Gli Umiliati alla Brera del Guercio
di Maria Grazia Tolfo
Historia Ordinis Humiliatorum, 1431, Milano, Biblioteca Ambrosiana
1. Le origini
Gli albori
Nel XV sec. gli Umiliati facevano risalire
l'origine del loro ordine alla nobiltà lombarda che all'inizio del XII secolo
avrebbe fondato delle comunità, avviandole alla lavorazione della lana. La
leggenda voleva che alcuni nobili lombardi, fatti prigionieri dall'imperatore
Enrico II, si fossero dovuti mantenere durante la prigionia in Germania, imparando
l'arte della lavorazione della lana. L'imperatore, soddisfatto di averli così
"umiliati", li avrebbe rimandati in Lombardia, dove i nobili si
sarebbero ritirati a vivere in comunità.
Esisteva un nucleo primitivo, conosciuto col
nome di fratres de Guercio, che un
documento del 1036 cita come presente nella brera
a Porta Cumana. E' un periodo troppo precoce per il costituirsi di comunità
laiche che propugnano una vita apostolica e quindi questi "fratres" rimangono non meglio
identificati. I "poveri apostoli", ai quali gli Umiliati potrebbero
essere avvicinati, appaiono un secolo dopo.
Sulle origini di questo particolare ordine
non c'è mai stato né accordo né chiarezza. I due maggiori storici degli
Umiliati del nostro secolo, Antonino De Stefano e Luigi Zanoni, rimasero su due
posizioni diverse: il primo sostenne la discendenza dai valdesi, il secondo dai
catari, quindi in ogni caso una derivazione eretica. De Stefano volle vedervi
una trasposizione sul piano spirituale di rivendicazioni economiche e sociali,
immaginando che gli strati più bassi della popolazione si difendessero unendosi
in associazioni di lavoro. La tesi posteriore di H. Grundmann ritiene che il
movimento sia sorto verso il 1150 negli strati sociali medi e mercantili della
popolazione, come contestazione della corsa al benessere, e non come ribellione
degli strati sociali bassi, perché gli aderenti non aspiravano al loro
miglioramento socio-economico ma predicavano il valore della povertà
evangelica. Attualmente nessuno studioso mette più in dubbio la matrice
esclusivamente spirituale del movimento.
Il rapporto con S. Bernardo e coi
Cistercensi di Chiaravalle
Il culto di S. Bernardo era molto vivo
presso gli Umiliati, dal momento che erano convinti che fosse stato proprio
Bernardo in occasione del suo soggiorno milanese a promuovere la vita comune di
laici devoti che avrebbero costituito il secondo ordine degli Umiliati.
Bernardo aveva in effetti tentato di
organizzare in comunità i gruppi affiliati ai "poveri apostoli",
predicatori itineranti impegnati nell'attività della tessitura, sempre ai
margini dell'ortodossia, il che lascia capire che la sua preoccupazione non
fosse di combattere le loro dottrine, ma di tutelare l'ordinamento
ecclesiastico.
Il cronista Landolfo il Giovane scrive di
uomini e donne in abito penitente e col capo tonsurato che avevano accolto S.
Bernardo a Milano. Ciò era bastato perché Galvano Fiamma nel Trecento
sostenesse la fondazione dell'ordine dei terziari umiliati da parte di S.
Bernardo, basandosi su alcune evidenze: gli Umiliati usavano un sigillo col
simbolo di S. Bernardo; a Monza gli avevano dedicato una cappella; c'era una
particolare familiarità tra Umiliati e Cistercensi.
Il Fiamma chiama frati di S. Bernardo gli Umiliati, probabilmente secondo un
uso invalso nel Trecento, ma non anteriore. Pare comunque che il sigillo di S.
Bernardo fosse usato dai soli Umiliati di Monza, che al santo cistercense avevano
dedicato la loro casa. Il sigillo della domus
di Brera era una B maiuscola, nel cui mezzo spuntava un giglio. Le suore della domus di Biassono, sempre a Brera,
avevano per impresa un agnello, col motto omnia
vincit humilitas.
