La
riconsacrazione della basilica maior
al S. Salvatore
Con il trasferimento nel 402 della corte imperiale a Ravenna iniziò la
lenta decadenza dell’episcopato milanese, dal quale vennero staccate le diocesi
dell’Emilia, confluite sotto la Chiesa di Ravenna (tranne Piacenza) e le
diocesi del Veneto, rivendicate da Aquileia (tranne Brescia).
Nel 452 Milano subì il saccheggio e l’incendio da
parte delle orde di Attila: non fu
quella distruzione tanto radicale tramandata nella memoria storica, ma il
complesso cattedrale ne uscì molto danneggiato. La basilica doppia o vetus,
che dopo il Concilio di Calcedonia del 432 risulta essere intitolata a S. Maria e al protodiacono
S. Stefano, fu gravemente danneggiata
insieme al battistero e alla domus
episcopi; la basilica maior ebbe
bisogno di interventi nelle coperture lignee incendiate e nella parte absidale,
ma soprattutto a causa della profanazione subita dovette essere riconsacrata nel
453 e dedicata al S. Salvatore. Nel triennio 454-457 i lavori di
restauro vennero sospesi a causa di nuove invasioni e della presenza di Ricimero
a Milano.
I nuovi restauri del
vescovo Lorenzo
Nel 491 Milano fu invasa da
Burgundi e Rugi, chiamati in soccorso dal generale Odoacre, re degli Eruli,
contro i Goti di Teodorico. Ennodio scrive che l’irruzione dei nemici riempì la città di
desolazione e di rovine. Molti abitanti fuggirono, altri furono fatti
prigionieri, tra cui lo stesso vescovo Lorenzo, che patì freddo, ingiurie e
aggravamento degli acciacchi dell’età avanzata. La città era ridotta al
terrore e al disordine: ovunque lutti, un marcire d’immondizia e un ristagnare
d’acqua putrida; le chiese servivano solo per albergare animali, ma ancora una
volta i danni non furono irrimediabili. La
cattedrale, identificata col potere del vescovo, venne intenzionalmente
danneggiata e furono rotte alcune colonne rosse e verdi delle navate.
Terminata l’emergenza, dal 493 al vescovo
Lorenzo spettò il restauro degli edifici religiosi rovinati, anche
grazie alla sovvenzione del vittorioso Teodorico, che mise a disposizione della
Chiesa i beni sequestrati ai milanesi che avevano parteggiato per Odoacre.
L’intervento principale
interessò la cattedrale del S. Salvatore: il pavimento risultò interamente
rivestito di marmi in opus sectile a
formare disegni geometrici, che suddividevano i vari spazi liturgici; al centro
della navata la solea, delimitata da
transenne e ascendente con scale fino al presbiterio, doveva sottolineare il valore
cerimoniale degli ingressi in chiesa del corteo vescovile. La decorazione
risultò così composta:
|
presbiterio: esagoni che
formavano stelle e triangoli in bianco e nero |
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solea: lisca di pesce entro
rinfasci |
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navata centrale: quadrati |
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navata nord: esagoni e
triangoli |
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navata sud: esagoni, stelle
e quadrati. |
I materiali erano il marmo
bianco di Luni e greco, il cipollino, la breccia rossa africana (proveniente
dalle colonne centrali), il verde antico (dalle colonne delle navate laterali),
il nero di Varenna. Per la base della transenna venne riutilizzato materiale
parimenti di spolio, tra cui un blocco di cornice del II secolo d.C., che è
stato ritrovato negli scavi.
L’altare fu ricoperto da un ciborio su colonne.
Al presbiterio furono aggiunti due vani di
servizio (forse due torri) con pavimento in mosaico di reimpiego. La volta venne
realizzata con tubi fittili e il nuovo catino absidale fu decorato con un mosaico,
completato probabilmente da decorazioni e crustae
intorno alla cattedra episcopale, sopra la quale penderà a partire dal secolo
XI una croce contenente la reliquia del Santo Chiodo, importata dall’Oriente cristiano.
Contemporaneamente alla cattedrale, Lorenzo restaurava la basilica baptisteri
ormai nota come battistero di S. Giovanni, usando anche qui le tarsie marmoree
che vediamo esposte nella vetrinetta accanto agli scavi del battistero sotto il
sagrato del Duomo.
