Il teatro milanese di Cletto Arrighi
di Paolo Colussi
I teatri di prosa a Milano
I primi teatri di prosa vengono costruiti a Milano agli inizi dell’Ottocento in piena epoca napoleonica utilizzando per
lo più edifici religiosi abbandonati in seguito alle riforme giuseppine o alle soppressioni effettuate durante la prima Repubblica Cisalpina.
Nella ex chiesa dei Santi Cosma e Damiano sorge il Teatro Patriottico poi Filodrammatici.
Nell’ex monastero di Santa Radegonda (dov’è oggi il Cinema Odeon) viene inaugurato nel 1803 il Teatro di Santa Radegonda. Nello
stesso anno, nell’area dell’ex monastero di San Lazzaro, Luigi Canonica costruisce il Teatro Carcano. Nel 1805 anche il monastero
del Lentasio è trasformato in Teatro del Lentasio e nel 1813 l’impresario Carlo Re inaugura il Teatro
Re nella ex chiesa di San Salvatore in Xenodochio che si trovava nella soppressa Contrada dei Due Muri, all’incirca dov’è oggi via Silvio Pellico. Infine nel 1815 il
Canonica ristruttura l’ex Oratorio del Bellarmino che diventa il Teatro Fiando.
A queste iniziative più durature si affiancano teatrini di fortuna costruiti in legno alle porte della città e
destinati a spettacoli più popolari.
Durante la Restaurazione ben poco si aggiunge a quanto già realizzato all’inizio del secolo. Nel 1832 viene inaugurato
il Teatro della Commenda, poi demolito all’apertura dell’ultimo tratto di via Lamarmora, e si apre il nuovo
Teatro di San Simone nella ex chiesa dei Santi Simone e Giuda, oggi Teatro Arsenale. Nel 1858 l’industriale Carlo Fossati costruisce il Teatro
Fossati.
Con l’unità d’Italia, i grandi lavori di riassetto della città portano ad alcune trasformazioni. Nel 1864, in vista
dei lavori di costruzione della Galleria Vittorio Emanuele, viene aperto il Teatro Nuovo Re in via Vetere. Nel 1868, per aprire piazza
Beccaria, viene demolito il Teatro Fiando sostituito dal vicino Teatro Gerolamo del Mengoni. Nel 1872 il vecchio Teatro Re viene
demolito e l’attività si sposta nel nuovo Teatro della Commedia (poi Manzoni) in piazza
San Fedele, dov’è oggi la Banca Nazionale del Lavoro. Nello stesso anno viene inaugurato il Teatro Dal Verme, dedicato soprattutto
alla lirica. Due anni dopo inizia la sua breve attività il Teatro Castelli in via Palermo. Alla fine del secolo Giuseppe Pirovano
costruisce il Teatro Eden in Foro Bonaparte, l’ultima importante realizzazione poco prima dell’arrivo del cinematografo, che nel
Novecento prenderà sempre più il sopravvento sul teatro, sottraendogli quasi tutti i suoi spazi.
Nascita e trionfi del Teatro Milanese
Nell’autunno del 1864 viene deciso di trasferire la capitale del regno d’Italia da Torino a Firenze. E’ difficile
oggi rendersi conto del trauma che questa decisione provocò a Torino e a Milano, antiche capitali che si videro relegate in secondo piano e che subito si prefigurarono una loro
inevitabile decadenza. A Torino ci fu una sollevazione popolare, Milano inventò per consolarsi il termine tuttora in auge di “Capitale morale”. Il trasferimento a Firenze
significò anche una massiccia operazione culturale, perfettamente riuscita, che mise la Toscana al centro della storia politica, artistica e letteraria d’Italia. Anche il
Manzoni fu indotto dalla “cricca fiorentina” a scrivere il suo Dell’unità della lingua e dei mezzi di diffonderla (1868) a
sostegno di questa operazione.
In
questo clima polemico esplose a Milano nel 1867 una polemica contro alcuni intellettuali che invitavano a bandire il dialetto milanese dal teatro e dalla vita. I più accesi
sostenitori del dialetto come fulcro dell’identità storica dei lombardi furono Camillo Cima e Carlo Righetti, in arte Cletto Arrighi.
