Il primo santuario
La storia della piazza del Duomo non può andare
disgiunta da quella del medhelan,
“centro di perfezione” o “terra sacra di mezzo”, ossia del grande
santuario celtico presumibilmente fondato nel primo quarto del VI sec.
a.C., da cui derivò il nome latino di Mediolanum
e quello odierno di Milano.
Un medhelan
era un bosco sacro che si trovava, più o meno casualmente, al centro di una
serie di coordinate terrestri e
astrali, che facevano di esso il luogo ideale per
il raduno dei druidi e della popolazione in particolari
momenti celebrativi.
Il nostro santuario, destinato alla confederazione
insubre, doveva presentarsi come uno spiazzo erboso circondato da alberi che
formavano un’ellisse con gli assi di m 443 x m 323 ed era situato intorno a
piazza della Scala, lasciando piazza del Duomo a meridione.
L'accesso al santuario era garantito da un sistema di sentieri il cui
tracciato venne mantenuto anche in età romana e si trasmise fino al XIX
secolo; tra i tracciati viari quello che correva immediatamente a meridione
del santuario condizionò l'orientamento dei posteriori edifici romani e per
conseguenza l'orientamento di quella che sarebbe diventata la nostra piazza
del Duomo. Questo tracciato è identificabile con l’attuale corso Vittorio
Emanuele, piazza Duomo, Cordusio e via Broletto, il cui andamento curvilineo
è ancora evidente, nonostante lo stravolgimento dell'orientamento operato per
la realizzazione della piazza in età sabauda.
Il santuario di Belisama-Minerva
Le costruzioni più antiche rinvenute nell'area di piazza
Duomo risalgono a due secoli dopo la fondazione del santuario, quando con la
seconda ondata di Galli, conosciuta come invasione guidata da Brenno nel 390
a.C., al medhelan si affiancò il centro della confederazione insubre, secondo la leggenda col
nome di Alba. Nonostante manchino reperti per stabilire la qualità
delle abitazioni, nell’area di Palazzo Reale e della retrostante via
Rastrelli sono stati fatti ritrovamenti databili tra la fine del V sec. e gli
inizi del IV sec. a.C. Gli scavi nell’angolo SW di Palazzo Reale hanno
restituito a - 5 m di profondità una piccola fornace del V sec. a.C. oltre a
tracce di abitazioni non meglio definite.
Da Polibio sappiamo che gli Insubri avevano un
tempio dedicato a Minerva, corrispondente alla celtica Belisama o Brigida,
la “Luminosa”, che custodiva le insegne dette “inamovibili”. La
tradizione locale identifica questo tempio con una piccola cella a base
quadrata e forse circondata da un portico rinvenuta da Mario Mirabella Roberti
all’interno della cattedrale estiva, con delle misure che si aggirano sui m 17 di lato.
La cittadella
Il medhelan
continuò a sussistere accanto ad Alba e venne più tardi trasformato in cittadella,
ossia circondato da un terrapieno rinforzato da palizzate, affinché la
popolazione potesse trovarvi riparo nelle emergenze o vi si radunasse in
occasione di feste o cerimonie. Aveva pur sempre carattere sacro, finché
dall'imperatore Augusto in poi, dopo il divieto dei culti peculiari dei Celti,
tale funzione venne gradualmente meno. Nell'antico medhelan si poté allora
costruire (sono state trovate tracce di abitazione intorno a S. Fedele), ma
avanzava ancora ampio spazio per i raduni, per cui rimase nella memoria
collettiva a partire dal medioevo come arengo;
il vocabolo pare essere di origine germanica e derivare da
"ring" ossia "cerchio", forse per l'abitudine di disporsi
intorno a chi parlava, ma nei documenti si chiama anche arenario,
chiaramente per la presenza di terra battuta.
L'area
residenziale romana
Rispetto
al perimetro delle prime mura urbiche (inizio I sec. d.C.), la zona di piazza
Duomo si pone all’estremo margine orientale, con la limitazione naturale a
sud di un laghetto, le cui banchine di attracco sono state rinvenute in via
Larga. Non è mai stata trovata traccia di muro urbico a est, poiché doveva
forse essere considerata una barriera sufficiente il corso del Seveso che
s’immetteva nel laghetto.
