Il Palazzo della Prefettura al Monforte
e il governo del Regno lombardo-veneto
di Paolo Colussi
Origine e successive trasformazioni
La zona del Monforte, il suo stesso nome, richiamano epoche molto lontane. In questa zona, fuori dalle mura romane, lungo una strada secondaria che uscendo
da porta Orientale si dirigeva verso est, per ordine dell’arcivescovo Ariberto furono bruciati gli “eretici di Monforte”, e da allora il nome rimase legato
indissolubilmente a quest’area periferica della città. Più tardi, agli inizi del XIII secolo, vi si stabilirono i Poveri Cattolici, un gruppo di derivazione valdese che aveva
accettato le regole della Chiesa. Non conosciamo la sorte di questo gruppo religioso, che comunque presto scomparve. Sappiamo invece che nell’area del “prato comune”, che
si trovava fuori dalla cerchia dei navigli, tra la strada del Monforte e il borgo di Porta Orientale, si stabilirono gli Umiliati (vedi
) con case maschili e femminili che
facevano capo alla chiesetta di San Pietro in Monforte o “ecclesia sororum de monte fortis”.
Dopo la soppressione
degli Umiliati la chiesa e l’annesso monastero ospitarono la Scuola di San Biagio trasferitasi da San Primo e poi, nel 1616, passarono ai padri Somaschi (vedi ).
I padri Somaschi, a detta di
Carlo Torre (Ritratto di Milano, pp. 290-1) ristrutturarono il monastero ma lasciarono intatta l’antica chiesetta “angusta, e senza rinnovellamento alcuno, con
soffitta di legno”. Il nuovo cortile dei Somaschi, costruito poco prima del 1683 e tuttora esistente, doveva servire anche da Collegio. Il Latuada (Descrizione di Milano,
I, pp. 233-4 nella riedizione del 1995) dice che i padri nel 1735 avevano “aperta interinalmente una Cappella nel loro Collegio con idea di rifabbricare più alta di
pavimento, e più maestosa per disegno ed ornamenti la Chiesa”. Questo passo potrebbe spiegare forse un piccolo mistero finora non indagato. Nella veduta del Barateri la
chiesetta si trova a destra del cortile, mentre nel disegno del Filippini per il Censimento (1722) e nella conseguente pianta di Marcantonio Dal Re (1734) la chiesa compare sulla
sinistra. Si tratta forse della nuova cappella provvisoria costruita mentre si cercavano i fondi per la nuova chiesa? La nuova chiesa però non verrà mai costruita, mentre i
padri Somaschi passeranno nel 1778 nel più ampio convento di San Gerolamo a Porta Vercellina.
Nel
1782 la chiesa e il Collegio vengono venduti all’avvocato Giovan Battista Diotti, dilettante di architettura, che demolisce la chiesa e completa il cortile con un primo e un
secondo piano nei quali spiccano per la loro originalità le cariatidi che reggono il cornicione. A destra e a sinistra del grande cortile sono predisposti due appartamenti
eguali per i due fratelli Diotti, serviti ciascuno da un cortiletto di servizio. L’originalità non si spinge fino alla facciata che si presenta con i consueti moduli
neoclassici. I lavori sono conclusi prima del 1785. Circa vent’anni più tardi, nel 1803, il Diotti vende per 350.000 lire il palazzo allo Stato che lo utilizza come sede del
Ministero degli Interni e della Giustizia del Regno d’Italia napoleonico. Nella Guida di Milano del 1808 viene indicato come sede del Senato Consulto. Clemente Isacchi e Andrea
Appiani ne decorano le volte della sala e dell’antisala. Altre stanze ricevono una decorazione consona alle nuove funzioni assunte dall’edificio.
L’Imperial Regio Palazzo di Governo
La patente del 7 aprile 1815, sulla base dei paragrafi 93, 94, 95 e 96 del Trattato di Vienna, costituisce il nuovo Regno Lombardo-Veneto facente parte
dell’impero austriaco. Il re del Lombardo-Veneto è lo stesso imperatore Francesco I, rappresentato da un viceré che risiede alternativamente a Milano e a Venezia. La linea di
demarcazione tra la parte lombarda e quella veneta del regno è fissata sul Mincio.
