I Giardini Pubblici e il Museo di Storia Naturale
di Paolo Colussi
Nascita dei Giardini pubblici
Il 1770 fu un anno di grande svolta per Milano. L’arciduca Ferdinando, uno dei più giovani figli maschi di Maria Teresa, doveva sposare con grande
solennità Maria Beatrice d’Este e stabilirsi a Milano come nuovo governatore, quasi viceré di un rinnovato ducato che sommava assieme i ducati di Milano e di Mantova sotto la
nuova denominazione di Lombardia austriaca.
L’architetto Piermarini, nominato architetto di Stato, si mise subito al lavoro per costruire una dimora adeguata agli
illustri sposi, comprendente secondo l’uso del tempo una residenza in città ed una villa in campagna. Per quanto riguarda la villa si arrivò presto a definire la nuova sede
di Monza e lo stradone di Loreto che collegava direttamente Porta Orientale con il rondò di Monza e la villa. Sulla residenza in città ci furono invece dei tentennamenti
iniziali. Il vecchio palazzo dei governatori (attuale Palazzo Reale) era vecchio, malandato e troppo soffocato dall’edilizia circostante. Non aveva alcuna possibilità di
allargarsi su un giardino e persino pochissimo spazio per le scuderie.
La
prima idea del Piermarini per ovviare a questi inconvenienti si concretizzò in un progetto che vide il nuovo palazzo occupare i terreni situati tra la Cavalchina (via Manin), i
Bastioni e la strada Isara (via Palestro), terreni di proprietà dei Dugnani, che li affittavano come orti e frutteti a contadini residenti in una cascina che si affacciava sulla
strada Isara. Non sappiamo perché questo progetto venne scartato. Probabilmente perché c’era sproporzione tra l’ampiezza del giardino e l’angustia dell’edificio
destinato a residenza oppure perché Maria Teresa riteneva troppo dispendiosa l’idea di due nuove costruzioni. Comunque sia, si ripiegò subito per una ristrutturazione del
vecchio palazzo accanto al Duomo e la zona di Porta Orientale rimase ancora per qualche anno nelle misere condizioni che l’avevano sempre caratterizzata.
Dopo la morte di Maria Teresa, con il nuovo governo “liberale” di Giuseppe II, si pensò di dotare anche Milano, come
Vienna, oltre che di scuole pubbliche e di una biblioteca pubblica (Brera) anche di un giardino pubblico. Il Piermarini, incaricato del progetto, propose subito Porta Orientale
come la sede adeguata per questi giardini. A convincerlo anzitutto dovette essere la possibilità di utilizzare i Bastioni per creare una carrozzabile sopraelevata nella zona
ritenuta più salubre di Milano con una mirabile vista sull’arco alpino. D’altro lato, la via Marina, dai navigli a San Dionigi, era già da tempo un percorso frequentato
volentieri dalle carrozze e dalla metà del Settecento anche il corso stava diventando un percorso molto alla moda. L’idea era semplice e molto efficace. Bisognava creare un
sistema di percorsi raccordati tra loro che permettesse di alternare il passeggio a cavallo o in carrozza con il passeggio a piedi.
Il
progetto globale comprendeva diverse operazioni che vennero realizzate una dopo l’altra tra il 1783 e il 1790. Il progetto venne approvato il 29 novembre 1783 e subito
iniziarono le operazioni di sistemazione dei giardini che comprendevano soltanto una piccola parte di quelli attuali e precisamente i terreni occupati allora dalla basilica di
San Dionigi e dal convento delle Carcanine. I lavori vennero predisposti in modo da spendere il meno possibile. I terreni vennero affittati dai padri Serviti che abbandonarono
definitivamente la chiesa, le opere furono appaltate all’impresario Giuseppe Crippa che le eseguì a sue spese in cambio della gestione della bottiglieria e del gioco del
pallone. Il Crippa chiese soltanto l’esenzione dal dazio sui materiali e la possibilità di utilizzare i carcerati per gli sterri e le demolizioni. In tre anni i lavori furono
terminati. San Dionigi sparì per sempre mentre il convento delle Carcanine ricevette quattro nuove facciate neoclassiche. Restarono in piedi anche i corpi annessi al convento
che diventarono la bottiglieria al servizio dei frequentatori del giardino. Il campo per il gioco del pallone fu allineato tra il convento e i Bastioni ed era cinto da un alto
muro ben visibile nel disegno dell’Aspari. Il
resto del giardino era costituito da due corridoi disegnati alla francese posti l’uno tra i Boschetti e i Bastioni e l’altro parallelo al corso. In questo modo le vecchia
strada che correva tra San Dionigi e le Carcanine veniva inglobata nel giardino lasciando la strada Isara senza sbocco sul corso. Naturalmente furono elevate subito giuste
proteste e si dovette acquistare un lotto che consentisse un nuovo sbocco sul corso e che corrisponde all’attuale parte terminale di via Palestro anche se inizialmente era
molto più stretto.
