Premesse
Un Sestiere dimezzato
Nel catasto del 1752 il sestiere di Porta Comasina
coincideva ormai con le case prospicienti l’asse viario principale e con una
limitata rete di intricate viuzze di origine medievale verso il più vasto
sestiere di Porta Nuova. La ragione di una
così ridotta estensione territoriale va cercata nel fatto che la porzione
occidentale del sestiere esterna al Pontaccio venne atterrata per far posto al
castello visconteo-sforzesco (o meglio, all’area di rispetto che lo
circondava), alla “tenaglia” dei Bastioni spagnoli e infine, in età a noi più
vicina, all’arena.
L’asse viario del sestiere,
identificabile nei tratti di via Broletto, Ponte Vetero, Mercato, (Pontaccio),
corso Garibaldi, è uno dei più antichi di Milano, probabilmente ricalcante una
via glareata preromana, che collegava Milano al nord attraverso Como e, da una
serie di biforcazioni che iniziavano all’altezza del Ponte Vetero, raggiungeva
il Seprio o più semplicemente antichi insediamenti come quelli di Dergano e
Affori.
Due toponimi sono rimasti a
segnalare la presenza di due attraversamenti dei fossati urbani: Ponte Vetero,
allo sbocco di via Broletto, e Pontaccio, all’imbocco di corso Garibaldi.
Esistono testimonianze di
presenze insediative nel sestiere già nella seconda Età del Ferro, ma
scarsamente considerate: in via S. Protaso si rinvennero negli scavi per la
Banca Popolare di Novara degli “oggetti” non meglio precisati. In tutta la zona
dobbiamo lamentare una inveterata e gravissima assenza di documentazione (o
anche segnalazione) di reperti, che supponiamo deliberata, nel corso della
costruzione ottocentesca e anche più recente degli edifici ai due lati di via
Broletto. Trattandosi di un’arteria vecchia di 2500 anni, la lacuna è quanto
mai grave.
Le
mura urbiche: ipotesi molte, poche certezze
Le mura di una città sono un
organismo vivo, come la pelle che riveste i nostri corpi: si allargano e si
stringono in continuazione, infine si sfaldano. Per gli effetti
dell’aberrazione temporale, si può creare l’idea che debbano comunque lasciare
una traccia della loro esistenza, ma non è così. Basti ricordare a Milano
l’ingloriosa storia dei Bastioni spagnoli: appena costruiti vennero usati come
cave edilizie e servirono solo a far pagare dazi e gabelle, poi sono scomparsi
senza quasi lasciar traccia, fagocitati dai quartieri edilizi lungo la
circonvallazione dei tram 29-30.
Anche la funzione delle mura
cambia: proteggono inizialmente con un solco sacro (pomerio) dalle forze
oscure, dall’inciviltà, dai lemuri; stabiliscono successivamente una proprietà
territoriale, come i muri e le porte di casa propria, perciò inviolabile per
diritto; nei momenti di pericolo rallentano in caso di attacco l’accesso
agli invasori; proteggono l’economia interna con il pagamento di dazi per le
derrate straniere e garantiscono il prelievo fiscale; contribuiscono a formare
l’identità dei cittadini: dentro urbani, fuori “ariosi”, campagnoli; diventano
fortezza esse stesse, a volte prigioni; si trasformano in viale di passeggio
alberato; finiscono spesso per diventare area appetibile per le speculazioni
edilizie; spariscono, lasciando l’organismo “senza pelle”, per cui si torna a
parlare di dazi, di delimitare, contingentare l’afflusso di merci, veicoli e
persone.
L’analisi dell’evoluzione
urbanistica del Sestiere di Porta Comasina offre lo spunto per osservare
proprio queste trasformazioni, ricorrendo in molti casi all’immaginazione, alle
ipotesi, alle deduzioni, perché Milano ha cambiato spesso pelle, ma per diversi
motivi non ne ha quasi conservato traccia.
Sestiere
di Porta Comense, Cumana, Comacina, Comasina o Garibaldi?
