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La regolazione del traffico stradale

di Gian Luca Lapini

 

 

Il vertiginoso aumento del traffico cittadino, verificatosi già nei primi decenni del XX secolo, portò con sè l’esigenza di regolare il flusso dei veicoli, pubblici e privati, con dei mezzi che inizialmente facilitassero il compito del personale di controllo, i vigili urbani, e successivamente potesse automatizzare la loro funzione. Anche a Milano, comparvero perciò nel 1925 i primi semafori, con l’obbiettivo di risolvere il problema della precedenza agli incroci, così come quello della coesistenza di traffico veicolare e pedonale. Il primissimo semaforo era comandato a mano e fu realizzato allo sbocco della via Orefici in Piazza del Duomo. All’inizio non mancarono le satire sul nuovo mezzo utilizzato dai vigili per regolare il traffico urbano, ma nel giro di dieci anni la regolazione automatica si diffuse a tutto il nucleo abitato, con effetti positivi universalmente riconosciuti.

La primissima tipologia semaforica che si diffuse a Milano e che rimase in uso per diversi anni, era basata su un gruppo costituito da una quantità di “lanterne” dipendente dal numero di strade costituenti l’incrocio (quattro lanterne, per esempio, se nell’incrocio convergevano quattro vie) poste o su un solo palo, collocato su isole stradali disposte lungo la mezzeria della carreggiata oppure sospese mediante cavi, ma sempre in posizione centrale rispetto all’incrocio.

In questi primi semafori il traffico dei veicoli e dei pedoni era regolato dalla stessa lanterna, mentre negli anni successivi ciascuno dei due venne controllato da un apposito semaforo, che consentiva di interrompere le correnti continue di veicoli, creando varchi opportunamente intervallati per l’attraversamento.

Col passare degli anni e con l’incremento sempre maggiore del numero di veicoli transitanti sulle strade milanesi, la collocazione in posizione centrale del semaforo su palina divenne sempre più un pericolo, in quanto l’isola centrale su cui si doveva installare costituiva un vero e proprio ostacolo fisico che intralciava lo svolgimento delle manovre. Il semaforo sospeso, invece, poteva offrire dei vantaggi se impiegato in combinazione coi semafori disposti lateralmente; il suo principale svantaggio era la sua altezza dal suolo, di 4,50 m, che il più delle volte risultava eccessiva rispetto alla visibilità che si offre al conducente in normale posizione di guida e che si trovi fermo alla linea di arresto. In questo caso il guidatore, per controllare il semaforo era costretto ad assumere una posizione forzata, inconveniente che si traduceva spesso in un eccessivo ritardo alla partenza.

In conseguenza a tali considerazioni, i semafori vennero spostati per quanto possibile a destra della carreggiata. Inoltre vennero apportati cambiamenti anche alla tipologia del semaforo stesso, che diversamente da prima mostrava per ogni palo una sola lanterna, avente inoltre dimensioni molto più grandi di prima così da essere ben visibile.
Nel caso dei grossi viali, costituiti da più corsie, i gruppi semaforici potevano, in alternativa al palo, essere appesi a lunghe mensole che si estendevano a sbalzo verso la strada da pali posti a lato della carreggiata. Ogni lanterna veicolare poteva avere, oltre alle classiche tre luci (verde, gialla, rossa), un quadrante con una freccia verde usato anche da solo per indicare movimento continuo e permettere un maggior controllo sulle precedenze (tale sistema è per altro in auge ancora oggi).