I primi documenti certi
Il primo documento conservato riguardante
gli Umiliati di Milano è un atto di acquisto del 7 novembre 1178, nel quale
Suzone Baguttano, in rappresentanza degli Umiliati della Brera del Guercio, con
i confratelli Giovanni Bello e Petro de Sologno, comprano da Vicimonte Cumino
il terreno su cui poi sorse la casa. Nel 1198 Suzone è ancora capo della comunità.
La casa di Brera è quindi una delle più antiche degli Umiliati milanesi e nasce
come appartenente al secondo ordine maschile e femminile. La domus collegata femminile prenderà il
nome "di Biassono". Negli stessi anni viene fondata la casa di Viboldone,
che verrà più tardi riservata al primo ordine (femminile e maschile);
esistevano infine numerosi laici che vivevano a casa propria ma che aderivano
spiritualmente al movimento.
Il Concilio Laterano III nel 1179 si esprime
però in termini negativi nei confronti degli Umiliati, che si propongono al
papa quali campioni della fede contro l'eresia. Alessandro III li tratta come i
Valdesi: approva le forme di vita religiosa, ma proibisce la predicazione in
pubblico e la riunione degli adepti.
Anche papa Lucio III, un monaco cistercense,
si dichiara assolutamente contrario agli Umiliati, assimilandoli agli eretici e
scomunicandoli col decretale Ad abolendam
nel 1184: "Imprimis ergo Catharos et
Patarinos et eos, qui se Humiiatos vel Pauperes de Lugduno falso nomine
inentiuntur, Passaginos, Iosephinos, Arnaidistas perpetuo decerninums
anathenzati subiacere". La condanna colpiva soprattutto il secondo e
il terzo ordine, costituiti da laici.
Il Chronicon
universale di Laon, scritto verso la fine del XII secolo o nei primi anni
del XIII, parla di un'esperienza religiosa in alcune città lombarde, dove
alcuni cittadini decidevano di vivere in povertà a casa propria, indossando
vesti umili e tenendo riunioni dove si predicava.
Nel 1186 papa Urbano III, il milanese Uberto
Crivelli, rinnova ai fratres regulari
vita professi di S. Pietro di Viboldone la protezione papale.
2. Il riconoscimento dell'ordine
Innocenzo III tenta di superare questo
abisso ammettendo l'esigenza della predicazione apostolica itinerante e della
povertà evangelica, a condizione che l'autorità pontificia e la gerarchia
ecclesiastica restino intatte. E' il pontefice che ebbe il merito di accogliere
nella chiesa numerosi gruppi per lo più di origine laicale e di riconoscere
l'ortodossia di coloro che prima venivano perseguitati come eretici.
Fondamentale la lettera di Innocenzo III del
dicembre 1200 inviata ai preposti delle case umiliate di Viboldone, Vigalone
(Pavia), Rondineto (Como), S. Cristoforo di Lodi, in risposta al testo della
loro "forma vivendi", perché la approvasse. Il papa informa gli
esponenti più in vista fra gli Umiliati di aver nominato una commissione
composta dal vescovo di Vercelli, Alberto, dagli abati dei monasteri di Lucedio
e Cerreto per stabilire la regola e chiede che gli vengano inviati i testi con
il terziario Guido da Porta Orientale e "altri uomini idonei e discreti,
cultori della religione e della verità ed amanti della giustizia". Il papa
conosceva personalmente Guido da Porta Orientale.
