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Gli Umiliati alla Brera del Guercio

 di Maria Grazia Tolfo

Historia Ordinis Humiliatorum, 1431, Milano, Biblioteca Ambrosiana

 

1. Le origini

Gli albori

Nel XV sec. gli Umiliati facevano risalire l'origine del loro ordine alla nobiltà lombarda che all'inizio del XII secolo avrebbe fondato delle comunità, avviandole alla lavorazione della lana. La leggenda voleva che alcuni nobili lombardi, fatti prigionieri dall'imperatore Enrico II, si fossero dovuti mantenere durante la prigionia in Germania, imparando l'arte della lavorazione della lana. L'imperatore, soddisfatto di averli così "umiliati", li avrebbe rimandati in Lombardia, dove i nobili si sarebbero ritirati a vivere in comunità.

Esisteva un nucleo primitivo, conosciuto col nome di fratres de Guercio, che un documento del 1036 cita come presente nella brera a Porta Cumana. E' un periodo troppo precoce per il costituirsi di comunità laiche che propugnano una vita apostolica e quindi questi "fratres" rimangono non meglio identificati. I "poveri apostoli", ai quali gli Umiliati potrebbero essere avvicinati, appaiono un secolo dopo.

Sulle origini di questo particolare ordine non c'è mai stato né accordo né chiarezza. I due maggiori storici degli Umiliati del nostro secolo, Antonino De Stefano e Luigi Zanoni, rimasero su due posizioni diverse: il primo sostenne la discendenza dai valdesi, il secondo dai catari, quindi in ogni caso una derivazione eretica. De Stefano volle vedervi una trasposizione sul piano spirituale di rivendicazioni economiche e sociali, immaginando che gli strati più bassi della popolazione si difendessero unendosi in associazioni di lavoro. La tesi posteriore di H. Grundmann ritiene che il movimento sia sorto verso il 1150 negli strati sociali medi e mercantili della popolazione, come contestazione della corsa al benessere, e non come ribellione degli strati sociali bassi, perché gli aderenti non aspiravano al loro miglioramento socio-economico ma predicavano il valore della povertà evangelica. Attualmente nessuno studioso mette più in dubbio la matrice esclusivamente spirituale del movimento.

Il rapporto con S. Bernardo e coi Cistercensi di Chiaravalle

Il culto di S. Bernardo era molto vivo presso gli Umiliati, dal momento che erano convinti che fosse stato proprio Bernardo in occasione del suo soggiorno milanese a promuovere la vita comune di laici devoti che avrebbero costituito il secondo ordine degli Umiliati.

Bernardo aveva in effetti tentato di organizzare in comunità i gruppi affiliati ai "poveri apostoli", predicatori itineranti impegnati nell'attività della tessitura, sempre ai margini dell'ortodossia, il che lascia capire che la sua preoccupazione non fosse di combattere le loro dottrine, ma di tutelare l'ordinamento ecclesiastico.

Il cronista Landolfo il Giovane scrive di uomini e donne in abito penitente e col capo tonsurato che avevano accolto S. Bernardo a Milano. Ciò era bastato perché Galvano Fiamma nel Trecento sostenesse la fondazione dell'ordine dei terziari umiliati da parte di S. Bernardo, basandosi su alcune evidenze: gli Umiliati usavano un sigillo col simbolo di S. Bernardo; a Monza gli avevano dedicato una cappella; c'era una particolare familiarità tra Umiliati e Cistercensi[1]. Il Fiamma chiama frati di S. Bernardo gli Umiliati, probabilmente secondo un uso invalso nel Trecento, ma non anteriore. Pare comunque che il sigillo di S. Bernardo fosse usato dai soli Umiliati di Monza, che al santo cistercense avevano dedicato la loro casa. Il sigillo della domus di Brera era una B maiuscola, nel cui mezzo spuntava un giglio. Le suore della domus di Biassono, sempre a Brera, avevano per impresa un agnello, col motto omnia vincit humilitas.

