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I cimiteri milanesi

 di Mauro Colombo

Amorino dormiente (XVII sec., Castello Sforzesco

 

 

Si va.
Che paesaggio confortevole!
Le tombe sfilano a schiere,
battaglioni di tombe, reggimenti di tombe!
Essi erano, penso.
Con tanti morti in giro
ti prende un’intima allegrezza dell’esser vivo.

da Ore di città di Delio Tessa
(Torino, Einaudi 1988, p. 133)

 

All’epoca dello storico Bernardino Corio[1], come egli stesso lasciò scritto, la città aveva molti piccoli cimiteri, e per l’esattezza: tre camposanti nel Brolo (ad uso della chiesa di Santo Stefano e di due ospedali limitrofi), uno di fronte la basilica di San Lorenzo, detto della cortina[2], uno in san Pietro in campo lodigiano, uno di fronte la chiesa di Santa Eufemia. Altri quattro erano presso la chiesa di sant’Antonio, presso san Carpoforo, presso Santa Maria della Scala, e l’ultimo nell’attuale zona retro-absidale del Duomo, un tempo detta del Campo Santo[3].

Mentre l’Ospedale maggiore, la Ca’ Granda voluta da Francesco Sforza, che aveva iniziato a ricoverare ammalati nel 1464, provvedeva a seppellire i morti direttamente all’interno dei propri spazi (chiostri, cortili, sotterranei), ma già nel 1473 segnalava alla città di avere seri problemi di reperimento di adeguati spazi. Ciononostante, le sepolture interne continuarono senza sosta, come risulta anche leggendo i testamenti che i ricoverati spesso facevano predisporre chiamando al capezzale un notaio.[4]

 

La rotonda di San Michele “ai nuovi sepolcri”

La Rotonda della Besana

Quando l’Ospedale non fu più in grado di reperire all’interno ulteriori spazi di sepoltura (e considerando che la situazione igienico sanitaria era divenuta comunque intollerabile a causa del fetore di decomposizione dei morti ivi inumati) si optò per la costruzione di un apposito e distante sepolcreto finalizzato ai soli cadaveri della Ca’ Granda, stabilendo contestualmente la proibizione di effetturare ulteriori sepolture interne.

La zona per il camposanto fu scelta il più vicino possibile al nosocomio, pur restando dallo stesso e dalle abitazioni della zona adeguatamente separato. Per raggiungerlo, fu costruito il ponte detto dell’Ospedale, che scavalcava il naviglio interno (oggi via Francesco Sforza) e quindi predisposto un rettifilo (oggi via San Barnaba e via Besana) che conducesse celermente alla località prescelta.

I lavori per il cimitero, che prese il nome di Nuovi Sepolcri (ma comunemente detto dai milanesi “Foppone dell’ospedale”), iniziarono nel 1695 e, procedendo celermente, consegnarono alla città un razionale camposanto che venne utilizzato a partire dei primi mesi del 1700.

Nel 1713 Attilio Arrigoni progettò la chiesa centrale, dedicata appunto a San Michele, mentre per aversi l’attuale recinto porticato si dovette attendere il 1725.

La Rotonda, oggi detta di via Besana, funzionò per circa 82 anni, accogliendo all’anno una media di 1500 morti, per un totale approssimativo di ben 126.000 sepolture.

Nel 1809 Eugenio di Beauharnais volle trasformare la Rotonda in pantheon del Regno d’Italia (la cui capitale era appunto Milano) e incaricò il Cagnola di studiarne le dovute trasformazioni. Il progetto tuttavia naufragò, e ben presto lo spazio dell’ex cimitero finì con l’ospitare gli ammalati contagiosi, e ciò fino a quando venne aperta la moderna struttura sanitaria del Derganino, nel 1896.

 

I cimiteri tardo-settecenteschi

Nella seconda metà del Settecento, sia per l’accrescimento considerevole del numero degli abitanti sia per una diversa volontà del governo di gestire le problematiche di polizia mortuaria, nel rispetto di regole più severe e nel solco tipicamente austriaco di meglio organizzare gli aspetti della vita cittadina, a Milano vennero allestiti 5 nuovi cimiteri.

