L'area sacra di Porta Orientale
La basilica Concilia Sanctorum o di S. Romano, la chiesa di S. Babila, il monastero del Gisone,
l'oratorio di S. Biagio
di Maria Grazia Tolfo
Il protovescovo Anatolio e la cappella Concilia Sanctorum
Il catalogo dei vescovi milanesi inizia con Anatolio o Anatelone, nome greco-orientale, la cui festa cade il 24
settembre.
Di lui sappiamo solo che morì e venne sepolto a Brescia nella chiesa di S. Fiorano, donde venne traslato nel 1472 in
Duomo con tutti gli onori, essendo considerato anche il protovescovo di Brescia.
Una leggenda antica, attestata già nel secolo VIII, narrava che Anatolio era discepolo di S. Pietro, da lui inviato a
Milano per evangelizzare la città. I cataloghi possono essere presi in considerazione solo per la successione dei nomi dei vescovi, ma quanto a durata del loro episcopato e,
soprattutto, a periodo dell'incarico, sono frutto di tarde manipolazioni, miranti a far risalire la presenza cristiana a Milano ai tempi apostolici. L'analisi dei nomi dei primi
vescovi (Anatolio, Calimero, Mona, Mirocle), i martirologi preambrosiani, composti da figure militari nord-africane (Vittore, Nabore e Felice) e le più antiche iscrizioni
tombali riguardanti sacerdoti milanesi indicano chiaramente la penetrazione a Milano del cristianesimo dall'Oriente lungo le vie percorse dai mercanti e dall'esercito.
Secondo i calcoli di Felice Savio, Anatolio fu vescovo a Milano fra il 256 e il 259 a capo di una piccola comunità di
cristiani, alla stregua di una setta religiosa. E' ovvio che il suo operato non facesse storia, né destasse interesse. Perché venissero richieste le sue reliquie da Brescia -
forse solo pezze di lino venute in contatto col suo corpo - bisognò attendere probabilmente l'inizio del V secolo. Si volle allora
fondare una piccola cappella intitolata ai Concilia Sanctorum come a Brescia, dove il
vescovo Gaudenzio aveva consacrato una basilica nel 400 con lo stesso titolo.
L'autore del De situ (fine X secolo) ignora il luogo di sepoltura di Anatolio
e aggiunge che la sua deposizione veniva celebrata nella chiesa Concilia Sanctorum.
Influssi antiocheni nella basilica Concilia Sanctorum
La primitiva cappella e il vescovo Marolo
A Milano la cappella venne dotata delle reliquie di S. Anatolio, di Pietro, patriarca d'Alessandria tra il 300 e il 311,
di Lorenzo e Giulio, due preti missionari, di Nicolao vescovo di Licia, di S. Babila e di S. Romano, alle quali si aggiunsero più tardi altre reliquie a giustificare il titolo
di Concilia Sanctorum.
Il probabile candidato per la fondazione della cappella è il vescovo Marolo (408-422), così descritto da Ennodio nel
suo epigramma:
Marolus, exstremae portator Tigridis undae,
Qui iubar in madidis viderat hospitiis,
Quem labor in proprio Syriae solidaverat axe,
Orditur vatem dotibus innumeris;
Pervigil intentus ieiunius providus ardens.
Quindi, Marolo era nato in una provincia di Babilonia, passato in Siria prima del 380 e iscritto al clero di una chiesa
suffraganea di Antiochia, venne a Milano, dove fu in breve eletto vescovo. La storia non ci dice altro, ma l'ipotesi è che recasse con sé le reliquie dei santi antiocheni a lui
cari, Babila e Romano, e che richiedesse da Brescia le reliquie del suo predecessore e conterraneo Anatolio per fondare una basilichetta intitolata al Consesso dei Santi. Di
questa primitiva costruzione, forse niente più di una cella memoriae, non si sono trovate tracce.
Vediamo chi sono questi santi antiocheni.
Il diacono Romano
Romano era diacono ed esorcista di una chiesa prossima a Cesarea di Palestina. Recatosi ad Antiochia durante la
persecuzione di Galerio, si rese conto del gran numero di apostati. S'impegnò ad evitare il ritorno del paganesimo, motivo per cui fu arrestato. Era già stato condannato al
rogo quando Galerio ci ripensò e lo graziò - per modo di dire - strappandogli la lingua, in modo che non potesse predicare. Vana illusione, perché il diacono - secondo la
versione fornita da Giovanni Crisostomo - trovava la forza di diffondere ugualmente il Verbo. Venne rinviato in prigione, dove attese i vicennalia dell'imperatore (20 novembre
303 in onore di Diocleziano); in quell'occasione tutti i prigionieri vennero liberati, ad eccezione di Romano, che fu strangolato il 18 novembre 303.