I primi documenti certi

Il primo documento conservato riguardante gli Umiliati di Milano è un atto di acquisto del 7 novembre 1178, nel quale Suzone Baguttano, in rappresentanza degli Umiliati della Brera del Guercio, con i confratelli Giovanni Bello e Petro de Sologno, comprano da Vicimonte Cumino il terreno su cui poi sorse la casa. Nel 1198 Suzone è ancora capo della comunità. La casa di Brera è quindi una delle più antiche degli Umiliati milanesi e nasce come appartenente al secondo ordine maschile e femminile. La domus collegata femminile prenderà il nome "di Biassono". Negli stessi anni viene fondata la casa di Viboldone, che verrà più tardi riservata al primo ordine (femminile e maschile); esistevano infine numerosi laici che vivevano a casa propria ma che aderivano spiritualmente al movimento.

Il Concilio Laterano III nel 1179 si esprime però in termini negativi nei confronti degli Umiliati, che si propongono al papa quali campioni della fede contro l'eresia. Alessandro III li tratta come i Valdesi: approva le forme di vita religiosa, ma proibisce la predicazione in pubblico e la riunione degli adepti.

Anche papa Lucio III, un monaco cistercense, si dichiara assolutamente contrario agli Umiliati, assimilandoli agli eretici e scomunicandoli col decretale Ad abolendam nel 1184: "Imprimis ergo Catharos et Patarinos et eos, qui se Humiiatos vel Pauperes de Lugduno falso nomine inentiuntur, Passaginos, Iosephinos, Arnaidistas perpetuo decerninums anathenzati subiacere". La condanna colpiva soprattutto il secondo e il terzo ordine, costituiti da laici.

Il Chronicon universale di Laon, scritto verso la fine del XII secolo o nei primi anni del XIII, parla di un'esperienza religiosa in alcune città lombarde, dove alcuni cittadini decidevano di vivere in povertà a casa propria, indossando vesti umili e tenendo riunioni dove si predicava.

Nel 1186 papa Urbano III, il milanese Uberto Crivelli, rinnova ai fratres regulari vita professi di S. Pietro di Viboldone la protezione papale.

2. Il riconoscimento dell'ordine

Innocenzo III tenta di superare questo abisso ammettendo l'esigenza della predicazione apostolica itinerante e della povertà evangelica, a condizione che l'autorità pontificia e la gerarchia ecclesiastica restino intatte. E' il pontefice che ebbe il merito di accogliere nella chiesa numerosi gruppi per lo più di origine laicale e di riconoscere l'ortodossia di coloro che prima venivano perseguitati come eretici.

Fondamentale la lettera di Innocenzo III del dicembre 1200 inviata ai preposti delle case umiliate di Viboldone, Vigalone (Pavia), Rondineto (Como), S. Cristoforo di Lodi, in risposta al testo della loro "forma vivendi", perché la approvasse. Il papa informa gli esponenti più in vista fra gli Umiliati di aver nominato una commissione composta dal vescovo di Vercelli, Alberto, dagli abati dei monasteri di Lucedio e Cerreto per stabilire la regola e chiede che gli vengano inviati i testi con il terziario Guido da Porta Orientale e "altri uomini idonei e discreti, cultori della religione e della verità ed amanti della giustizia". Il papa conosceva personalmente Guido da Porta Orientale.

La regola

La prima approvazione in ordine di tempo riguardò i terziari, che rientravano nelle libere associazioni laicali o di penitenti. La bolla di Innocenzo III fu spedita il 7 giugno 1201 e conteneva il propositum, che non era né una regola né una professione religiosa, ma un precetto etico-morale per la condotta del fedele: rifiuto del lusso negli abiti; guadagno della vita col lavoro manuale; astensione dall'usura; restituzione dei beni ingiustamente guadagnati; offerta del superfluo ai poveri; adempimento dei doveri coniugali; recita di sette Paternostri al giorno; obbedienza ai prelati della Chiesa; pagamento della decima (dal quale era esentato il primo ordine, mentre il secondo la pagava sui beni, ma non sui prodotti del lavoro).

Il propositum permetteva agli Umiliati di tenere delle riunioni ogni domenica in luogo appropriato, che chiameranno convenium; era permessa la predicazione dei fratelli capaci, ma solo per le esortazioni morali, mai per questioni teologiche. Per la prima volta una comunità laica otteneva l'autorizzazione pontificia alla scelta dei propri predicatori, un avvenimento della massima importanza per il futuro.

I laici non coniugati, che vivevano in comune con voto di castità, vennero riconosciuti quale secondo ordine con la bolla del 12 giugno 1201. E’ il ramo più originale dell'ordine, perché per prima volta viene concesso lo stato giuridico di religiosi ai laici, senza assimilarli a una regola monastica o agli ordini ospitalieri e militari (Templari e Gerosolimitani).