Terminati questi primi lavori, per collegare i giardini con i Bastioni si costruì una gradinata chiusa alla sommità da
un’elegante cancellata retta da pilastri sormontati da grandi vasi. Un’altrettanto elegante cancellata (la stessa che c’è ancora oggi) costeggiava il corso consentendo
quella gradevole visibilità dei giardini dalla strada che fornì finalmente al corso quel tocco di classe che gli era sempre mancato e aprì la via a una nuova edilizia molto più
signorile della precedente. Tra il 1787 e il 1788 vennero poi
realizzati i Boschetti, l’idea più originale e apprezzata del Piermarini. I Boschetti occupavano tutta la via Marina tra il naviglio e i nuovi giardini e furono realizzati
piantando due serie di cinque file di alberi allineati secondo la lunghezza della strada, ma sfalsati rispetto alla larghezza, con al centro una zona scoperta. Le file erano
costituite da piante diverse, e precisamente tigli, olmi e castagne d’india. Il bordo era delimitato da biancospini. A metà del percorso, dove i Boschetti piegavano
leggermente verso nord, il Piermarini collocò la vecchia crocetta del Bottonuto a forma di obelisco, arricchita da un nuovo piedistallo.
L’arrivo dei Francesi nel 1796 e la confusione che ne seguì non giovarono allo sviluppo dei giardini. Anzi, anche
l’ex convento delle Carcanine subì la sorte di molti altri edifici diventando sede di militari. La grande ascesa iniziò con il ritorno di Napoleone e la costituzione della
Repubblica cisalpina e del Regno d’Italia. I giardini in quegli anni vissero intense giornate di gloria. Per
l’incoronazione di Napoleone nel 1805 il chiostro delle Carcanine viene coperto e prese il nome di Salone, un’etichetta che gli resterà appiccicata fino alla demolizione.
Anche i Boschetti, diventati “Bosco Sacro”, vennero decorati con una serie di monumenti posticci in memoria dei caduti delle guerre napoleoniche e di are dedicate ai poeti.
L’incisione di Andrea Appiani, pur esagerandone le dimensioni, illustra bene questo momento di gloria dei Boschetti. Con il ritorno degli Austriaci, anche se i milanesi
continuarono a frequentare il passeggio lungo i Bastioni e nei giardini, l’atmosfera divenne molto più tetra. Basta con le feste, le luminarie e i fuochi d’artificio. Anche
il Salone viene chiuso. Il timore di assembramenti fece demolire anche il campo per il pallone e severe ordinanze proibirono di giocare con palle e palloni nei giardini. I
giovani si spostarono allora intorno al Castello ed è da un gruppo di questi accaniti giocatori che nacque in quegli anni la famigerata “Compagnia della teppa”.
In questo periodo comunque poco succede. Nel 1825 il Salone viene dato in uso allo scultore Pompeo Marchesi che ne fa il
proprio studio fino al 1834 quando un incendio rovina la struttura e costringe lo scultore ad andarsene in via San Primo dove la cittadinanza gli prepara un nuovo studio
nell’ex convento dei Celestini. Il Salone, molto malandato, viene utilizzato dal Comune come deposito delle “giorgie”, le botti con le ruote che servivano ad annaffiare le
strade d’estate. Una parte dell’ex convento viene anche usata come ricovero invernale degli uccelli di alcune voliere che erano comparse nel frattempo nei giardini.