Una Passio greca (fine IV sec.) introduce un nuovo motivo per l'arresto:
per stabilire di fronte ai pagani chi fosse il vero dio, Romano propose di rimettersi al giudizio di un bambino (anonimo), che proclamò l'unicità di Dio e la falsità
degli idoli pagani. Romano e il bambino vennero arrestati e il bambino, in virtù di principi pedagogici radicali, venne immediatamente decapitato. La successiva Passio
latina aggiunge altri elementi a quella greca, informandoci che il bambino si chiamava Barala, nome foneticamente vicino a Babila.
Il vescovo Babila
Babila, contemporaneo di Anatolio, fu il tredicesimo vescovo di Antiochia dal 237-8 al 250, durante il regno di Filippo
l'Arabo (244-49), ritenuto cristiano. A Filippo il collega Gordiano aveva affidato il proprio figlio durante la sua assenza per una spedizione contro la Persia, nella quale morì.
Filippo uccise il ragazzo per eliminare un possibile rivale nell'impero. Quando volle partecipare ai riti di Pasqua ad Antiochia, Babila gli impose una penitenza e Filippo obbedì.
Il successore Decio riaprì la persecuzione contro i cristiani e Babila morì incatenato in carcere.
Antiochia era una città ricca, con un quartiere, Dafne, famoso come luogo ameno, ricco di boschi e di acque, con un
prestigioso tempio dedicato ad Apollo. Sozomeno lo dice luogo di perdizione nella città più sfarzosa e corrotta dell'impero. Per questo motivo il cesare Gallo, che non era uno
stinco di santo, volle ingraziarsi il potente clero cristiano locale facendovi trasportare nel 351-54 le spoglie del vescovo Babila e inviandone una parte a Costantinopoli.
Alla morte di Gallo il successore fu il fratello Giuliano, detto l'Apostata, che volle ripristinare il culto pagano, per
cui sfrattò S. Babila da Dafne, dove rappresentava motivo di turbamento per Apollo che rifiutava di esprimersi attraverso gli oracoli. Durante la processione di accompagnamento
di Babila al nuovo luogo di sepoltura si cantarono inni antifonati, che poi vennero riproposti anche da S. Ambrogio. Casualmente il tempio di Apollo s'incendiò poco dopo,
preludio della sconfitta del paganesimo.
L'arcivescovo di Antiochia Melezio fece innalzare prima del 381 una grandiosa basilica in onore di S. Babila, di pianta
cruciforme, di cui resta solo un'iscrizione musiva del marzo 387. Alla fine del IV secolo vi predicava Giovanni Crisostomo, che arricchì l'agiografia di Babila di un nuovo
elemento: gli vennero associati tre fanciulli, Urbano, Barbado e Apollonio, che d'ora in poi accompagneranno il santo nella sua iconografia.
Il reperto paleocristiano
Esiste un reperto paleocristiano di ignota provenienza, rimpiegato nei muri di S. Babila, datato inizio V secolo, che è
stato interpretato come una lastra pavimentale che ricopriva la confessio; nel caso fosse appartenuto in origine alla cappella
primitiva, sarebbe l'unico frammento rimastoci. E' una lastra di cm 75 x 75 con un foro al centro di una croce a bracci uguali e quattro dischi negli spazi della croce,
interpretati come patene, riproducenti in pietra le stoviglie dell'epoca. Il foro metteva in contatto con la confessio
sotto il pavimento, dove erano conservate le reliquie dei santi, e le patene servivano a deporvi le offerte.
La ricostruzione del vescovo Lorenzo I
Dopo il 493 il vescovo Lorenzo I ricostruì la basilica Concilia Sanctorum,
distrutta in seguito alla guerra tra Teodorico e Odoacre. Ennodio si lamenta che l'irruzione dei nemici aveva riempito Milano di
desolazione e rovine. Gli abitanti scampati alla prigionia avevano abbandonato la città; tra i prigionieri c'era lo stesso vescovo Lorenzo, che aveva sofferto freddo, ingiurie e
aggravamento degli acciacchi per la sua avanzata età. La città era deserta, le chiese diroccate e adibite a ricovero degli animali.
Dopo la vittoria definitiva di Teodorico nel 493, il vescovo Lorenzo poté far ritorno alla sua sede. Due anni di incuria
erano stati sufficienti a ridurre la città a un cumulo di macerie e immondizie imputridite dall'acqua stagnante. Fra le varie e
radicali opere di ricostruzione e risanamento intraprese dal vescovo vi fu la rifondazione della basilichetta Concilia Sanctorum,
secondo quanto attesta, in modo sibillino, il suo segretario Ennodio:
Item in alio loco factos in basilica SS. quia arserant
aedificia que prius ibi fuerant et sic facta
est.
