I trasporti pubblici milanesi: dal cavallo alla metropolitana
di Mauro
Colombo
I primi passi del trasporto pubblico
Fino all'unità d'Italia Milano non ebbe alcun
servizio di trasporto urbano pubblico, eccezion fatta per pochi carrozzoni
trainati da cavalli, decisamente insufficienti per i crescenti bisogni dei
cittadini, che pertanto si arrangiavano, laddove le finanze lo permettevano,
con mezzi propri o con le vetture di piazza, queste ultime decisamente costose.
La situazione era decisamente migliore, invece, sul fronte
dei collegamenti tra Milano e i comuni lombardi, grazie ad un sistema stradale
extraurbano che, nel XIX secolo, faceva invidia al resto d'Europa. La rete
viaria era infatti la migliore d'Italia, e contava ben 21.600 chilometri di
collegamenti, che non privilegiavano solo il capoluogo.
Si pensi che già nel 1835 era stata inaugurata una linea di
diligenze che collegava velocemente, e con orari precisi, Milano con Monza. Nel
1840 la stessa linea venne
rivoluzionata con la posa di rotaie, sulle quali presero a correre a velocità
inimmaginabili per l'epoca due nuovissime locomotive a vapore, la
"Lombardia" e la "Milano", su concessione rilasciata alla
società viennese Arnstein & Eskeles. La "Imperial regia privilegiata
Strada Ferrata Milano-Monza" ebbe presto un successo strepitoso, con
duemila passeggeri trasportati al giorno.
Davanti a tale progresso tecnologico, l'entusiasmo per la
velocità spinse un gruppo di cittadini milanesi a chiedere a gran voce
l'istituzione di un servizio di trasporti passeggeri funzionante all'interno
della città.
Le autorità comunali approvarono quindi la proposta di
creare un sistema cittadino di trasporto pubblico che potesse collegare, a
beneficio di tutti, le varie zone della città, ormai in espansione costante.
Se però sulla necessità del trasporto urbano si trovarono
tutti d'accordo, ciò che divideva era il mezzo meccanico da utilizzare: tramway
(su rotaia) o omnibus (liberi sul fondo stradale)? Dopo numerosi progetti e
proposte, anche alla luce di esperienze straniere, la controversia si risolse
premiando i secondi, in considerazione della particolare situazione stradale
cittadina, caratterizzata da vie tortuose con curve strette e spesso a gomito.
Nasce l'Omnibus
Il 28 giugno 1861, con atto redatto dal notaio Bolgeri,
venne costituita la Società Anonima degli Omnibus per la città di Milano
(S.A.O.).
Il primo gennaio dell'anno seguente, la piazza del Duomo
appariva con qualcosa di diverso dal solito andirivieni di carrozze e carretti
spinti a mano: nella nebbiolina di quella fredda mattinata facevano bella
mostra di sé i nuovissimi e modernissimi omnibus verdi, a quattro ruote,
trainati ciascuno da una coppia di cavalli. L'interno di ogni veicolo era
illuminato da una grossa lampada ad olio, i posti a sedere erano otto, il costo
del biglietto 10 centesimi e la frequenza di dieci minuti.
Direttore del servizio era il giovane Emilio Osculati
(fratello di Gaetano Osculati, celebre esploratore e pioniere), che quella
mattina, nella sala d'aspetto e deposito bagagli situata in piazza Duomo 23, si
affannava a dare le ultime disposizioni al personale.
Il servizio incontrò subito il favore dei Milanesi, anche se
col passare degli anni il traffico privato, sempre in aumento, cominciò ad
intralciare le corse degli omnibus S.A.O.
Ben presto, quindi, sull'onda degli esempi forniti dalle
grandi città europee, si cominciò a riflettere sulla possibilità di passare al
trasporto urbano su rotaia.
I tentativi di miglioramento
Il 17 gennaio 1863 l'ing. Tettamanzi presentava, assieme
all'imprenditore Rivolta, un'istanza al sindaco Beretta per "ottenere la
concessione di una ferrovia da stabilirsi sulla strada di circonvallazione
della città di Milano".