A questi si affiancarono altre piccole zone di sepoltura, quasi tutte aperte all’inizio del 1700, che per dimensioni e scarso utilizzo non possiamo tuttavia definire propriamente cimiteri cittadini. Volendo tuttavia, per completezza, dare contezza anche di questi ultimi, li passiamo brevemente in rassegna:

- uno in via S. Nicolao, contiguo ad un magazzino, utilizzato per seppellire i soldati deceduti durante l’assedio al Castello del 1707;

- altri due, sempre adibiti ad accogliere i soldati morti nel medesimo fatto d’armi, localizzabili il primo al ponte di porta Vercellina e il secondo tra il ponte dei Fabbri e via san Vittore;

- quello dei padri teatini in porta Comasina, presso la chiesa di sant’Anna;

- un quinto fuori porta Tenaglia presso sant’Ambrogio ad nemus;

- uno contiguo al pulvinare dell’Arena.

Infine, sparsi per la città, si contavano diversi ossari, che custodivano i resti dei cadaveri riesumati nei casi di svuotamento e soppressione di antichi cimiteri, o in caso di chiusura dei tanti piccoli ospedali, prima della loro soppressione e riunificazione all’interno dell’unica struttura della Ca’ Granda. Tra questi, il più famoso e tutt’oggi visitabile è quello presso San Bernardino, in piazza santo Stefano. Una lapide ricorda “Date et dabitur vobis” (vedi).

La chiesa di S. Bernardino alle Ossa (esterno)La chiesa di S. Bernardino alle Ossa (interno)

 

 

 

 

 

 

 

 

Cimitero di San Rocco al Vigentino

Il cimitero di S. Rocco nel 1884 (ormai abbandonato)Chiusa la Rotonda di San Michele, immediatamente l’Ospedale Maggiore acquistò nel 1783 due lotti di terreno fuori porta Romana, a sinistra dell’attuale corso Lodi. Permutato poi parte di tale spazio con un ulteriore appezzamento contiguo al fine di rendere più regolare la forma del nuovo camposanto, i morti cominciarono ad essere seppelliti il 9 marzo 1783. Il cimitero fu detto di San Rocco, e con il trascorrere degli anni venne ingentilito da alcune cappelle e da altri lavori di semplice architettura, relativi alla cinta muraria e ai locali di servizio.

A causa del suo utilizzo anche da parte del Comune dei Corpi Santi (o meglio, di quelle zone dei Corpi Santi vicine a questo cimitero), presto il San Rocco divenne insufficiente, tanto più quando venne rimpicciolito al fine di agevolare il passaggio della nuova strada di circonvallazione, tracciata tra le porte Romana e Ticinese. Venne pertanto chiuso nel 1826. Trovarono comunque sepoltura, durante le Cinque giornate del 1848, alcuni soldati austriaci uccisi in uno scontro avvenuto poco distante.

Nel 1875 vennero sollecitati i lavori di bonifica dell’area: si traslarono, quando possibile, i cadaveri nel nuovo cimitero di Musocco, e si recuperarono i monumenti e le lapidi in buone condizioni.

Cimitero del Gentilino

Questo nuovo cimitero, aperto al servizio nel 1787, altro non era se non l’espansione e la riqualificazione del vicino e antico cimitero di san Rocco al Gentilino (non ci si stupisca del fatto che il nome di san Rocco ricorra così spesso: come ricorda il Latuada, era usanza aversi una cappella o una chiesa dedicata a questo santo presso ogni ingresso delle città, con la speranza di essere aiutati nel tener fuori la peste). Il vecchio foppone era tristemente famoso per essere stato allestito in grande fretta durante la pestilenza del 1576.

Il foppone del Gentilino durante la peste del 1576

La nuova struttura di forma rettangolare era identificabile nel quadrilatero oggi compreso tra le vie Tantardini-Tabacchi-Balilla-Baravalle.

Venne aperto in fretta e con pochissimo dispendio di denaro, tanto che a lavori ultimati il nuovo cimitero appariva tremendamente squallido e privo di qualsivoglia elemento artistico o decorativo. La scarsezza qualitativa dei materiali edili e i lavori in economia costrinsero peraltro la municipalità ad intervenire più volte con lavori di straordinaria manutenzione. Solo nel 1820 iniziarono ad essere elevate alcune cappelle per sepolture di famiglia e ordini religiosi, che col tempo divennero sedici.