Vilia tecta prius facibus cessere beatis,
si splendor per damna venit, si culmina flammis
consurgunt habitura Deum, si perdita crescunt
ignibus innocuis, si dant dispendia cultum.
Qualis erit reparans crepitantibus usta ruinis?
Laurenti, tua bella gerens incendia vince.
Sordida marcenti latuisset terra recessu,
si status faciem tenuissent antra vetusti.
Sed postquam superi flammas misere secundas
Ad lumen cineres traxerunt ista colendum.
Ennodio scrive a certi vescovi africani a nome di Lorenzo, avvertendoli che spedisce loro le reliquie dei SS. Nazaro e
Romano, come da richiesta.
Il clero siriaco di supporto ai Longobardi
Le distruzioni non dovevano risparmiare però neppure la costruzione del vescovo Lorenzo. Nell'inverno 539 la città
venne quasi rasa al suolo dai Goti, per punirla del supporto accordato ai Bizantini. La tradizione che vuole Milano per qualche anno cancellata dalla faccia della terra sembra
però esagerata. Il successivo arrivo dei Longobardi provocò una nuova rivoluzione nell'assetto politico, religioso e urbanistico della città. Al clero milanese fuggito a
Genova nel 569 si sostituì il clero siriaco unito a quello irlandese, che formarono il clero decumano o peregrino.
I religiosi siriaci si mostrarono particolarmente devoti al culto del vescovo Babila: redassero un elenco di epistole a
lui dedicate da leggersi nelle diverse feste e ricostruirono dalle fondamenta la Concilia Sanctorum che dall'inizio del VII secolo
prese anche il titolo di S. Romano. Era un semplice sacello quadrato, le cui fondamenta sono state rinvenute negli scavi e documentate.
Il clero siriaco portò con sé probabilmente un altro culto antiocheno, quello di S. Margherita.
La martire Margherita e il monastero del Gisone
Accanto a S. Romano sorse forse in età longobarda un monastero femminile, detto del Gisone, in cui si onorava S.
Margherita. Impossibile stabilire l'area che occupava, perché nel 912 il monastero si trasferì. Anche il nome di Gisone non ci fornisce indizi per stabilire con maggiore
precisione il periodo di fondazione, che potrebbe anche slittare in età carolingia al IX secolo.
Margherita fu una delle martiri cristiane leggendarie più venerate nell'antichità. Il prefetto d'Antiochia voleva
sposarla, ma lei lo respinse, dichiarando di essere cristiana e votata alla castità. Dall'amore all'odio il passo è breve: Margherita fu crudelmente torturata e abbandonata in
una segreta. Qui Satana si materializzò con le sembianze di drago e la divorò, ma la croce ch'ella teneva in mano (fortunata distrazione dei carcerieri!) fece sì che la pancia
del mostro si squarciasse e che Margherita potesse uscire illesa, almeno fino alla decapitazione. Questa rinascita vittoriosa dal Male la elesse a protettrice delle nuove vite e
quindi delle partorienti.
Margherita è una figura ovviamente più simbolica che storica e per questo motivo fu espunta dal calendario
ecclesiastico nel 1969.
Ritornando al monastero, si può anche supporre che per un certo periodo, quindi fino al 912, la chiesa di S. Romano
venisse affidata alle monache del Gisone. Quando traslocarono nel sito presso il Cordusio che doveva dare il nome alla via S. Margherita, portarono con sé anche il culto di S.
Babila. Scrive il Torre: "Nella vigilia e nel giorno di S. Babila si ritrovano i vecchioni e le vecchione, ministri ecclesiastici
assistenti in S. Margherita ai divini uffici, con accese torce in mano, ricevendo il tributo annuo dalle monache, costume esercitato fin da quando le monache erano a S. Babila e
solevano i vecchioni offrire il pane e il vino alla messa cantata dell'arcivescovo". Sempre secondo la testimonianza del canonico, che scriveva alla fine del Seicento:
"Queste religiose benedettine tenevano per loro monastero tutti i siti contigui al tempio di S. Babila fino al naviglio, benché in
quei tempi non ci fosse ancora, e si vedevano comode ed ampie abitazioni, le quali alla loro partenza furono acquistate dai parrocchiani e poi vendute a famiglie con carichi
livellari, riscossi ancor oggi."
Prime conclusioni
Possiamo quindi riassumere così, in via ipotetica, la genesi del primo gruppo di edifici:
1. fondazione della basilichetta Concilia Sanctorum poco dopo il 400, forse ad
opera del vescovo Marolo, con reliquie provenienti da Antiochia (Babila e Romano), da Brescia (Anatolio) e da altri luoghi; questo primo nucleo andò distrutto, tranne forse la
lastra della confessio.