S. Uriele
Accanto al battistero di S.
Giovanni alle fonti si ricostruì tra
la fine del V e gli inizi del VI secolo un’aula
triabsidata con laterizi tutti di rimpiego e molto frammentari, che
indicano l’occasione contingente per la sua edificazione, tanto più che dopo
la scomparsa della basilica vetus occorreva reperire altri spazi per
espletare le funzioni prima svolte nella vetus. L'aula venne reimpostata
su una precedente aula quadrangolare, adibita probabilmente per gli
esorcismi e le cresime abbinate ai battesimi, che
forse era dedicata nel V secolo all'arcangelo Uriele.
Questo angelo era venerato soprattutto nell'Oriente siriaco e, data la presenza
del clero siriaco a Milano nel V secolo, è possibile che quando si usò
intitolare le chiese a santi e martiri, la prima dedica fosse stata in onore suo.
Le dimensioni della chiesetta erano modeste, m 20 x 11 (o 14) m, ma funzionando
da consignatorium (spazio per le cresime) sembra più che adeguata. Solo
verso il Mille si iniziò a conferire la cresima in chiesa, per cui il consignatorium
divenne superfluo. E' invece improbabile che l'aula srvisse ai catecumeni,
perché dal V secolo i battezzandi erano ragazzi e il vescovo si era ormai
liberato dal compito dell'istruzione di catecumeni, competentes e
neofiti.
Tra l'aula, il battistero e la basilica si ricavò uno spazio adibito a
cimitero.
Il battistero di S. Stefano
Nel 512 Eustorgio II, greco, è vescovo di Milano. A lui è attribuito il
restauro del battistero della vetus,
che figurava ormai isolato, essendo scomparsa la basilica già intitolata a S.
Stefano: il titolo passò quindi al battistero.
Ennodio, nel verso "De fonte baptisterii sancti Stephani et aqua quae
per columnas venit" celebra la fontana fattavi installare:
“Ecco che qui a cielo sereno piove e l’azzurra volta lascia scendere
l’acqua... e dalla pietra scaturisce l’acqua: da un arido pergolato
zampillano fonti limpide e un’onda celeste scende su quelli che sono
rinati. L’acqua sacra fluisce da cavità eteree per cura del vescovo
Eustorgio.”
Il fondo si sopraelevò di cm 5
e la vasca venne circondata da due gradoni di cm 35 l’uno per sedersi,
lasciando libero il lato est, dove stava in piedi il vescovo che impartiva il
battesimo. L’ingresso era da ovest.
Il ripristino del battistero è conseguente al restauro della canalizzazione
dell'Aqualonga che portava l'acqua in piazza Duomo.
Con la morte di Teodorico nel
526 ricominciano i guai per Milano, perché l'imperatore Giustiniano è deciso
ad eliminare il regno dei Goti. La reazione non tarda a fari sentire e alla fine del 537 il vescovo
Dazio deve abbandonare Milano assediata alla volta di Roma, per invocare aiuto contro i
Goti. L’assedio guidato da Uraja, nipote di Vitige, dura per tutto l’anno
538, con l’appoggio dei Burgundi.
Nell’inverno 539 la città, ormai stremata, viene saccheggiata, rasa al suolo
e le donne vendute come schiave. La tradizione vuole che per qualche anno Milano
fosse cancellata dalla faccia della terra, ma in realtà la distruzione non fu
così drastica, seppur gravissima. Pur rimanendo la metropoli della diocesi, non
si capisce nemmeno più chi è il vescovo, assente da Milano.
La banderuola girò nuovamente a favore dell’esercito imperiale nel
552, quando il generale Narsete riconquistò l’Italia. La tradizione vuole che rifacesse
le mura ovunque fossero state distrutte. A Milano queste nuove mura
vennero arretrate rispetto a quelle romane e fatte passare nell’area
meridionale lungo una linea rintracciabile grazie alla presenza di cappelle,
rimaste successivamente a indicare le torri: la Rotonda del Pellegrini, S. Andrea al muro rotto, S. Giovanni Laterano, S. Zenone, S.
Pancrazio. Queste mura rovinarono molto presto e vennero forse utilizzate
successivamente come deposito di materiali da costruzione, lasciando sussistere
le torri mozzate e trasformate in cappelle.