Camillo Cima, nato a Milano nel 1827, dirigeva dal 1863 “L’Illustrazione italiana” dei Fratelli Treves, un
settimanale di grande successo e sarà in seguito il più attivo collaboratore del giornale satirico “L’Uomo di pietra”. L’Arrighi, nato nel 1830, aveva acquistato nel
1863 una certa notorietà con il romanzo La Scapigliatura e il 6 febbraio sulla fallita rivoluzione mazziniana del 1853.
Entrambi questi scrittori, intervenendo efficacemente nella polemica sul dialetto, propugnano la nascita di una nuova
letteratura teatrale in milanese capace di rilanciare questo tipo di spettacolo che languiva ormai da decenni con gli ultimi Meneghini, stanche ripetizioni del celebre
personaggio inventato alla fine del Seicento da Carlo Maria Maggi. Rispondono alle accuse di scarso patriottismo ricordando che anche Cavour sosteneva il nuovo teatro dialettale
piemontese, che stava riscuotendo molto successo con Monsù Travet del Bersezio.
Non ci volle molto per passare dalle parole ai fatti: nel 1869 Camillo Cima riunisce alcuni attori dilettanti
nell’Accademia del Teatro Milanese, una compagnia dialettale che debutta il 16 maggio al nuovo Teatro Gerolamo con una commedia del Cima, El
zio scior, proseguendo la sua attività al Fossati e al Carcano con altri testi dialettali del Cima e del Tronconi.
L’Arrighi non è del tutto d’accordo con l’operazione del Cima e pensa ad un repertorio teatrale che non utilizzi
solo testi originali, ma possa allargarsi anche a rifacimenti di opere in lingua, italiane e straniere. Così alla fine del 1869 inizia ad organizzare un proprio teatro
dialettale con tanto di testi, attori e teatro propri: è l’inizio del Teatro Milanese.
Il Teatro Milanese in corso Vittorio Emanuele n. 15
Dietro la casa d’abitazione che si trovava in corso Vittorio Emanuele 15, in
un’area dov’è oggi il cinema Apollo, in un vecchio padiglione dove si vendevano mobili, un certo signor Cattaneo allestisce un caffè-concerto con palco per
l’orchestra che diventa subito il ritrovo di signorine poco raccomandabili. Nel 1869, visto il successo della prima compagnia milanese, viene attrezzato a teatro con un
palcoscenico e un sipario, disegnato da Eugenio Perego e Giuseppe Tencalla, nel quale si vedeva Meneghino che apriva il sipario e diceva alla giovane commedia dialettale:
“Adess mia tosa tocca a tì”. Sullo sfondo la Piazza del Duomo. Per entrare nel teatro si doveva attraversare l’androne della casa. L’Arrighi, per realizzare il suo
programma affitta per dieci anni nel 1870 questo teatrino che veniva chiamato Padiglione Cattaneo e lo battezza Teatro Milanese.
Vengono creati dei palchi-barcacce e una lobbia. Sul boccascena si scrivono le parole del Maggi: “In del voster lenguagg i bei penser” e ai lati del palcoscenico si dipingono
due figure femminili rappresentanti la Musica e la Danza. La cospicua cifra di 35.000 lire (circa 700 milioni di oggi) necessaria per l’operazione proveniva in parte dalle
tasche dell’Arrighi che aveva ricevuto una grossa eredità da uno zio, da una sottoscrizione pubblica patrocinata dal sindaco Belinzaghi e da prestiti.
Mentre
i lavori procedevano, l’Arrighi raduna una compagnia di attori non professionisti tra i quali spiccavano Edoardo Ferravilla, Gaetanio Sbodio, Edoardo Giraud e Giuseppina
Giovanelli. La pubblicità era assicurata da “Cronaca grigia” un inserto del giornale “Il Secolo” curato dall’Arrighi, che si arricchisce con la rubrica Tra
un atto e l’altro che riporta i programmi del Teatro Milanese.
