Si va.
Che paesaggio
confortevole!
Le tombe sfilano a schiere,
battaglioni di tombe, reggimenti di
tombe!
Essi erano, penso.
Con tanti morti in giro
ti prende un’intima
allegrezza dell’esser vivo.
da Ore
di città di Delio Tessa
(Torino, Einaudi
1988, p. 133)
All’epoca dello
storico Bernardino Corio,
come egli stesso lasciò scritto, la città aveva molti piccoli cimiteri, e per
l’esattezza: tre camposanti nel Brolo (ad uso della chiesa di Santo Stefano e
di due ospedali limitrofi), uno di fronte la basilica di San Lorenzo, detto
della cortina, uno in san
Pietro in campo lodigiano, uno di fronte la chiesa di Santa Eufemia. Altri
quattro erano presso la chiesa di sant’Antonio, presso san Carpoforo, presso
Santa Maria della Scala, e l’ultimo nell’attuale zona retro-absidale del Duomo,
un tempo detta del Campo Santo.
Mentre l’Ospedale maggiore, la Ca’ Granda voluta da
Francesco Sforza, che aveva iniziato a ricoverare ammalati nel 1464, provvedeva
a seppellire i morti direttamente all’interno dei propri spazi (chiostri,
cortili, sotterranei), ma già nel 1473 segnalava alla città di avere seri
problemi di reperimento di adeguati spazi. Ciononostante, le sepolture interne
continuarono senza sosta, come risulta anche leggendo i testamenti che i ricoverati
spesso facevano predisporre chiamando al capezzale un notaio.
La
rotonda di San Michele “ai nuovi sepolcri”
Quando l’Ospedale non fu più in grado di reperire
all’interno ulteriori spazi di sepoltura (e considerando che la situazione
igienico sanitaria era divenuta comunque intollerabile a causa del fetore di
decomposizione dei morti ivi inumati) si optò per la costruzione di un apposito
e distante sepolcreto finalizzato ai soli cadaveri della Ca’ Granda, stabilendo
contestualmente la proibizione di effetturare ulteriori sepolture interne.
La zona per il camposanto fu scelta il più vicino possibile
al nosocomio, pur restando dallo stesso e dalle abitazioni della zona
adeguatamente separato. Per raggiungerlo, fu costruito il ponte detto
dell’Ospedale, che scavalcava il naviglio interno (oggi via Francesco Sforza) e
quindi predisposto un rettifilo (oggi via San Barnaba e via Besana) che
conducesse celermente alla località prescelta.
I lavori per il cimitero, che prese il nome di Nuovi
Sepolcri (ma comunemente detto dai milanesi “Foppone dell’ospedale”),
iniziarono nel 1695 e, procedendo celermente, consegnarono alla città un
razionale camposanto che venne utilizzato a partire dei primi mesi del 1700.
Nel 1713 Attilio Arrigoni progettò la chiesa centrale,
dedicata appunto a San Michele, mentre per aversi l’attuale recinto porticato
si dovette attendere il 1725.
La Rotonda, oggi detta di via Besana, funzionò per circa 82
anni, accogliendo all’anno una media di 1500 morti, per un totale
approssimativo di ben 126.000 sepolture.
Nel 1809 Eugenio di Beauharnais volle trasformare la Rotonda
in pantheon del Regno d’Italia (la cui capitale era appunto Milano) e incaricò
il Cagnola di studiarne le dovute trasformazioni. Il progetto tuttavia
naufragò, e ben presto lo spazio dell’ex cimitero finì con l’ospitare gli
ammalati contagiosi, e ciò fino a quando venne aperta la moderna struttura
sanitaria del Derganino, nel 1896.
I cimiteri
tardo-settecenteschi
Nella seconda metà del Settecento, sia per l’accrescimento
considerevole del numero degli abitanti sia per una diversa volontà del governo
di gestire le problematiche di polizia mortuaria, nel rispetto di regole più
severe e nel solco tipicamente austriaco di meglio organizzare gli aspetti
della vita cittadina, a Milano vennero allestiti 5 nuovi cimiteri.