L’analisi dei tracciati viari sembrerebbe dimostrare
che questa zona della città fosse poco costruita fino all’età augustea,
quando l'edificio quadrato di m 17 di lato (interpretato come tempio di
Belisama-Minerva) venne circondato da abitazioni civili di un certo pregio,
con pareti intonacate e affrescate.
A oriente dell'edificio quadrato si
trovava una casa privata dotata di riscaldamento, come dimostrano le suspensurae
ritrovate negli ultimi scavi della piazza; immediatamente a sud si ergeva una
costruzione imponente, a giudicare dalle fondazioni massicce, circondata
almeno su due lati da un ambulatorio o da un portico; doveva trattarsi di un
edificio pubblico risalente al 120 d.C. circa e demolito nel III secolo. Sulla
stessa area venne costruita una casa modesta, rimpiazzata a sua volta nel IV
secolo da un edificio più grandioso porticato e dotato di una vasca,
alimentata dal condotto dell'Aqualonga.
Più a sud ancora, verso gli attuali portici meridionali, gli edifici
del IV secolo dimostrano un certo rinnovamento edilizio, con la costruzione di
edifici in muratura all’esterno e pareti interne a cannicciata. Questo
rinnovamento corrisponde all’elevazione di Milano a capitale (dopo il 286) e
al periodo in cui gli imperatori risiedevano in città. Le case milanesi, data
la povertà di materiali edilizi, hanno sempre privilegiato la cannicciata o
il tramezzo di legno per le pareti divisorie e realizzato i pavimenti con un
battuto di limo giallo naturale.
La
prima fase del complesso episcopale
La Chiesa cattolica milanese ebbe un primo nucleo di
fedeli forse a partire dalla fine del II secolo, ma è probabile che il
vescovo a capo di questa esigua comunità
fosse lo stesso di Roma. Bisognò attendere la metà del III secolo
perché Milano avesse, in comune con Brescia, un vescovo nella persona di
Anatelone, di origine greco-orientale. Il cristianesimo era un culto orientale e la
presenza di orientali a Milano era piuttosto rarefatta, al contrario
dell'Italia meridionale e della stessa Roma. I proto-vescovi milanesi vivevano
a casa loro e celebravano nelle case dei fedeli più abbienti che disponevano
di cappelle private. Non ci furono mai persecuzioni a Milano e tanto meno
martiri, mancanza di cui si lamentava S. Ambrogio, proprio in conseguenza del
numero limitato di fedeli.
Nel 303 ci fu ancora un editto emesso da Galerio il 23
febbraio, Festa dei Terminalia, per
la chiusura delle chiese cristiane: i testi sacri vennero bruciati e i
cristiani di ceto abbiente furono sottoposti a infamia. I cristiani poterono
riavere i loro beni dopo l’editto di tolleranza rilasciato nel 311 dallo
stesso Galerio a Nicomedia e confermato da Costantino nel 313 a Milano, che
nello stesso anno concesse a tutto il clero cattolico l’esenzione dai munera
civilia.
La basilica vetus
Raggiunta la pace, intorno al 314 il vescovo Mirocle,
su richiesta dell’imperatore Costantino, costruì coi fondi del fisco una cattedrale
doppia con battistero incluso. La basilica cristiana si trovava quasi a
ridosso del confine orientale della città, in una posizione che dal IV secolo
non era più marginale, dopo che dal 286 era stata aggiunta ad oriente un'area
estesa - la "Addizione erculea"-, dotata anche di terme. Comunque,
anche nelle altre città che ricevettero la basilica doppia in questo periodo,
l’ubicazione è sempre vicina alle mura per motivi di sicurezza, come del
resto per tutti gli edifici pubblici dove ci si aspettava un forte concorso di
pubblico.
