Palazzo Spinola e la Società del Giardino
di Paolo Colussi
Leonardo Spinola: un arrampicatore con pochi scrupoli
Quando Tommaso Marino (vedi Tommaso Marino e il suo
palazzo) si trasferisce a Milano nel 1546 porta con sé un giovane di circa vent’anni, Leonardo Spinola, che ospita nella sua casa e che lavora nella sua grande impresa
finanziaria come scrivano e cassiere. Il giovane era uno dei tanti Spinola genovesi che non avevano quarti di nobiltà, doveva aver già dimostrato notevoli attitudini in campo
bancario ed apparteneva probabilmente ad una famiglia con pochi mezzi se è vero che si vantava, molti anni dopo, di essere arrivato a Milano “con doi real in borsa”.
La carriera del giovane, all’ombra del grande banchiere, è molto veloce, aiutata anche dal suo matrimonio con
Isabella, figlia naturale di Giovanni Marino, fratello di Tommaso. Nel 1551 il papa Giulio III lo nomina collettore delle decime di Milano e Piacenza, incarico che gli verrà
rinnovato da Paolo IV cinque anni dopo.
Nel 1552 richiede la cittadinanza milanese e in questa richiesta manifesta già i primi segni di quella
“disinvoltura” che lo caratterizzerà in seguito, spacciandosi per nobilis. Nel 1559 ha già una propria attività mercantile perché
fornisce al governatore di Milano, il duca di Sessa, 142 pezzi di artiglieria. Che sia ormai un imprenditore e che goda della piena fiducia del vecchio Marino lo si vede anche
dal fatto che, nel 1560, si impegna, accanto al grande banchiere genovese, in un prestito allo Stato di Milano di ben 200.000 scudi. Sappiamo inoltre che in questo stesso anno si
reca a Madrid, sempre per il Marino, a trattare gli appalti delle imposte locali. E’ diventato ormai un membro della famiglia Marino e passa gran parte del suo tempo nel
palazzo che sta sorgendo in piazza San Fedele, anche se aveva già fissato la sua dimora nella contrada di San Paolo in Compito, in una casetta presa in affitto.
Tutto andrebbe nel migliore dei modi se Leonardo non avesse manifestato in questi anni una malsana passione per il gioco
d’azzardo che gli brucerà molte risorse. Conosciamo questa sua debolezza da un documento dell’Ospedale Maggiore con il quale Leonardo si impegna con l’ente di pagare 6.000
scudi d’oro (circa mezzo miliardo) se avesse giocato ancora. Perderà la scommessa l’anno successivo (1561), ma rischierà di perdere molto di più perché il Marino fa
revisionare i conti dello Spinola e si accorge di un forte ammanco nella gestione del dazio del vino e della macina per gli anni 1558-59. Emerge anche che lo Spinola sottraeva
contanti dalla cassa del Marino per prestarli al Marino stesso. In totale, mancavano 395.343 lire imperiali (sei o sette miliardi). Alla denuncia segue una prima condanna, e qui
emerge tutta l’abilità del nostro disinvolto banchiere. Leonardo infatti riesce a corrompere gli impiegati del Marino inducendoli a far sparire i libri contabili che provavano
i suoi imbrogli e fa quindi sospendere l’esecuzione della condanna che lo obbligava al risarcimento. Nel frattempo, il 24 gennaio 1562, mette al sicuro parte dei suoi soldi
comperando, con l’aiuto di un altro banchiere - Alberto Litta - che gli fa da prestanome, la casa dove abitava in via San Paolo, primo nucleo del futuro palazzo.
La costruzione del palazzo
Rotti i ponti con il Marino e messi al sicuro i soldi lecitamente e illecitamente accumulati, Leonardo Spinola agisce
ormai in proprio e allo scoperto procedendo speditamente a darsi una dimora adeguata ai suoi mezzi. Gli acquisti dei lotti adiacenti alla sua prima abitazione si susseguono tra
il 1566 e il 1580 con questo ritmo:
-
8 giugno 1566, acquisto della casa di Francesco Crivelli su San Pietro all’Orto con giardino;
- 13 settembre 1566, acquisto della “chiodera” (forse una fabbrica di chiodi) che si trovava al centro dell’isolato
tra San Paolo e San Pietro all’Orto;
- 13 settembre 1567, acquisto di un quinto di casa su San Pietro all’Orto;
- 2 marzo 1568, acquisto di un piccolo magazzino;
- 2 settembre 1572, acquisto della “chiodera” unita alla precedente;
- 8 maggio 1579, acquisto della casa dei Porro su via San Paolo che si trovava a fianco della sua casa verso l’attuale
Corso Vittorio Emanuele e che unita alla sua prima casa formerà il fronte del palazzo sulla via San Paolo.