La regola
La prima approvazione in ordine di tempo
riguardò i terziari, che rientravano nelle libere associazioni laicali o di
penitenti. La bolla di Innocenzo III fu spedita il 7 giugno 1201 e conteneva il
propositum, che non era né una regola
né una professione religiosa, ma un precetto etico-morale per la condotta del
fedele: rifiuto del lusso negli abiti; guadagno della vita col lavoro manuale;
astensione dall'usura; restituzione dei beni ingiustamente guadagnati; offerta
del superfluo ai poveri; adempimento dei doveri coniugali; recita di sette
Paternostri al giorno; obbedienza ai prelati della Chiesa; pagamento della
decima (dal quale era esentato il primo ordine, mentre il secondo la pagava sui
beni, ma non sui prodotti del lavoro).
Il propositum
permetteva agli Umiliati di tenere delle riunioni ogni domenica in luogo
appropriato, che chiameranno convenium;
era permessa la predicazione dei fratelli capaci, ma solo per le esortazioni
morali, mai per questioni teologiche. Per la prima volta una comunità laica otteneva
l'autorizzazione pontificia alla scelta dei propri predicatori, un avvenimento
della massima importanza per il futuro.
I laici non coniugati, che vivevano in
comune con voto di castità, vennero riconosciuti quale secondo ordine con la bolla
del 12 giugno 1201. E’ il ramo più originale dell'ordine, perché per prima volta
viene concesso lo stato giuridico di religiosi ai laici, senza assimilarli a
una regola monastica o agli ordini ospitalieri e militari (Templari e
Gerosolimitani).
Apparteneva al primo ordine un più ristretto
gruppo composto da chierici viventi presso una chiesa e dediti alla cura
pastorale. Questi Umiliati risiedevano in canoniche regolari e vennero
riconosciuti con bolla del 16 giugno 1201.
La regola che accomuna il primo e il secondo
ordine - la Omnis boni principium del
1227 - è un misto di regole benedettine e agostiniane. Durante la prima metà
del Trecento nelle case del primo ordine circolerà una regola benedettina
adattata, mentre la regola iniziale verrà riservata al secondo ordine. La
regola faceva obbligo di lavorare in silenzio, senza mai interrompere l'opera,
e con un comune orario di lavoro dalla mattina fino al momento di andare a
dormire, con intervalli per il pasto e la preghiera. Nella regola si indica con
il termine operatorium quella parte
della domus dove si lavorava.
I superiori del terzo ordine erano detti ministri, quelli del secondo prelati e del primo preposti; ogni ordine aveva quattro superiori; i dodici superiori
si riunivano in un capitolo generale.
Come detto, la domus di Brera con la vicina domus
di Biassono appartenevano al secondo ordine; un convegno del terzo ordine, al
quale apparteneva anche Bonvesin de la Riva, era presso la chiesa di Carpoforo;
una domus di Casorezzo, del secondo
ordine, era accanto alla Porta Cumana, riservata dal Trecento solo alle suore e
quindi trasformata in monastero di S. Maria degli Angeli.
Santi e cronisti degli Umiliati
Guido da Porta Orientale era venerato come
beato dagli Umiliati di tutti e tre gli ordini. E' una figura in parte storica
e in parte leggendaria. Tra XII e XIII secolo sono infatti esistiti due Guido
da Porta Orientale: Guido senior fu presente alla visita di S. Bernardo a
Milano, il figlio ricevette la regola da Innocenzo II. Ma nelle origini
leggendarie degli Umiliati compare un altro Guido, prigioniero dell'imperatore
in Germania nel 1017, uomo assai influente, che fece ai nobili suoi conterranei
la proposta di rinunciare a ogni vanità mondana e vestirsi di un abito di
umiltà, di panno cinerino.
Se probabilmente leggendaria è la figura di
Giovanni Oldrado di Meda (morto nel 1159), che avrebbe diffuso l'ordine nella
prima metà del XII sec., ben concreto è Tiberio da Parma, già preposito alla
casa del Galgano di Bergamo, maestro generale dell'ordine per il lungo periodo
che va dal 1355 al 1371. Svolse un'opera importante nell'incrementare i
rapporti tra le case dell'ordine di Lombardia, Emilia e Veneto. Fu venerato
come beato dagli Umiliati.