A questi si affiancarono altre piccole zone di sepoltura,
quasi tutte aperte all’inizio del 1700, che per dimensioni e scarso utilizzo
non possiamo tuttavia definire propriamente cimiteri cittadini. Volendo
tuttavia, per completezza, dare contezza anche di questi ultimi, li passiamo
brevemente in rassegna:
- uno in via S. Nicolao, contiguo ad un magazzino,
utilizzato per seppellire i soldati deceduti durante l’assedio al Castello del
1707;
- altri due, sempre adibiti ad accogliere i soldati morti
nel medesimo fatto d’armi, localizzabili il primo al ponte di porta Vercellina
e il secondo tra il ponte dei Fabbri e via san Vittore;
- quello dei padri teatini in porta Comasina, presso la
chiesa di sant’Anna;
- un quinto fuori porta Tenaglia presso sant’Ambrogio ad
nemus;
- uno contiguo al pulvinare dell’Arena.
Infine, sparsi per la città, si contavano diversi ossari,
che custodivano i resti dei cadaveri riesumati nei casi di svuotamento e
soppressione di antichi cimiteri, o in caso di chiusura dei tanti piccoli
ospedali, prima della loro soppressione e riunificazione all’interno dell’unica
struttura della Ca’ Granda. Tra questi, il più famoso e tutt’oggi visitabile è
quello presso San Bernardino, in piazza santo Stefano. Una lapide ricorda “Date et dabitur vobis” (vedi).
Cimitero di San Rocco al Vigentino
Chiusa la Rotonda di San Michele, immediatamente l’Ospedale
Maggiore acquistò nel 1783 due lotti di terreno fuori porta Romana, a sinistra
dell’attuale corso Lodi. Permutato poi parte di tale spazio con un ulteriore
appezzamento contiguo al fine di rendere più regolare la forma del nuovo
camposanto, i morti cominciarono ad essere seppelliti il 9 marzo 1783. Il
cimitero fu detto di San Rocco, e con il trascorrere degli anni venne
ingentilito da alcune cappelle e da altri lavori di semplice architettura,
relativi alla cinta muraria e ai locali di servizio.
A causa del suo utilizzo anche da parte del Comune dei Corpi
Santi (o meglio, di quelle zone dei Corpi Santi vicine a questo cimitero),
presto il San Rocco divenne insufficiente, tanto più quando venne rimpicciolito
al fine di agevolare il passaggio della nuova strada di circonvallazione,
tracciata tra le porte Romana e Ticinese. Venne pertanto chiuso nel 1826.
Trovarono comunque sepoltura, durante le Cinque giornate del 1848, alcuni
soldati austriaci uccisi in uno scontro avvenuto poco distante.
Nel 1875 vennero sollecitati i lavori di bonifica dell’area:
si traslarono, quando possibile, i cadaveri nel nuovo cimitero di Musocco, e si
recuperarono i monumenti e le lapidi in buone condizioni.
Cimitero del Gentilino
Questo nuovo cimitero, aperto al servizio nel 1787, altro
non era se non l’espansione e la riqualificazione del vicino e antico cimitero
di san Rocco al Gentilino (non ci si stupisca del fatto che il nome di san
Rocco ricorra così spesso: come ricorda il Latuada, era usanza aversi una
cappella o una chiesa dedicata a questo santo presso ogni ingresso delle città,
con la speranza di essere aiutati nel tener fuori la peste). Il vecchio foppone
era tristemente famoso per essere stato allestito in grande fretta durante la
pestilenza del 1576.
La nuova struttura di forma rettangolare era identificabile
nel quadrilatero oggi compreso tra le vie
Tantardini-Tabacchi-Balilla-Baravalle.
Venne aperto in fretta e con pochissimo dispendio di denaro,
tanto che a lavori ultimati il nuovo cimitero appariva tremendamente squallido
e privo di qualsivoglia elemento artistico o decorativo. La scarsezza
qualitativa dei materiali edili e i lavori in economia costrinsero peraltro la
municipalità ad intervenire più volte con lavori di straordinaria manutenzione.
Solo nel 1820 iniziarono ad essere elevate alcune cappelle per sepolture di
famiglia e ordini religiosi, che col tempo divennero sedici.
La chiesuola annessa venne abbellita nel 1830, e
successivamente si tracciarono alcuni vialetti interni.
Dopo il 1867 iniziarono, per varie ragioni, chiusure a
singhiozzo, anche a causa delle lamentele avanzate dagli abitanti delle case,
sempre più vicine e costruite senza il mantenimento delle aree di rispetto
contigue.