Apparteneva al primo ordine un più ristretto gruppo composto da chierici viventi presso una chiesa e dediti alla cura pastorale. Questi Umiliati risiedevano in canoniche regolari e vennero riconosciuti con bolla del 16 giugno 1201.

La regola che accomuna il primo e il secondo ordine - la Omnis boni principium del 1227 - è un misto di regole benedettine e agostiniane. Durante la prima metà del Trecento nelle case del primo ordine circolerà una regola benedettina adattata, mentre la regola iniziale verrà riservata al secondo ordine. La regola faceva obbligo di lavorare in silenzio, senza mai interrompere l'opera, e con un comune orario di lavoro dalla mattina fino al momento di andare a dormire, con intervalli per il pasto e la preghiera. Nella regola si indica con il termine operatorium quella parte della domus dove si lavorava.

I superiori del terzo ordine erano detti ministri, quelli del secondo prelati e del primo preposti; ogni ordine aveva quattro superiori; i dodici superiori si riunivano in un capitolo generale.

Come detto, la domus di Brera con la vicina domus di Biassono appartenevano al secondo ordine; un convegno del terzo ordine, al quale apparteneva anche Bonvesin de la Riva, era presso la chiesa di Carpoforo; una domus di Casorezzo, del secondo ordine, era accanto alla Porta Cumana, riservata dal Trecento solo alle suore e quindi trasformata in monastero di S. Maria degli Angeli.

Santi e cronisti degli Umiliati

Guido da Porta Orientale era venerato come beato dagli Umiliati di tutti e tre gli ordini. E' una figura in parte storica e in parte leggendaria. Tra XII e XIII secolo sono infatti esistiti due Guido da Porta Orientale: Guido senior fu presente alla visita di S. Bernardo a Milano, il figlio ricevette la regola da Innocenzo II. Ma nelle origini leggendarie degli Umiliati compare un altro Guido, prigioniero dell'imperatore in Germania nel 1017, uomo assai influente, che fece ai nobili suoi conterranei la proposta di rinunciare a ogni vanità mondana e vestirsi di un abito di umiltà, di panno cinerino.

Se probabilmente leggendaria è la figura di Giovanni Oldrado di Meda (morto nel 1159), che avrebbe diffuso l'ordine nella prima metà del XII sec., ben concreto è Tiberio da Parma, già preposito alla casa del Galgano di Bergamo, maestro generale dell'ordine per il lungo periodo che va dal 1355 al 1371. Svolse un'opera importante nell'incrementare i rapporti tra le case dell'ordine di Lombardia, Emilia e Veneto. Fu venerato come beato dagli Umiliati.

Nella prima metà del Quattrocento visse il cronista umiliato Giovanni da Brera, che compose una storia dell'ordine nel 1419 (pubblicata dal Tiraboschi) e Marco Bossi nel 1493 ne scrisse un'altra, che si ferma però al 1210. Secondo questi cronisti umiliati l'ordine sarebbe sorto nel 1017, le prime comunità di chierici risalirebbero al 1034 e solo nel 1119 si sarebbero aggiunti i terziari.

3. L'organizzazione

Il massimo fulgore

I centri principali degli Umiliati si trovano in Lombardia e i più famosi sono quelli che appartengono al primo ordine. Non hanno una casa madre per il governo generale, ma si alternano nella direzione i prepositi, che per la circostanza diventano generali, di Viboldone, Fossalto (Lodi), Rondineto (Como) e Vigalone (Pavia). Celebri sono anche le case di Mirasole e, a Milano, di Brera e di S. Pietro in Gessate. Nel solo capoluogo nel 1216 vengono censite ben 150 case umiliate.

Gli Umiliati sono presenti soprattutto in Lombardia: a Bergamo dal 1171, a Pavia dal 1182, a Cremona dal 1183, ma possiedono rappresentanze anche in Piemonte, Veneto, Emilia, Toscana e Lazio. Oltre alla precipua attività manifatturiera della lana, svolta soprattutto nelle grange extra-urbane in prossimità di corsi d'acqua, e alla commercializzazione dei prodotti, gli Umiliati si distinsero nell'attività assistenziale, nella conduzione di fondi agricoli in proprio o per conto terzi e nell'amministrazione del tesoro della città. Per quanto riguarda la manifattura della lana, la documentazione è scarsissima. Nello studio dello Zanoni sull'attività tessile delle domus milanesi sono citate le sole testimonianze relative a due pezze di optimi panni inviate dalle case di Brera e Viboldone all'abbazia di Morimondo nel 1237.