La pianta della basilica era simile a quella di Aquileia,
della quale conosciamo le esatte misure: aula sud m 37,20 x 20,20 m; aula
intermedia m 16,67 x 28,80 m; aula nord m 37,40 x 17,20.
La basilica mediolanense venne costruita con
orientamento est-ovest; le due aule maggiori - senza abside - erano separate
da un'aula intermedia in cui era inserito il battistero ed erano coperte
verosimilmente da un
soffitto piano affrescato sorretto da colonne; il pavimento doveva essere
abbastanza semplice, come nelle restanti case milanesi. Paolino da Nola
afferma che la disposizione gemina col battistero in mezzo era “conforme
alle leggi sante”, quindi la cattedrale doppia era una regola e la
separazione dei locali aveva uno scopo funzionale a noi parzialmente ignoto.
L’aula sud della vetus mediolanense era leggermente la più
piccola delle due ed era preceduta da un atrio per i catecumeni che
lasciavano la messa all'offertorio, per i non credenti e i postulanti. E'
quella che Ambrogio chiama la basilica minor, ossia la
chiesa episcopale, dove lui salmodiava cum fratribus. Il vescovo vi si
recava quattro volte al giorno: per le preghiere finali delle laudi, a Sesta,
a Nona, per gli anni e i salmi del Lucernario.
L’aula nord era più ampia perché serviva alla celebrazione
eucaristica domenicale e festiva. E' chiamata semplicemente basilica vetus.
Accanto al battistero sappiamo che esisteva anche uno spazio
per gli esorcismi e il consignatorium ossia la sala
riservata alla cresima, ma è fuori dubbio che questi spazi servissero anche
per altri momenti della vita ecclesiastica. L'imperatore Costantino, di
passaggio a Milano dal 7 settembre al 12 ottobre 318, riconobbe alla
giurisdizione dei vescovi la stessa validità attribuita a quella della
magistratura civile. Si può quindi supporre che un’aula della basilica,
forse nello spazio intermedio, servisse per il disbrigo delle questioni di
diritto ecclesiastico.
L’insieme doveva apparire all’esterno come un blocco
massiccio, forato da piccole e alte finestre, molto simile all’horreum,
il granaio pubblico, costruito sulla strada per il settentrione (via
Broletto). E’ importante notare fin d’ora questa disposizione alla difesa
del gruppo episcopale, che si renderà più evidente nei secoli successivi con
la grande recinzione.
Il vescovo Mirocle non vide la cattedrale terminata,
perché morì nel 316, lasciando la consacrazione al successore Materno.
Nuovi modelli architettonici
Per volontà dell’imperatore Costantino
il rituale legato alla messa fu modificato sul modello del cerimoniale
imperiale. All’inizio della funzione il vescovo e il clero facevano il loro
ingresso in chiesa in processione; alla fine della messa dei catecumeni,
all’offertorio, toccava a tutta la comunità dei fedeli sfilare, divisi per
sesso, per deporre le offerte su due tavoli posti ai lati dell’altare, che
da semplice mensa mobile si era trasformato in prezioso arredo stabile. La
nuova fisionomia ieratica della Chiesa esigeva quindi un’architettura
particolare, di dimensioni longitudinali, idonea allo svolgimento di questo
rituale e quindi ben diversa dalle aule utilizzate fino a quel momento per le
funzioni religiose. Inoltre a partire dal 320 la domenica era divenuta giorno
di festa obbligatoria, con la
celebrazione della messa solenne e con un richiamo maggiore di fedeli, per lo
più solo catecumeni.
Nella basilica vetus
si tenne un concilio alla fine del 345 alla presenza dell’imperatore
Costante e del vescovo Protaso. Fu forse l’ultimo concilio svoltosi nella
basilica vetus, perché pochi anni
dopo era già pronta la nuova basilica, detta maior.
Notiamo per inciso che le basiliche cristiane in questo
periodo non sono dedicate né al S. Salvatore, né ai santi, ma si chiamano
semplicemente "basilica ecclesia": a parte le cappelle
domestiche, non esistevano altri edifici per il culto collettivo e quindi non
c'era necessità di differenziarle con titoli.