L’insieme di questi lotti formava un’area abbastanza ampia che si estendeva tra le vie San Paolo e San Pietro
all’Orto, con un piccolo passaggio anche sulla Corsia del Gambaro, come si chiamava allora quel tratto di Corso Vittorio Emanuele.
I
lavori minori di adattamento si susseguono dopo ogni acquisto, ma i lavori relativi al vero e proprio palazzo - facciata e cortile - iniziano solo nel 1580 dopo l’importante
acquisizione della casa dei Porro. Per questi ultimi lavori, che richiedevano un architetto capace di conferire all’insieme un aspetto decoroso, si è parlato del Seregni o di
Pellegrino Tibaldi, ma ormai molti concordano sull’attribuzione dei disegni a Martino Bassi, architetto della Fabbrica del Duomo che, tra l’altro, abitava anche lui in via
San Paolo. Il suo nome compare in un contratto tra lo Spinola e l’impresa di costruzione nel quale viene nominato arbitro in caso di contestazione.
I
lavori conclusivi vengono eseguiti da mastro Pietro da Lonato tra il 1587 e il 1588. Si trattava di costruire il nuovo cortile con portici e loggiati sul lato dell’ingresso e
sul lato opposto, adattare le due case preesistenti alle nuove esigenze e realizzare la facciata. Resta
com’era la vecchia torretta che si affaccia ancora sul giardino, un’elegante costruzione degli inizi del Cinquecento che qualcuno attribuisce al Cesariano. Nel contratto con
l’impresa infine viene specificato che il portale in pietra verrà fornito dallo stesso Spinola, che l’aveva acquistato per suo conto, forse da qualche creditore. La facciata
presenta la particolarità di due finte finestre al piano terreno, ai lati del portale, un elemento architettonico che non trova facili spiegazioni. Sappiamo comunque che
quest’idea appartiene al progetto originario perché nel contratto per la facciata si parla espressamente di “finestre n. 6 et due finte et alli luoghi di sopra finestre n.
9”. Sul coronamento della facciata, tra le mensole del cornicione, viene riportata la scritta: LEONARDO ET VIRGINIA SPINOLA DELIA ET HONORATO FIGLI MDIIIC.
Gli ultimi trent’anni di attività
Il fatto di aver derubato il vecchio Tommaso Marino non doveva dispiacere molto all’ambiente finanziario milanese.
Forse è addirittura un titolo di merito per lo Spinola che prosegue tranquillamente la propria attività legandosi strettamente con i principali banchieri della città. Abbiamo
già visto che Alberto Litta lo aiuta nell’acquisto della sua prima casa, che si trovava vicinissima alle case dei Litta, situate in quel periodo sul lato opposto della Corsia
del Gàmbaro, dov’è oggi la Galleria del Corso. Negli anni seguenti lo Spinola si lega anche ad altri importanti banchieri milanesi come i Cusani e il Negrolo. Nel 1579, per
esempio, ottiene assieme a questi banchieri la gestione della gabella di Cremona. Nel 1587-88 lo Spinola e molti altri banchieri milanesi vengono processati per irregolarità
nella gestione dei fondi prestati loro dai governatori.
La prosperità dello Spinola non raggiunge mai livelli molto elevati a causa del vizio del gioco, che provoca continue
denuncie per piccole insolvenze. Lo Spinola, prima dei 60 anni, quando venivano per arrestarlo, usava rifugiarsi nel vicino convento di Santa Maria dei Servi (ecco l’utilità
dell’uscita posteriore!). Dopo i 60 anni li aspettava tranquillamente a casa dato che la legge milanese impediva l’arresto per coloro che avevano superato quest’età. Nel
1590 però, perseguitato dai creditori, deve fuggire a Madrid dove si trattiene tre anni finché non riesce ad ottenere le remissione dei suoi debiti.