Nella prima metà del Quattrocento visse il
cronista umiliato Giovanni da Brera, che compose una storia dell'ordine nel
1419 (pubblicata dal Tiraboschi) e Marco Bossi nel 1493 ne scrisse un'altra,
che si ferma però al 1210. Secondo questi cronisti umiliati l'ordine sarebbe
sorto nel 1017, le prime comunità di chierici risalirebbero al 1034 e solo nel
1119 si sarebbero aggiunti i terziari.
3. L'organizzazione
Il massimo fulgore
I centri principali degli Umiliati si
trovano in Lombardia e i più famosi sono quelli che appartengono al primo
ordine. Non hanno una casa madre per il governo generale, ma si alternano nella
direzione i prepositi, che per la circostanza diventano generali, di Viboldone,
Fossalto (Lodi), Rondineto (Como) e Vigalone (Pavia). Celebri sono anche le
case di Mirasole e, a Milano, di Brera e di S. Pietro in Gessate. Nel solo
capoluogo nel 1216 vengono censite ben 150 case umiliate.
Gli Umiliati sono presenti soprattutto in
Lombardia: a Bergamo dal 1171, a Pavia dal 1182, a Cremona dal 1183, ma
possiedono rappresentanze anche in Piemonte, Veneto, Emilia, Toscana e Lazio. Oltre
alla precipua attività manifatturiera della lana, svolta soprattutto nelle
grange extra-urbane in prossimità di corsi d'acqua, e alla commercializzazione
dei prodotti, gli Umiliati si distinsero nell'attività assistenziale, nella
conduzione di fondi agricoli in proprio o per conto terzi e
nell'amministrazione del tesoro della città. Per quanto riguarda la manifattura
della lana, la documentazione è scarsissima. Nello studio dello Zanoni
sull'attività tessile delle domus
milanesi sono citate le sole testimonianze relative a due pezze di optimi panni inviate dalle case di Brera
e Viboldone all'abbazia di Morimondo nel 1237.
La domus di Brera e la chiesa di S. Maria
La domus
di Brera, già negli ultimi anni del XII secolo, è un notevole punto di riferimento
cittadino per i laici del secondo ordine. Alcuni dei suoi prelati ricoprono
parecchi incarichi come messi e rappresentanti del maestro generale. La domus deve però l'aumento della sua
potenza al fatto che, a partire dalla metà del secolo XIII, il secondo ordine
venne gradualmente assimilato al primo, in conformità a quanto accadeva anche
negli altri ordini. Papa Gregorio IX (1227-1241) favoriva la componente
clericale, provocando un sostanziale avvicinamento tra le due forme di vita
comunitaria degli Umiliati, ma con ciò snaturando l'aspetto più peculiare
dell'ordine. Ai laici subentrarono gradualmente i chierici, finché con il
pontificato di Innocenzo IV (1244-1254) venne data una nuova struttura
all'ordine. Dal 1246 al posto della gestione collegiale venne eletto un maestro
generale e si concesse al secondo ordine il privilegio di edificare chiese
presso le case e di essere promossi agli ordini sacri (privilegi del 19 agosto
1275 e 10 febbraio 1304), per strappare le case umiliate dalla dipendenza delle
parrocchie. Dal 1272 i terziari non partecipano più ai capitoli generali
dell'ordine.
E' in seguito a questa clericalizzazione che
viene fondata la chiesa di S. Maria e della SS. Trinità, posteriore al
privilegio del 1275. Aveva una pianta rettangolare, con l'interno suddiviso in
tre navate da due file di otto pilastri cilindrici in pietra; i capitelli
esibivano figure scolpite di leoni, aquile, foglie e testine, il solito
repertorio romanico; le navatelle laterali erano suddivise in campate coperte
da volte a crociera, probabilmente anche la navata centrale aveva una copertura
a volte. A destra del coro s'innalzava il campanile; l'abside avanzava in un
chiostro retrostante, un altro chiostro era sul lato nord della chiesa, dove si
trovava la domus (della facciata
duecentesca non sappiamo nulla, perché nel 1346 un grave terremoto devastò
Milano e la facciata venne rifatta nel 1348).