L’antichità del Sestiere
milanese qui analizzato si ritrova nell’evoluzione del suo nome. Innanzi tutto,
il nome gli deriva dalla Porta, che a sua volta lo prendeva dalla direzione
principale della strada che vi si apriva. In questo caso, essendo la direzione
principale Como, la porta era detta dai Romani Comensis. Non
dimentichiamoci però che il celtico sussisteva accanto al latino, per cui già
in età romana i milanesi chiamavano questa porta “Comacina”, allo stesso modo
in cui il lago era Comacino (Itinerario d’Antonino) e l’isola del lago è ancora
“Comacina”. E’ lo stesso adeguamento linguistico che si ritrova nella Porta
Vercellense, trasformata in Vercellina.
Nel medioevo tutto ciò che
aveva a che fare con Como divenne “Cumano”, per cui troviamo “Porta Cumana” nei
documenti, accanto all’antica dizione Comacina, trasformata ai nostri giorni in
“Comasina”, che dà il nome a un quartiere della periferia nord.
Consapevoli del rischio di
malinteso geografico, noi continueremo a usare il nome recente di “Porta
Comasina” per tutto il Sestiere, tralasciando quello più corretto di Porta
Comacina.
Resta da stabilire l’accento:
Comàcina o Comacìna? Noi propendiamo per il secondo, appartenendo il primo al
medioevo, quando i Maestri Comàcini divennero protagonisti dei cantieri edilizi
dell’intera penisola. In questo caso si trattava di magistri cum macinis,
più che di comaschi, anche se la loro area di provenienza era quella ticinese.
Persa l’identificazione con
la sua arteria principale, ora la zona è conosciuta come “Porta Garibaldi” e a
ricordo del suo nome primitivo è stato aperto un troncone di strada oggi chiuso
al traffico, pomposamente detto “corso” Como.
L’età cesariana
Esistevano
le mura gallo-romane?
Con la Lex Iulia del
49 a.C. e l’iscrizione alla tribù Oufentina come collegio elettorale,
l’agro milanese venne misurato in centurie e lo stesso municipio dovette
ricevere come prassi un simbolico pomerio che ne sacralizzasse il territorio.
Sappiamo come la vita romana fosse scandita da ben precisi rituali e come la
distinzione fra dentro e fuori la città fosse irrinunciabile, non da ultimo per
le sepolture, tassativamente esterne al pomerio. Poteva trattarsi di un
semplice solco o di una palizzata o di un muro a sacco, opere che molto
difficilmente lasciano una traccia nei secoli, ma il perimetro municipale
doveva essere consacrato.
Milano, non diversamente da
tutti gli altri municipi, dovette quindi avere una demarcazione con funzione
giuridico-amministrativo-sacrale, che probabilmente delimitava con buona
approssimazione la superficie di una centuria di 23 x 23 actus (un
quadrato di 807 m di lato), orientata secondo gli assi principali NS-EO. Questi
assi non sono naturali per Milano che, pur essendo in pianura e sgombra da
eminenze collinari o laghi, è orograficamente “inclinata” e segnata dal fluire
dell’Olona e dal Seveso, oltre che da un rigagnolo di risorgive, che
favoriscono un orientamento trasversale, per intenderci quello di via Manzoni-
via S. Margherita.
Il
perimetro del pomerio
Fatte queste premesse, la
nostra ipotesi circa le “mura” gallo-romane
nella zona settentrionale del municipio vedrebbe il loro inizio in via Bossi e
l’apertura della Porta Nord o Pretoria all’altezza dell’attuale chiesa
di S. Tomaso in terramala. Le “mura” sarebbero proseguite a ovest fino alla
Porta Giovia, in via Camperio-S. Giovanni sul Muro, mentre a est non ci
dovrebbero essere state demarcazioni, perché si trovavano il perimetro del
santuario (estraneo al diritto romano) e più esternamente il letto del Seveso.
Il pomerio doveva riprendere in via S. Raffaele per lambire a sud il letto del
Seveso e il laghetto in via Larga. Ricordiamo che in via Agnello sono state
trovate sepolture del I sec. d.C., che confermano come questa zona fosse fuori
le mura.
Insistiamo a notare che,
essendo la demarcazione verso l’esterno solo simbolica, non era necessario
scavare un fossato protettivo né tanto meno incanalarvi l’acqua e le porte
urbiche potevano essere aperture sacralizzate realizzate in legno.