2. dopo il 493 il vescovo Lorenzo I ricostruì la Concilia Sanctorum sull'area
di catapecchie bruciate, quindi sembrerebbe d'intendere che la nuova basilichetta non sussistesse su quella primitiva; anche questo edificio venne danneggiato, probabilmente
durante la guerra goto-bizantina.
3. in assenza del clero milanese fuggito a Genova, i Longobardi si appoggiarono a religiosi provenienti dalla Siria,
occupata dagli Arabi. Il clero siriaco ricostruì un modestissimo sacello quadrato, aggiungendo la dedica a S. Romano, del quale erano state acquisite le reliquie all'inizio del
V secolo. Fra le reliquie che importarono ex novo vi furono forse quelle S. Margherita.
4. presso il sacello di S. Romano si insediarono le monache benedettine del Gisone, che si presero cura della chiesetta
fino al 912.
La riforma cluniacense e la fondazione di S. Babila
Il culto di S. Babila ricevette un imprevedibile rilancio in Italia per merito della riforma cluniacense. Cosa vi lessero
nell'agiografia da farlo assurgere nel novero dei nuovi modelli etico-spirituali?
Fra i primi a lanciare la nuova devozione vi fu la marchesa di Toscana, Matilde di Canossa, che fondò nel 1073 una pieve
dedicata a S. Babila nella diocesi di Fiesole, in quella che oggi si chiama Pieve di Sambarello, che governava il vasto territorio di S. Godenzo. Nel 1108 la marchesa avrebbe
sepolto nel villaggio di Pieve di S. Giacomo presso Cremona le reliquie dei SS. Babila e Simpliciano, per cui Cremona divenne in un certo senso il centro del culto del santo
antiocheno.
A Milano la devozione di S. Babila fu prerogativa della pataria milanese, ispirata alla riforma cluniacense.
L'arcivescovo Arnolfo III da Porta Orientale
Le cronache ci informano che il sorpasso del culto di S. Babila su quello di
S. Romano risale a un'azione di forza perpretata da Nazaro Muricola nel 1096, ma non si capisce se fu egli stesso a fondare una chiesa dedicata al vescovo antiocheno o, come
sembra più probabile, se si limitò a istituirvi una canonica per la vita comunitaria del clero riformato.
Molti indizi fanno infatti ritenere che una chiesa intitolata a S. Babila, forse sull'area lasciata libera dal monastero
del Gisone, fosse stata già iniziata pochi mesi prima del tempestoso intervento del Muricola da Arnolfo III di Porta Orientale. L'arcivescovo, eletto nel dicembre 1093, dovette
attendere fino al marzo 1095 l'approvazione pontificia, standosene nel monastero di Civate da lui fondato.
Si colloca quindi dal marzo 1095 al settembre 1096, quando vi fu l'occupazione del Muricola, la fondazione della chiesa
di S. Babila accanto a S. Romano. Dato il breve tempo, la chiesa doveva essere ancora in fase di costruzione, come dimostrerebbe anche l'analisi muraria.
La canonica di S. Babila
Papa Urbano II non sapeva che vespaio avrebbe sollevato con la sua predica infiammata dal pulpito di S. Tecla in quel
tiepido settembre 1096. Parlando ad una folla di fedeli ispirati alla riforma del clero, sostenne che anche il più umile chierico era superiore a un re e che per avere questo
onore bisognava dimostrare di essere dei capi spirituali scelti dai fedeli e non prezzolati. I laici giocavano quindi un ruolo molto rilevante nella scelta delle loro guide
religiose, scalzando così la procedura feudale della vendite delle cariche. In città si scatenò una vera sommossa, durante la quale alcuni religiosi senza cura d'anime si
fecero scegliere dai fedeli di una vicinìa quali loro capi, scacciando il clero di carriera. Così fece Nazaro Muricola, fino a quel momento "disoccupato",
impossessandosi della chiesa di S. Romano col favore dei parrocchiani e fondando una canonica dove vivere in comune coi confratelli.
Nazaro era allievo del primicerio dei decumani Andrea dal Volto e compagno di studi di Landolfo il Giovane, nipote del
prete Liprando. La sua carriera ecclesiastica avveniva quindi all'interno dell'ordine dei decumani, che avevano in gestione la basilica Concilia
Sanctorum o di S. Romano. L'occupazione si attuò perciò a spese di religiosi appartenenti al suo stesso ordine.
Così scrive Landolfo: "clericus iste Nazarius de solario suo ad ecclesiam
sancti Babylae santique Romani, quae antiquitus dicebatur Concilia Sanctorum..., novum habitaculum hedificavit". Da quanto riferisce il cronista, si potrebbe supporre
che esistesse già una chiesa dedicata a S. Babila, accanto alla quale il Muricola si limitò a costruire un habitaculum, ossia una
canonica per la vita comune del clero.