La domus di Brera e la chiesa di S. Maria

La domus di Brera, già negli ultimi anni del XII secolo, è un notevole punto di riferimento cittadino per i laici del secondo ordine. Alcuni dei suoi prelati ricoprono parecchi incarichi come messi e rappresentanti del maestro generale. La domus deve però l'aumento della sua potenza al fatto che, a partire dalla metà del secolo XIII, il secondo ordine venne gradualmente assimilato al primo, in conformità a quanto accadeva anche negli altri ordini. Papa Gregorio IX (1227-1241) favoriva la componente clericale, provocando un sostanziale avvicinamento tra le due forme di vita comunitaria degli Umiliati, ma con ciò snaturando l'aspetto più peculiare dell'ordine. Ai laici subentrarono gradualmente i chierici, finché con il pontificato di Innocenzo IV (1244-1254) venne data una nuova struttura all'ordine. Dal 1246 al posto della gestione collegiale venne eletto un maestro generale e si concesse al secondo ordine il privilegio di edificare chiese presso le case e di essere promossi agli ordini sacri (privilegi del 19 agosto 1275 e 10 febbraio 1304), per strappare le case umiliate dalla dipendenza delle parrocchie. Dal 1272 i terziari non partecipano più ai capitoli generali dell'ordine.

E' in seguito a questa clericalizzazione che viene fondata la chiesa di S. Maria e della SS. Trinità, posteriore al privilegio del 1275. Aveva una pianta rettangolare, con l'interno suddiviso in tre navate da due file di otto pilastri cilindrici in pietra; i capitelli esibivano figure scolpite di leoni, aquile, foglie e testine, il solito repertorio romanico; le navatelle laterali erano suddivise in campate coperte da volte a crociera, probabilmente anche la navata centrale aveva una copertura a volte. A destra del coro s'innalzava il campanile; l'abside avanzava in un chiostro retrostante, un altro chiostro era sul lato nord della chiesa, dove si trovava la domus (della facciata duecentesca non sappiamo nulla, perché nel 1346 un grave terremoto devastò Milano e la facciata venne rifatta nel 1348).

Contemporaneamente le vicine suore del secondo ordine abitanti nella domus di Biassono ricevevano il primo ordine, ma non la clausura, rimanendo libere di uscire e di ricevere visitatori, come evidenziato dalla vicenda della suora Manfreda Pirovano, detta la papessa, e delle sue consorelle, bruciate sul rogo nel 1300.

Tra finanza e assistenza

L'aspetto più insolito per la nostra mentalità moderna è che agli Umiliati il Comune di Milano (e non solo nella nostra città) affidò l'esazione delle gabelle delle porte urbiche, che assicuravano il maggior introito nelle casse comunali. Si tassavano in entrata e uscita i generi alimentari, la legna da ardere, le materie prime, i panni, i manufatti di ogni genere. Il Comune non riscuoteva direttamente i proventi delle gabelle, ma come da antica tradizione romana le dava in appalto a privati. Questi fornivano precise garanzie per quanto riguardava il rispetto delle imposizioni previste dalla legge e la puntualità nei pagamenti. In tal modo il Comune snelliva le procedure per la riscossione e si assicurava cespiti sicuri, in anticipo rispetto ai tempi richiesti dalla gestione diretta. Gli appaltatori contavano di recuperare con ampi margini di interesse le somme pagate al Comune per l'acquisto delle gabelle e per le spese che dovevano sostenere nelle riscossioni. Quando eventi straordinari incidevano pesantemente sul gettito previsto, Comune e appaltatori trovavano quasi sempre un accordo, che consisteva nella riduzione della somma pattuita o in una rateizzazione più lunga dei pagamenti.

Per far fronte a questo incarico di ponderatori, gli Umiliati avevano una domus presso ogni porta: la Canonica a Porta nuova, presso S. Calimero a Porta Romana, la domus di Casorezzo a Porta Cumana, la domus degli Ottazzi a Porta Vercellina, e così via.