Per quanto riguarda il loro tempo di funzionamento, i primi semafori funzionavano a ciclo rigido, ossia i tempi semaforici si ripetevano ciclicamente (per es. ogni 30 o 120 secondi). I cicli venivano calcolati in modo da permettere al flusso dei veicoli di percorrere, alla velocità di 25 chilometri orari, un intero tratto stradale.
Già nel 1935 vennero realizzati una serie di impianti di segnalazione automatica, raggruppati in tre catene, sviluppatesi lungo direttrici in cui vi era il maggior passaggio di veicoli. Una prima catena collegava: via Principe Umberto, via Manzoni, Piazza della Scala, via Santa Margherita, Piazza del Duomo, via Torino, Via Carrobbio, Corso Genova (con deviazione per via Carlo Alberto, Corso Italia e Corso Roma). Una seconda catena passava invece per: Corso Venezia, corso Vittorio Emanuele, Via Mercanti, Piazza Cordusio, Via Dante, Largo Cairoli (con deviazione per via Broletto, Corso Magenta). Infine una terza catena percorreva tutta la cerchia dei Navigli. La costanza del ciclo consentiva la possibilità di coordinare i tempi semaforici di varie installazioni, in modo di avere un deflusso continuo dei veicoli delle correnti principali ed un controllo centralizzato; d’altra parte, però, la regolarità con cui si ripeteva lo stesso ciclo presentava l’inconveniente della scarsa elasticità in relazione alle variazioni del traffico, da cui potevano conseguire ritardi e rallentamenti.

Successivamente, venne introdotto il controllo così detto “attuato” del traffico, che differiva dal precedente in quanto la durata delle indicazioni segnaletiche non era più prefissata, ma determinata di volta in volta commisurandola, entro certi limiti, alla variazione del flusso di traffico; il traffico veniva in questo caso registrato da opportuni rivelatori, costituiti da una pedana, la quale in base alla pressione che riceveva, prodotta dalle ruote dei veicoli passanti, agiva sulla scatola di comando del semaforo interrompendo il verde in una direzione e facendolo scattare in quella da cui proveniva l’auto.
Questo sistema ebbe breve durata e fu ben presto sostituito da rilevatori basati su spire induttive di rilevazione (che sono il sistema utilizzato ancora oggi). Il meccanismo di funzionamento era tale che al passaggio del veicolo le parti metalliche di quest’ultimo interferivano con un debole campo magnetico, prodotto da tali spire (più precisamente da fili elettrici annegati nella carreggiata) o rivelatori magnetici in generale; la scatola di comando rilevava quindi l’interferenza e, se non vi erano automobili che attendevano di passare nelle altre direzioni, faceva scattare il verde.
La lunghezza del ciclo e la sequenza delle fasi potevano o no rimanere le stesse da ciclo a ciclo, e in alcuni casi essere saltate quando pervenivano chiamate dalla presenza di veicoli in attesa o dai bottoni di chiamata a disposizione dei pedoni, collocati sui pali dei semafori.

Inoltre per separare il traffico veicolare da quello pedonale, furono introdotte le prime lanterne pedonali, che erano di forma rettangolare, e dotate di due vetri su cui vi sono riportate su sfondo nero due scritte “avanti” e “alt“, rispettivamente con luce verde la prima e rossa la seconda.
Per le chiamate pedonali si può osservare che in un primo momento la durata del giallo era la stessa dei veicoli, mentre oggi, tenuto in considerazione la diversa velocità a cui viaggiano uomini e auto, il tempo di durata del giallo pedonale risulta maggiore rispetto a quello veicolare. A partire dal 1993, con l’entrata in vigore del Nuovo Codice della strada i semafori pedonali sono stati ulteriormente modificati, secondo i dettami dell’articolo n°41 che prescrive forma circolare, come quelli veicolari, un vetro con riprodotta la sagoma di un omino, su sfondo nero e tre luci (e non più solo due: venne infatti introdotta la luce gialla, in aggiunta alla verde e alla rossa). A Milano tuttavia permane ancora qualche traccia del primo tipo di semaforo pedonale; successivamente sono stati introdotti anche dei semafori per le (scarse) piste ciclabili, dotati di vetri su cui è riportata la figura di una bicicletta, e con luci verde, gialla e rossa. Sono stati anche modificati i vetri dei semafori riservati ai tram, prima completamente illuminati con luce gialla, poi dotati di barre bianche su sfondo nero.

 

Ultima modifica: lunedì 15 novembre 2004

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