Alcune interruzioni temporanee furono dovute alle epidemie
di colera, e a quella vaiolosa del 1888-1889. Venne definitivamente soppresso
il 22 ottobre 1895, e subito iniziò lo svuotamento delle fosse, con trasporto
dei cadaveri presso il nuovo cimitero di Musocco.
Cimitero di San Gregorio
Aperto nel 1787 grazie all’ampliamento e alla
razionalizzazione del vecchio foppone ove ebbero sepoltura i primi morti della
peste del 1576, si estendeva dietro il Lazzaretto, avendo l’entrata sulla via
San Gregorio, ed estendendosi in profondità sino all’attuale via Boscovich.
I lavori vennero anche in questo caso fatti in grande
economia, tanto da necessitare negli anni successivi di continui lavori di
consolidamento e ripristino prevalentemente della cinta muraria, famosa in
città per essere soggetta a piccoli crolli ad ogni forte temporale estivo o
periodo di frequenti piogge autunnali.
La così poco solida recinzione venne un po’ alla volta
ricostruita integralmente, e nel 1857 furono altresì appaltati i lavori per il
suo innalzamento a metri 3,85, al fine di potervi collocare un maggior numero
di lapidi.
Nel 1866, aperto il Monumentale, questo cimitero venne prima
destinato ad accogliere i morti del comune dei Corpi Santi, poi, unificatisi i
due enti territoriali nell’unico comune di Milano nel 1873, il cimitero venne
riaperto ad accogliere i morti della zona nel 1875. Chiuso poi definitivamente
il 31 agosto 1883, e svuotato a partire dal decimo anno successivo (come da
regolamenti di Sanità Pubblica), l’area venne adibita ad accogliere nuovi
palazzi e vario tessuto urbano.
Cimitero di San Giovannino alla paglia (o di Porta
Magenta)
Si trovava a sinistra uscendo da porta Vercellina, e quando
questa prese a chiamarsi porta Magenta, anche il cimitero venne identificato
con questo nome fino alla sua chiusura. Occupava l’area subito fuori dal
bastione spagnolo che si trovava dove oggi si è creata la piazza Aquileia.
Anche in questo caso si trattava già di un piccolo cimitero,
che venne ampliato e riorganizzato nel 1787. Si estendeva in forma rettangolare
avendo al centro l’attuale incrocio tra le vie Verga e Giovio, a sinistra
raggiungeva quasi il tracciato ferroviario che scorreva sull’attuale asse di
via Alessandri. Nel 1825 venne ingrandito, e continuò ad essere utilizzato
ininterrottamente, senza particolari vicende, sino al 1868, quando fu adibito
ad accogliere solo i morti del comune dei Corpi Santi. Anche in questo caso,
avendo la Municipalità fatto male i conti, dal 1875 venne ripristinato per
accogliere tutti i morti della zona. Cessò la sua funzione il 30 novembre 1895,
e dal giorno successivo i morti che vi erano destinati per territorialità
vennero inumati a Musocco.
A testimonianza della sua esistenza, sulla piazza Aquileia
si affaccia un piccolo tabernacolo-ossario, che reca la scritta di gusto
tipicamente tardo barocco: “Quel che sarete voi, noi siamo adesso. Chi si
scorda di noi, scorda se stesso”.
Cimitero della Moiazza
Fuori porta Garibaldi (Comasina), derivava probabilmente il
suo nome dalla zona che lo ospitava, detta “la Muiazza” per via del terreno
paludoso e di facile allagamento con conseguente ristagno di acque limacciose.
Si inseriva su di un vecchio camposanto consacrato il 28
aprile 1686, che venne ampliato a levante con l’acquisto da parte del Comune di
un vasto appezzamento di terreno, posizionato a destra dell’attuale piazzale
Lagosta. Le inumazioni ebbero inizio nel 1787.
In questo cimitero trovarono sepoltura, tra i tanti,
Giuseppe Parini, inumato in una fossa comune
nell’agosto del 1799, e il 20 aprile 1814 lo sfortunato ministro austriaco
delle finanze, il novarese Giuseppe Prina, massacrato dal popolo durante la
famosa (ma inutile) sollevazione contro le tasse austriache.