L’avventura comincia il 19 novembre 1870 con la prima rappresentazione di El
barchett de Boffalora, un adattamento in milanese della commedia Cagnotte di Labiche. L’insuccesso iniziale della commedia non
scoraggia affatto l’Arrighi che anzi fa scrivere sulle locandine “Replica a grande richiesta” e continua a rappresentarla apportando continue modifiche. E il successo
infatti arriva, superando ogni previsione. La commedia, ben nota ancora oggi a molti milanesi, supererà le mille repliche, merito soprattutto di un’idea dell’attore
Milanesi, che suggerì di accentuare i lati grotteschi della recitazione. Il Teatro Milanese diventa subito un posto frequentato con piacere da tutti i milanesi. Anche la
principessa Margherita, la futura regina, si fa vedere spesso a teatro accompagnata dal sindaco Belinzaghi. Gli attori, superati i primi imbarazzi, acquistano sempre più
sicurezza e i loro nomi cominciano a circolare per la città. Nell’ottobre 1872, quando va in scena la commedia Nodar e perucchee
dell’Arrighi, il pubblico va in visibiglio per il personaggio del sur Pedrin di Ferravilla, la prima di una serie di macchiette
comiche che faranno la fortuna dell’attore per tutta la sua lunga carriera.
Edoardo Ferravilla
Edoardo Ferravilla nasce a Milano il 18 ottobre 1846 dal nobile Filippo Villani e dall’attrice Luisa Maria Ferrari. Il
nome che adotterà nasce dunque dalla fusione dei cognomi dei genitori. Non essendo stato riconosciuto dal padre, cresce con la madre che muore quando Edoardo è ancora un
ragazzo. Viene allora affidato al tutore Giacomo Viglezzi, un ragioniere che amministrava il Teatro Re. Il ragazzo trascorre anni felici con la nuova famiglia, che gli è
affezionata, e che, finiti gli studi, lo inserisce nel proprio studio amministrativo, una pratica che gli sarà molto utile in seguito quando dovrà amministrare la propria
compagnia teatrale. Abitava allora al n. 5 di via Principe Umberto (oggi via Turati) nell’appartamento a fianco di quello occupato da Arrigo Boito.
Il grande amore per il teatro induce Edoardo nel 1870 ad accettare l’offerta dell’Arrighi di entrare nella nuova
compagnia del Teatro Milanese dove da principio recita in parti che non lo convincono molto. Il successo, come abbiamo detto, arriva nel 1872 quando inventa la figura comica del
sur Pedrin. Dopo questo primo personaggio, Ferravilla ne inventa molti altri che lo accompagneranno nella sua lunga carriera senza stancare mai il pubblico. I principali tra
questi personaggi sono i seguenti:
El
sur Pedrin. Mamo, imbecille innamorato di una bella che lo prende in giro.
Marinelli
della Class di asen. Un ragazzo cresciuto troppo presto, idiota e presuntuoso, precocemente voglioso.
Maester Pastizza.
Un musicista che dice di essere l’ispiratore delle musiche più belle, ma sa poco di musica.
Sur Panera.
Un vecchio timido e tuttavia spavaldo.
Gigione.
Un cantante sfiatato, millantatore, sempre in cerca di scritture.
El dottore Pistagna.
Furbo, che sa il fatto suo e sa ingannare gli altri.
Zio Camola.
Bietolone di campagna, è facile dargliela ad intendere ed è lo zimbello di tutti.
El sur Pancrazi
della Luna de mel. Personaggio più tragico che comico. Marito sfortunato.
Sindech Finocchi
dalla Statoa dei sur Incioda del Fontana o Sindech
Bertold. Sono due balordi, funzionari da operetta con alcune differenze tra l’uno e l’altro.
Tecoppa,
l’ultimo personaggio elaborato dal Ferravilla e quello più caratteristico. “Uomo strisciante coi ricchi, superbo coi poveri, gaudente e nemico del lavoro”. Il nome viene
dalla sua frase ricorrente “Dio te coppa!”. Beve continuamente grappa.
Tutte queste figure comiche vengono elaborate tra il 1872 e il 1874. Il Tecoppa nasce nel giugno 1874 dalla commedia I
duu ors di Edoardo Giraud e ottiene subito un successo strepitoso. Tutto il 1874 è un susseguirsi di successi, il Teatro Milanese diventa l’unica consolazione dei milanesi
in questi anni dominati da una grande crisi economica e dalle pesanti tasse di Quintino Sella. Sempre in quest’anno inizia la sua carriera teatrale un altro celebre personaggio
della commedia dialettale: l’attrice Emma Ivon.
Una storia nella storia: il romanzo di Emma Ivon
Emma
Allis, in arte poi Emma Ivon, nasce a Milano il 16 novembre 1850. La famiglia abitava nell’attuale Corso Venezia 15, la casa con lo stipite della porta sbrecciato dalla
cannonata durante le Cinque Giornate. Il padre era il pittore Alessandro Allis, fervente mazziniano, la madre Stefania Michon, figlia del generale napoleonico Michon e di
Antonietta Ivon.