Il raddoppio dei giardini
Il “giardino vecchio” e il “giardino nuovo”
L’ampia zona agricola che si trovava tra i giardini del Piermarini e la via Cavalchina (oggi Manin) e che oggi è parte
integrante dei giardini pubblici, apparteneva fino al 1730 alla famiglia dei Cavalchini che in quell’anno la cedettero ai Casati i quali a loro volta nel 1753 la cedettero ai
Dugnani che occuparono il palazzo sulla via e ampliarono con acquisti le loro proprietà terriere nella zona. Nel 1835, alla morte di Teresa Dugnani Viani, la proprietà venne
ereditata da Giovanni Vimercati. Pochi anni dopo, nel 1846, il Comune acquistò dal Vimercati il palazzo e il terreno per 1.450.000 lire austriache allo scopo di ampliare i
giardini e incaricò l’ing. Balzaretto del nuovo progetto. Il palazzo Dugnani, come vedremo in seguito, venne subito pensato come sede del nuovo Museo di storia naturale, per
il giardino si pensò ad una soluzione “moderna”, all’inglese ma senza fantasticherie romantiche o preromantiche che vennero invece soppiantate dagli “spazi a scomparti
simmetrici con aiuole di fiori”, l’ultima moda nel campo del giardinaggio. All’inizio del 1848 il progetto stava per essere approvato quando esplose la rivoluzione delle
Cinque Giornate e tutto si bloccò. Il discorso venne ripreso nel 1856 quando le acque si erano calmate e Francesco Giuseppe cercava in tutti i modi di riconquistarsi il favore
dei milanesi. Si riprese e perfezionò il progetto del Balzaretto che fu finalmente approvato il 14 febbraio 1857. Purtroppo per l’Austria, la conclusione dei lavori nel 1862
sarà invece occasione di grandi feste per la nuova amministrazione sabauda. Lo stesso Garibaldi, sulla scalinata dei giardini adeguatamente addobbata premiò i più valorosi tra
i suoi seguaci.
Il
lavoro del Balzaretto fu subito molto apprezzato ed è ancora oggi lodato dagli intenditori per la sua ingegnosità. Al posto di tempietti e rovine, venne costruito il Monte
Merlo con il Caffè e la rotonda per la musica. Il corso d’acqua, che attraversa tutto il giardino, si allarga sotto il monte lasciando il posto per un isolotto sul quale
venne sistemata la statua di Carlo Porta, subito battezzata dai milanesi “el guardian di occh”. Il Salone venne restaurato e
rimesso in uso per esposizioni mentre la vecchia bottiglieria, ormai sostituita dal Caffè, venne demolita. La casa lungo l’ultimo tratto della via Palestro, acquistata dal
Comune nel 1857, avrebbe dovuto essere demolita e sostituita da un nuovo edificio destinato a Teatro diurno. Questa fu l’unica “utopia” del Balzaretto che non si realizzò
mai. La casa resterà inclusa come un corpo estraneo nei giardini per molti decenni prima di essere soppressa per allargare la via Palestro.
I giardini a questo punto sono diventati una vera attrazione per la città. La nuova filosofia dell’igiene spinge i
genitori a portare i bambini il più possibile a contatto con le piante e quindi a passeggio nei giardini che finora erano stati appannaggio esclusivo degli adulti. Il viale
degli aceri creato lungo la via Palestro diventerà in breve tempo il "Viale delle balie". La vicinanza del Museo di storia naturale favorisce l’inserimento di
“attrazioni animali”. Alle voliere si aggiungono la casa della giraffa,
lo scomparto dei cervi e delle scimmie. Anche
il Salone è in rapida ascesa. Nel 1871 ospita la Prima Esposizione Industriale, una mostra ancora a carattere locale. L’anno dopo c’è una grande esposizione di opere
d’arte che il primo agosto rischia di subire danni gravissimi quando un tremendo temporale si abbatte su Milano sradicando moltissimi alberi del giardino vecchio e dei
Boschetti. Sempre in occasione di questa esposizione fanno la loro comparsa ai giardini anche gli Scapigliati che prendono in giro questa esposizione d'arte improntata al più
rigido accademismo con una loro "Disposizione" di opere bislacche realizzata sul Monte Merlo. E' comunque sempre il Salone il maggiore centro di interesse in questi
anni. Nel 1878, con un primo nucleo di opere acquistate in occasione delle esposizioni e altre ricevute in dono, il Comune organizza nei locali del Salone un primo Museo
artistico municipale, precursore dei successivi musei civici. Nel 1882 verrà ad aggiungersi la Scuola d'Arte Applicata e nel 1884 il Museo del Risorgimento.
Nel frattempo però sul Salone e sui giardini si è abbattuta una tempesta ben più devastante di quella del 1872:
l'Esposizione nazionale del 1881.