La chiesuola annessa venne abbellita nel 1830, e successivamente si tracciarono alcuni vialetti interni.

Dopo il 1867 iniziarono, per varie ragioni, chiusure a singhiozzo, anche a causa delle lamentele avanzate dagli abitanti delle case, sempre più vicine e costruite senza il mantenimento delle aree di rispetto contigue.

Alcune interruzioni temporanee furono dovute alle epidemie di colera, e a quella vaiolosa del 1888-1889. Venne definitivamente soppresso il 22 ottobre 1895, e subito iniziò lo svuotamento delle fosse, con trasporto dei cadaveri presso il nuovo cimitero di Musocco.

Il cimitero del Gentilino all'epoca della soppressione

Cimitero di San Gregorio

Il foppone di S. Gregorio durante la peste del 1576

Aperto nel 1787 grazie all’ampliamento e alla razionalizzazione del vecchio foppone ove ebbero sepoltura i primi morti della peste del 1576, si estendeva dietro il Lazzaretto, avendo l’entrata sulla via San Gregorio, ed estendendosi in profondità sino all’attuale via Boscovich.

I lavori vennero anche in questo caso fatti in grande economia, tanto da necessitare negli anni successivi di continui lavori di consolidamento e ripristino prevalentemente della cinta muraria, famosa in città per essere soggetta a piccoli crolli ad ogni forte temporale estivo o periodo di frequenti piogge autunnali.

La così poco solida recinzione venne un po’ alla volta ricostruita integralmente, e nel 1857 furono altresì appaltati i lavori per il suo innalzamento a metri 3,85, al fine di potervi collocare un maggior numero di lapidi.

Nel 1866, aperto il Monumentale, questo cimitero venne prima destinato ad accogliere i morti del comune dei Corpi Santi, poi, unificatisi i due enti territoriali nell’unico comune di Milano nel 1873, il cimitero venne riaperto ad accogliere i morti della zona nel 1875. Chiuso poi definitivamente il 31 agosto 1883, e svuotato a partire dal decimo anno successivo (come da regolamenti di Sanità Pubblica), l’area venne adibita ad accogliere nuovi palazzi e vario tessuto urbano.

Il cimitero di S. Gregorio all'epoca della soppressione

Cimitero di San Giovannino alla paglia (o di Porta Magenta)

Si trovava a sinistra uscendo da porta Vercellina, e quando questa prese a chiamarsi porta Magenta, anche il cimitero venne identificato con questo nome fino alla sua chiusura. Occupava l’area subito fuori dal bastione spagnolo che si trovava dove oggi si è creata la piazza Aquileia.

Il cimitero di Porta Magenta all'epoca della soppressione

Anche in questo caso si trattava già di un piccolo cimitero, che venne ampliato e riorganizzato nel 1787. Si estendeva in forma rettangolare avendo al centro l’attuale incrocio tra le vie Verga e Giovio, a sinistra raggiungeva quasi il tracciato ferroviario che scorreva sull’attuale asse di via Alessandri. Nel 1825 venne ingrandito, e continuò ad essere utilizzato ininterrottamente, senza particolari vicende, sino al 1868, quando fu adibito ad accogliere solo i morti del comune dei Corpi Santi. Anche in questo caso, avendo la Municipalità fatto male i conti, dal 1875 venne ripristinato per accogliere tutti i morti della zona. Cessò la sua funzione il 30 novembre 1895, e dal giorno successivo i morti che vi erano destinati per territorialità vennero inumati a Musocco.

A testimonianza della sua esistenza, sulla piazza Aquileia si affaccia un piccolo tabernacolo-ossario, che reca la scritta di gusto tipicamente tardo barocco: “Quel che sarete voi, noi siamo adesso. Chi si scorda di noi, scorda se stesso”[5].

Tabernacolo ossario

Cimitero della Moiazza

Fuori porta Garibaldi (Comasina), derivava probabilmente il suo nome dalla zona che lo ospitava, detta “la Muiazza” per via del terreno paludoso e di facile allagamento con conseguente ristagno di acque limacciose.

Si inseriva su di un vecchio camposanto consacrato il 28 aprile 1686, che venne ampliato a levante con l’acquisto da parte del Comune di un vasto appezzamento di terreno, posizionato a destra dell’attuale piazzale Lagosta. Le inumazioni ebbero inizio nel 1787.