Nel 1817 fu aggiunto un nuovo appezzamento sempre verso
levante, per cercare di arginare il numero crescente di inumazioni.
Chiuso con l’apertura del Monumentale poi al solito
riaperto, fu definitivamente soppresso il 22 ottobre 1895.
Comune dei Corpi Santi
Parallelamente al comune di Milano, anche il comune dei
Corpi Santi, che si estendeva tutt’attorno alla città al di fuori del perimetro
delle mura spagnole, si risolse, con delibera assunta nel 1786, a riorganizzare ed edificare i necessari luoghi di sepoltura.
Nello stesso anno, un’apposita asta pubblica appaltò al
capomastro Solaro le costruzioni di cinque camposanti, tutti di identica
concezione architettonica: pianta quadrata, muro di cinta in mattoni con
cancello in ferro per l’ingresso, cappella in muratura e camera mortuaria.
Calvairate
Fin dal 1576 funzionava un piccolo cimitero presso una
parrocchia consacrata da San Carlo, e su questo appezzamento di terreno venne
appunto costruito il cimitero di Calvairate, che però, già nel 1832, abbisognò
di essere ingrandito notevolmente.
Successivamente il comune dei Corpi Santi avrebbe voluto
ingrandirlo ulteriormente, ma incontrando grosse difficoltà sia economiche sia
di acquisto dei terreni limitrofi, rinunciò al progetto chiedendo ed ottenendo
dal comune di Milano il permesso di sepoltura presso il cimitero di porta Tosa.
Salvo rare eccezioni, smise di accogliere sepolture nel
1847.
Monluè
Sorto nella zona dove fin dal 1267 sorgeva una chiesa con
annesso camposanto, il cimitero di Monluè si trovava sulla strada per Tagliedo.
Servì anche per le sepolture degli abitanti di Morsenchio e Mezzate. Nel 1885
cessò di accogliere inumazioni.
Gratosoglio
Anche questo cimitero nacque su un terreno già consacrato e
votato alle inumazioni fin dal secolo XII. Venne deliberata una sua estensione
nel 1876, ma problemi di ordine igienico-sanitari ne sconsigliarono non solo
l’ingrandimento, ma persino la sua attività, che di fatto era stata già sospesa
con lo spirare del 1874.
Tuttavia, servendo questo anche per i morti di Assago e di
Quintosole, ed essendo le sepolture state dirottate sul quello milanese del
Gentilino, si levarono numerose proteste tra la popolazione a causa della
scomodità del lungo tragitto da compiersi.
Nel 1884, accolte alla fine le proteste, il comune di Milano
ne decretò la provvisoria riapertura, stabilendo poi la sua messa a norma e il
suo ingrandimento. Tuttavia non se ne fece nulla, gli spazi rimasero quelli che
erano fino a quando, in maniera definitiva, venne chiuso il 2 aprile 1897.
Tre Ronchetti
Edificato come gli altri nel 1786, ebbe breve attività, a
causa dell’innalzamento della falda acquifera che comprometteva fortemente la
decomposizione dei cadaveri in piena sicurezza. Fu così chiuso nel 1842.
Nello stesso anno si appaltarono le opere per la
realizzazione del nuovo cimitero in sua sostituzione.
Barona
Si trovava a una distanza di soli ventisei metri dal
Lambretto (o Lambro morto), e già nel 1830 subì rifacimenti e migliorie. Nel
1841 venne ampliato fino a raggiungere un’estensione di 500 metri quadrati.
Il comune di Milano deliberò il 9 aprile 1875 la sua
chiusura, dirottando i morti al Gentilino.
I cimiteri ottocenteschi
Cimitero di Porta Vittoria (Porta Tosa)
La generale carenza di spazi per il seppellimento dei morti
obbligò la città a prendere in considerazione l’idea di ampliare i cimiteri
esistenti o di crearne di nuovi.
Inoltre la maggior parte dei cimiteri tardo settecenteschi
si trovava già, negli anni Venti dell’Ottocento, a confinare con palazzi e
strade aperte al pubblico passaggio, essendo la città in espansione continua.
Nel 1826 il Comune decise così di comperare da Pietro
Carcano un’area di 55.066 metri quadrati fuori porta Tosa, al fine di
raccogliere anche i morti dell’ospedale Maggiore, oltre che i defunti dei
quartieri delle porte Romana e Ticinese.