Chi era Nazaro? Landolfo lo giudica uomo in ingenio acutissimus, emulo del
martire patarino Arialdo, che aveva fondato una canonica a Porta Nuova. Non sappiamo come l'arcivescovo Arnolfo III giudicasse l'occupazione della sua chiesa, ma il neo-eletto
arcivescovo Anselmo IV, già preposito della canonica di S. Lorenzo, mostrò di gradire l'operato di Nazaro, al punto di promuoverlo al presbiterato. La scelta di Anselmo come
arcivescovo era stata molto contestata, perché non aveva ancora preso alcun ordine sacro; dovette quindi prendere in una volta tutti gli ordini, fino al presbiterato e
all'episcopato, da vescovi stranieri. Il fatto che la marchesa Matilde gli inviasse un pastorale lascia intendere che anche Anselmo apparteneva all'ambito cluniacense.
Anselmo si appoggiò all'abile Nazaro Muricola, inviandolo in missione diplomatica con Giovanni Aculeo alla vacante sede
vescovile di Savona per vigilare sull'elezione di una persona degna. Nazaro fece di più e, strada facendo, individuò Grossolano, il preposito della chiesa dei SS. Apostoli di
Ferrania, presso Cairo Montenotte, che venne consacrato a Milano nell'aprile 1098. Come si vede, lo zelante presbitero andò ben
oltre l'incarico, scegliendo lui invece del clero savonese il vescovo e facendolo consacrare subito a Milano.
L'enigmatica vicenda dell'arcivescovo Grossolano
Il 13 settembre 1100 Anselmo partiva per la Terrasanta, lasciando suo vicario Grossolano. Alla morte del "prode
Anselmo" sulla strada per il Santo Sepolcro, si aprì la discussione sulla successione. I candidati prescelti dal clero milanese, con l'approvazione dello stesso Grossolano,
erano il preposito di S. Nazaro, Landolfo di Varigliate, e il preposito di S. Ambrogio, Landolfo da Baggio. Disgraziatamente entrambi erano assenti dal capitolo e per regola si
potevano eleggere solo presenti. Fu l'abate di S. Dionigi, Arialdo, a proporre di confermare l'attuale vicario, Grossolano, ad arcivescovo. La proposta riscosse abbastanza
successo e Grossolano poté insediarsi ufficialmente sulla cattedra ambrosiana, promuovendo Arialdo ad abate del ricco monastero di Civate. Questo riconoscimento inopportuno
suscitò immediati sospetti circa la spontaneità della proposta e la parte più integralista degli aderenti alla riforma inviò lettere di denuncia al pontefice. Grossolano
aveva però dalla sua parte la potente marchesa Matilde di Canossa, che provvide a far inviare il pallio - l'investitura ufficiale - a Milano con gran pompa.
A capo degli integralisti era il prete decumano Liprando, che non si diede
per vinto. Disgraziatamente disponiamo della sola cronaca di Landolfo il Giovane, nipote di Liprando e quindi ovviamente partigiano. Secondo Landolfo, fu Grossolano ad aprire le
ostilità, pretendendo che Liprando gli cedesse uno speciale ornamento, detto subcingulum, che il decumano aveva ricevuto dal papa;
Liprando rifiutò sdegnosamente. Non si riesce a capire bene quali motivazioni vi fossero di tanta ostilità da parte di Grossolano, certo è che vessò con alcuni provvedimenti
il decumano, al quale non restò che sottomettersi con mala grazia.
In città si cominciò a mormorare sulla cattiva condotta dell'arcivescovo, insinuando che forse non era così casto come
voleva sembrare. Poi Liprando si disse pronto a dimostrare che l'elezione di Grossolano era stata simoniaca, sottomettendosi al giudizio di Dio: il 25 marzo 1103 passò
attraverso una catasta di legna infuocata, uscendone appena un po' bruciacchiato. L'atmosfera milanese doveva essere diventata un po' pesante per l'arcivescovo, che pensò bene
di rifugiarsi a Roma presso papa Pasquale II. Qui lo raggiunse Liprando, che nel marzo 1105 davanti a un concilio in Laterano ribadì ufficialmente le accuse contro Grossolano,
seppure invano.
Grossolano venne riconfermato dal papa nella sua carica, ma non poté più fare ritorno a Milano, impedito
dall'opposizione capeggiata dal primicerio Andrea dal Volto, dall'abate di S. Ambrogio Guglielmo e da Ottone Visconti. Pasquale II dovette dispiacersi molto della situazione
imbarazzante in cui si trovava il suo protetto e deliberò di inviarlo quale suo ambasciatore a Costantinopoli presso l'imperatore Alessio Comneno. Grossolano era esperto di
greco e introdotto nelle controversie teologiche fra la Chiesa latina e quella greca, quindi una figura ben lontana da quel umile eremita che Nazaro Muricola sembrava aver
prescelto. Il vescovo Azzone di Acqui lo descrive, ad esempio, come letterato, di acuto ingegno, di singolare eloquenza e favorevole all'imperatore Enrico V. E fu questa fedeltà
all'imperatore a decretare la sua definitiva disgrazia.