Molte cose intanto erano successe nell’ambito della sua famiglia. Dalla prima moglie, Isabella Marino, Leonardo ha
soltanto una figlia - Delia - che l’8 febbraio 1570 sposa il conte Giovanni Anguissola che abitava in corso di Porta Romana. Nato
nel 1510 circa, l’Anguissola era stato il capo dei congiurati che avevano ucciso Pier Luigi Farnese il 10 settembre 1547 per conto del re di Spagna. Si era poi rifugiato a
Milano dove viveva nel terrore di una vendetta da parte dei Farnese. (vedi scheda) Nel 1560, nominato governatore
di Como, per sfuggire ai sicari si era costruito la Villa Pliniana (
vedi schede) nei pressi della famosa sorgente già descritta da Plinio per la sua ritmica variazione del gettito d’acqua. Non
aveva figli e forse il suo matrimonio con Delia Spinola, di 40 anni più giovane di lui, aveva proprio lo scopo di avere un erede. Comunque anche i 25.000 scudi d’oro di dote
non guastavano. Morirà invece nel 1578 senza eredi lasciando a Delia la casa di Porta Romana dove continuerà a vivere per molti anni. Nel 1573, rimasto vedovo, Leonardo si
risposa subito con Virginia Spinola (che apparteneva al ramo patrizio della famiglia Spinola). Dalla nuova coppia nascerà Onorato e altri due figli morti nella prima infanzia.
Quando nel 1590 Leonardo deve fuggire a Madrid, la moglie e il ragazzo si rifugiano dai parenti a Genova dove Onorato muore di vaiolo.
Al suo ritorno dalla Spagna ad attenderlo ci sono dunque soltanto la moglie e la figlia Delia. Termina i lavori del
palazzo e muore il 22 febbraio 1598.
Ci resta un realistico resoconto della sua morte fornito dalla testimonianza di un servitore che era presente e che
racconta l’episodio durante un processo svoltosi nel 1604:
... il Sig. Leonardo muore del anno 1598, alli 22 di febbraio ... il giorno di
dominica, nell’hora del desinare, et morse in una stanza che altre volte si adoperava per tinello, vicino alla cucina da basso, intrandovi nel palazzo a sinistra nella prima
cortina sotto il paramento di velluto argentino: fu presente alla morte di esso Sig. Leonardo la detta Sig. Virginia et vi era la Sig. Contessa Delia filia ... et la Sig. Luisa
madre del Sig. Marchese Marino, et li erano li frati Capuzini et altri di casa, che andava et chi veneva. “
Non sappiamo chi fosse questa signora Luisa della famiglia Marino, ma la sua presenza è certamente dovuta all’ultimo
testamento dello Spinola, redatto pochi giorni prima di morire nel quale vengono nominati eredi i Marino come risarcimento dell’antica truffa esercitata nei confronti di
Tommaso. Le contestazioni non si fanno attendere. Viene effettuato subito un inventario dei beni del palazzo e fioccano le cause. Sia Delia che i Marino, separatamente, citano in
giudizio Virginia che non intende cedere il palazzo. Nel 1604 si svolge il processo tra Virginia e la figliastra, che non riesce a far valere i suoi diritti. Più lunga e
tormentosa la vicenda con i Marino, che si conclude soltanto nel 1614 con un compromesso secondo il quale alla sua morte questi sarebbero entrati in proprietà del palazzo in via
San Paolo come risarcimento per i soldi sottratti da Leonardo ai Marino.
In questi atti il palazzo figura ancora ripartito in tre lotti: il vecchio palazzo di sinistra con la torretta, le
chioderie verso il giardino, la parte già dei Porro che resta distinta dall’altro lato perché era stata pagata a rate e con molte contestazioni, prolungatesi fino al 1601.
Quando Virginia muore nel 1631 (qualcuno legge 1621) lasciando molti beni alla Misericordia e al Fatebenefratelli, il palazzo passa quindi agli eredi Marino che l’affittano
prima al finanziere genovese Stefano Balbi che redige un secondo inventario l’11 settembre 1636 e pochi anni dopo ad un certo conte della Rivera che redige un terzo inventario (datato
convenzionalmente 1640). Il 2 luglio 1643 il palazzo viene venduto a Domenico Odescalchi di Como, che lo cede tre anni dopo (30 maggio 1646) a Giacinto Airoldi appartenente
anch’egli ad una notissima famiglia di banchieri. Dagli Airoldi passerà poi nel 1784 a Francesco Cusani, i cui eredi lo cederanno nel 1818 alla Società del Giardino che
ancora lo possiede.