Le competenze del viceré sono molto modeste, il suo potere più simbolico che reale. Le due regioni hanno invece ciascuna un proprio governo e distinti
organismi amministrativi. Di fatto i rapporti tra Lombardi e Veneti durante tutto il periodo della Restaurazione saranno molti scarsi e improntati da una reciproca indifferenza.
Possiamo tranquillamente prescindere da quanto avveniva in questo periodo a Venezia. La Lombardia è un piccolo Stato autonomo dal Veneto con un proprio governo dipendente da
Vienna.
Il governo della Lombardia
Nella
famosa giornata del 20 aprile 1814, dopo l’assalto al Palazzo del Senato, nasce la Reggenza provvisoria lombarda, prima costituita solo da rappresentanti milanesi e poi
allargata ai rappresentanti dei dipartimenti lombardi di Como, Bergamo, Cremona, Brescia, Mantova, Novara e Sondrio. I membri milanesi erano: Giberto Borromeo, Alberto Litta,
Giorgio Giulini, Giacomo Mellerio, Carlo Verri, Giovanni Bazetta e Domenico Pino. Tranne il rappresentante di Novara, tutti i membri della Reggenza erano nobili. Viene scelto
come sede il palazzo ex Diotti del Monforte anziché il Palazzo del Senato per marcare anche fisicamente la chiusura di un’epoca e l’inizio di una nuova stagione politica.
Primo scopo della Reggenza, in attesa delle decisioni dei vincitori, è quello di tentare con l’appoggio dell’Inghilterra la carta dell’indipendenza. Vengono inviati a
Parigi Federico Confalonieri, G. Luca Somaglia e Alberto Litta per esplorare questa possibilità, ma è subito chiaro che l’Inghilterra non è disponibile a battersi per questo
obiettivo. Del resto la divisione all’interno della Reggenza tra “austriacanti” e “italici puri” è più apparente che reale, la grande maggioranza considera necessaria
la protezione austriaca e concepisce l’indipendenza come un fatto più amministrativo che politico.
Alla fine di luglio vengono smantellati i ministeri del Regno d’Italia, molti funzionari ex bonapartisti sono messi a riposo, ma i più validi rimangono,
grazie soprattutto alle pressioni del generale Bellegarde che comandava l’esercito austriaco in Italia e svolgeva le funzioni del governatore. Sempre in luglio a Vienna è
costituita la “Commissione aulica di organizzazione centrale” per mettere a punto l’assetto amministrativo del nuovo Regno. La Reggenza invia a Vienna Giacomo Mellerio e
Alfonso Castiglioni per seguirne i lavori. Il dibattito che si viene a creare all’interno della Commissione e tra questa e i milanesi è decisivo per le future sorti della
Lombardia. La Reggenza è orientata verso una marcata autonomia dall’Austria e il ripristino dei poteri dell’antico patriziato lombardo, in sostanza verso un ritorno
all’epoca di Maria Teresa. Nella Commissione aulica l’orientamento è più “moderno”, alcuni si rifanno alle riforme di Giuseppe II (il generale Bellegarde), altri
addirittura propongono di conservare gran parte della struttura napoleonica che aveva abolito completamente i poteri dell’antico patriziato urbano. La vittoria alla fine sarà
di questi ultimi, malgrado tutti i tentativi di capovolgere la situazione effettuati dal Mellerio che spese una fortuna donando stecche di cioccolata a tutte le persone influenti
della capitale austriaca.
In
sintesi, si giunse ad abolire ogni potere delle oligarchie cittadine sui territori circostanti, che rispondono solo allo Stato. La giurisdizione delle città si estende per un
raggio di sole 4 miglia. Per sottolineare questa differenza rispetto al passato, si stabilisce che il podestà non può più essere anche presidente della Congregazione
municipale. Ogni città, borgo o villa è amministrato da una Congregazione municipale i cui membri sono nominati dal Governo su terne proposte dai maggiorenti locali.