Il 16 febbraio 1111 scoppiò infatti il finimondo: Enrico V partì da Roma portandosi via il papa Pasquale II in
ostaggio. Nei tumulti perse la vita Ottone Visconti, che coi filo-imperiali aveva scortato Enrico a Roma. Alessio Comneno, presso il quale si trovava Grossolano, colse
l'occasione per proporre a Pasquale II di disconoscere l'istituzione imperiale occidentale, di riunificare l'impero sotto la sua corona, offrendogli in cambio la
riappacificazione delle Chiese. Una proposta sbalorditiva!
Nel settembre 1111 la fazione avversa a Grossolano fece venire a Milano dalla Francia, dove si trovava a studiare,
l'ordinario Giordano da Clivio e propose di eleggerlo nuovo arcivescovo, dichiarando deposto Grossolano (1° gennaio 1112). I vescovi della diocesi si spaccarono nel sostegno ai
due arcivescovi. Ritornato Grossolano a Milano nell'agosto 1113, scoppiò l'inevitabile guerra civile, vinta da Giordano da Clivio. Dopo qualche tentativo di recuperare la
fiducia del papa, Grossolano si ritirò a Roma nel monastero greco di S. Saba, dove morì il 6 agosto 1117.
Nazaro Muricola primicerio
Fra i sostenitori dell'arcivescovo Grossolano vi furono i parrocchiani di S. Babila, indignati per il voltafaccia di
Nazaro, che dopo essere sempre stato al fianco di Grossolano, lo aveva abbandonato per Giordano da Clivio, in linea col primicerio Andrea. Nazaro dovette fuggire dalla sua
canonica; per ripiego occupò la chiesa di S. Paolo in Còmpito, sottraendola al suo amico Landolfo.
Eletto primicerio alla fine del 1113, ancora vivo il ricordo della guerra civile, il Muricola lasciò S. Paolo per
trasferirsi nella canonica dei decumani del Duomo, ma non restituì la chiesa al suo precedente preposito, bensì la consegnò ad Andrea Sugaliola, che si dimostrerà deciso
avversario del povero Landolfo. Qest'ultimo venne accusato di infedeltà verso Giordano e dovette discolparsi nella grande adunata tenuta nei primi mesi del 1117 nel brolo
dell'arcivescovo. Landolfo passerà tutta la sua vita a cercare di ottenere giustizia, appellaondosi ai pontefici, all'imperatore Lotario III, ai consoli di Milano, ma senza
successo. Non gli rimarrà che sbarcare il lunario come lector, scriba, puerorum eruditor et consulum epistolarum dictator.
Nel periodo in cui Nazaro ricoprì la carica di primicerio si alternarono sulla cattedra ambrosiana l'arcivescovo Olrico
(1120-26), Anselmo V della Pusterla (1126-1133), Roboaldo (1135-1145). Landolfo afferma che l'elezione di Olrico fu procurata dai
maneggi del primicerio Nazaro.
Nello scisma fra Innocenzo II, alleato all'imperatore Lotario, e Anacleto II,
scelto da Corrado, la maggioranza dei milanesi si schierò per Anacleto; non così fece Muricola che scelse Innocenzo II. Questa spaccatura netta fra i capi religiosi della città
era indizio di un grave disagio interno. Nazaro riuscì a sollevare la popolazione e a cacciare l'arcivescovo Anselmo V della Pusterla (1135). Poco dopo giunse a Milano il
protagonista della storia religiosa del momento, Bernardo di Chiaravalle, che ricevette accoglienze a dir poco entusiastiche.
Nel 1146 venne eletto l'arcivescovo Oberto da Pirovano. In un atto arcivescovile dell'ottobre di quell'anno non compare
più la firma di Nazaro. Il primicerio era ormai attempato ed è probabile che si ritirasse a vita privata, pur mantenendo la sua carica. Sappiamo infatti che dal 1146 tornò a
vivere nella canonica di S. Babila. Firma ancora e per l'ultima volta una carta nell'aprile 1148.
Difficile stabilire se fu grazie alla sua residenza in loco che la chiesa di S. Babila ricevette un aggiornamento
architettonico, il tiburio, sulla chiesa già impostata e non terminata.
Nazaro morì il 30 marzo 1150, dopo essere stato protagonista di un intenso
e travagliato mezzo secolo di storia milanese.