La Società del Giardino
La
Società del Giardino è uno dei pochissimi club europei ancora in attività, che può vantare una continuità di oltre due secoli. Il sodalizio nasce nel 1783 quando Francesco
Bolchini raduna i primi 32 soci e fonda la società con lo scopo di riunirsi in locali all’aperto per trascorrere alcune ore di svago, soprattutto giocando alle bocce. Il
gruppo è composto da borghesi e non ha pretese culturali o politiche. Durante l’inverno si ritrova nei caffè.
La prima sede è “oltre l’osteria della Stadera alla fine del corso di Porta Orientale” (1).
Dal 1786 al 1789 i soci affittano un terreno alla Cavalchina (oggi via Manin) (2), nel 1790 trovano una sede provvisoria nell’ex Casa dei Vecchi
a San Giovanni sul Muro (3), dal 1791 al 1794 presso il vicolo dei Ponzi fuori Porta Nuova, dov’è oggi via Turati (4).
Nel 1794 si verificano alcune divergenze che portano ad una scissione. Francesco Bolchini e i suoi amici si trasferiscono nella centralissima Contrada dei Due Muri (5)
dove affittano una casa con giardino di proprietà del socio Gaetano Belloni. Poco dopo, nel 1798, in piena Repubblica Cisalpina, viene redatto il primo statuto che prevede
Amministratore, Ragioniere e Cassiere.
L’età
napoleonica porta con sé una grossa novità che entusiasma i milanesi: la libertà di giocare d’azzardo. Anche la Società del Giardino ne è contagiata e spesso le bocce sono
sostituite dalle carte. Nel 1801 Gaetano Belloni vende la casa al suo socio, il conte Giacomo Lechi, appartenente ad una famiglia bresciana diventata illustre grazie alle imprese
militari dei fratelli Giuseppe e Teodoro Lechi. Il nuovo padrone di casa non rinnova alla società l’uso del giardino obbligando i soci a cercare una nuova sede che viene
finalmente reperita in via Clerici al n. 1765 che corrisponde all’odierno n. 2 sede del Banco Ambrosiano (6).
La Società è cresciuta ed ora, accanto al gioco, si diletta di organizzare serate dedicate alla “conversazione”
secondo un uso patrizio ancora settecentesco. A queste serate possono partecipare anche le signore. Si organizzano anche balli e concerti, accanto alla borghesia compare qualche
esponente del ceto nobiliare. L’atmosfera comunque è ancora semplice e franca. Tra i soci nel 1808 compare il poeta Carlo Porta (
vedi schede biografiche) che sarà un affezionato frequentatore del gruppo.
Con la restaurazione la Società del Giardino riduce i balli che vengono soppiantati dai concerti, molto graditi dai
nuovi governanti. I balli erano riservati alle grandi ricorrenze. La grande soprano Giuseppina Grazzini diventa l’idolo della Società come lo sarà più tardi Giuditta Pasta.
La cantante ex amica di Napoleone intrattiene volentieri i soci con la sua voce straordinaria. Alla ricerca di un accordo con l’aristocrazia milanese, numerosi esponenti del
governo austriaco entrano nella Società: lo Strassoldo (capo della polizia), il barone De Mentz, il conte di Bubna (comandante delle truppe di Milano), il conte di Starenberg.
Durante i primi anni della restaurazione, fino agli arresti del 1821, il governo austriaco cerca un accordo con gli esponenti più significativi della società milanesi. Questi,
a loro volta, studiano la possibilità di ottenere dall’Austria un atteggiamento più liberale. La Società del Giardino diventa, con la Scala, il luogo ideale per questo
confronto. Non deve stupirci quindi di trovarvi, accanto alle autorità governative, anche molti futuri patrioti come Carlo De Cristoforis, che scrive sul Conciliatore, Giuseppe
Arconati Visconti, Gaspare Rosales d’Ordogno, Antonio ed Emilio Belgioioso, Francesco Simonetta, Matilde Dembowsky, Bianca Milesi, Antonietta Fagnani Arese, Clara Carpani,
Teresa Kramer Berra.