Contemporaneamente le vicine suore del
secondo ordine abitanti nella domus
di Biassono ricevevano il primo ordine, ma non la clausura, rimanendo libere di
uscire e di ricevere visitatori, come evidenziato dalla vicenda della suora
Manfreda Pirovano, detta la papessa, e delle sue consorelle, bruciate sul rogo
nel 1300.
Tra finanza e assistenza
L'aspetto più insolito per la nostra
mentalità moderna è che agli Umiliati il Comune di Milano (e non solo nella
nostra città) affidò l'esazione delle gabelle delle porte urbiche, che
assicuravano il maggior introito nelle casse comunali. Si tassavano in entrata
e uscita i generi alimentari, la legna da ardere, le materie prime, i panni, i
manufatti di ogni genere. Il Comune non riscuoteva direttamente i proventi
delle gabelle, ma come da antica tradizione romana le dava in appalto a
privati. Questi fornivano precise garanzie per quanto riguardava il rispetto
delle imposizioni previste dalla legge e la puntualità nei pagamenti. In tal
modo il Comune snelliva le procedure per la riscossione e si assicurava cespiti
sicuri, in anticipo rispetto ai tempi richiesti dalla gestione diretta. Gli
appaltatori contavano di recuperare con ampi margini di interesse le somme
pagate al Comune per l'acquisto delle gabelle e per le spese che dovevano
sostenere nelle riscossioni. Quando eventi straordinari incidevano pesantemente
sul gettito previsto, Comune e appaltatori trovavano quasi sempre un accordo,
che consisteva nella riduzione della somma pattuita o in una rateizzazione più
lunga dei pagamenti.
Per far fronte a questo incarico di
ponderatori, gli Umiliati avevano una domus
presso ogni porta: la Canonica a Porta nuova, presso S. Calimero a Porta
Romana, la domus di Casorezzo a Porta
Cumana, la domus degli Ottazzi a
Porta Vercellina, e così via.
L'ordine deteneva anche l'ufficio di
canevario del Comune, una specie di ministero delle finanze e del tesoro, che
si riferisce alle entrate e alle uscite di denaro pubblico. Il prelato di Brera
- stando al resoconto di Giovanni di Brera - lavorava nell'edificio pubblico
adibito a caneva, del quale aveva l'amministrazione e la custodia, perché
possedeva ex confidentia claves;
l'ufficio di canevario era circa moniciones
civitatum.
Gli Umiliati vennero anche impiegati nel
settore giudiziario e nell'amministrazione dei beni dei banditi. Erano assunti
con la qualifica di fratres maleficiorum
e di massari bandezatorum. Nel primo
caso i religiosi dovevano registrare le accuse, infliggere le multe, incassare
il denaro e trasmettere le entrate alla cassa centrale. Nel secondo i frati
spesso affiancavano il giudice che stabiliva i bandi e presiedevano
all'amministrazione dei beni confiscati.
Intorno alla metà del Duecento i religiosi
della domus di Brera risultano
impegnati nella stesura degli estimi cittadini. Tale domus svolse in città un ufficio paragonabile alla Cassa prestiti e
debiti, conseguente anche all'impegno nell'assistenza, per evitare di cadere
nell'usura. Nei documenti d'archivio dell'Ospedale Maggiore si trovano diversi
casi di debitori insolventi che entrano nell'ordine, lasciando il pagamento a
carico della domus di Brera, che però
riscatta e incamera i beni.
Nel 1251 papa Innocenzo IV soggiornò a
Milano e, rendendosi conto dei numerosi compiti svolti dali Umiliati nella
comunità, chiese all'arcivescovo Leone da Perego che facesse sgravare gli
Umiliati dagli oneri che ostacolavano il loro impegno religioso.