Conclusi i lavori della Commissione aulica, nel gennaio 1816 la Reggenza è collocata a riposo, il 21 aprile viene nominato governatore il conte Saurau ed è
istituito il nuovo Consiglio di governo, sempre con sede al Monforte. Per sottolineare l’importanza della nuova istituzione si incarica l’architetto Gilardoni di arricchire
il portale del palazzo con quattro colonne doriche scanalate che reggono il balcone.
Il nuovo Consiglio di Governo è così composto:
1 Governatore (Saurau)
1 Vicepresidente (Mellerio)
1 Consigliere aulico
9 Consiglieri (dei consiglieri della Reggenza solo tre sono riconfermati - Paolo De Capitani, Giovanni Bazetta e Giacomo Mugiasca -, alcuni dei primi
consiglieri di tendenze “italiche” si erano ritirati in precedenza dalla politica)
11 Segretari; 12 Vicesegretari; 14 Praticanti di concetto; 1 Direttore di protocollo; 1 Direttore degli espediti; 15 Cancellisti; 10 Accessisti; 1
Direttore di registrature; 10 Registranti; 2 Accessisti di Registratura; 2 Portieri; 7 Inservienti di cancelleria.
Le competenze del Governo riguardavano la censura, l’amministrazione generale del censo e delle imposizioni dirette, la direzione delle scuole, i lavori
pubblici, le nomine e il controllo delle amministrazioni provinciali.
Accanto al Governo, ma dipendente direttamente da Vienna, c’era il Magistrato camerale dal quale dipendevano il monte lombardo-veneto (già
monte napoleone), zecca, lotto, intendenza di finanza, cassa centrale, fabbricazione di tabacchi ed esplosivi, uffici delle tasse e dei bolli, stamperia reale, ispettorato dei
boschi e agenzia dei sali. Il Magistrato camerale aveva gli uffici a Palazzo Marino e negli edifici circostanti.
Altri uffici dipendenti da Vienna erano: l’Ufficio della Contabilità (Palazzo del Senato) e la Direzione generale della Polizia (via Santa
Margherita). Attraverso questi due uffici l’impero si garantiva il controllo assoluto su tutte le attività lombarde.
Nel corso del 1816 viene anche definito l’ordinamento provinciale e municipale con le relative Congregazioni. La Congregazione Municipale di Milano
era nel Broletto nuovissimo (via Broletto, ex palazzo Carmagnola) e si componeva di un Podestà, di 6 Assessori e 60 Consiglieri. Il Podestà veniva nominato dal re su una terna
proposta dal Consiglio comunale. Il municipio doveva provvedere alla polizia locale, alla manutenzione degli edifici comunali e delle chiese parrocchiali che non avevano altre
entrate, alle strade interne e agli stipendi dei propri dipendenti. Poteva integrare le entrate statali con una propria entrata. Inizia la sua attività il 12 aprile 1816.
Alla fine del 1817 Vienna crea la Cancelleria Aulica con presidente il Saurau e agli inizi del 1818, con la nomina a vicerè dell'arciduca Ranieri, fratello
dell'imperatore, e del conte Giulio di Strassoldo a governatore l'ordinamento del regno può dirsi completato. Ci si è arrivati attraverso tante ansie, incomprensioni, litigi,
speranze di miglioramenti o di impossibili ritorni al passato. Ormai è tempo di mettere una pietra sopra a tutto questo e di pensare al futuro. E' questo il senso del titolo
"Il Conciliatore" che viene dato al nuovo giornale che un gruppo di giovani romantici pubblica a partire dal 3 settembre di quello stesso 1818, accompagnando
l'iniziativa con una serie di nuovi progetti per la città di Milano, primo fra tutti il nuovo centro commerciale ("bazar") da costruirsi all'inizio della Corsia
del Giardino (via Manzoni). Anche l'acquisto della nuova sede della Società del Giardino in via San Paolo (21 giugno 1818) rientra in questo programma conciliante del governo.
Ancora dopo la chiusura del Conciliatore (17 ottobre 1819) ci sarà spazio per alcuni importanti tentativi di introdurre a Milano interessanti novità da
parte del Confalonieri e da Luigi Porro Lambertenghi: le scuole di mutuo insegnamento, gli esperimenti con il gas illuminante, l'introduzione della navigazione a vapore sul Po e
sui laghi.