L'ordine deteneva anche l'ufficio di canevario del Comune, una specie di ministero delle finanze e del tesoro, che si riferisce alle entrate e alle uscite di denaro pubblico. Il prelato di Brera - stando al resoconto di Giovanni di Brera - lavorava nell'edificio pubblico adibito a caneva, del quale aveva l'amministrazione e la custodia, perché possedeva ex confidentia claves; l'ufficio di canevario era circa moniciones civitatum.

Gli Umiliati vennero anche impiegati nel settore giudiziario e nell'amministrazione dei beni dei banditi. Erano assunti con la qualifica di fratres maleficiorum e di massari bandezatorum. Nel primo caso i religiosi dovevano registrare le accuse, infliggere le multe, incassare il denaro e trasmettere le entrate alla cassa centrale. Nel secondo i frati spesso affiancavano il giudice che stabiliva i bandi e presiedevano all'amministrazione dei beni confiscati.

Intorno alla metà del Duecento i religiosi della domus di Brera risultano impegnati nella stesura degli estimi cittadini. Tale domus svolse in città un ufficio paragonabile alla Cassa prestiti e debiti, conseguente anche all'impegno nell'assistenza, per evitare di cadere nell'usura. Nei documenti d'archivio dell'Ospedale Maggiore si trovano diversi casi di debitori insolventi che entrano nell'ordine, lasciando il pagamento a carico della domus di Brera, che però riscatta e incamera i beni.

Nel 1251 papa Innocenzo IV soggiornò a Milano e, rendendosi conto dei numerosi compiti svolti dali Umiliati nella comunità, chiese all'arcivescovo Leone da Perego che facesse sgravare gli Umiliati dagli oneri che ostacolavano il loro impegno religioso.

Evidentemente i Comuni ritennero che i religiosi rispondessero in pieno a queste carattristiche, perché anche a Siena, fino al 1400, il Camarlingo, ossia il presidente della Biccherna, l'ufficio delle imposte, fu sempre un monaco, prescelto tra i seguenti ordini: cistercensi, serviti, umiliati, domenicani.

A Milano i terziari, estromessi dalla vita dell'ordine dalla metà del XIII secolo, si diedero una propria struttura giuridica, convocando capitoli autonomi e collaborando coi più importanti ospedali, ossia quello del Brolo e l'ospedale Novo (1262), finché nel 1346 daranno vita, seppur per breve tempo, all'ospedale dei SS. Benedetto e Bernardo a S. Carpoforo.

Le grange dipendenti da Brera

Dal 1227 la dornus di Brera ottenne in affitto dai Templari, dai Menclozzi e dai da Bussero le terre di Monluè (Mons Luparius), dove nel 1267 costuirono una domus e una chiesa dedicata a S. Lorenzo, presso la quale nel 1290 si celebrò un capitolo generale dell'ordine.

Una pergamena del 1261 all'Archivio di Stato di Milano attesta che gli Umiliati di Brera acquistarono alcuni terreni a Pratocentenaro; nell'elenco di case degli Umiliati redatto nel 1344 si cita ancora una domus de Pratocentenario de murscugia. Il terreno era coltivato con le marcite, grazie alla presenza di numerosi fontanili alla temperatura costante di 11°, che permettevano un abbondante raccolto di foraggio.

Non dipendente da Brera, ma gravitante nel suo territorio è la chiesa della SS. Trinità nel borgo degli Ortolani, fondata dal patarino prete Liprando alla fine del XII secolo e affidata nel 1251 da papa Innocenzo IV agli Umiliati.

4. Il declino

L'ospedale dei Sette Convegni a S. Carpoforo e la fine dei terziari

Dopo un periodo di vivace attività, la crisi dei terziari umiliati fu sancita nel Trecento da due fattori: da una parte la temibile concorrenza dei terziari francescani, dall'altro la progressiva e definitiva clericalizzazione dell'ordine. Le restrizioni imposte dal Concilio Laterano nel 1215 impedivano ai laici tassativamente la predicazione, che era stato un caposaldo dei terziari umiliati.

In un documento del 24 aprile 1346 gli esponenti terziari degli Umiliati delle sette zone o convenia, corrispondenti alla sette porte della città di Milano, decidono di fondare un ospedale intitolato ai SS. Benedetto e Bernardo, detto anche ospedale dei Sette Convegni, forse riservato al ricovero dei confratelli, una sorta di mutua. Ai terziari spettava l'amministrazione dell'ospedale, senza dover ricorrere ai membri degli altri due ordini, mentre per la cura spirituale e la reggenza dell'ente si rivolsero ai frati agostiniani di S. Marco.