In questo cimitero trovarono sepoltura, tra i tanti, Giuseppe Parini, inumato in una fossa comune[6] nell’agosto del 1799, e il 20 aprile 1814 lo sfortunato ministro austriaco delle finanze, il novarese Giuseppe Prina, massacrato dal popolo durante la famosa (ma inutile) sollevazione contro le tasse austriache.[7]
Nel 1817 fu aggiunto un nuovo appezzamento sempre verso levante, per cercare di arginare il numero crescente di inumazioni.

Chiuso con l’apertura del Monumentale poi al solito riaperto, fu definitivamente soppresso il 22 ottobre 1895.

Il cimitero di Porta Garibaldi all'epoca della soppressione

Comune dei Corpi Santi

Parallelamente al comune di Milano, anche il comune dei Corpi Santi, che si estendeva tutt’attorno alla città al di fuori del perimetro delle mura spagnole, si risolse, con delibera assunta nel 1786, a riorganizzare ed edificare i necessari luoghi di sepoltura.

Nello stesso anno, un’apposita asta pubblica appaltò al capomastro Solaro le costruzioni di cinque camposanti, tutti di identica concezione architettonica: pianta quadrata, muro di cinta in mattoni con cancello in ferro per l’ingresso, cappella in muratura e camera mortuaria[8].

Calvairate

Fin dal 1576 funzionava un piccolo cimitero presso una parrocchia consacrata da San Carlo, e su questo appezzamento di terreno venne appunto costruito il cimitero di Calvairate, che però, già nel 1832, abbisognò di essere ingrandito notevolmente.

Successivamente il comune dei Corpi Santi avrebbe voluto ingrandirlo ulteriormente, ma incontrando grosse difficoltà sia economiche sia di acquisto dei terreni limitrofi, rinunciò al progetto chiedendo ed ottenendo dal comune di Milano il permesso di sepoltura presso il cimitero di porta Tosa.
Salvo rare eccezioni, smise di accogliere sepolture nel 1847.

Monluè

Sorto nella zona dove fin dal 1267 sorgeva una chiesa con annesso camposanto, il cimitero di Monluè si trovava sulla strada per Tagliedo. Servì anche per le sepolture degli abitanti di Morsenchio e Mezzate. Nel 1885 cessò di accogliere inumazioni.

Gratosoglio

Anche questo cimitero nacque su un terreno già consacrato e votato alle inumazioni fin dal secolo XII. Venne deliberata una sua estensione nel 1876, ma problemi di ordine igienico-sanitari ne sconsigliarono non solo l’ingrandimento, ma persino la sua attività, che di fatto era stata già sospesa con lo spirare del 1874.

Tuttavia, servendo questo anche per i morti di Assago e di Quintosole, ed essendo le sepolture state dirottate sul quello milanese del Gentilino, si levarono numerose proteste tra la popolazione a causa della scomodità del lungo tragitto da compiersi.

Nel 1884, accolte alla fine le proteste, il comune di Milano ne decretò la provvisoria riapertura, stabilendo poi la sua messa a norma e il suo ingrandimento. Tuttavia non se ne fece nulla, gli spazi rimasero quelli che erano fino a quando, in maniera definitiva, venne chiuso il 2 aprile 1897.

Tre Ronchetti

Edificato come gli altri nel 1786, ebbe breve attività, a causa dell’innalzamento della falda acquifera che comprometteva fortemente la decomposizione dei cadaveri in piena sicurezza. Fu così chiuso nel 1842.
Nello stesso anno si appaltarono le opere per la realizzazione del nuovo cimitero in sua sostituzione.

Barona

Si trovava a una distanza di soli ventisei metri dal Lambretto (o Lambro morto), e già nel 1830 subì rifacimenti e migliorie. Nel 1841 venne ampliato fino a raggiungere un’estensione di 500 metri quadrati.
Il comune di Milano deliberò il 9 aprile 1875 la sua chiusura, dirottando i morti al Gentilino.