Il
santuario celtico
Perché le mura gallo-romane
si sarebbero fermate in via Bossi? Perché bisogna fare i conti con la presunta
elisse celtica, il santuario che potrebbe
rappresentare il nucleo di fondazione di Mesiolan-Mediolanum, con il
quale confinava il sestiere di Porta Comasina. (Vedi la pagina sul Medhelan in questo sito)
Dal Cordusio fino al Ponte
Vetero, il lato orientale del sestiere confinava con questo ipotetico primitivo
nucleo, diciamo ipotetico perché anche in questo caso non sono emerse finora
tracce materiali che ne facciano ammettere l’esistenza (se non si vuole
considerare come indizio probante l’assenza di edificazione fino al I secolo
d.C. all’interno di tutta l’area, mentre l’esterno del suo perimetro è tutto
edificato).
All’estremità settentrionale
dell’elisse (attuale piazzetta Giordano Dell'Amore) si trovava un’altra costruzione di
notevole rilevanza, ma della quale si sono perse le tracce archeologiche: la
chiesa di S. Giovanni alle Quattro Facce, costruita secondo la tradizione
locale sull’arco quadrifronte di Giano.
L’arco
di Giano quadrifronte e il calendario giuliano
Allo sbocco di via del del Lauro si
trova una via con piazzetta un tempo chiamata di S. Giovanni alle Quattro
Facce, poi via Oriani e oggi via Arrigo Boito, mentre la piazzetta è dedicata a Giordano Dell'Amore. Qui si trovava fino alle
soppressioni giuseppine del 1786 la chiesa di S. Giovanni alle Quattro Facce,
già così intitolata nelle carte del X secolo. Come tutta la via del Lauro (detta
nel medioevo via publica), apparteneva ai Da Baggio. Qui una pervicace
tradizione locale voleva che si trovasse il tempio di Giano quadrifronte,
esaugurato in età cristiana in S. Giovanni Battista. Galvano Fiamma scrisse di
un Giano quadrifronte trovato nelle mura di Porta Comasina, Giulini ricordava
che l’immagine di Giano era scolpita nella fronte della chiesa, ricostruita nel
1631 da F. M. Richini.
Gli storici contemporanei si sono mostrati molto scettici nell’accogliere
questa tradizione, che invece
ha un suo senso e una certa probabilità di corrispondere a eventi realmente
accaduti.
Ammesso che qui vi fosse
stato un arco romano, si sarebbe trovato all’estremità settentrionale del
santuario celtico. Per visualizzarlo, possiamo servirci del confronto con l'Arco quadrifronte di Settimio Severo a Leptis Magna e supporre che fosse
simile a quello di Milano.
L’occasione potrebbe essere
stata la stessa che aveva promosso lo scavo del pomerio, ovvero l’ingresso
ufficiale del capoluogo degli Insubri nel mondo romano, con in aggiunta un quid
che giustificherebbe la presenza di questo arco proprio ai limiti del santuario
di fondazione della città.
Con Cesare si era imposto dal
46 a.C. il calendario solare, detto “giuliano”, che rappresentava per gli
Insubri una vera rivoluzione (forse ancora più sensibile di quella politica)
rispetto alla loro sensibilità urania, basata sul calendario lunare. Per motivi di praticità, le quattro feste
celtiche di Samoin, Imbolc, Beltane e
Lugnasad vennero fissate alle calende di novembre, febbraio, giugno e agosto,
trascurando il fatto che le feste fossero legate alle levate eliache degli
astri protettori della festa. A ricordo di tale rivoluzione astronomica sarebbe
stato plausibile innalzare un arco a Giano, nel punto che indicava il tramonto
del sole al solstizio d’estate. S. Giovanni Battista, il patrono della
chiesetta che dal medioevo si trovava sul luogo del presunto arco, veniva
festeggiato proprio al solstizio del 24 giugno.
Riassumendo: una leggenda
bella e ancora di forte presa sul nostro immaginario di moderni milanesi;
nessuna prova archeologica o documento di storici romani; scetticismo negli
storici di Milano più accreditati.
Le mura augustee
Con l’impero di Ottaviano
Augusto cambiò radicalmente la concezione delle mura e dell’impianto urbano in
generale. Ogni città romana doveva uniformarsi a un unico modello urbanistico,
avere un foro, centri di svago in muratura, edifici di rappresentanza e di
culto imperiale, uffici amministrativi; le città dell’impero dovevano essere
talmente simili che un cittadino romano poteva girare ovunque e sentirsi a casa
sua (mutata mutandis quello che succede oggi nei villaggi turistici,
tutti rigorosamente dotati delle stesse strutture).