Il progetto venne inoltrato, come voleva la legge, anche al
R. Ministero dei Lavori pubblici di Torino, sostenuto dalla motivazione che una
tale ferrovia avrebbe senz'altro alleggerito il peso che le strade cittadine
erano costrette quotidianamente a sopportare. Una strada ferrata a cavalli,
costruita tutt'attorno alla città, avrebbe permesso di distribuire le merci in
ogni punto di Milano, senza la necessità di attraversarla e congestionarla.
Se, purtroppo, alcune difficoltà burocratiche fecero
naufragare l'interessante progetto, nello stesso periodo un altro precursore
dei tempi, il tenente colonnello Gandini, presentava alla città i propri studi
viabilistici estremamente all'avanguardia.
Questi, che a Londra aveva seguito da vicino la
progettazione della metropolitana, e in altre città d'Europa si era distinto
per aver risolto non facili problemi tecnici legati al trasporto urbano,
presentò ufficialmente il proprio progetto per convogliare il traffico
cittadino "sotto il piano di terra", e per l'esattezza nell'alveo del
naviglio, opportunamente prosciugato e coperto.
Ma i tempi forse non erano ancora maturi, e il troppo
azzardato progetto venne senz'appello bocciato: si dovrà attendere ancora un
secolo perché Milano possa avere la sua metropolitana.
Il potenziamento degli Omnibus
Mentre i progettisti teorizzavano sull'evoluzione dei trasporti,
la S.A.O., coi piedi ben saldi a terra, continuava a potenziare il servizio di
omnibus, aggiungendo, alle precedenti già in servizio, nuove vetture da 14 e 16
posti, mantenendo quelle da 8 posti solo per i tragitti corti e centrali.
Nel 1864 iniziò a funzionare la Stazione centrale (attuale
Piazza della Repubblica), e tutte le linee degli omnibus vennero modificate in
funzione di tale polo ferroviario, in grado, ben presto, di stravolgere il
concetto stesso di trasporto e di commercio.
Le vetture S.A.O. circolanti erano a tale data 35, e le
linee undici, tutte con capolinea in piazza Duomo.
Le prime ippovie extraurbane
Nel 1876 l'Osculati, ormai uno degli uomini più rispettati
di Milano, ottenne la concessione per una ippovia ferrata sulla strada Milano-Monza, con partenza ai
caselli di Porta Venezia, appena fuori i bastioni.
L'inaugurazione fu
fissata per l'8 luglio dello stesso anno: in servizio otto vetture a due piani
di nuovo modello, la cui rimessa si trovava in via Sirtori al numero 1, poco distante
dal capolinea.
Il primo viaggio, al quale parteciparono le autorità
cittadine e il principe Umberto, non si rivelò essere dei migliori. Un piccolo
deragliamento e qualche intoppo tecnico rallentarono notevolmente il tempo di
percorrenza, che alla fine fu di circa tre ore e mezza.
Tuttavia, incurante delle malelingue e delle battute
velenose (il servizio fu ribattezzato "el trotapian"), l'Osculati,
dopo una giornata di assestamenti tecnici, decise di aprire il servizio al
pubblico il 10 luglio.
Per l'occasione venne messo in vendita il "Giuoco del
Tramway" (una sorta di gioco dell'oca), e il liquorista Galimberti, con
un'abile manovra commerciale, elaborò il tonico corroborante
"Tramway", la cui etichetta riproduceva, naturalmente, il tram per
Monza.
Il 24 giugno 1877 entrò in servizio una seconda ferrovia
ippotrainata, la Milano-Saronno, della società belga dei tramways e ferrovie
economiche di Milano, Bologna, Roma. Il capolinea di questa nuova tratta fu
posto all'Arco del Sempione.
Poco più tardi entrambe le linee ferrate furono autorizzate
ad allungare il proprio percorso, entrando in città: la Milano-Monza spostò
il capolinea in corso Venezia, di fronte al numero 8, quasi in San Babila,
mentre la Milano-Saronno si spinse fino in via Cusani.
L'avvento del vapore sulle linee extraurbane
A causa del preoccupante innalzamento dei costi, le due
società dei tramway extraurbani decisero di affidarsi alle nuove macchine a
vapore: le locomotive. Nulla a che fare con le grandi vaporiere veloci in forza
sulle lunghe tratte, come ad esempio per Bergamo o Torino. Queste erano dei
piccoli cassoni a due assi, muniti di tettoia, sui quali era installata una
caldaia di modeste dimensioni.