Il nuovo camposanto aveva l’ingresso sul corso XXII Marzo,
ed era delimitato a sinistra dalla via Bonvesin della Riva, contiguo quindi
alla chiesa di santa Maria del Suffragio. A destra lambiva quasi l’attuale via
Carlo Poma. La sua estensione a nord raggiungeva e superava l’asse oggi formato
dalla via Marcona.
Le inumazioni iniziarono il 1° gennaio del 1827.
Successivamente si ebbero numerose opere di muratura varia, per rettificare gli
spazi e per erigere costruzioni ornamentali o di servizio. Segnaliamo i lavori
del 1846 per ristrutturare la sala delle autopsie, al fine di meglio sfruttarla
visti i progressi scientifici ormai raggiunti.
Smise di accettare inumazioni il 30 giugno 1896.
Cimitero Monumentale
La genesi di questo cimitero è da ricercarsi non solo nella
costante penuria di spazi atti alle sepolture, ma soprattutto nella volontà di
creare un nuovo cimitero che rispondesse a precisi canoni artistici ed
estetici, un cimitero cioè in grado di rendere monumentale (appunto) l’insieme
delle sepolture e delle cappelle che vi avrebbero dovuto trovare posto.
A spingere la cittadinanza e le autorità a mettere in
cantiere il progetto di un cimitero che rendesse onore ai defunti fu senz’altro
anche la pubblicazione del carme del Foscolo, Dei Sepolcri, uscito per le
stampe nell’aprile del 1807 con l’epigrafe “Deorum Manium iura sancta sunto”.
Il Foscolo si inseriva, polemicamente, nel dibattito nato in seguito all’editto
napoleonico, applicato in Italia dal 5 settembre 1806, detto di Saint Cloud,
col quale si imponeva che i cadaveri fossero sepolti soltanto nei cimiteri e
che non si facesse alcuna distinzione tra i defunti comuni e famosi.
La decisione definitiva della creazione di un nuovo (e
unico) cimitero per l’intera città di Milano si prese però solo nel 1829, ma si
dovette attendere il 1838 per la pubblicazione di un apposito bando di concorso
per la presentazione di un progetto avente lo scopo di erigere un cimitero
monumentale occupante un’area di 55.200 mq con una spesa non eccedente il
milione e trecentomila lire. La commissione esaminatrice (Gabrio Casati, il
Canonica, il Crivelli, l’Albertolli) non si accordò per premiare alcun progetto
tra quelli pervenuti, giudicandoli tutti non soddisfacenti.
Fu così predisposta una rosa di architetti per la
presentazione di un ulteriore progetto, e su tutti si impose (benché più
oneroso per le pubbliche finanze) l’elaborato dall’architetto Aluisetti.
Purtroppo si allungarono le tempistiche per la scelta e
l’acquisto dell’area, poi arrivarono i giorni del ’48, e quando il discorso
venne ripreso, l’Aluisetti venne colto da un malore che lo condusse ben presto
alla morte.
La situazione si sbloccò solo nel 1857, quando l’incarico di
seguire i lavori fu affidato all’architetto Giuseppe Pestagalli, che di buona
lena cominciò ad ordinare i materiali necessari.
Scelta l’area nella zona dei Corpi Santi ubicata dietro
porta Tenaglia, il tutto ebbe un nuovo arresto dovuto ai moti unitari, e solo
ad Italia fatta si ricominciò a seguire il progetto per il Monumentale, con la
sentita esigenza, tuttavia, di rinnovare altro concorso di idee per un più
moderno insieme architettonico.
Il concorso si trascinò e andò per le lunghe, ma alla fine
la commissione esaminatrice giudicò migliore l’elaborato dell’architetto Carlo
Maciachini. Nuovamente (una maledizione?) altri problemi insorsero a causa
della zona prescelta, poichè taluni esperti (lungimiranti) prospettavano per
quella zona un probabile sviluppo cittadino e ferroviario. La cosa fu all’epoca
ritenuta impossibile (proprio così) e il terreno venne dunque vincolato ad area
cimiteriale.
Si iniziarono gli acquisti dai privati, al fine di ottenere
tutti i terreni necessari a formare la metratura progettata fuori porta
Tenaglia, fino ad arrivare all’estensione, appunto, di 172.000 mq.