Le mura non erano più solo
simboliche, ma in pietra, protette da un fossato possibilmente navigabile per
far defluire il traffico delle merci pesanti dall’interno della città, e da un
antemurale, un solco ugualmente difensivo nei confronti di quei poveretti
costretti ad abitare fuori mura a causa degli sfratti del centro storico,
adibito a rappresentanza.
Si scavò un fossato largo 13 metri e navigabile. Venne da sé che l’orientamento doveva assecondare l’orografia
ed essere funzionale a raccogliere l’acqua dai fiumi (a carattere torrentizio)
che lambivano la città, per cui si dovette abbandonare l’orientamento del
pomerio gallo-romano (che non venne però esaugurato, rimanendo come tracciato)
e si costruì un rombo che includesse il precedente quadrato di 24 actus.
A interrompere la regolarità
del rombo rimase sempre il santuario: Ottaviano aveva decretato la fine del
mondo celtico e la chiusura delle scuole druidiche, ma la mentalità romana non
permetteva di urtare in qualsiasi modo le divinità di altri pantheon, per cui
sembra fuori discussione che si ignorasse la presenza del santuario tagliandolo
in due con il passaggio delle mura (via Filodrammatici) e lo scavo di un fossato.
Il confine orientale rimase così inalterato, mentre a sud si procedeva al
prosciugamento del laghetto e alla costruzione di nuove mura, tuttora visibili.
Seguendo la necessità di far
arrivare l’acqua al fossato, si dovette procedere nella zona nord allo
spostamento delle mura lungo via del Lauro, dove proseguivano a ovest verso via
Sacchi. Dato il dislivello, il fossato riceveva a est del Ponte Vetero l’acqua
dal Seveso (sono da rintracciare le canalizzazioni) e a ovest dal Nirone, che
giusto in via Sacchi si biforcava.
Di questa cortina muraria di
età augustea abbiamo resti un po’ ovunque nella città. Nella zona
settentrionale ne è emersa una porzione nel corso degli scavi nel 1958-1961 per
le fondamenta del palazzo tra via del Lauro e via Bossi,
che aveva permesso di riconoscere:
a) lo spessore e la struttura delle mura (cm 160 in
media). Rispetto ai restanti tratti di mura riscoperti e analizzati, ci sono
delle discrepanze, la cortina risulterebbe essere qui più sottile.
Leggiamo
da Tocchetti Pollini, La prima cerchia di mura: “Prive di vere e proprie
fondamenta, le mura presentano alla base una platea di laterizi, alta cm
30 e larga cm 210, composta regolarmente da quattro filari di mattoni dalle
dimensioni approssimative di cm 40 x 20 x 7, legati da sottili strati di malta
grigia, sabbiosa e ben impastata, alti cm 0,5. Su questa larga platea s’innalza
la muratura, spessa cm 185 circa; la differenza di spessore tra le due parti,
platea ed elevato, è di solito distribuita sui due lati in due riseghe, larghe cm
15-17 circa. La struttura dell’elevato è nella cosiddetta opera a sacco:
ovvero articolata in due paramenti esterni collegati da un nucleo interno (…)
Il paramento esterno è organizzato principalmente in due parti: la prima,
inferiore, si presenta come un robusto basamento di blocchi parallelepipedi in
pietra di Saltrio o di Viggiù (…), sopra questo basamento di pietra, il
paramento è composto da laterizi di cm 42,5 x 20 x 7 circa, e si presenta
articolato su vari piani (…). Il paramento interno, rivolto verso la città,
risulta invece composto omogeneamente da spezzoni irregolari di pietra
incuneati nel nucleo e legati da malta sovrabbondante, secondo la tecnica nota
come “opera incerta”; non compare traccia dei piani che articolano il paramento
esterno”.
b) la larghezza del fossato (m 13), scavato nella
porzione di via del Lauro che inizia in via Boito, orientato verso via Sacchi;
c) il muro di rivestimento della sponda del fossato verso
la campagna (era in ciottoli, spesso m 1,25 e alto circa m 4).
Uno
schema ancora aperto
Sebbene gli archeologi diano
per scontato che le mura augustee nel tratto settentrionale passino per via
Cusani e da via del Lauro proseguano per via Filodrammatici, il modello della
pianta dovrebbe essere messo in discussione. Primo perché non si è risolta la
questione del santuario celtico, secondo perché non si è mai trovata la Porta
Comense allo sbocco di via del Lauro.