Il battistero
Nell’aula che separava le due parti della cattedrale si
trovava l'ampia sala con il battistero, misurante
m 17 x m 18 e con ingresso a
nord. La vasca battesimale aveva una forma ottagonale irregolare, coi lati
esterni che misuravano m 2 e un diametro massimo interno di ca. m 3,60; aveva
due scalini per la discesa nel fonte e il rivestimento in marmo. Il battesimo
per gli adulti, dopo tre anni di istruzione, avveniva per immersione
collettiva.
Davanti alla sala col
battistero si trovava di solito un portico per celebrare l' esorcismo
precedente il battesimo; accanto vi era una piccola stanza, detta consignatorium,
per la successiva unzione col
crisma (solo verso il Mille si iniziò a conferire la cresima in chiesa).
Il luogo della catechesi variava a seconda del grado: i competentes,
arrivati al battesimo, erano istruiti nella basilica, gli altri si riunivano
nella vicina domus episcopi.
Si battezzava alla vigilia di Pasqua; non erano molti i battezzandi perché
ricevere il sacramento che includeva anche la cresima e la comunione
significava per lo più votarsi alla carriera religiosa, sia per i sacerdoti,
sia per le vergini velate o le vedove consacrate. I fedeli usavano battezzarsi
in punto di morte.
In questo battistero ricevette il suo battesimo e gli
altri sacramenti Aurelio Ambrogio, dopo essere stato eletto vescovo di
Milano nel 374.
La basilica maior
Nel 342 l’imperatore Costante aveva ricevuto a Milano
il vescovo Atanasio di Alessandria, che gli aveva esposto la necessità di
convocare un concilio ecumenico per condannare l’arianesimo. Il concilio si
era tenuto nel 345 nella vetus, ma
l’imperatore aveva ritenuto necessaria la costruzione di una nuova e più
adeguata basilica, alla quale dette la sua sovvenzione.
La basilica venne costruita inglobando il presunto tempio
di Minerva-Belisama, del quale resterà una pervicace memoria locale. E' fuori
discussione che in quel periodo il tempio fosse in disuso e che l'area fosse
data in concessione alla Chiesa cattolica direttamente dall'imperatore.
Il modello per la nuova basilica fu ricalcato su quello
del grandioso S. Giovanni in Laterano. La basilica milanese aveva una pianta a
cinque navate, con transetto inscritto anch’esso a cinque navate e abside
semicircolare, per una lunghezza totale di m 80,80 e per una larghezza totale
di m 45,30. Le navate laterali misuravano m 7, quella centrale m 17; i muri erano realizzati in mattoni poggianti su fondazioni in ciottoli
di fiume affogati nella malta ed avevano uno spessore di m 1,20 (anche quello
di chiusura tra il transetto e le navate minori). Il pavimento era in
cocciopesto nella navata e in lastre di marmo grigio nel presbiterio,
sopraelevato di cm 27.
La maestosità della basilica era evidenziata dal
cromatismo, ricalcato anche questo da S. Giovanni in Laterano: breccia rossa
africana, proveniente dalla cava imperiale numidica di Simitthu
(Chemtou in Tunisia) per le colonne della navata maggiore e marmo verde antico
per le colonne sulle navate minori, poggianti
su plinti di marmo bianco d’Ossola.
Al centro della navata, in
corrispondenza con un lato del presunto tempio gallo-romano, si trovava un pozzetto.
Il transetto inscritto sottolineava il diverso utilizzo
delle due parti della basilica: laico per la navata, che poteva ospitare
pellegrini, rifugiati, forestieri che vi potevano passare la notte, oppure
poteva servire per il disbrigo delle faccende curiali; esclusivamente
religioso per il transetto, in modo da creare una chiesa nella chiesa. Uno
degli scopi perseguiti nella costruzione delle nuove grandi basiliche fu di
offrire ambienti adeguati alle sempre più importanti attività
extra-liturgiche, in quanto la legislazione promossa da Costantino e dai suoi
successori prevedeva molti compiti amministrativi a carico della Chiesa.