L'atto notarile si poneva come una rifondazione dello stesso terzo ordine, fortemente in crisi d'identità. A capo dei terziari in quel periodo era frater Jacobus del convegno del Senodochio, visitatore di tutte le comunità terziarie della città e del suburbio.

Nel documento sono tratteggiate per sommi capi le vicende che portarono al sorgere del terzo ordine, l'approvazione di Innocenzo III, la nobile stirpe dei fondatori che si era impegnata a elargire ai bisognosi il superfluo. Il tentativo di rievocare l'impegno originario per rilanciare il prestigio del terz'ordine umiliato non sortì i risultati sperati.

Nel corso degli anni Sessanta del Trecento anche questa esperienza ebbe termine e con essa si può parlare anche della fine dell'esperienza dei terziari umiliati a Milano, mentre a Monza rimarrà vitale fino alla fine del XV secolo.

L'ingerenza viscontea

Negli anni Settanta del XIII secolo si assiste a una lotta fra gli Umiliati da una parte, gelosi delle loro prerogative, e dall'altra i vescovi di Milano, Ottone Visconti, di Brescia, Berardo Maggi, e di Como, Giovanni Avvocati. Per questo motivo papa Nicolò IV nel 1288 sottrasse l'ordine alla dipendenza dell'arcivescovo e lo pose sotto la protezione pontificia.

Con l'avvento di Ottone Visconti a Milano l'ordine, identificato col comune guelfo, appare estraneo alla vita pubblica milanese, esautorato dal tradizionale impegno amministrativo-finanziario, inclusa l'attività di prestito.

Nuove difficoltà sorsero quando Matteo Visconti volle imporre agli Umiliati il pagamento di una taglia. Gli Umiliati si opposero, con l'appoggio del papato, e Matteo fece incarcerare il maestro generale Beltramo, nominando al suo posto Giacomo di Agliate. Questa provocazione fu conteggiata come uno dei principali capi di accusa per la scomunica che papa Giovanni XXII inferse a Matteo nel febbraio 1321. Vi fu una spaccatura tra le case di Brera, filopapale, e quella di Viboldone, che appoggiò i Visconti.

Sempre durante il pontificato di Giovanni XXII si ebbe una significativa svolta per la vita dell'ordine: vennero abolite le comunità doppie, composte da frati e suore. Nel giro di qualche decennio le suore si organizzarono in comunità femminili, sottoposte alla clausura. Nel 1336 Giovanni XXII riservò alla Santa Sede la nomina del maestro generale dell'ordine, ma in quell'anno il capitolo generale elesse Guglielmo Fava da Villa, preposito di Viboldone, che venne costretto a dimettersi dopo due anni. Al suo posto fu eletto fra' Giacomo, preposito della casa del Galgario di Bergamo che, in contrasto col Villa, resse l'ordine fino al 1349. Gli successe fino al 1352 fra' Guglielmo da Corbetta, primo maestro generale proveniente dal secondo ordine, già prelato della domus di Brera e successivamente di quella di S. Giovanni Evangelista di Milano. Dopo il lungo generalato di Tiberio da Parma, della domus del Galgario di Bergamo, fu scelto Cristoforo della domus di Brera, che dal 1371 al 1398 si dedicò a una vasta opera legislativa per riportare l'ordine a un'unica osservanza regolare.

L'ingerenza viscontea si fece sempre più forte a partire dalla fine del XIV secolo: Gian Galeazzo fece eleggere nel 1398 l'abate cistercense Pietro Botta, il primo maestro generale estraneo all'ordine. Nel 1401 Bonifacio IX, per compiacere Gian Galeazzo Visconti, creò nello stesso giorno Andrea Visconti umiliato presso la casa di Viboldone e maestro generale dell'ordine, a capo del quale restò vent'anni. Andrea Visconti sarà padrino di anello di Bianca Maria Visconti (sette anni) nel fidanzamento del 23 febbrario 1432 con Francesco Sforza, cerimonia dimessa celebrata nel castello di Porta Giovia.