La vicenda architettonica di S. Romano e S. Babila
S. Babila
La chiesa ha conservato ben poco della veste romanica conferitagli a partire dagli anni 1096-1098. La parte più cospicua
riguarda i capitelli, che si sono salvati perché ricoperti di stucco. Mostrano motivi fitomorfi, a fogliami o nastriformi, e
zoomorfi (leoni, grifi, lepri, uccelli, l'agnello mistico). Lo stile della scultura conferma che si tratta di manufatti risalenti all'ultimo quarto del secolo XI, vicini a quelli
di S. Celso, S. Eustorgio e, soprattutto, di S. Pietro in Ciel d'Oro a Pavia.
Il progetto della chiesa non prevedeva inizialmente l'innalzamento del tiburio, che venne imposto dai nuovi canoni
architettonici in un momento posteriore, uguale per tutte le chiese milanesi, coincidente con il ritorno di Nazario Muricola presso la canonica di S. Babila.
La storia tace fino all'età viscontea, quando la chiesa, ormai inclusa all'interno della nuova cerchia del naviglio,
ricevette un rilancio attraverso una serie di leggende. Galvano Fiamma nel Chronicon Majus è il primo a tirar fuori il culto del Sole
a Porta Orientale: "in loco ex opposito ecclesiae sci Babilae citra flumen erat porta dicta dei Solis, sive Apolinis, ubi erat
palatium rotundum in cuis pyramide fuit ydolum Solis".
In virtù di questa rivalutazione venne proposto anche l'aggiornamento nell'arredo interno. Nel 1363 fu consacrato
l'altare maggiore, sul quale venne collocata un'ancona marmorea dorata dedicata al santo titolare; la famiglia Cotta sovvenzionò il rifacimento dell'altare dell'abside minore
destra, intolato a S. Maria Vergine e S. Nicolao, sul quale venne posto un dipinto rappresentante S. Erlembaldo. Anche sulla porta
Orientale venne collocata, ad opera della bottega di Giovanni di Balduccio, la statua di S. Babila con i piccoli Urbano, Barbado e Apollonio, oggi al museo del Castello
Sforzesco.
La chiesa assunse un'importanza particolare sotto Gian Galeazzo, che per decreto incluse fra le feste ufficiali di Milano
quella di S. Babila: il 24 gennaio il vicario di provvisione con i rappresentati delle arti venivano in processione a fare l'offerta di un frontale di seta per l'altare maggiore.
Nel 1393 Marco Carelli, parrocchiano, redasse un testamento che lasciava i fondi per la costruzione della sacrestia.
Fu poi il momento del fulgore delle scuole: nel 1457 venne fondata la Schola di S. Maria delle Grazie, amministrata da
dodici laici, che aveva la cappella nell'abside destra, mentre la Schola del Corpus Domini costruì appositamente una cappella nel 1520, poi rititolata a S. Francesco. Nel 1569
le due Scuole vennero unificate per volontà di Carlo Borromeo, che impose l'amministrazione ecclesiastica.
Intorno
al 1573 l'Anonimo Fabriczy disegnò il lato sud della chiesa e il campanile; sono l'unica documentazione del complesso prima del crollo nel 1575 del campanile romanico. Il 27
giugno 1588 venne approvata l'istituzione di una collegiata a spese della marchesa Girolama Mazenta; i fondi arrivavano nel momento giusto, perché nella sua visita pastorale del
1591 l'arcivescovo Gaspare Visconti trovò la chiesa angusta admodum et indecens, per cui si resero necessari i restauri. Tra il 1601 e
il 1613 la chiesa venne allungata di una campata, occupando l'area del cimiterino antistante l'ingresso; il coro, insufficiente per il capitolo, venne rifatto, causando la
perdita delle absidi medievali; Aurelio Trezzi rifece la facciata, che è quella che vediamo nelle incisioni settecentesche.
Nel
1787 Giuseppe II soppresse la parrocchia di S. Babila; da quel momento la chiesa subì un'inesorabile decadenza, finché nel 1826 ne venne richiesta la demolizione. Si riuscì a
procrastinare la decisione fino al 1852, quando si rinnovò la richiesta di abbattimento. Nuovamente prevalse la decisione di tentare un salvataggio in extremis: nel 1880 si
conferì l'incarico di restauro generale a Paolo Cesa Bianchi, allievo di Camillo Boito, che optò per un restauro di integrazione stilistica. Venne abbassato il pavimento, senza
però rintracciare il piano di calpestio originario, e furono liberati i pilastri dalla decorazione barocca, recuperando così i capitelli medievali; nel 1905 fu demolita la
facciata barocca del Trezzi, sostituendola con una facciata neo-romanica realizzata da Cesare Nava su progetto del suocero Cesa Bianchi; con
pari criterio si abbatterono le absidi seicentesche, che vennero rifatte ex novo, sempre in stile neo-romanico; tra il 1887 e il 1888 la chiesa aveva riassunto un aspetto
medievale, con tanto di decorazione ad archetti in cotto; il nuovo campanile ottocentesco venne trasformato nel 1927 dall'ing. Bruni nell'attuale stile neo-romanico. L'interno
venne tutto nuovamente arredato e decorato secondo i canoni stilistici dell'epoca, facendo della chiesa un esempio di stile eclettico ottocentesco (come del resto S. Eufemia in
corso Italia).