Nel 569 il re dei Longobardi Alboino
entrò a Milano e il vescovo Onorato fuggì a Genova con il clero maggiore e
l’aristocrazia. I Longobardi non toccarono il gruppo cattedrale cattolico,
ufficiato dal clero minore rimasto a Milano (che prese il nome di decumano),
e costruirono un proprio polo liturgico. La basilica regia longobarda divenne S.
Simpliciano, mentre per il culto dei fedeli ariani si costruì fuori dalle mura la
chiesa di S.
Giovanni in augirolum con annesso battistero,
dove ora si trova la Torre Velasca.
Nel terreno un tempo occupato dalla basilica vetus,
a fianco del battistero di S. Stefano, si ebbero le prime sepolture nell’area
del complesso episcopale, come quella del VI sec. inoltrato di Lucifer aurefix, rinvenuta nella sacrestia aquilonare del Duomo.
L’abbandono dell’area della piazza del Duomo durò
quanto l’esilio del vescovo col clero cardinale a Genova. Possiamo datare la
ripresa, anche rigogliosa, della vita religiosa in questa zona a partire dagli
ultimi decenni del VII secolo, sia con il rilancio del complesso cattedrale, sia
con la costruzione ex-novo di strutture di ricetto e di monasteri.
Il
ritorno del clero cardinale, dopo la conquista della Liguria nel 641, dovette
provocare inizialmente qualche problema gestionale fra il primicerio, il capo
dei decumani, e il vescovo.
Poiché mancava la chiese vescovile, indispensabile al vescovo per le funzioni
giornaliere e private, si costruì la chiesa di S. Michele in sostituzione di
quella di S. Stefano. Si dovette procedere anche alla ricostruzione della domus
episcopi e alla fine si ebbe il complesso di domus e di S.
Michele subtus domum.
Si usa tradizionalmente attribuire la costruzione della chiesa di S.
Michele subtus domum al vescovo Giovanni
Bono, il primo vescovo a far ritorno a Milano, ma morto e sepolto
intorno al 653 a Genova. Sarà l’arcivescovo Ariberto d’Intimiano (1018-1045)
a invenire
il corpo del suo predecessore e a trasferirlo solennemente in quella chiesa.
Nel 679 sappiamo che il vescovo Mansueto indisse un concilio provinciale a
Milano in preparazione del concilio ecumenico di Costantinopoli, ma il centro
religioso era ormai a Pavia e per Mansueto scrisse in greco una lettera
all’imperatore il futuro vescovo di Pavia, Damiano, appartenente a un folto
gruppo di chierici colti di provenienza orientale presenti a Pavia. Il sinodo si
tenne probabilmente nella basilica di S. Salvatore.
Solo nel 691, durante l’episcopato di Benedetto, considerato santo già in vita, la
Chiesa milanese recuperò il suo ruolo eminente, tanto che le
Chiese d’Africa potevano far ricorso a Milano per la ratifica dei propri deliberati,
in base a procedure risalenti all’epoca di S. Ambrogio.
Alla
morte di re Ariberto nel 661, i figli Bertarido e Godeperto si contesero la
successione. Il primo, Bertarido (o Pertarido), aveva sede a Milano ed era
gradito sia al papa che all’imperatore; il secondo, Godeperto (o Godeberto),
aveva sede a Pavia e rappresentava il partito autonomista longobardo, al quale
aderiva anche Grimoaldo, duca di Benevento. Questo partito, di fede ariana, era
disposto ad appoggiare la montante potenza dell’Islam contro Bisanzio per
assicurare l’indipendenza e forse un’ulteriore espansione in Occidente ai
Longobardi.
Il duca di Benevento, Grimoaldo, mestò nel torbido e, fingendo di appoggiare
segretamente entrambi i fratelli, riuscì ad estrometterli, uccidendo Godeperto,
ma lasciandosi sfuggire Bertarido, che gli lasciò la famiglia in ostaggio.
Bertarido trovò rifugio prima presso il khan degli Avari, quindi
alla corte della regina Batilde di Neustria, reggente per il figlio
Clotario III.