Stefania Michon, la madre di Emma, era cresciuta a corte con una zia arciduchessa, dama d’onore di Maria Elisabetta di
Savoia, sorella di Carlo Alberto e moglie dell’arciduca Ranieri. L’arciduchessa veniva
chiamata “Semiramide in ciabatte” perché girava in pantofole per il Palazzo Reale ed era ossessionata dalla figura storica di Maria Antonietta. Durante le Cinque Giornate
era “sicura” che le avrebbero tagliato la testa.
Sposata al pittore Allis, Stefania rimane presto vedova con due bambine, Emma e Bianca. Per vivere gira molte località
liguri e piemontesi esercitando il “sonnambulismo”, organizzando cioè sedute spiritiche nelle quali faceva la medium. La accompagnano due fedeli seguaci, una greca e una
russa, che in famiglia veniva chiamata, chissà perché, la “newyorkese”. Con lo spostamento della capitale a Firenze, nel 1865, Emma e tutto il gruppo (la sorella Bianca nel
frattempo era morta) si trasferiscono a Firenze per perorare un sussidio in memoria dei meriti patriottici del padre defunto. Entrano così in contatto con il conte Castiglioni,
marito della celebre contessa di Castiglione, che propone alla famiglia (ma qui mancano notizie più precise) di assecondare il desiderio del re di prendere Emma come amante.
Emma aveva 15 anni, Vittorio Emanuele ne aveva 45 ed era vedovo ma in procinto di risposarsi con la sua Rosina. Emma è un capriccio che va avanti comunque per ben nove anni.
Vittorio Emanuele si premura anche di procurare un marito ad Emma, che nel 1867 sposa A. Pessina, l’amministratore della tenuta reale di Sala Baganza vicino a Parma. Il
matrimonio dura pochissimo ed Emma, che abita un lussuoso appartamento in piazza Barbano a Firenze, conduce una vita dispendiosa sperperando i regali del re e di tutti coloro
che, suo tramite, cercavano favori a Corte. Non le mancano neppure le occasioni per incontri amorosi, proprio sotto il naso del sovrano ha una relazione con il suo Aiutante di
Campo. All’inizio del 1874, il re è ormai al Quirinale, la relazione si interrompe ed Emma torna a Milano con la madre stabilendosi, guarda caso, in un bell’appartamento di
corso Vittorio Emanuele 36, di fronte alla Galleria De Cristoforis. Per distrarsi frequenta il Teatro Milanese e in maggio accompagna un’amica che voleva diventare attrice ad
un’audizione dall’Arrighi. L’amica non ha fortuna, ma Emma colpisce l’impresario che la convince a cimentarsi nella nuova carriera di attrice. Poiché aveva perso
l’accento milanese, scrive per lei una commedia dove compare una ragazza toscana da poco trapiantata a Milano, che parla quindi il milanese con accento fiorentino. La commedia
va in scena il 31 gennaio 1875 e dopo qualche serata incerta ottiene grande successo ed Emma Ivon, che aveva preso il cognome della nonna come nome d’arte, diventa la prima
donna della compagnia e un’ideale compagna di Ferravilla.
Le avventure però non sono finite, vedremo più avanti un altro episodio famoso (e drammatico) che la ebbe come
protagonista.
L’apogeo del teatro dialettale
Prima lite in famiglia: Ferravilla e soci lasciano l’Arrighi
Anche nel 1876 continua il grande successo del Teatro Milanese, persino Giuseppe Verdi con l’amico Arrigo Boito va a
vedere le commedie milanesi divertendosi molto alle battute di Ferravilla. Dietro le scene però, si stanno addensando nubi temporalesche. I litigi tra l’Arrighi e gli attori
della compagnia si fanno sempre più aspri e frequenti, soprattutto per motivi economici.
L’Arrighi sperpera gli incassi giocando e spesso non paga gli attori. Per
racimolare altri soldi, arriva persino ad utilizzare un telone pubblicitario che calava tra un atto e l’altro. Un’idea dell’impiegato comunale Giuseppe Azzimonti che
diventerà presto un famoso agente pubblicitario. L’iniziativa solleva grande indignazione tra gli amanti del teatro.