Come unico indizio abbiamo il
Ponte Vetero: alla fine dell’Ottocento, in occasione dei lavori di manutenzione
delle fognature, emersero due testate del Ponte Vetero allo sbocco di via
dell’Orso, tra via Cusani e via Sacchi.
La via Sacchi sembrerebbe essere nata, come via del Lauro, dal fossato delle mura
augustee. Secondo questa ipotesi dovrebbero esserci i resti di una porta
all’altezza dei numeri 5-7.
Come si suol dire, le domande
sono più importanti delle risposte, e ignorando la possibile esistenza
dell’elisse dall’altra parte della strada, gli archeologi mancano di porsi la
domanda: le mura si innestavano a questo punto nel perimetro di un’altra
struttura in via Boito (magari indagata in occasione di scavi precedenti) o
proseguivano inequivocabilmente per via Filodrammatici?
Nel 1921, quando si
rinvennero due spezzoni di mura in via Filodrammatici presso una fognatura, la
soprintendente dell’epoca Alda Levi Spinazzola avanzò l’ipotesi che potessero
appartenere alle mura urbiche, ma alla scoperta non fece seguito un’adeguata
analisi.
I dubbi sembrarono dissolti nel 1952, quando in via Filodrammatici emerse un
tratto di 14 m di muro, che passava sotto il portico del teatro della Scala.
Venne subito considerato come la riprova che le mura augustee passavano per
questa via, ma Frova dovette smentire questa interpretazione: si trattava di un
muro in conglomerato, di indefinibile attribuzione funzionale.
Infine, durante gli scavi del 1979 per la biglietteria della Scala, non apparve
alcuna costruzione e men che meno la Porta Nuova, cosa che avrebbe dovuto
eliminare definitivamente l’ipotesi che le mura augustee passassero per via
Filodrammatici. Neppure il rinvenimento di sepolture del I secolo d.C. in via
Agnello servì a cancellare l’ipotesi Filodrammatici, perché una volta
consolidatasi una tradizione, è dura a morire…
Riassumendo i dubbi circa la
tradizionale visione delle mura augustee:
-
rispetto all’andamento
delle mura meridionali, tenuto conto dell’apporto del Nirone e del Seveso, che
orientamento poteva aver ricevuto il tratto settentrionale di mura?
-
Attraverso quali canali
l’acqua del Seveso raggiungeva il fossato di via del Lauro?
-
Perché il Nirone venne
biforcato all’altezza dell’attuale via Sacchi?
-
E’ plausibile che in
tutti questi anni non sia emerso alcun reperto nell’area
Bossi-Filodrammatici-Boito che ci illumini circa il suo uso prima del medioevo?
L’antemurale
o fossato esterno
E’ probabile che l’antemurale
delle mura augustee, rimasto poi invariato anche nell’ampliamento successivo,
si trovasse dove vennero costruite mura e fossato in età medievale. Qui a Porta
Comasina l’antemurale doveva passare al Pontaccio. E’ quindi molto probabile
che la grande quantità di lapidi del I secolo d.C. rinvenute nelle sponde del
fossato e nella Porta medievale si trovassero qui almeno dai rinforzi del
sistema difensivo realizzati nel III sec. d.C.
Tra via dell’Orso e via
Pontaccio, ai due lati della strada, si dovevano trovare le abitazioni dei
cittadini estromessi dalla città, ma ancora facenti parte. C’erano
probabilmente le piccole manifatture artigiane, i mulini, casette con ortaglie
e piccoli tempietti. Niente di tutto ciò è stato registrato dagli innumerevoli
scavi che si sono succeduti nei secoli, ma la sensibilità archeologica è una
conquista molto recente e non ancora consolidata.
Teniamo conto che, nei secoli
di grande pericolo per le invasioni barbariche, questi abitanti esterni erano
quelli che per primi assorbivano l’urto, rischiando di vedere incendiati e
saccheggiati in continuazione i loro beni.
L’aula di via del Lauro
Negli scavi per le fondamenta
del palazzo di via del Lauro 7 venne in luce un’aula ricavata nel terrapieno delle
mura augustee, che rinforzava tramite due robusti speroni di sostegno. Misurava
15 m x 11,60 m, con muri spessi 1,20 m in opus listatum (fasce di
ciottoli alternate a uno o due filari di mattoni) e un’altezza di 3,84 m.