Per legittimare la sua presa di potere, Grimoaldo sposò la sorella di
Bertarido, Teodora Wigelinda, che si
vide imposta dalle circostanze l’assassino di suo fratello Godeperto e
l’aguzzino della famiglia dell’altro.
Bertarido, sfuggito più volte a
tentativi di eliminazione, dopo la morte di Grimoaldo nel 671 ritornò
dall’esilio e, con l’aiuto dell’ormai ventenne Clotario
III, si installò a Milano, da dove contese il trono al nipotino
Garibaldo. Anche la sorella Wigelinda doveva essere eliminata dalla competizione
dinastica, senza però che le fosse arrecato alcun danno: la regina vedova e
deposta ottenne a Milano un terreno a nord dell’area episcopale, presso il
Compito, dove fondò un monastero
intitolato a S. Maria, dotato di una chiesa intitolata come al solito al S.
Salvatore. Erano anni terribili, infestati da due gravissime epidemie di
peste nel 676-677 e nel 680, forse un’unica grande epidemia con diverse
recrudescenze. La vita del monastero poteva rappresentare un’isola di
sicurezza, una zona al riparo dal contagio, appetibile per molte nobildonne.
Sul monastero non si hanno molte notizie. Lo vediamo citato per la prima volta
nel testamento del vescovo Garibaldo di Bergamo il 20 marzo 870.
Avviandosi alla fine della sua dominazione, il regno
longobardo aveva prodotto a Milano una fioritura di chiese e un ripopolamento
che venne immortalato intorno al 720 da re
Liutprando in un ritmo che porta il titolo di Versum de Mediolano civitate. La descrizione che viene fatta della
città è fondamentale per renderci conto della sistemazione urbanistica della
zona da noi studiata:
1. Vi è in Italia una città nobile ed ampia
che fin dall’antichità porta il nome di Milano. Mirabili sono i lavori
edilizi su cui saldamente si innalza.
3. E’ circondata da torri elevate e coperte con tetti: all’esterno sono
decorate con sculture di gran pregio, mentre verso l’interno vi si trovano
addossati vari edifici.
6. Splendido è l’edificio dell’arengo
e tutto il reticolato stradale è perfettamente lastricato in pietra; la
città riceve l’acqua per i bagni
attraverso un acquedotto.
Dal Versum noi
sappiamo che intorno agli inizi dell’VIII secolo l’antico santuario celtico
era ancora riconoscibile come “edificio
dell’arengo”, ovvero cittadella circondata da mura e utilizzata ancora per le riunioni
pubbliche e le emergenze difensive.
Sappiamo altresì che l'acquedotto dell'Aqualunga era ancora funzionante e riforniva
d’acqua oltre i battisteri anche alcuni bagni pubblici a sud della cattedrale.
Il brefotrofio
Il controllo demografico e la tragedia umana della soppressione dei neonati
sono due temi sociali e morali che attraversano probabilmente la storia
dell’intera civiltà. Il problema venne vissuto come tale dall'arciprete Dateo,
che il 22 febbraio 787 fece un
singolare testamento fortunatamente pervenutoci:
"Dateo, arciprete della santa Chiesa milanese, figlio del magescario
Damnatore, con l’aiuto della divina misericordia vuole stabilmente fondare
in questa città di Milano, presso la chiesa cattedrale, un brefotrofio come
opera di santa pietà cristiana.
Se mai dovesse capitarci di contaminare lo splendore dell’anima nostra a
causa delle passioni carnali che provengono da molti comportamenti
riprovevoli, è molto utile che cominciamo a purificare l’anima da ogni
contagio di male, sforzandoci di esercitare molte opere di misericordia,
cosicché quel particolare peccato
che consiste nell’uccidere su istigazione del demonio fanciulli innocenti,
a sua volta sia vinto da precise opere di giustizia, e possano vivere grazie
ad un atto di clemenza quei bambini a cui, con un atto di crudeltà, è
diventato consuetudine il negare lo stesso diritto alla vita. (...) infatti
le donne che hanno concepito in seguito a un adulterio, perché la faccenda
non si sappia in giro, uccidono i propri figli appena nati e così li
mandano all’inferno senza il lavacro battesimale. Questo avviene perché
non trovano un luogo dove possano conservarli in vita, tenendo nascosta nel
contempo l’impura colpa del loro adulterio; allora li gettano nelle
cloache, nei letamai e nei fiumi.