Così, il 6 giugno 1878, venne inaugurata la prima trenovia
italiana, la Milano-Gorgonzola-Vaprio d'Adda, su progetto degli ingegneri
Radice e Manara.
L'utilizzo di queste locomotive al posto dei placidi cavalli
destò nella folla stupore e ammirazione, e il successo fu subito decretato. Il
mostro che procedeva autonomamente, al suo primo ingresso a Saronno, fu accolto
dalla popolazione festante, radunatasi per ammirare la veloce locomotiva
sistema Krauss, con caldaia tubolare a dodici atmosfere, collocata
orizzontalmente.
Tale e tanto fu il successo di questi primi esperimenti, che
negli anni seguenti vennero costruite numerose linee extraurbane a binari, con
carrozze trainate sempre e solo da piccole locomotive a vapore, chiamate dal
popolo "Gamba de legn".
Nacquero così, una dopo l'altra, la
Milano-Gorgonzola-Vaprio, la Milano-Magenta-Castano, quest'ultima con partenza
da corso Vercelli, la Milano-Cascina Gobba-Vimercate, la Milano-Pavia, la
Milano-Lodi.
Il grande decennio delle tramvie a vapore interurbane si
chiuse con numeri davvero ragguardevoli: 156 gamba de legn collegavano Milano
con la Lombardia, e ben 912 carrozze erano regolarmente in servizio.
Dall'Omnibus al Tramway
Nonostante i collegamenti con i Comuni vicini e lontani
fossero ormai assicurati da linee ferrate a vapore, all'interno di Milano non
solo il vapore era proibito, ma neppure la posa dei binari era ancora stata
autorizzata, cosicchè per la città continuavano a circolare i sempre più
antiquati omnibus a trazione animale.
L'aria di cambiamento si fece sentire quando nella seduta
della giunta comunale del 23 settembre 1880, l'assessore Cusani, presa la
parola, si lanciò in un panegirico delle linee ferrate, accusando la Giunta di
immobilismo, barricata dietro false paure, benchè le linee tramway in funzione non avessero provocato incidenti
o disastri di sorta. Auspicava dunque che, al più presto, si progettasse di
"avviluppare Milano in una rete di tramvie a cavalli su rotaie
ferrate".
Quando alla fine delle accese discussioni il Comune decise
di assegnare in concessione linee pubbliche su rotaia in sostituzione degli
omnibus, l'unica società partecipante alla gara fu la S.A.O., che offrì al
Comune una partecipazione del 6% sull'introito lordo per un contratto di tre
anni.
La potenza economica della S.A.O. era del resto
irraggiungibile per qualsiasi altra impresa, basti pensare che dai primi pochi
omnibus di soli vent'anni prima, era ormai proprietaria di più di cento
vetture, con seicento dipendenti. Oltre alla storica scuderia di via Sirtori,
nel corso degli anni erano state predisposte l'infermeria dei cavalli alla
cascina S.Pietro di Lambrate e un paio di rimesse per le vetture, di cui una,
vicino al cimitero di Musocco, quale ricovero per le vetture del servizio
funebre.
Aggiudicatasi dunque la concessione, e considerato che
l'Esposizione Nazionale, importante vetrina di tecnologie e modernità, era
prossima ad aprire i battenti, vennero celermente iniziati i lavori per la posa
delle rotaie, privilegiando in questa prima fase le linee che conducevano
proprio all'Esposizione.
Il sindaco Belinzaghi, da quanto riportano le cronache
dell'epoca, era felicissimo, sia per la straordinaria riuscita
dell'Esposizione, sia perché i nuovissimi tram a cavalli conferivano alla città
un aspetto di autentica modernità.
Nonostante la complessità dei lavori stradali, nell'arco di
un paio d'anni le linee a rotaia poterono correre per tutta Milano.
Nel 1884 la S.A.O. inaugurò, all'apice della sua potenza, la
linea Milano-Corsico.
A partire da questo periodo la piazza del Duomo iniziò a
caratterizzarsi per il famoso "carosello" dei tram S.A.O.: ben cinque
linee tranviarie vi facevano capolinea, cosicchè sostavano mediamente una
decina di vetture coi relativi cavalli. Nello stesso periodo venne completata
anche la linea della circonvallazione, mentre undici erano le linee radiali verso
il centro.
