì l’animo in una insolita
avarizia: adducendo a pretesto la paura delle congiure, non tenne corte, mal
pagò il personale e le milizie; pur di rastrellar denaro, nell’esercizio della
giustizia privilegiò le pene pecuniarie. Compensò tale avarizia profondendo
somme enormi, non sempre tutte sue, nel gioco dei tasselli e, a dar retta
all’Azario [2], in interminabili opere edilizie che faceva distruggere
al solo scopo di costruirne di nuove, recuperando, ben s’intende, i materiali
di quelle demolite… Lasciò il potere nelle mani di un giovane che stupirà per
l’abilità del calcolo politico.
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