I cimiteri dei Corpi Santi in una pianta del 1842

 

I cimiteri ottocenteschi

Cimitero di Porta Vittoria (Porta Tosa)

La generale carenza di spazi per il seppellimento dei morti obbligò la città a prendere in considerazione l’idea di ampliare i cimiteri esistenti o di crearne di nuovi.
Inoltre la maggior parte dei cimiteri tardo settecenteschi si trovava già, negli anni Venti dell’Ottocento, a confinare con palazzi e strade aperte al pubblico passaggio, essendo la città in espansione continua.

Nel 1826 il Comune decise così di comperare da Pietro Carcano un’area di 55.066 metri quadrati fuori porta Tosa, al fine di raccogliere anche i morti dell’ospedale Maggiore, oltre che i defunti dei quartieri delle porte Romana e Ticinese.

Il nuovo camposanto aveva l’ingresso sul corso XXII Marzo, ed era delimitato a sinistra dalla via Bonvesin della Riva, contiguo quindi alla chiesa di santa Maria del Suffragio. A destra lambiva quasi l’attuale via Carlo Poma. La sua estensione a nord raggiungeva e superava l’asse oggi formato dalla via Marcona.

Le inumazioni iniziarono il 1° gennaio del 1827. Successivamente si ebbero numerose opere di muratura varia, per rettificare gli spazi e per erigere costruzioni ornamentali o di servizio. Segnaliamo i lavori del 1846 per ristrutturare la sala delle autopsie, al fine di meglio sfruttarla visti i progressi scientifici ormai raggiunti.
Smise di accettare inumazioni il 30 giugno 1896.

Il cimitero di Porta Vittoria all'epoca della soppressione

Cimitero Monumentale

La genesi di questo cimitero è da ricercarsi non solo nella costante penuria di spazi atti alle sepolture, ma soprattutto nella volontà di creare un nuovo cimitero che rispondesse a precisi canoni artistici ed estetici, un cimitero cioè in grado di rendere monumentale (appunto) l’insieme delle sepolture e delle cappelle che vi avrebbero dovuto trovare posto.

A spingere la cittadinanza e le autorità a mettere in cantiere il progetto di un cimitero che rendesse onore ai defunti fu senz’altro anche la pubblicazione del carme del Foscolo, Dei Sepolcri, uscito per le stampe nell’aprile del 1807 con l’epigrafe “Deorum Manium iura sancta sunto”. Il Foscolo si inseriva, polemicamente, nel dibattito nato in seguito all’editto napoleonico, applicato in Italia dal 5 settembre 1806, detto di Saint Cloud, col quale si imponeva che i cadaveri fossero sepolti soltanto nei cimiteri e che non si facesse alcuna distinzione tra i defunti comuni e famosi[9].

Il cimitero di S. Gregorio con le tombe senza contrassegni

La decisione definitiva della creazione di un nuovo (e unico) cimitero per l’intera città di Milano si prese però solo nel 1829, ma si dovette attendere il 1838 per la pubblicazione di un apposito bando di concorso per la presentazione di un progetto avente lo scopo di erigere un cimitero monumentale occupante un’area di 55.200 mq con una spesa non eccedente il milione e trecentomila lire. La commissione esaminatrice (Gabrio Casati, il Canonica, il Crivelli, l’Albertolli) non si accordò per premiare alcun progetto tra quelli pervenuti, giudicandoli tutti non soddisfacenti.

Fu così predisposta una rosa di architetti per la presentazione di un ulteriore progetto, e su tutti si impose (benché più oneroso per le pubbliche finanze) l’elaborato dall’architetto Aluisetti.
Purtroppo si allungarono le tempistiche per la scelta e l’acquisto dell’area, poi arrivarono i giorni del ’48, e quando il discorso venne ripreso, l’Aluisetti venne colto da un malore che lo condusse ben presto alla morte.

La prima idea del cimitero monumentaleIl progetto finale del cimitero monumentale

 

 

 

 

 

 

 

La situazione si sbloccò solo nel 1857, quando l’incarico di seguire i lavori fu affidato all’architetto Giuseppe Pestagalli, che di buona lena cominciò ad ordinare i materiali necessari.
Scelta l’area nella zona dei Corpi Santi ubicata dietro porta Tenaglia, il tutto ebbe un nuovo arresto dovuto ai moti unitari, e solo ad Italia fatta si ricominciò a seguire il progetto per il Monumentale, con la sentita esigenza, tuttavia, di rinnovare altro concorso di idee per un più moderno insieme architettonico.