L'Esposizione nazionale del 1881 e la ristrutturazione dei giardini
Il
successo delle prime esposizioni industriali e la fine dei terribili anni '70 segnati dalla crisi economica e dalle enormi tasse volute da Quintino Sella per ripianare il debito
pubblico, consigliò nel 1880 alcuni protagonisti della vita economica milanese a tentare un'ardita impresa sulla scia di quanto già si faceva in Inghilterra e in Francia:
riunire dentro una serie di padiglioni appositamente allestiti quanto di meglio poteva offrire la neonata industria italiana. Il difficile fu trovare i finanziamenti, ma i
promotori riuscirono a reperire numerosi sottoscrittori fino a raggiungere la discreta somma di 800.000 lire, sufficiente a convincere della bontà dell'impresa anche il
parlamento, che dopo molte traversie aggiunse da parte sua altre 500.000 lire. Il secondo problema da risolvere fu quello della sede dove collocare l'iniziativa. Si discusse
moltissimo tra varie alternative. Contro chi sosteneva la tesi dei giardini ci furono molti "pre-ecologisti" che temevano le devastazioni provocate al verde
dall'iniziativa. Alla fine si decise lo stesso per questa sede promettendo che non sarebbe stato tagliato nessun albero né rovinata alcuna pianta. L'Esposizione ebbe un successo
davvero inatteso sia per il numero degli espositori (8.000) affluiti da tutta Italia, sia per l'enorme numero dei visitatori che accorsero per tutto il periodo dell'esposizione,
che fu esteso dal 3 maggio all'1 novembre.
I padiglioni coprivano tutto il giardino vecchio compreso il Salone, la Villa Reale e il parterre
del Balzaretto davanti alla Villa Reale. Altri padiglioni di ristoro erano sparsi nel giardino tra cui l'isba russa che venne poi acquistata dal Comune e rimase al suo posto fin
quando non fu danneggiata dalle bombe del 1943. Altri importanti arredi creati per l'esposizione furono la vasca davanti a Palazzo Dugnani, ancora in loco, e un'altra
vasca collocata davanti al Salone che venne tolta con la creazione del Museo di storia naturale.
Terminata l'esposizione si dovette constatare che, malgrado le promesse, molti danni erano stati arrecati al giardino del
Balzaretto e che si doveva quindi procedere ad un restauro di notevole entità. Il compito venne affidato ad Emilio Alemagna e all'ing. Bignami Sormani che apportarono le
seguenti modifiche all'originario impianto del Balzaretto:
- Viene raddoppiato il laghetto.
- Scompaiono le aiuole fiorite davanti a Palazzo Dugnani e alla Villa Reale.
- L'antica scalinata del Piermarini viene sostituita da una doppia rampa che sale ai Bastioni e che racchiude una cascata
d'acqua. La rampa doveva servire alle carrozze qualora fosse consentito il loro accesso ai giardini.
- Viene modificato il fosso (o ha-ha) creato dal Balzaretto davanti alla Villa
Reale per consentire una soluzione di continuità tra la Villa e il giardino.
- I Boschetti, gravemente danneggiati dalla tempesta del 1872 e mai ripristinati, vengono risistemati
"all'inglese" con una disposizione irregolare e molto più rada delle piante.
Tutte
queste modifiche sono rimaste immutate fino ad oggi. Nei decenni seguenti poche sono le innovazioni apportate al giardino. Tra il 1890 e 1915 nei giardini e nei Boschetti (che
ripresero l'antico nome di via Marina) si affollarono numerose statue sorte senza un piano preciso, ma secondo le diverse inclinazioni dell'Amministrazione municipale. Le altre
modifiche rilevanti riguardarono la creazione del nuovo Museo di storia naturale al posto del Salone e, più recentemente, la creazione dello zoo e del Planetario.
Il Civico Museo di Storia Naturale di Milano
La prima idea di un Museo di Storia Naturale a Milano risale al 1808, quando si pensò che la capitale del Regno d'Italia
doveva avere accanto a Brera, tempio della Cultura e dell'Arte, anche un analogo complesso di strutture ed istituzioni destinate allo studio e alla valorizzazione della Natura. I
maggiori architetti del momento - Canonica, Cagnola e Zanoja - furono incaricati di presentare una grande progetto comprendente in un'unica area un orto botanico, uno zoo, una
scuola, una biblioteca e il museo di storia naturale. L'area prescelta, di enormi dimensioni, andava dal fosso del Lazzaretto alla Martesana che correva lungo l'attuale via
Melchiorre Gioia con una profondità pari a quella del Lazzaretto. Vennero presentati due progetti, uno del Cagnola e l'altro degli altri due architetti e nel 1810 vinse quello
del Cagnola, molto più vario e fantasioso dell'altro. La campagna di Russia e il rapido declino di Napoleone posero rapidamente fine a questa
grandiosa iniziativa, che lasciò dietro di sè una collezione di conchiglie fossili e una di scheletri di mammiferi del Pliocene acquistate per il museo. Queste
collezioni furono imballate dagli austriaci e collocate in un magazzino a Santa Teresa dove rimasero in attesa di tempi migliori.