Davanti alla facciata vi era un esonartece o
portico profondo solo 14 m, perché la fitta rete di costruzioni, anche se
modeste, che circondava la basilica non permise la costruzione di un grandioso
quadriportico. Questo portico doveva avere una sorta di terrazza, perché il
biografo e segretario di S. Ambrogio, Paolino, narra di “un tale Innocenzo
che era salito di notte sul tetto della chiesa per aizzare gli odi della gente
contro Ambrogio, compiendo sacrifici”, atto impossibile a compiersi su un
tetto spiovente coperto con tegole.
La consacrazione ariana
L’inaugurazione avvenne nel gennaio del 355 con un
grande concilio in difesa dell’arianesimo, organizzato dal prefetto Flavio
Tauro. Fu un inizio infelice, perché di fronte al tumultuare del popolo nella
grande navata, l’assemblea dovette trasferirsi nel palatium.
Il vescovo cattolico Dionigi fu
condannato all’esilio e venne sostituito con il filo-ariano Aussenzio,
un vescovo della Cappadocia, che resterà in carica fino al 374. Aussenzio
proveniva come formazione dalla scuola di Origene di Cesarea, ignorava il
latino e questa estraneità gli suscitò l’ostilità dei milanesi; inoltre
sosteneva che Maria, dopo Gesù, aveva partorito a Giuseppe altri figli, negandone
quindi la perenne verginità. Il suo insediamento avvenne solo con scorta armata.
Atanasio, il vescovo di Alessandria in esilio e scomunicato nuovamente in
questo concilio, lo definì “faccendiere”, ossia uomo di regime.
La
consacrazione con il trionfo ariano segnò il destino della basilica anche
durante l’episcopato di Ambrogio,
successo ad Aussenzio: la grande basilica avrebbe potuto godere di un rilancio
cattolico grazie alla forte personalità e al prestigio del vescovo, se non
fosse subentrata a Milano nuovamente la corte ariana guidata
dall’imperatrice Giustina.
Dal 378, appena quattro anni dopo l’elezione di
Ambrogio, la corte di Sirmio si era infatti spostata a Milano per sottrarsi
alla pressione dei Goti e solo il trasferimento in pianta stabile
dell’imperatore Graziano a Milano nel 381 e la sua alleanza con Ambrogio
poterono sbilanciare brevemente la situazione a favore dei cattolici. Dopo
l’assassinio del giovane imperatore, l’ago tornò a spostarsi a favore di
Giustina e a partire dal 384
Ambrogio dovette lottare non poco per riavere il controllo completo sulla
grande basilica, contestatagli dal rivale vescovo ariano Aussenzio II,
fino agli scontri radicali di Pasqua del 386.
La testimonianza di S. Ambrogio
Dalla descrizione degli avvenimenti di quella settimana
di passione che Ambrogio fa alla sorella Marcellina riusciamo a vedere il
grande complesso cattedrale: martedì 31 marzo 386 Ambrogio è asserragliato
nella basilica vetus e poi va a
casa a dormire, ossia nella sua domus
collocata sul lato meridionale della basilica vetus
(unita?). Prima dell’alba di mercoledì 1° aprile i soldati
circondano la vetus e Ambrogio è
svegliato dal clamore: “Dai lamenti del popolo compresi che la basilica era
stata circondata”. Anche la basilica nuova era piena di gente, inclusi i
soldati. Comunque vinse Ambrogio e Giustina festeggiò la Pasqua nella più
permissiva Aquileia.
Nella basilica si visse un altro momento carico di pathos
e di tensione nel Natale del 390, quando Ambrogio impose all’imperatore
Teodosio la penitenza prima di essere riammesso alla comunione dei fedeli dopo
la strage di Salonicco, avvenuta nell’agosto di quell’anno.
L’imperatore, privo delle insegne imperiali, entrò in chiesa tra due ali di
fedeli e, piangendo, si gettò più volte in ginocchio, chiedendo perdono a
Dio.