All’interno il piccolo edificio era diviso in pilastri che sorreggevano una
volta, terminante in una piccola un’abside isolata rispetto al resto
dell’edificio; l’ingresso era a est. Come ubicazione, si trova strategicamente
tra il supposto pomerio gallo-romano, il santuario celtico e le nuove mura.
La datazione, fatta in base
alla tecnica edilizia, si colloca all’ultimo quarto del I secolo, all’incirca
tra Vespasiano e Nerva. Nessuna ipotesi è stata avanzata circa il motivo della
sua costruzione.
Il rinforzo delle mura nel III secolo
L’incursione
degli Alemanni
L’impero sperimentò nel III
secolo quello che oggi chiamiamo 11 settembre: l’attacco al cuore dell’impero. Fino a quel momento Roma, in
espansione, aveva conquistato territori su territori, ora da quei confini ritenuti
sicuri sciamavano popolazioni agguerrite che, con la forza della disperazione,
penetravano le difese dell’impero. Da un secolo Roma tentava di tenere fuori e
di soggiogare con i metodi tradizionali del divide et impera queste
popolazioni, ma nel III secolo le incursioni si fecero sempre più frequenti,
indebolendo profondamente le difese immunitarie dell’organismo imperiale.
Gli attacchi continui
gettarono nel caos le legioni che dovevano fronteggiarli e materializzarono il
pericolo più grave, la malattia degenerativa: l’anarchia militare.
Durante l’impero di Publio
Licinio Valeriano (253-260) e del figlio associato al trono Gallieno (253-268)
ogni comandante di provincia pensò al fai-da-te e si proclamò imperatore, cioè
comandante supremo delle sue legioni. In tutto l’impero si ebbero 30
imperatori! La manovra del divide et impera stava funzionando a favore
dei barbari.
Gli Alemanni, una delle tante
popolazioni germaniche che si confrontavano con Roma, invasero la Retia
e, dilagando per la pianura, si spinsero fin sotto le porte di Milano. Gallieno
li respinse nel 259 e la città gli dedicò un arco di trionfo (non sappiamo
dove), ma cosa importante per il nostro discorso, i cittadini milanesi capirono
che era arrivato il momento di difendersi bene, perché il nemico era fuori
dalla porta. Le testimonianze archeologiche documentano l’abbandono di tutti i
quartieri esterni alle mura e il conseguente riversamento all’interno della
città.
Mentre queste devastazioni sono emerse con evidenza nelle zone investigate
dalle università con mezzi moderni, in questa zona non si fanno più scavi e
studi da molto tempo, per cui possiamo solo dedurre che per la Porta Comasina
gli Alemanni non avessero fatto eccezione.
Manlio
Acilio Aureolo e l’assedio della città
Manlio Acilio Aureolo, generale
di Gallieno, comandava i nuovi reparti di cavalleria voluti dall’imperatore.
Nel 267 il panico della popolazione, la sfiducia verso l’imperatore Gallieno
(considerato dagli storici contemporanei imbelle ed effeminato), un’errata
valutazione politica (lo diciamo noi a posteriori) o la semplice arroganza, lo
spinse a prendere una decisione estrema: si dichiarò imperatore.
Gallieno era impegnato nei
Balcani contro i Goti, ma alla notizia che Aureolo voleva impadronirsi di Roma,
lasciò subito i Goti e si scontrò vittoriosamente contro Gallieno, che si
rinserrò a Milano. Gli storici non ci dicono per chi parteggiasse Milano, ma
come possiamo immaginare i cittadini saranno stati divisi in almeno quattro
partiti maggiori e altrettanto minoranze: pro Gallieno, pro Aureolo, contro
tutti e due, pro un tiranno di altra provincia, mentre fra i partiti minori ci
saranno stati nostalgici della repubblica, la resistenza insubrica, fanatici
religiosi, ecc.