Il vero inizio dell'attuale museo lo dobbiamo invece a due personaggi che nel periodo della Restaurazione raccolsero
ciascuno per conto proprio due significative collezioni naturalistiche: Giuseppe De Cristoforis e Giorgio Jan. Il primo era un ricco ed appassionato collezionista milanese, il
secondo uno studioso di origine ungherese con pochi mezzi economici. Nell'estate del 1831 tra i due si arrivò ad un accordo che prevedeva l'acquisto da parte del De Cristoforis
della raccolta Jan con il patto che le collezioni riunite, in caso di morte di uno dei due, sarebbero rimaste al superstite. In subordine si prevedeva anche che, nel caso fosse
morto prima il De Cristoforis, l'intera raccolta sarebbe passata al Comune che avrebbe dovuto assumere lo Jan come direttore del nuovo museo. Quest'ultima evenienza fu proprio
quella che si verificò. Nel 1837 il De Cristoforis morì improvvisamente a 34 anni e, dopo alcune trattative tra il Comune e un gruppo di appassionati naturalisti, fu stabilito
di creare il nuovo Civico Museo di Storia Naturale che venne inaugurato il 7 maggio 1838 con direttore Giorgio Jan nella casa del De Cristoforis in contrada del Durino n. 428
(Via Durini 27). L'istituto crebbe subito in importanza tanto che in occasione del Congresso degli Scienziati del 1844 tutte le collezioni vennero trasferite in una sede più
ampia e adeguata per la loro esposizione, e cioè nell'ex convento di Santa Marta nella contrada di S. Maddalena al Cerchio (via Circo). In questa sede il Museo poté funzionare
non solo come luogo di esposizione e di studio, ma anche come potente strumento di divulgazione delle scoperte naturalistiche che andavano incalzando in quegli anni soprattutto
attraverso le conferenze pubbliche tenute dallo Jan e dai suoi collaboratori. In seguito, nell'ambito dei lavori di sistemazione dei giardini da parte del Balzaretto fu
ristrutturato anche Palazzo Dugnani e il Museo ricevette una nuova sede prestigiosa in mezzo alla Natura. I giardini, a questo punto, con il museo, gli animali sparsi nel verde,
le piante esotiche e le serre, dovettero sembrare ai milanesi una specie di oasi naturalistica o forse una felice imitazione del Paradiso terrestre. Alla morte di Giorgio Jan nel
1866, la direzione del museo toccò al suo più valido collaboratore, Emilio Coralia, che fece ulteriormente crescere la fama dell'istituto grazie ai suoi studi e all'aumento
delle collezioni, fama che toccò l'apice sedici anni dopo, nel 1882 quando gli succedette alla direzione Antonio Stoppani.