Le opere iniziarono nel 1863, e il progetto comprese la
creazione di un viale alberato che conducesse egregiamente al nuovo camposanto
(attuale viale Ceresio). Lo stile è eclettico e alcuni lo definirono “stile
lombardo moderno”, anche se l’utilizzo di marmi e materiali di diversi colori e
soprattutto l’effetto di bicromia bianco-nera portò anche a definirlo ispirato
alla tradizione medievale.
Il cimitero fu benedetto e aperto il 2 novembre 1866. L’area
crebbe poi con il tempo, a seconda delle esigenze e dei fondi mano a mano
reperiti. Vennero in seguito creati anche ossari per i defunti riesumati dai
vari cimiteri soppressi. Attualmente occupa un’estensione di 250.000 metri quadrati.
Nel 1869 sorse l’idea di creare al suo interno un campo
riservato ad onorare i milanesi più illustri: il famedio, inaugurato il 5
giugno 1887. Questo risulta avere pianta a croce greca con una cupola
ottagonale, e poiché al suo interno trovarono sepoltura, appunto, milanesi
illustri, il luogo ben presto si riempì di monumenti funerari realizzati anche
da architetti ed artisti di alto livello. Tra i tantissimi che vi lavorarono
negli anni e vi lasciarono un’impronta, ricordiamo: Giannino Castiglioni,
Medardo Rosso, Odoardo Tabacchi, Antonio Tantardini, Leonardo Bistolfi,
Giuseppe Grandi, Francesco Messina, Luca Beltrami, Paolo Cesa Bianchi, Giacomo
Manzù, Giovanni Brogli, Arnoldo e Giò Pomodoro.
Visita anche il sito del Cimitero Monumentale.
Cimitero di Musocco
Sul finire dell’Ottocento, appurato che il Monumentale era
del tutto insufficiente alla bisogna di una grande città in forte espansione
territoriale e demografica, e non potendosi tollerare la continua attività dei
cimiteri urbani già menzionati ormai saturi ed inglobati dai nuovi quartieri,
si decise di edificare un altro cimitero, in zona periferica, dalle parti della
certosa di Garegnano presso l’abitato di Musocco.
Avanzate da alcuni rimostranze circa la scelta dell’aerea,
la Giunta, pressata dalla situazione igienico-sanitaria al limite del collasso,
prescrisse che si facessero carotaggi di terreno praticamente in ogni zona
dell’estrema periferia cittadina, compresa la brughiera di Senago e i boschi di
Somma Lombardo!
Era necessario valutare la profondità della falda acquifera
e la possibilità o meno che i terreni si trasformassero in acquitrini in casi
di stagioni molto piovose. Lo studio non fece altro che ribadire la bontà della
conformazione del territorio di Musocco ed Uniti: terreno asciutto, di natura
calcareo-siliceo, quattro metri sopra le sorgenti, idoneo all’assimilazione
delle decomposizioni organiche.
Si aprì la questione, non secondaria, dell’opportunità di
avere un nuovo unico enorme cimitero, o di averne alcuni di dimensioni più
modeste. Fu la commissione d’igiene a spingere per la realizzazione di un unico
camposanto. Superati infine alcuni intoppi amministrativi legati al fatto che
si doveva costruire il cimitero di Milano in un altro comune (appunto,
Musocco), si iniziò a sterrare una superficie di 400.000 mq posta a 750 metri
da Musocco e a 4.600 dal Monumentale, al quale fu unito da apposito viale.
Le inumazione poterono iniziare il 23 ottobre 1895. Per
agevolare i trasporti dei cadaveri venne istituito anche un apposito tragitto
su rotaia tramviaria, la cui stazione di partenza (del 1906) si trovava accanto
alla Porta Romana delle mura spagnole, a destra dell’attuale piazzale delle
Medaglie d’Oro (oggi si trova ricompresa nel recinto del circolo ricreativo per i dipendenti ATM). I milanesi, ironicamente, chiamavano questo tram "La Gioconda".
Bibliografia
Tedeschi C., Origini e vicende dei cimiteri di Milano, 1899
Canosa R., La vita quotidiana a Milano in età spagnola, 1996
Biagetti V., L’ospedale maggiore di Milano, 1937
Ottani G., L’abbazia di Chiaravalle milanese, 1937