Nell’aprile del 1876 si arriva alla rottura definitiva. Gli attori della compagnia lasciano l’Arrighi e fondano la
Compagnia Ferravilla-Sbodio-Giraud che debutta in settembre al teatro Commenda, per poi proseguire le recite in altri teatri, compreso il Milanese, che l’Arrighi, privo ormai
di un proprio gruppo deve subaffittare. La nuova compagnia, amministrata per qualche mese dal vecchio amministratore dell’Arrighi, alla morte di quest’ultimo viene
amministrata dallo stesso Ferravilla che mette ottimamente a frutto l’esperienza fatta in gioventù presso lo studio del tutore.
Il processo contro Emma Ivon
I grandi successi di questi anni sono funestati però da un improvviso dramma, nel quale si scatenano le gelosie degli
esclusi. Nel 1879 in seguito ad alcune denunce anonime alcuni giornali accusano la Ivon, che viene subito arrestata con la madre da un solerte pubblico ministero. La situazione
è molto pasticciata, ma lo scandalo è enorme e dilaga su tutta la stampa. La Ivon è accusata da una levatrice di aver simulato la maternità e di essersi fatta consegnare una
bambina non sua per estorcere denaro al suo “protettore”, il signor G.S.
Il pubblico ministero procede all’arresto sulla base di questa denuncia senza compiere ulteriori accertamenti, ma viene
subito smentito da G.S. che afferma di poter attestare che la maternità è autentica e riconosce la piccola Maria come propria figlia. Il pubblico ministero allora cambia
l’imputazione in “falsa maternità o procurato aborto con sostituzione della bambina” nel tentativo di salvare capra e cavoli. L’accusa non regge ed Emma viene assolta
con formula piena, ma nel frattempo la stampa l’ha abbondantemente infangata. A capo di questa campagna denigratoria troviamo i nemici della Compagnia Ferravilla: Camillo Cima
che sul suo giornale l’Uomo di Pietra la chiama “Nanà seconda” con riferimento alle dubbie doti morali dell’eroina di Zola.
L’Arrighi scrive addirittura un romanzo - Nanà a Milano - una specie di continuazione del romanzo francese. Altrettanto scatenato è
Paolo Valera che pubblica anche lui un racconto contro l’infelice attrice. Solo Ferravilla è decisamente
dalla sua parte durante tutta la vicenda, assistendola non solo moralmente, ma mettendo anche ordine nella sua disastrosa contabilità. Il Ferravilla risponde anche con le sue
battute ai denigratori provocandoli pubblicamente. Celebre il suo intercalare “Va là, va là, Valera!”, al quale Valera risponde
con insulti che gli costeranno una condanna per calunnia per sfuggire alla quale deve riparare nel 1884 in Francia e poi in Inghilterra.
Anche la Ivon, dopo l’assoluzione, fa sentire la sua voce. Nel 1883 esce un libro - Le
confessioni di Emma Ivon - scritto da un letterato fiorentino che si firma Baron Cicogna su suggerimento di Renato Fucini. Nello stesso tempo scrive di suo pugno il romanzo
autobiografico Quattro milioni promettendo un successivo Tenebroso intrigo che non vedrà
mai la luce.
I capolavori
Passata
questa tempesta, la compagnia riprende i suoi successi, riprendendo le vecchie commedie e aggiungendone sempre di nuove, per lo più farse di scarsissimo valore letterario ma
gradite ad un pubblico in cerca di facili distrazioni. I tempi però stanno cambiando. Negli anni ‘90 si stanno affermando nuovi movimenti popolari di ispirazione socialista e
repubblicana che premono per avere una propria voce anche in campo artistico. Il più sensibile a queste novità è l’attore Gaetano Sbodio, che nel 1890 fonda con Carnaghi (il
figlio del portinaio di corso Vittorio Emanuele 15 cresciuto tra gli attori e diventato anche lui un valido interprete del teatro dialettale) una compagnia che debutta con Ona
scena della vita, la prima commedia in dialetto di Carlo Bertolazzi. Naturalmente è più facile aver successo
facendo ridere che facendo piangere, e così la vita della nuova compagnia è molto travagliata, con ripetuti rientri dello Sbodio nella compagnia di Ferravilla. I tentativi
comunque si ripetono e nasce un nuovo repertorio dialettale di impronta naturalistica al quale collaborano il Rovetta, l’Arrighi, Illica e Bertolazzi che scrive per la
compagnia Sbodio-Carnaghi i Benis de spos (1891) , El nost Milan (1893) e la Gibigianna
(1898), i capolavori del teatro dialettale milanese moderno.