Il concorso si trascinò e andò per le lunghe, ma alla fine la commissione esaminatrice giudicò migliore l’elaborato dell’architetto Carlo Maciachini. Nuovamente (una maledizione?) altri problemi insorsero a causa della zona prescelta, poichè taluni esperti (lungimiranti) prospettavano per quella zona un probabile sviluppo cittadino e ferroviario. La cosa fu all’epoca ritenuta impossibile (proprio così) e il terreno venne dunque vincolato ad area cimiteriale.

Si iniziarono gli acquisti dai privati, al fine di ottenere tutti i terreni necessari a formare la metratura progettata fuori porta Tenaglia, fino ad arrivare all’estensione, appunto, di 172.000 mq.
Le opere iniziarono nel 1863, e il progetto comprese la creazione di un viale alberato che conducesse egregiamente al nuovo camposanto (attuale viale Ceresio). Lo stile è eclettico e alcuni lo definirono “stile lombardo moderno”, anche se l’utilizzo di marmi e materiali di diversi colori e soprattutto l’effetto di bicromia bianco-nera portò anche a definirlo ispirato alla tradizione medievale.

Il cimitero monumentale nel disegno del Maciachini

Il cimitero fu benedetto e aperto il 2 novembre 1866. L’area crebbe poi con il tempo, a seconda delle esigenze e dei fondi mano a mano reperiti. Vennero in seguito creati anche ossari per i defunti riesumati dai vari cimiteri soppressi. Attualmente occupa un’estensione di 250.000 metri quadrati.

Il famedio (esterno)Il famedio (interno)

 

 

 

 

 

 

 

 

Nel 1869 sorse l’idea di creare al suo interno un campo riservato ad onorare i milanesi più illustri: il famedio, inaugurato il 5 giugno 1887. Questo risulta avere pianta a croce greca con una cupola ottagonale, e poiché al suo interno trovarono sepoltura, appunto, milanesi illustri, il luogo ben presto si riempì di monumenti funerari realizzati anche da architetti ed artisti di alto livello. Tra i tantissimi che vi lavorarono negli anni e vi lasciarono un’impronta, ricordiamo: Giannino Castiglioni, Medardo Rosso, Odoardo Tabacchi, Antonio Tantardini, Leonardo Bistolfi, Giuseppe Grandi, Francesco Messina, Luca Beltrami, Paolo Cesa Bianchi, Giacomo Manzù, Giovanni Brogli, Arnoldo e Giò Pomodoro.

Visita anche il sito del Cimitero Monumentale.

Cimitero di Musocco

Sul finire dell’Ottocento, appurato che il Monumentale era del tutto insufficiente alla bisogna di una grande città in forte espansione territoriale e demografica, e non potendosi tollerare la continua attività dei cimiteri urbani già menzionati ormai saturi ed inglobati dai nuovi quartieri, si decise di edificare un altro cimitero, in zona periferica, dalle parti della certosa di Garegnano presso l’abitato di Musocco.

Avanzate da alcuni rimostranze circa la scelta dell’aerea, la Giunta, pressata dalla situazione igienico-sanitaria al limite del collasso, prescrisse che si facessero carotaggi di terreno praticamente in ogni zona dell’estrema periferia cittadina, compresa la brughiera di Senago e i boschi di Somma Lombardo!

Era necessario valutare la profondità della falda acquifera e la possibilità o meno che i terreni si trasformassero in acquitrini in casi di stagioni molto piovose. Lo studio non fece altro che ribadire la bontà della conformazione del territorio di Musocco ed Uniti: terreno asciutto, di natura calcareo-siliceo, quattro metri sopra le sorgenti, idoneo all’assimilazione delle decomposizioni organiche.

Si aprì la questione, non secondaria, dell’opportunità di avere un nuovo unico enorme cimitero, o di averne alcuni di dimensioni più modeste. Fu la commissione d’igiene a spingere per la realizzazione di un unico camposanto. Superati infine alcuni intoppi amministrativi legati al fatto che si doveva costruire il cimitero di Milano in un altro comune (appunto, Musocco), si iniziò a sterrare una superficie di 400.000 mq posta a 750 metri da Musocco e a 4.600 dal Monumentale, al quale fu unito da apposito viale.