Pertanto io, Dateo, confermo attraverso queste disposizioni che
sia istituito un brefotrofio per i bambini nella mia casa e voglio che
questo brefotrofio sia posto giuridicamente sotto la potestà di S.
Ambrogio, cioè del vescovo “pro tempore”. Voglio inoltre che ne sia
rettore l’arciprete della santa Chiesa milanese, per il fatto che tale
casa è adiacente alla chiesa ed egli possa senza fatica accorrere
all’ufficiatura sacra.
Voglio inoltre e stabilisco quanto segue: (...) che si provveda a stipendiare
regolarmente alcune nutrici che allattino i bambini e procurino loro la
purificazione del battesimo. Finito il periodo dell’allattamento, i
piccoli vi dimorino ininterrottamente per
sette anni, ricevendovi adeguata educazione
con tutti i mezzi necessari; lo stesso brefotrofio fornisca loro vitto,
vestiti e calzari.
Per quanto riguarda l’amministrazione
complessiva di questa nostra istituzione, tre quarti dei lasciti e
dei redditi del brefotrofio siano destinati a chi di volta in volta sarà
preposto alla sua conduzione, a titolo di ricompensa personale, per
mantenere chi vi presta servizio ed infine per le strutture murarie e le
opere di illuminazione dell’edificio
intitolato a S. Maria Mater Dei, edificio che, con l’aiuto della
Provvidenza, ho intenzione di costruire
come luogo di vita comune."
Nel secolo XI l’edificio venne abbellito con mosaici,
disgraziatamente persi, che avevano come protagonisti bambini. Alla metà del
XII secolo il brefotrofio era alle dipendenze amministrative dell’ospedale di
S. Stefano in Brolo.
La prima canonica degli ordinari e S. Salvatore in xenodochio
Il testamento di Dateo così continua:
"Nello stesso brefotrofio trovino ospitalità, in
una sala riservata che ho intenzione di edificare, tutti quelli che, fra i
presbiteri dell’ordine cardinale, vogliano riposarvi, in modo che possano
essere pronti, senza impedimento alcuno, all’ufficiatura notturna che si
celebra in chiesa."
Dateo riuscì nel suo intento e a fianco della “sala”
venne costruita anche una cappella dedicata al S.
Salvatore, che occupò secondo la tradizione locale - riportata da Carlo
Torre - l’area che un tempo fu
del Capitolium,
che se non era scomparso era ormai ridotto a un rudere. Non deve stupire
l’incuria in cui venne lasciato il tempio: anche in altre città il fatto di
essere stato il principale tempio pagano non gli conferì uno statuto
privilegiato fra i santuari cristiani.
La chiesetta di S. Salvatore era davvero modesta e come tale viene descritta
ancora nelle visite dei Borromeo, che riportano l’iscrizione sepolcrale di
Dateo, scritta in mosaico sul pavimento:
Sancte memento Deus
quia condidit iste Datheus
Hanc aulam miseris auxilio pueris
La chiesa non
sfuggì all’impresa di restauro del Richini e ai successivi abbellimenti
barocchi con stucchi dorati, venendo soppressa nel 1808 e demolita con tutto
il complesso nel 1814 per la costruzione del teatro Re (dal nome dell’impresario).
A sua volta il teatro, progettato da Luigi Cagnola, cadde per lasciar posto
alla Galleria Vittorio Emanuele.
Andrews David, Milano altomedievale sotto piazza Duomo, in Atti X
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Bauerreiss R., Stefanskult und fruehe Bischofstadt, Muenchen 1963
Brandeburg Hugo, La scultura a Milano nel IV e V secolo, in Millennio ambrosiano,
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Fiorio Maria Teresa, S. Salvatore in xenodochio, in Le chiese di Milano, Electa,
Milano 1985, p. 230
Perring D., Lo scavo in piazza Duomo: età romana e alto medioevo, in Scavi MM3,
vol. I, pp. 237-261
Piva Paolo, La cattedrale doppia, Pàtron Editore, Bologna 1990
Tabacco Giovanni, Milano in età longobarda, Atti X Congresso Studi Alto
Medioevo, Spoleto 1986, pp. 19-43
Ultimo aggiornamento: martedì 23 luglio 2002
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