La vigilia di Pasqua dell’anno 397, giorno di
battesimo, morì il vescovo Ambrogio e la sua salma venne esposta nella
basilica maior prima di venir
tumulata nella basilica Ambrosiana. I neofiti che avevano appena ricevuto il
battesimo nel nuovo battistero e si recavano in processione nella basilica per
ricevere la prima comunione raccontarono di aver visto il vescovo seduto sulla
cattedra episcopale e si dissero stupiti nel sapere che in realtà era già
morto.
Il battistero ariano e poi ambrosiano
Pur esistendo già il battistero della basilica vetus,
qualche anno dopo il 370 venne progettata la costruzione di una basilica
baptisteri a pianta circolare accanto alla basilica nuova, già terminata.
L’ideatore fu probabilmente il vescovo ariano Aussenzio: perché costruì un
battistero quando ne esisteva già uno nella basilica vetus? Bisogna
forse desumere che la basilica vetus rimase legata al culto cattolico?
Per far spazio al nuovo battistero si procedette alla
demolizione di edifici civili, ma ugualmente lo spazio ricavato rimase esiguo.
Oltre a case comuni venne abbattuto anche un imponente edificio quadrangolare
dotato di una vasca e circondato da alberi.
Il vescovo morì nel 374 lasciando il lavoro incompiuto,
ma la successione di Ambrogio vanificò il progetto di un battistero ariano.
Ambrogio modificò sostanzialmente la costruzione, perché
trasformò l’edificio circolare in un martyrion
ottagono, simile ai mausolei costruiti in quegli anni a Milano, ossia quelli
di S. Gregorio in S. Vittore al corpo e di S. Aquilino in S. Lorenzo,
ottenendo così il significato simbolico di morte alla vecchia vita e
resurrezione a quella eterna attraverso l’acqua salvifica del battesimo.
Così come avvenne per la basilica Apostolorum,
costruita da Ambrogio intorno al 382, anche il battistero fu edificato col
massimo del risparmio, utilizzando materiali ed elementi architettonici di
reimpiego insieme ai laterizi nuovi. In base agli scarsi elementi lapidei
rinvenuti, sembra che le colonne interne avessero capitelli corinzi e
reggessero una pergula.
Il battistero aveva i lati all’esterno di m 7,40, con
quattro ingressi; nello spessore della muratura (m 2,80) si erano ricavate
otto nicchie alternatamente rettangolari e semicircolari, ampie m 3,50; in
ogni angolo tra le nicchie erano collocate otto colonne del diametro di cm 45.
Al centro del vano era la vasca, parimenti ottagonale, larga m 5,50 e profonda
cm 80, con gradini in mattoni per la discesa e rivestimento in marmo bianco:
il battezzando entrava nella vasca da oriente, attraverso due gradini di
accesso, e si portava verso il lato opposto, dove i resti di due incassi,
previsti nel pavimento in opus sectile,
fanno pensare all’esistenza di transenne o di un dispositivo liturgico
funzionale al rito e indicante l’ubicazione del vescovo durante la
cerimonia; tale dispositivo si trova in corrispondenza dell’ingresso
occidentale.
La decorazione originaria ambrosiana è andata persa, ma
dagli scarsi frammenti sembra che il pavimento fosse in cocciopesto come nella
vicina basilica.
Uno fra i primi a utilizzare il nuovo battistero fu S.
Agostino, battezzato nel 387 da Ambrogio.
Accanto al battistero venne costituito un sacello
quadrato e porticato che doveva servire per gli esorcismi precedenti il
battesimo e per la cresima dopo il battesimo. Resta da comprendere come
venissero utilizzati gli spazi analoghi nella vetus dopo che il
cattolicesimo si era imposto definitivamente a scapito del culto ariano.
La domus presso la basilica vetus
Ambrogio cita la basilica vetus
in connessione con la sua domus.