Evidentemente i Comuni ritennero che i
religiosi rispondessero in pieno a queste carattristiche, perché anche a Siena,
fino al 1400, il Camarlingo, ossia il presidente della Biccherna, l'ufficio
delle imposte, fu sempre un monaco, prescelto tra i seguenti ordini:
cistercensi, serviti, umiliati, domenicani.
A Milano i terziari, estromessi dalla vita
dell'ordine dalla metà del XIII secolo, si diedero una propria struttura
giuridica, convocando capitoli autonomi e collaborando coi più importanti
ospedali, ossia quello del Brolo e l'ospedale Novo (1262), finché nel 1346
daranno vita, seppur per breve tempo, all'ospedale dei SS. Benedetto e Bernardo
a S. Carpoforo.
Le grange dipendenti da Brera
Dal 1227 la dornus di Brera ottenne in
affitto dai Templari, dai Menclozzi e dai da Bussero le terre di Monluè (Mons
Luparius), dove nel 1267 costuirono una domus
e una chiesa dedicata a S. Lorenzo, presso la quale nel 1290 si celebrò un
capitolo generale dell'ordine.
Una pergamena del 1261 all'Archivio di Stato
di Milano attesta che gli Umiliati di Brera acquistarono alcuni terreni a
Pratocentenaro; nell'elenco di case degli Umiliati redatto nel 1344 si cita
ancora una domus de Pratocentenario de
murscugia. Il terreno era coltivato con le marcite, grazie alla presenza di
numerosi fontanili alla temperatura costante di 11°, che permettevano un
abbondante raccolto di foraggio.
Non dipendente da Brera, ma gravitante nel
suo territorio è la chiesa della SS. Trinità nel borgo degli Ortolani, fondata
dal patarino prete Liprando alla fine del XII secolo e affidata nel 1251 da
papa Innocenzo IV agli Umiliati.
4. Il declino
L'ospedale dei Sette Convegni a S. Carpoforo e la fine dei terziari
Dopo un periodo di vivace attività, la crisi
dei terziari umiliati fu sancita nel Trecento da due fattori: da una parte la
temibile concorrenza dei terziari francescani, dall'altro la progressiva e
definitiva clericalizzazione dell'ordine. Le restrizioni imposte dal Concilio Laterano
nel 1215 impedivano ai laici tassativamente la predicazione, che era stato un
caposaldo dei terziari umiliati.
In un documento del 24 aprile 1346 gli
esponenti terziari degli Umiliati delle sette zone o convenia, corrispondenti alla sette porte della città di Milano,
decidono di fondare un ospedale intitolato ai SS. Benedetto e Bernardo, detto
anche ospedale dei Sette Convegni, forse riservato al ricovero dei confratelli,
una sorta di mutua. Ai terziari spettava l'amministrazione dell'ospedale, senza
dover ricorrere ai membri degli altri due ordini, mentre per la cura spirituale
e la reggenza dell'ente si rivolsero ai frati agostiniani di S. Marco.
L'atto notarile si poneva come una
rifondazione dello stesso terzo ordine, fortemente in crisi d'identità. A capo
dei terziari in quel periodo era frater Jacobus del convegno del Senodochio,
visitatore di tutte le comunità terziarie della città e del suburbio.
Nel documento sono tratteggiate per sommi
capi le vicende che portarono al sorgere del terzo ordine, l'approvazione di
Innocenzo III, la nobile stirpe dei fondatori che si era impegnata a elargire
ai bisognosi il superfluo. Il tentativo di rievocare l'impegno originario per
rilanciare il prestigio del terz'ordine umiliato non sortì i risultati sperati.
Nel corso degli anni Sessanta del Trecento
anche questa esperienza ebbe termine e con essa si può parlare anche della fine
dell'esperienza dei terziari umiliati a Milano, mentre a Monza rimarrà vitale
fino alla fine del XV secolo.