Dall'estate del 1820, invece, dopo la rivoluzione di Napoli e i moti in Emilia, inizia la repressione di tutto e di tutti, che arriva al suo culmine dopo
l'aprile del 1821 quando anche dal Piemonte arrivano le notizie della sconfitta degli ufficiali che chiedevano la Costituzione al giovane e titubante Carlo Alberto.
Va ricordato che proprio il 24 aprile, pochi giorni dopo il crollo delle ultime speranze di un futuro migliore, Alessandro Manzoni inizia a scrivere le prime
pagine di Fermo e Lucia. Il suo pessimismo crescerà ancora dopo il 5 maggio, quando riceverà dalla censura un premuroso invito a non pubblicare il suo celebre Inno a
Napoleone e lo vedrà poco dopo circolare per Milano, venduto sottobanco dagli stessi funzionari che ne avevano impedito la stampa.
Negli anni seguenti la situazione è stagnante. Sotto la cupa sorveglianza della polizia, poche novità positive si alternano a sospetti e repressioni. Nel
1831 il vecchio generale Radetzky assume il comando delle truppe austriache nel Lombardo-Veneto. Pensava di essere stato collocato a riposo in una tranquilla periferia
dell’impero e invece stava per diventare il salvatore dell'Impero.
Alla morte di Francesco I nel 1835 gli
succede il figlio Ferdinando e i milanesi ricominciano a sperare. Si inizia a progettare la ferrovia Ferdinandea da Milano a Venezia, si lavora per allargare la Corsia dei Servi,
ribattezzata Corso Francesco, da San Babila partono gli Omnibus per Monza. Nel 1839, per la protezione accordata alla città durante la grande epidemia di colera degli anni
precedenti, si inizia a costruire la chiesa di San Carlo al Corso, il maggior monumento del neoclassicismo della Restaurazione.
Questi pochi anni di attenuazione del controllo poliziesco fanno subito emergere l’impossibilità di una pacifica convivenza tra il governo austriaco e le
forze più vive della città. La voce del “Politecnico” di Carlo Cattaneo e della “Rivista Europea” di Carlo Tenca stridono troppo con gli intoppi e le incertezze della
burocrazia del lombardo-veneto e di Vienna. Il coro del Nabucco di Giuseppe Verdi il 9 marzo 1842 sembra suonare la sveglia per tutti, compresa la chiesa, narcotizzata da
25 anni di permanenza a Milano dell’arcivescovo Carlo Gaetano Gaysruck. Quando entra a Milano nel settembre 1847, il nuovo arcivescovo Bartolomeo Romilli viene accolto con un
entusiasmo più che sospetto che costringe la polizia ad intervenire provocando un morto e numerosi feriti.
Il 18 marzo 1848
Il Governo della Lombardia, passato nel 1830 dallo Strassoldo allo Hartig, è stato assunto nel 1842 dal conte di Spaur, ma è il vicepresidente O’Donell
che assiste impotente alla fine della lunga e poco edificante storia dell’ultimo Governo della Lombardia.