Il declino
La rivolta del 1898 e la repressione del generale Bava Beccaris tolgono ai milanesi per un bel po’ la voglia di ridere.
Non c’è stato un grande ricambio di attori e gli storici protagonisti del Teatro milanese stanno avvicinandosi ai sessant’anni e cominciano a mancare. Nel 1899, dopo una
lunga malattia, muore a Genova la Ivon. Gaetano Sbodio, colpito dalla cecità, deve lasciare le scene e trascinerà ancora per molti anni un’esistenza misera e infelice. Lo si
vedrà periodicamente in via Olmetto 6 accompagnato da un nipote per riscuotere il sussidio della Congregazione di Carità. Cletto Arrighi muore nel 1904, seguito poco dopo da
Camillo Cima (1908) e da Edoardo Giraud (1912).
Anche Ferravilla in questi ultimi anni ha rallentato la sua attività, che continua tuttavia a riscuotere il favore del
pubblico. Vive serenamente con la famiglia nella sua casa di via Cesare Correnti e riesce negli ultimi anni a lasciarci anche una traccia della sua arte accettando l’offerta
della Musical Film di Luca Comerio di filmare alcune delle sue più celebri interpretazioni: La class di asen, El
duell del sciur Panera e Massinelli in vacanza, tutti del 1914. Muore il 26 ottobre 1916 ed è sepolto al Monumentale nella sua
“villetta”, come era solito dire mentre andava a sorvegliare i lavori della cappella che si era premurato per tempo di farsi costruire.
Ultime vicende dell’edificio di Corso Vittorio Emanuele 15
Nel
1902 si decide di demolire lo stabile di corso Vittorio Emanuele 15 per costruirvi il nuovo e lussuoso Albergo Corso. Anche il Teatro Milanese dov’essere smantellato e
sostituito da un nuovo locale. Per l’occasione i superstiti della vecchia compagnia teatrale si ritrovano per un’ultima recita d’addio. Pochi anni prima, nel vecchio Teatro
Milanese era già accaduto un evento inquietante: per
alcune serate, dopo gli opportuni adattamenti, in quella sala era stata presentata per la prima volta al pubblico la nuova invenzione dei fratelli Lumière, una curiosità che
sembrò allora molto effimera tanto da essere subito dopo relegata in un baraccone da fiera a Porta Genova.
Nel nuovo progetto di Angelo Cattaneo e Giacomo Santamaria per l’Albergo Corso era comunque previsto di mantenere la
vocazione teatrale di quel posto e quindi, dov’era il Teatro Milanese, venne creato un grande salone che serviva da sala da pranzo e da locale per spettacoli: il
Trianon. Chiamato la “bomboniera” per il colore rosa dei suoi arredi, il Trianon, gestito per molti anni dal deputato Achille Mauro, fu sede ininterrotta di spettacoli
d’arte varia. Marinetti e Mussolini furono assidui frequentatori di quel ritrovo che fu per qualche anni la fucina del movimento futurista. Nel 1935, ultimo sprazzo di gloria,
il Trianon tenne a battesimo “La Madonina” di Giovanni D’Anzi durante un festival della canzone napoletana organizzato in quel teatro.
Sotto il Trianon, venne creato un
altro grande locale, il Tabarin, che poi diventò il Pavillon dorè, con i telefoni bianchi sopra ogni tavolo, meta preferita dai giovanotti bene della Milano tra le due guerre.
Nel 1938, le leggi per la difesa della lingua costrinsero il Trianon a chiamarsi Mediolanum, ma ormai era diventato anche lui un cinematografo, come molti altri vecchi teatri
milanesi. Danneggiato dai bombardamenti, l’albergo e il teatro vennero completamente demoliti dopo la guerra e sostituiti nel 1954 dal palazzo della Fondiaria Assicurazioni e
dalla nuova Galleria De Cristoforis. Dov’era il Teatro Milanese e il Trianon c’è oggi il cinema Apollo. La facciata liberty dell’albergo è stata ricomposta nella vicina
piazza Liberty, completamente deturpata dall’apertura di 14 nuove finestre dove c’erano originariamente dei pieni e modificata anche nell’altezza.
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Inizio
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Ultima modifica: martedì 30 luglio 2002
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