L’aumento del numero dei soci, salito a 300, e la sempre maggiore frequenza di affollati concerti, convince la Società
a cercare una sede più adeguata alle sue esigenze, più ampia e più lussuosa. Si arriva così, il 21 giugno 1818, a deliberare l’acquisto di Palazzo Spinola posto in vendita
dagli eredi di Francesco Cusani per 150.000 lire (7). L’atto formale di acquisto sarà redatto il 9 febbraio 1819, ma già dall’anno
precedente la Società si trasferisce nel palazzo e inizia a predisporre la sua ristrutturazione. I lavori sono affidati all’architetto Arganini, autore delle facciate delle
chiesa di San Tomaso in via Broletto e di palazzo Borromeo d’Adda in via Manzoni. L’Arganini
stupirà i milanesi con la sua Sala d’Oro anche se per costruirla dovrà demolire in parte il grande scalone cinquecentesco. Dopo i primi moti risorgimentali, l’attività
della Società diventa sempre meno neutrale e sempre più di appoggio all’Austria. Nel giugno 1825, in occasione della visita a Milano dell’imperatore Francesco I, viene
organizzato un grande ballo in suo onore con la presenza della Corte. I soci sono sempre misti, borghesi e nobili, ma la nobiltà austriacante ha ormai decisamente il
sopravvento. Nel 1838, ai preparativi per l’incoronazione in Duomo del nuovo imperatore Ferdinando II, si affiancano grandi lavori anche in Palazzo Spinola per accoglierlo
degnamente. Giacomo Tazzini modifica la Sala d’Oro rialzando il soffitto, ma purtroppo gli invitati alla grande festa d’inaugurazione resteranno delusi per l’improvvisa
defezione della Corte, sembra per una minaccia di attentato. A consolazione dei suoi amati sudditi, l’imperatore compirà due giorni dopo una breve visita accolto da un
ristretto numero di soci. L’attività
mondana della Società continua comunque con continue migliorie all’arredo. Nel 1840 vengono acquistati i quattro lampadari inglesi ancora in loco. Nel
1842 Luigi Tatti, unendo due sale, crea la Sala d’Argento facendo scomparire del tutto l’antico scalone. Amica dell’Austria, ma lontana dalla politica attiva, la Società
del Giardino sopravvive a tutte le tempeste politiche di quegli anni. Solo nel 1853, in seguito agli attentati mazziniani ai soldati austriaci, i suoi locali vengono chiusi per
un mese, dal 6 febbraio al 14 marzo. E’ l’unico periodo di chiusura in tutta la sua storia.
Nel
1859, scappati gli Austriaci, si festeggia il nuovo regno d’Italia, ma non si riuscirà più a ritrovare lo smalto degli anni d’oro. Nel 1883 viene sacrificata una parte del
giardino per costruire la Sala d’Armi, che conferisce alla Società un tono ancora più nobiliare, anche se rimangono tra i soci i maggiori esponenti della borghesia. La fama
però in questi anni non alberga più nei saloni, ma piuttosto nel sottotetto, affittato come abitazione e studio a numerosi pittori di grido come Luigi Conconi, Gola, Buffa e
Buccarini.
Anche Palazzo Spinola, infine, partecipa come molti altri edifici di Milano al grande disastro dei bombardamenti
dell’agosto 1943. La Sala d’Oro è molto danneggiata e verrà ricostruita con un nuovo pavimento e un soffitto a cassettoni anziché a volta. La Sala d’Argento viene
completamente rifatta dal Cassi Ramelli in stile moderno ed adibita a sala bar.
Bibliografia
Baroni, Costantino, Il palazzo di Leonardo Spinola, in "Milano",
1935, pp. 352-357 (Trivulziana Arch Per B1)
Bascapè, Giacomo C., I palazzi della vecchia Milano, Milano, Hoepli 1986, pp.
278-81
Bruschetti, Ampelio - Madini, Pietro - Magistretti, Marco, Il Palazzo Spinola e la
Società del Giardino in Milano, Milano, Arti Grafiche Bertarelli 1919 (Trivulziana Arch D 37)
Bruschetti, Ampelio, La Società del Giardino in Milano. Memorie ed Appunti,
Milano, Zanaboni e Gabuzzi 1899 (Trivulziana Arch I 33)
Cassi Ramelli, Antonio, Vita e rinascita del palazzo Spinola in Milano,
estratto da Aspetti problemi realizzazioni di Milano, scritti in onore di Cesare Chiodi, Milano, Giuffrè 1957 pp. 177-194 (Sormani Q
CONS 500)
Della Torre,S., L’inventario dei beni mobili trovati nella residenza del conte Giovanni Anguissola, Governatore di
Como (1578), in "Periodico della Società Storica Comense", LVI, 1994 (ma 1995), pp. 139-158.
Madini, Pietro, Stendhal a Milano e il Casino degli Andeghee, Milano, Società
del Giardino 1933 (Sormani L CONS 89)
Società del Giardino, Società del Giardino 1783-1983, Milano 1983
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Ultima modifica: lunedì 29 luglio 2002
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