Antonio Stoppani, una gloria milanese dimenticata
Antonio Stoppani (biografia)
era nato a Lecco il 15 agosto 1824 e si era segnalato nel 1857 con il suo primo libro importante, gli Studi geologici e paleontologici
sulla Lombardia. Inviso all'Austria per le sue attività patriottiche, solo nel 1861 ottenne la cattedra di geologia a Pavia e poi nel 1863 iniziò ad insegnare all'Istituto
Tecnico Superiore di Milano, l'embrione del futuro Politecnico che si trovava dove c'è adesso il Palazzo dei giornali in piazza Cavour, a pochi passi dal Museo. Anzi, tra il
museo e l’Istituto Superiore si era proprio allora stabilita una stretta collaborazione. I successivi studi geologici dello Stoppani lo resero presto famoso nella comunità
scientifica, ma il libro che lo rese celebre fu un'opera divulgativa che dilagò in tutta Italia come un capolavoro indimenticabile per molte generazioni a venire: Il
Bel Paese. Questo libro, il cui titolo oggi ci è familiare solo per il formaggio che da lui prese il nome, fu, assieme a Cuore e a
Pinocchio, l'opera più letta dall'Italia Unita e contribuì come pochissimi altri libri a creare nuovi legami tra le diverse
popolazioni riunite sotto lo scettro sabaudo. Pubblicato nel 1875 e dedicato ai giovani, il libro ebbe un successo immediato che si perpetuò nei decenni successivi con più di
centocinquanta edizioni. Non stupisce quindi che l'arrivo dello Stoppani alla direzione del museo di Milano abbia suscitato entusiasmi e abbia accresciuto notevolmente la fama
dell'istituto. Ben presto giunsero importanti donazioni come la collezione ornitologica (20.000 esemplari) di Ercole Turati e questo convinse molti della necessità di un
ampliamento della sede senza abbandonare l'area dei giardini che sembrava a tutti l'unico ambiente adatto. Gli occhi caddero così sul Salone e si decise di costruire un nuovo
imponente edificio con depositi, biblioteca, laboratori e sale di esposizione. Venne incaricato del progetto l'ing. Giovanni Ceruti, l'autore dei padiglioni dell'Esposizione ed
allievo di Camillo Boito. Ne uscì la costruzione attuale, un misto di stili romanico, gotico e bizantino secondo i precetti del maestro e in linea con molti altri musei
naturalistici dell'epoca europei e americani. Il nuovo museo, solo parzialmente edificato, venne inaugurato nel 1892 mentre si dovette attendere il 1907 per vedere l'opera
terminata. I musei già collocati nel Salone e la Scuola d'Arte Applicata emigrarono al Castello che Luca Beltrami stava ristrutturando. Antonio Stoppani, che tanto aveva
contribuito a quest'opera, non poté vederla finita perché morì poco prima della sua inaugurazione, l'1 gennaio 1891.
Le ultime realizzazioni: zoo e planetario
La funzione naturalistica dei giardini, con la costruzione del museo, si consolidò ulteriormente, ma non si esaurì. Le
gabbie con gli animali sparpagliate per il giardino alla fine del secolo non convincevano più i naturalisti che chiesero anche per Milano l'istituzione di un vero Giardino
zoologico. Ad un primo progetto da attuarsi ai confini del Comune, lungo il Lambro tra Ponte Lambro e Monluè, si passò a un progetto più modesto nel Parco Sempione e infine
nel 1923 si realizzò un ancora più modesto progetto ai giardini, sempre pensando alla loro vocazione naturalistica. Pochi anni dopo, nel 1929, l'arch. Portaluppi realizzerà a
spese di Ulrico Hoepli il Planetario (vai al sito ufficiale) concludendo la serie degli istituti di studio e
divulgazione collocati a Porta Venezia. Oggi, dopo lo smantellamento dello zoo, il museo e il Planetario (che dal 1980 è aggregato al museo) vivono una loro vita normale anche
se non esaltante, sempre dedita comunque a fornire una corretta ed aggiornata divulgazione ai cittadini e ai giovani in particolare.
Altro sito del Planetario
Bibliografia
Bignami Sormani, E.- Alemagna, E., Giardini pubblici in
Milano tecnica, Milano, Hoepli 1885 [Rist. 1988], pp. 155-163
Conci, Cesare (a cura di), Il Museo Civico di Storia Naturale di Milano, Banca
Popolare di Milano, 1978
Museo Civico di Storia Naturale di Milano, Musaeum Septalianum una collezione
scientifica nella Milano del Seicento a cura di Antonio Aimi, Vincenzo De Michele, Alessandro Morandotti, Firenze, Giunti Marzocco, 1984 (Biblioteca del Museo di Storia
Naturale, 28 F 75)
Ogliari, Francesco, Milano all'aperto, Comune di Milano 1982, pp. 117-132
Poggiali, Ciro, Storie e leggende nei Giardini pubblici di Milano, Milano,
Cordani 1942
Reggiori, Ferdinando, Milano 1800-1943, Milano, Milione 1947
Vercelloni, Virgilio, Il giardino a Milano, per pochi e per tutti, 1288-1945,
Milano, Archivolto 1986
Visconti, Agnese, I 150 anni del Museo Civico di Storia Naturale di Milano
(1838-1988), in "Natura", vol. 79, fasc. 2, Milano, giugno 1988 (Biblioteca del Museo)
Zanetti, Francesco, Il nuovo Giardino di Milano, Milano, F. Zanetti
tipografo-editore, 1869 (Sormani XB VII 81)
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Ultima modifica: lunedì 29 luglio 2002
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