L’area intorno al battistero nella vetus (poi noto come battistero di
S. Stefano) rimase domus episcopalis
fino al XIV secolo, ma le continue distruzioni e ricostruzioni in quest'area
rendono ormai impossibile una precisa collocazione della primitiva domus
episcopalis. Secondo Paolino, biografo di Ambrogio, si trattava di una
casa con un piano superiore, dotata di un
lungo portico. I resti di un edificio con rivestimenti a mosaico, collegabile
alla domus episcopalis, erano emersi nel 1840 negli scavi effettuati
nell'area del Camposanto dietro l'abside del Duomo. I muri in mattoni avevano
un andamento N-S, come la basilica vetus.
E' però difficile suppore che questo edificio si estendesse fino ad includere
l'edificio ritrovato sotto l'attuale Arcivescovado.
Si sa inoltre che la residenza del vescovo si trovava
vicino al viridarium,
che troviamo descritto da Benzo Alessandrino:
"quasi
paradisus diversis insitum arboribus amoenum erat iuxta
moenia civitatis, ubi consules et senatores sua corpora recreabant, in quo
fructum et florum immensa diversitas aviumqaue inclusarum (...) Hic loco hodie
vulgo Verzarium dicitur".
Nella domus
non solo viveva il vescovo, ma probabilmente trovavano temporaneo alloggio i
religiosi di passaggio e gli uffici di rappresentanza, un po’ come oggi
l’arcivescovado. Nel concilio di Cartagine del 401 i vescovi nordafricani si
rivolsero al vescovo di Milano Venerio per avere in prestito preti, il che
lascia intendere che a Milano vi fosse abbondanza di clero. Venerio inviò il
diacono Paolino, futuro biografo di Ambrogio, per curare l’amministrazione
dei beni della Chiesa milanese, ereditati dal vescovo Ambrogio e dai suoi
fratelli.
Quando nel 402 la corte si trasferì a Ravenna, a Milano
restò la domus episcopi a
continuare la gloria passata.
L'edificio romano sottostante l'attuale Arcivescovado
Questa prima domus episcopi non sembra coincidere
con quella che l'arcivescovo Giovanni Visconti costruì nel XIV secolo (vedi
la pagina dell' Arcivescovado).
Gli scavi effettuati recentemente sotto l’Arcivescovado hanno portato alla
luce una successione di interventi edilizi sulla stessa area. La prima fase
comprende resti di una domus di età
augustea orientata E-O, con pavimento a mosaico bianco e pareti con intonaco
dipinto. Sulla demolizione di questa domus
si costruì un edificio nel IV secolo che utilizzò anche grossi rocchi di
colonne scanalate e intonacate, provenienti da un edificio di età
repubblicana in disuso. La nuova costruzione, che disponeva di un ambiente
absidato, aveva il pavimento in lastre di marmo grigio come il presbiterio
della basilica maior, della quale
risulta contemporanea.
Non sappiamo molto di più circa l’esatta ubicazione dell’edificio, né
sulla disposizione delle stanze, ma - destinazione a parte - si può
immaginare che non differisse molto da una signorile casa del IV secolo.
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Jorio
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Milano, una capitale da Ambrogio ai Carolingi, Electa, Milano 1987, pp. 48-79
La
città e la sua memoria. Milano e la tradizione di S. Ambrogio, Electa, Milano
1997
Lenox-Conyngham,
The topography of the basilica conflict of a.D. 385/6 in Milan, in
"Historia", XXXI, 1982, pp. 353-363
Lusuardi
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Mirabella
Roberti Mario, La cattedrale antica di Milano e il suo battistero, in
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Perring
D., Lo scavo in piazza Duomo: età romana e alto medioevo, in Scavi
MM3, vol. I, pp. 237-261
Piva Paolo, La cattedrale doppia. Una tipologia architettonica e liturgica del
Medioevo, Pàtron Editore, Bologna 1990
Piva Paolo, Le cattedrali lombarde. Ricerche sulle "cattedrali
doppie" da sant'Ambrogio all'età romanica, Quistello 1990
Ultimo aggiornamento: mercoledì 28 agosto 2002
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