Zonara (Annales, XII,
25) ci racconta un episodio “giallo-rosa” relativo a questo assedio. Mentre
Gallieno si scontrava in campagna con Aureolo, gli assediati si accorsero che
l’accampamento imperiale era sguarnito e che la moglie di Gallieno, Cornelia
Salonina, sarebbe stata una facile preda e un ottimo ostaggio per trattare un
risarcimento in cambio della rinuncia del titolo imperiale. Il rapimento venne
sventato proprio sotto la tenda imperiale e quindi le trattative con ostaggio
svanivano. I generali che si trovavano dalla parte sbagliata, quella di
Aureolo, dovettero temere per la loro pensione, a meno di non trovare chi
poteva essere il “terzo” fra i due litiganti e godere con lui. Venne scelto un
generale di Gallieno, Marc’Aurelio Claudio, incaricato di capeggiare una
congiura che fosse in grado di eliminare sia Gallieno che Aureolo. Per primo
toccò a Gallieno, il ché permise a Claudio di essere acclamato imperatore dalle
legioni e di inviare la richiesta di ratifica a Roma. Il senato approvò e il
nuovo imperatore si chiamò Claudio II detto il Gotico. Uno sciame di
consiglieri si abbatté su Aureolo: conveniva arrendersi, trattare, no, tentare
il tutto per tutto (la Fortuna arride agli audaci, memento audere semper).
Secondo lo storico Trebellio
(Vita Claudiu) Aureolo tentò effettivamente di venire a patti col nuovo
imperatore, in ciò spinto dagli stessi suoi generali che si erano già accordati
con Claudio, che fece una mossa poco accomodante: respinse ogni accordo,
considerando la posizione del rivale simile a quella di un rapinatore di mezza
tacca che si rinserra in una banca. Ad Aureolo non restò che uscire dalla città
per dare battaglia campale, ma venne assassinato a Pontirolo d’Adda dai suoi
stessi generali nell’inverno 268.
Di questi avvenimenti
veramente drammatici ci è rimasta testimonianza in una torre, rinvenuta e
conservata nei sotterranei di via del Lauro 7. La torre era rettangolare (m 8 x 7
m), si ergeva su uno zoccolo costituito dalle macerie di edifici anche pregiati
del I secolo, per lo più tempietti votivi e funerari, collocati molto
probabilmente lungo la strada verso il Seprio (area dell’attuale Castello e
Parco) e incendiati durante le scorrerie degli Alemanni. La tecnica costruttiva
lascia trasparire la fretta con cui vennero effettuati i lavori di ripristino e
rinforzo delle mura.
Alcuni pezzi sono stati
conservati per la loro rilevanza artistica:
- il timpano di tempietto o di edicola funeraria,
larghezza m 5,20, altezza m 1,80 (conservato in via del Lauro 7)
- alcune lapidi e are, tra cui quella di M MATUTUNIUS
MAXIMUS del III secolo, trovata sotto casa Milesi
- una cornice di trabeazione di età flavia
- una statua acefala di giovane togato (Museo
Archeologico), sulla quale è opportuno soffermarsi per il suo valore
storico-artistico.
Statue togate
Una statua di giovane togato
e un frammento di statua togata virile si trovarono nelle macerie usate nel III
secolo per il rinforzo del fossato. Un’altra statua togata di adolescente venne
trovata negli scavi di via Cusani, per cui si suppose che le tre statue
provenissero dallo stesso edificio distrutto dagli Alemanni.
Mentre sul frammento di
statua virile (conservata in Soprintendenza) si può solo affermare che,
stilisticamente, apparteneva all’età di Augusto, le statue di giovinetti, al
Museo Archeologico di Milano, ci sono pervenute solo acefale e quindi sono
state oggetto di studi approfonditi.
Si tratta di due adolescenti
abbigliati con il nuovo tipo di ampia toga imposto da Augusto per le cerimonie
ufficiali. Hanno
alcuni attributi interessanti: uno scrinium deposto ai piedi in
posizione speculare, tanto che ha fatto supporre per motivi di simmetria la
collocazione delle due statue giovanili ai fianchi di quella virile; portano la
bulla con la ciocca di capelli, che li designa come adolescenti. L’esame
stilistico ha rilevato che le due statue non appartengono allo stesso periodo:
quella di via Cusani è più “calligrafica”, con il fitto panneggio reso senza
volumetria, ed è stata assegnata al tempo di Tiberio, mentre la statua di via
del Lauro occupa uno suo volume nello spazio ed è anatomicamente più rilevante, con
la gamba sinistra che si rivela sotto il panneggio ricco e fluente; è stata
assegnata alla successiva età di Claudio.
Poiché formano un tutt’uno
con il frammento di statua virile togata, si suppone che provenissero da una
prestigiosa cappella funeraria all’interno del cimitero lungo la via per il
Seprio.