Nel 1432 si ebbe il primo maestro commendatario nella persona di Giovanni Visconti, al quale successero Stefano d'Arzago (1435-1443) e Filippo Crivelli (1443-1467) che tentarono di portare la riforma all’interno dell'ordine, sulla scia dell'Osservanza. Nel capitolo mantovano del 1436 fu sancita in tutti i conventi l'adozione della regola benedettina. Ma il lungo periodo in cui furono alla guida dell'ordine generali provenienti dalla famiglia Landriani, dietro designazione sforzesca, segnò il culmine della decadenza. Dal 1486 al 1525 Gerolamo Landriani fu maestro generale: viene considerato come il catalizzatore della rovina degli Umiliati a causa della sua sconfinata ambizione. Tra XV e XVI secolo molte case femmimi scelsero di passare ad altri ordini religiosi, come nel caso della domus di Casorezzo presso la Porta Cumana.

Clemente VII impose un maestro generale proveniente dagi Agostiniani, Carlo de Advocatis di Vercelli. Gli Umiliati non accettarono e ottennero di poterlo sostituire con Gerolamo Torchio teologo e giurista in ottimi rapporti con Francesco II Sforza e l'arcivescovo di Milano. Torchio venne eletto maestro generale (1533-1552) e tentò, invano, una riforma.

Il tragico epilogo

L'opera di risanamento venne continuata, con maggior vigore, da Carlo Borromeo, che si scontrò tragicamente con la resistenza degli Umiliati. Ne 1567 il Borromeo, nella sua veste di cardinale protettore dell'ordine impose come generale Luigi Bascapé. L'ingerenza venne presa malissimo dagli Umiliati di Brera, che impedirono con un esercito di armati l'ingresso del Borromeo nel loro convento. Dopo l'attentato dell'ottobre 1569, dal quale il Borromeo uscì “miracolosamente” illeso, si ebbero drastiche sanzioni che culminarono con la soppressione del ramo maschile dell'ordine, con provedimento di Pio V nel febbraio 1571.

Sull'interpretazione dell'attentato del 1569 la città si divise: da una parte circolò subito la voce che l'archibugiata era a salve e che doveva confermare la "santità" dell'attività episcopale. Altri sospettavano che il finto attentato doveva attestare che erano in corso persecuzioni contro i Borromeo. Per altri ancora l'attentato era vero e non era andato a segno per puro miracolo, essendosi la pallottola conficcata in un assito. Come mandanti possibili dell'attentato si parlava però sempre dei canonici della Scala, che poco prima avevano impedito con le armi l'ingresso nel loro convento al Borromeo.

Sarà solo con l'arrivo dell'inquisitore della Santa Sede, il vescovo di Lodi Scarampo, che un reticente Borromeo ammetterà di aver saputo il nome del colpevole in confessione da due Umiliati, Bartolomeo Nasino e Clemente Merisio. I due vengono convocati dal Tribunale dell'Inquisizione e confessano. L'attentato era stato ordito nella domus di Brera dal Merisio stesso insieme a Lorenzo Campana e Gerolamo Legnano, che avevano pagato un terziario, Gerolarno Farina, perché lo eseguisse materialmente. Dopo l'attentato il Farina si sarebbe riparato presso l'esercito di Emanuele Filiberto di Savoia. Il governatore ottenne l'estradizione e il Farina venne condotto a Milano. Qui trovò curiosamente il suo fervente protettore proprio in Carlo Borromeo, che continuava ad appellarsi alla clemenenza, raccomandando di non infierire con le torture. L'esecuzione ebbe luogo in piazza Vetra: i prepositi congiurati vennero decapitati, al Farina venne prima mozzata la mano destra (pena prevista per i parricidi), quindi impiccato.

Tutti i beni degli Umiliati vennero venduti e il ricavato venne gestito dalla Curia vescovile per costruire scuole e seminari, oltre che per rifare le chiese milanesi secondo i dettami del concilio tridentino. L'esperienza plurisecolare degli Umiliati era terminata, tranne che per la sopravvivenza di alcuni monasteri femminili.



[1] Come dimostrerà nel XII-XIV secolo l’eresia di Guglielma Boema, ospitata presso le Umiliate e sepolta poi a Chiaravalle. Il suo cadavere verrà disseppellito e bruciato, purtroppo insieme al corpo vivo della discepola Manfreda Pirovano

 

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Ultima modifica: lunedì 25 gennaio 2016

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