L'ingerenza viscontea
Negli anni Settanta del XIII secolo si
assiste a una lotta fra gli Umiliati da una parte, gelosi delle loro
prerogative, e dall'altra i vescovi di Milano, Ottone Visconti, di Brescia,
Berardo Maggi, e di Como, Giovanni Avvocati. Per questo motivo papa Nicolò IV
nel 1288 sottrasse l'ordine alla dipendenza dell'arcivescovo e lo pose sotto la
protezione pontificia.
Con l'avvento di Ottone Visconti a Milano
l'ordine, identificato col comune guelfo, appare estraneo alla vita pubblica
milanese, esautorato dal tradizionale impegno amministrativo-finanziario,
inclusa l'attività di prestito.
Nuove difficoltà sorsero quando Matteo
Visconti volle imporre agli Umiliati il pagamento di una taglia. Gli Umiliati
si opposero, con l'appoggio del papato, e Matteo fece incarcerare il maestro
generale Beltramo, nominando al suo posto Giacomo di Agliate. Questa
provocazione fu conteggiata come uno dei principali capi di accusa per la scomunica
che papa Giovanni XXII inferse a Matteo nel febbraio 1321. Vi fu una spaccatura
tra le case di Brera, filopapale, e quella di Viboldone, che appoggiò i
Visconti.
Sempre durante il pontificato di Giovanni
XXII si ebbe una significativa svolta per la vita dell'ordine: vennero abolite
le comunità doppie, composte da frati e suore. Nel giro di qualche decennio le
suore si organizzarono in comunità femminili, sottoposte alla clausura. Nel 1336
Giovanni XXII riservò alla Santa Sede la nomina del maestro generale
dell'ordine, ma in quell'anno il capitolo generale elesse Guglielmo Fava da
Villa, preposito di Viboldone, che venne costretto a dimettersi dopo due anni.
Al suo posto fu eletto fra' Giacomo, preposito della casa del Galgario di
Bergamo che, in contrasto col Villa, resse l'ordine fino al 1349. Gli successe fino
al 1352 fra' Guglielmo da Corbetta, primo maestro generale proveniente dal
secondo ordine, già prelato della domus di
Brera e successivamente di quella di S. Giovanni Evangelista di Milano. Dopo il
lungo generalato di Tiberio da Parma, della domus
del Galgario di Bergamo, fu scelto Cristoforo della domus di Brera, che dal 1371 al 1398 si dedicò a una vasta opera
legislativa per riportare l'ordine a un'unica osservanza regolare.
L'ingerenza viscontea si fece sempre più
forte a partire dalla fine del XIV secolo: Gian Galeazzo fece eleggere nel 1398
l'abate cistercense Pietro Botta, il primo maestro generale estraneo
all'ordine. Nel 1401 Bonifacio IX, per compiacere Gian Galeazzo Visconti,
creò nello stesso giorno Andrea Visconti umiliato presso la casa di Viboldone e
maestro generale dell'ordine, a capo del quale restò vent'anni. Andrea Visconti
sarà padrino di anello di Bianca Maria Visconti (sette anni) nel fidanzamento
del 23 febbrario 1432 con Francesco Sforza, cerimonia dimessa celebrata nel
castello di Porta Giovia.
Nel 1432 si ebbe il primo maestro
commendatario nella persona di Giovanni Visconti, al quale successero
Stefano d'Arzago (1435-1443) e Filippo Crivelli (1443-1467) che tentarono di
portare la riforma all’interno dell'ordine, sulla scia dell'Osservanza. Nel
capitolo mantovano del 1436 fu sancita in tutti i conventi l'adozione della
regola benedettina. Ma il lungo periodo in cui furono alla guida dell'ordine
generali provenienti dalla famiglia Landriani, dietro designazione sforzesca,
segnò il culmine della decadenza. Dal 1486 al 1525 Gerolamo Landriani fu
maestro generale: viene considerato come il catalizzatore della rovina degli
Umiliati a causa della sua sconfinata ambizione. Tra XV e XVI secolo molte case
femmimi scelsero di passare ad altri ordini religiosi, come nel caso della domus di Casorezzo presso la Porta
Cumana.