Le inumazione poterono iniziare il 23 ottobre 1895. Per agevolare i trasporti dei cadaveri venne istituito anche un apposito tragitto su rotaia tramviaria, la cui stazione di partenza (del 1906) si trovava accanto alla Porta Romana delle mura spagnole, a destra dell’attuale piazzale delle Medaglie d’Oro (oggi si trova ricompresa nel recinto del circolo ricreativo per i dipendenti ATM). I milanesi, ironicamente, chiamavano questo tram "La Gioconda".

Il tram per i trasporti funebri, detto «La Gioconda» (1907)

 

Bibliografia

Tedeschi C., Origini e vicende dei cimiteri di Milano, 1899
Canosa R., La vita quotidiana a Milano in età spagnola, 1996
Biagetti V., L’ospedale maggiore di Milano, 1937
Ottani G., L’abbazia di Chiaravalle milanese, 1937



[1] Attivo a Milano durante il governo dei duchi Galeazzo Maria, Gian Galeazzo e Ludovico Maria Sforza, fece stampare nel 1503 il famoso “Historia di Milano, volgarmente scritta dall'eccellentissimo oratore M. Bernardino Corio Gentil'huomo Milanese

[2] I cui resti vennero scoperti e studiati durante alcuni lavori di restauro delle case che si affacciano sul colonnato romano.

[3] In questo piccolo cimietro dietro al Duomo vi venivano seppelliti anche gli operai e gli artisti che lavoravano per la Veneranda Fabbrica.

[4] Ad esempio, tra i testamenti redatti dal notaio milanese Valerio Balestreri, Dionisio da Cermenate (datato 1625) dispone che il suo corpo venisse sepolto “nell’ospedale secondo il rito solito dei reverenti padri crociferi” (ASM fondo Notarile b27780).

[5] Oltrepassato il muro di cinta della chiesa, inoltre, sono visibili altre lapidi: una riporta una mappa del cimitero, un’altra ricorda che, assieme a migliaia di ignoti, qui trovarono l’eterno riposo: il pittore Albertolli, le religiose Barioli e Besozzi, l’orientalista Bugatti, l’architetto Canonica, il filologo Gherardini, il filosofo Gioia, il benefattore Macchi, lo scultore Monti, l’architetto Moraglia, l’astronomo Oriani, il missionario Salerio, lo scenografo scaligero Sanquirico, il patriota Sciesa (vedi). Una terza ne ripercorre la cronologia, ricordando anche che è stato il primo cimitero ebraico di Milano (vedi).

[6]La sepoltura comune del Parini venne stigmatizzata, a mo’ di esempio, dal Foscolo nel suo carme Dei Sepolcri:
“Forse tu fra plebei tumuli guardi
vagolando, ove dorma il sacro capo
del tuo Parini? A lui non ombre pose
tra le sue mura la citta, lasciva
d'evirati cantori allettatrice,
non pietra, non parola; e forse l'ossa
col mozzo capo gl'insanguina il ladro
che lasciò sul patibolo i delitti”.

[7] Quando, inaugurato il Monumentale, si vollero trasportare nel nuovo camposanto le salme del Parini e del Beccaria, non fu più possibile distinguerle da quelle degli altri sepolti.

[8] Per le zone più prettamente agricole del comune dei Corpi Santi funzionavano piccoli cimiteri. Questi erano:

- Vigentino
- Trenno, che annoverava tre cimiteri
- Niguarda
- Greco milanese
- Turro milanese

[9] L’editto di Saint Cloud regolamentava le pratiche sepolcrali ispirandosi a criteri igienici e di egualitarismo sociale. L'editto vietava la sepoltura nei centri urbani e introduceva un controllo sulle iscrizioni funerarie, che dovevano essere consone allo spirito della rivoluzione francese, e pertanto non contenere riferimenti nobiliari. Le sepolture dovevano essere anonime e la collocazione delle lapide era relegata ai margini dei cimiteri. Foscolo, che pur condivideva molti aspetti dei presupposti culturali dai quali nascevano simili provvedimenti, ne rifiutava però l'effetto di omologazione che ricadeva sui defunti e sui valori del passato riconoscibili in essi.

 

Ultima modifica: domenica 8 ottobre 2006

maucolombo@hotmail.com