Il dottor Carlo Osio nel suo opuscolo Alcuni fatti delle cinque gloriose giornate pubblicato nel 1848 e riprodotto in F. Della Peruta, Milano nel
Risorgimento, pp. 209-223, racconta con ricchezza di particolari questo importante avvenimento:
"Fu poco dopo il mezzogiorno che, quale impetuoso turbine che di repente s'innalza foriero
di terribile tempesta, fu veduto un generale allarme in tutta la città; le botteghe venivano chiuse tutte quante, le porte delle case assicurate, chiuse persino molte delle
imposte delle finestre; era un muto bisbigliare d'intorno, un affaccendarsi improvviso, un così generale trambusto, che avresti detto vicino il momento del tanto temuto
saccheggio. Recatomi immantinenti a casa, e munitomi di pistole, stiletto e bastone ferrato, mi portai in compagnia di alcuni, fra quali mio fratello il cittadino ragioniere
Enrico, di nuovo verso Porta Orientale, e di là, seguendo l'avanguardia della corrente, ci avviammo all'ex Palazzo di Governo. Ivi giunto appena (era un'ora dopo mezzogiorno),
udii i primi colpi vibrati dai nostri alle guardie di presidio che ne stesero morti due, e due ne ferirono, mentre gli altri colla fuga camparono la vita; un primo colpo diretto
dalla sentinella andò fortunatamente fallito. Questo primo fatto fu il vero segnale della più accanita lotta che andava cominciando, fu la prima scintilla di un fuoco che,
coperto di cenere, non mai spento era solo soffocato da leggi di ferro; fu il primo colpo lanciato contro la statua di Nabucco. In un baleno tutto che avea di impronta tedesca
venne spezzato in mille modi; le garette fracassate, la tanto temuta griffagna portata a scherno in trionfo fra le imprecazioni di tutti; i cappotti ed i berrettoni dei morti e
dei feriti infilzati sopra le bajonette tolte ai nemici giravano già per le contrade primi trofei di una completa vittoria che ci attendeva. A colpi di bastone spezzate le
impennate che conducono allo scalone, in un momento la folla si innoltrò negli appartamenti mettendo a soqquadro tutte le carte, e portando il terrore nelle stanze medesime, da
dove poco prima come da centro si spargeva su tutta la città. Ma ecco arrivare una carrozza; mille voci proclamano essere quella del Podestà, e già si stava per staccarne i
cavalli volendo noi stessi condurlo trionfalmente in palazzo: era invece il cittadino Guerrieri che si recava per dare o ricevere istruzioni; poco dopo comparve quella
dell'Arcivescovo che conduceva questo insigne prelato dall'ex vice governatore per intercedere in favore del suo popolo; ornata dei colori nazionali eccitò tale un entusiasmo
da non potersi descrivere. Accompagnato il nostro Arcivescovo in palazzo, fui tra i primi a dare le disposizioni per costruire le barricate, barricate di gloria immortale ai
Milanesi che valsero a salvare la Patria da non saprei quale terribile eccidio! In poco più di mezz'ora ne furono allestite cinque, una cioè verso i bastioni, una subito dopo
il palazzo verso il ponte, una al ponte e due nella contrada della Passione, ed a costruire le quali si adoperarono come primi materiali tutte le carrozze, carri, caretti, tavole
ec. trovati nel palazzo stesso ed appartenenti ai nostri oppressori."
La
presenza dell'emissario del podestà Gabrio Casati (o secondo altri dello stesso Casati) e dell'Arcivescovo non servì dunque a calmare gli animi né a contenere la rivolta. Il
vicepresidente O'Donell venne fatto prigioniero e portato a palazzo Vidiserti in corso Monte Napoleone. Prima di uscire dal palazzo Enrico Cernuschi costrinse il vicepresidente a
firmare tre decreti: licenza d'armarsi alla guardia civica, abolizione della polizia, consegna delle armi della sua guardia e di ogni suo potere al municipio. Si proclamò quindi
subito un Governo provvisorio che mise fine al Governo austriaco, che finì com'era cominciato, con una sommossa.
Il nuovo Governo provvisorio, alla fine delle Cinque Giornate, scelse come nuova sede Palazzo Marino per non confondersi con il precedente.
Con il ritorno degli Austriaci non ci sarà un governo fino all'ottobre 1849 quando Radetzky diventerà Governatore generale del Lombardo-Veneto restando però
a Verona.
Nel dicembre 1851, per conferire al regno un minimo di struttura amministrativa, vennero create al posto della soppressa carica di vicerè, due Luogotenenze
a Milano e a Venezia. Tornarono ancora in uso le sale del palazzo del Monforte come sede governativa anche se ormai era scomparsa ogni traccia di autonomia lombarda. E tale, si
può dire, è rimasta la situazione in seguito. Ancora oggi nel palazzo c'è il rappresentante del Governo, il prefetto, ma Milano dal 1859 ha cessato di essere la capitale del
suo territorio.
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Ultima modifica: lunedì 29 luglio 2002
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