Clemente VII impose un maestro generale
proveniente dagi Agostiniani, Carlo de Advocatis di Vercelli. Gli Umiliati non
accettarono e ottennero di poterlo sostituire con Gerolamo Torchio teologo e
giurista in ottimi rapporti con Francesco II Sforza e l'arcivescovo di Milano.
Torchio venne eletto maestro generale (1533-1552) e tentò, invano, una riforma.
Il tragico epilogo
L'opera di risanamento venne continuata, con
maggior vigore, da Carlo Borromeo, che si scontrò tragicamente con la
resistenza degli Umiliati. Ne 1567 il Borromeo, nella sua veste di cardinale
protettore dell'ordine impose come generale Luigi Bascapé. L'ingerenza venne
presa malissimo dagli Umiliati di Brera, che impedirono con un esercito di
armati l'ingresso del Borromeo nel loro convento. Dopo l'attentato dell'ottobre
1569, dal quale il Borromeo uscì “miracolosamente” illeso, si ebbero drastiche
sanzioni che culminarono con la soppressione del ramo maschile dell'ordine, con
provedimento di Pio V nel febbraio 1571.
Sull'interpretazione dell'attentato del 1569
la città si divise: da una parte circolò subito la voce che l'archibugiata era
a salve e che doveva confermare la "santità" dell'attività
episcopale. Altri sospettavano che il finto attentato doveva attestare che
erano in corso persecuzioni contro i Borromeo. Per altri ancora l'attentato era
vero e non era andato a segno per puro miracolo, essendosi la pallottola
conficcata in un assito. Come mandanti possibili dell'attentato si parlava però
sempre dei canonici della Scala, che poco prima avevano impedito con le armi
l'ingresso nel loro convento al Borromeo.
Sarà solo con l'arrivo dell'inquisitore
della Santa Sede, il vescovo di Lodi Scarampo, che un reticente Borromeo
ammetterà di aver saputo il nome del colpevole in confessione da due Umiliati,
Bartolomeo Nasino e Clemente Merisio. I due vengono convocati dal Tribunale
dell'Inquisizione e confessano. L'attentato era stato ordito nella domus di Brera dal Merisio stesso insieme
a Lorenzo Campana e Gerolamo Legnano, che avevano pagato un terziario,
Gerolarno Farina, perché lo eseguisse materialmente. Dopo l'attentato il Farina
si sarebbe riparato presso l'esercito di Emanuele Filiberto di Savoia. Il
governatore ottenne l'estradizione e il Farina venne condotto a Milano. Qui
trovò curiosamente il suo fervente protettore proprio in Carlo Borromeo, che
continuava ad appellarsi alla clemenenza, raccomandando di non infierire con le
torture. L'esecuzione ebbe luogo in piazza Vetra: i prepositi congiurati vennero
decapitati, al Farina venne prima mozzata la mano destra (pena prevista per i
parricidi), quindi impiccato.
Tutti i beni degli Umiliati vennero venduti
e il ricavato venne gestito dalla Curia vescovile per costruire scuole e
seminari, oltre che per rifare le chiese milanesi secondo i dettami del
concilio tridentino. L'esperienza plurisecolare degli Umiliati era terminata,
tranne che per la sopravvivenza di alcuni monasteri femminili.
Bibliografia
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Umiliati e S. Bernardo, in Storia illustrata di Milano, 1993, pp. 521-540
Alberzoni M.P., San Bernardo e gli Umiliati, in S. Bernardo e l'Italia, Milano
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Alberzoni M.P., L'esperienza caritativa presso gli Umiliati: il caso di Brera (sec.
XIII), in La carità a Milano nei secc. XII-XV, Milano 1989, pp. 210-223
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Ultima modifica: lunedì 25 gennaio 2016
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