S. Romano
La chiesa si presentava come un modesto sacello quadrato, che però era la vera parrocchia e aveva il battistero, motivo
per cui le veniva riconosciuta l'antichità di fondazione. S. Romano perse gradualmente d'importanza a favore di S. Babila.
Nel
1567 Carlo Borromeo impose di spostare le reliquie dei santi che erano nell'arca di pietra sotto la navata nel mezzo della chiesa per metterle dentro l'altare maggiore.
Poco tempo dopo, nel 1592, la nobile Susanna de Colli fece dono della casa retrostante S. Romano per ampliare il sacello
quadrato, ma solo nel 1630-34 l'ing. Giuseppe Barca poté realizzare il progetto di ampliamento.
Il 24 giugno 1808 il Demanio acquisì l'edificio sacro e lo affittò allo scultore Acquisti, che lavorava per il Duomo.
Nel 1810 la chiesa venne venduta per Lit. 20.633 a Ferdinando Valmagini che vi installò un teatro meccanico; quindi fu trasformata in casa civile (corso Monforte 7).
La cappella di S. Biagio, poi S. Marta
Sulla
destra di S. Babila, a creare il terzo polo religioso, venne eretta nel 1344 dal prete Zonfredo di Càstano una cappella dedicata a S. Biagio, sede di una confraternita, con
annesso cimitero.
Nel 1466 la cappella fu intitolata anche a S. Bernardo e, quando nel 1503 subentrò la Schola di S. Marta, la cappella fu
conosciuta con questo titolo.
Nel 1797 venne soppressa e poco dopo demolita.
Bibliografia
Visita il sito della parrocchia di S. Babila con testi molto accurati che riguardano la biografia
di S. Babila , la chiesa e l'arte .
Il protovescovo Anatolio e la cappella Concilia
Sanctorum
Cattaneo, E., Il culto di S. Anatelone nella Chiesa milanese e bresciana, in
"Ambrosius", 34 (1958), pp. 247-252
Savio, Felice, I vescovi di Milano, Milano 1913
Influssi antiocheni nella basilica Concilia
Sanctorum
Acta Sanctorum, voci S. Babila, S.
Romano, S. Margherita
Allard, P., Storia critica delle persecuzioni, 2 voll., Firenze 1918
Borella, P., Cimelio paleocristiano a S. Babila in Milano, in “Diocesi di
Milano”, luglio 1960, pp. 18-21
Cattaneo, E., Il più antico elenco di chiese di Milano, in “Notizie dal
Chiostro del Monastero Maggiore”, 1969, pp. 25-33
Delehaye, H., Les origines du culte des martyres, Brussel 1933
Eusebio di Cesarea, I martiri palestinesi
Storia ecclesiastica
Paribeni, R., Da Diocleziano alla caduta dell'impero d'Occidente, Bologna 1941
La riforma cluniacense e la fondazione di S. Babila
Bosisio, A., Il cronista Landolfo e la storia della Chiesa milanese, in “La
Scuola cattolica”, 62 (1934), pp. 7-10
Dizionario della Chiesa ambrosiana
Rossini, R., Note alla Historia Mediolanensis
di Landolfo Iuniore, in "Contributi dell'Istituto di Storia medievale della Università Cattolica" Milano 1968, vol. I, pp. 411-480
Zerbi, P., Tra Milano e Cluny. Momenti di vita e cultura ecclesiastica nel sec.
XII, Roma 1978, pp. 125-230
La vicenda architettonica di S. Romano e S. Babila
AA.VV., S. Babila, Milano 1952
Fiorio, M.T. (a cura di), Le chiese di Milano, Milano 1985, pp. 182-184
Gambi-Gozzoli, Milano, Laterza, Bari 1982, p. 162, fig. 67
Mezzanotte- Bascapé, Milano nell'arte e nella storia, Milano 1948, ed. 1968
pp. 486-487
Torre, Carlo, Ritratto di Milano, Milano 1714, pp. 327-331
Inizio
pagina
Ultima modifica: martedì 30 luglio 2002
mariagrazia.tolfo@rcm.inet.it
|