L'avvento dell'elettricità: i tram a trazione elettrica
Tuttavia la S.A.O., che appariva ormai ineguagliabile e
sempre pronta a fare di meglio, non aveva fatto i conti con una nuova scoperta
destinata a cambiare il mondo: l'elettricità.
Il professore Giuseppe Colombo, rettore del Politecnico, che
da un paio d'anni aveva iniziato a fare interessanti esperimenti con una
piccola dinamo tipo Edison acquistata a Parigi, riuscì infatti ad illuminare
con l'energia elettrica il ridotto della Scala.
La sua officina elettrica, situata in via S.Redegonda, nel
1883 mise in funzione la prima centrale elettrica d'Europa, la seconda al mondo
dopo quella di New York.
Forte dei progressi fatti in pochi anni, il Colombo,
costituita la società Edison, ottenne dal Comune la concessione per illuminare
elettricamente l'intera Piazza del Duomo, la Galleria, la piazza della Scala e
i principali passaggi cittadini.
Il 21 novembre 1892 il Comune stipulò con la Edison, ormai
redditizia società, la convenzione annuale per l'esercizio di pubblici tram a
trazione elettrica, sul percorso piazza Duomo – corso Sempione. L'anno
successivo una seconda convenzione affidò alla Edison ben 18 linee
elettrificate, di cui 15 con capolinea in piazza Duomo.
La S.A.O., che ormai aveva perso parecchio terreno (anche
dal punto di vista dell'immagine), per restare al passo introdusse sulle
proprie linee i nuovi tram ad accumulatori svizzeri. Dopo aver riaffermato
momentaneamente il prestigio della propria azienda, l'Osculati, davanti all'avanzare
inesorabile della Edison, introdusse quella che all'epoca era davvero una
novità: tramway automobili con sistema Serpollet a vapore. Il manovratore aveva
a disposizione la pompa a mano per la messa in moto, il rubinetto regolatore,
leva del cambio e freni.
Tuttavia, in questa guerra al progresso, a soccombere fu la
S.A.O., schiacciata dalle troppo efficienti linee elettrificate Edison. Questa,
sfruttando il fatto che la città era in continua espansione territoriale,
iniziò ad impiantare nuove linee che correvano per ogni dove. Le sue vetture
furono anche equipaggiate, al loro interno, di campanelli elettrici, cosicchè i
passeggeri, suonandoli, potessero avvisare il conducente dell'intenzione di
scendere alla fermata successiva.
Il cavaliere Emilio Osculati, sessantacinquenne, ammise la
propria sconfitta, e decise di ritirarsi dedicandosi all'esercizio di vetture
private.
Da quel momento, un po' alla volta, tutte le linee urbane
vennero elettrificate, e i cavalli messi definitivamente a riposo. I giornali titolarono:
"I cavalli alati non vedranno il secolo nascente!".
Al 31 dicembre 1898 la rete tranviaria a trazione elettrica
raggiungeva la lunghezza totale di esercizio di 61.686 metri.
La S.A.O. dovette dare l'addio anche alla mitica ippovia
Milano-Monza: nel 1900 fu ceduta alla Edison per essere elettrificata.
La sera del 5 dicembre 1901, nel largo davanti a S.Vittore,
esce di scena l'ultimo tram a cavalli della città. La mattina seguente, sul
percorso via Mercanti, Dante, S.Giovanni sul Muro, corso Magenta, S. Agnese,
piazza S.Ambrogio, via S.Vittore, prendono servizio sette nuove motrici
elettriche della Edison.
Due anni dopo anche la Milano-Corsico passa alla Edison per
essere elettrificata.
L'epoca del tram su rotaie trainato dai cavalli, vero
precursore del trasporto pubblico urbano, cessa per sempre di esistere.
La Grande Esposizione del 1906 e i nuovi mezzi di trasporto
urbano
Nel 1906, sulla scia dell'apertura del traforo del Sempione,
Milano inaugurò la Grande Esposizione, dedicata all'industria dei trasporti,
con due diverse sedi: la prima al parco, la seconda in Piazza d'armi, collegate
tra loro da una piccola ferrovia, anch'essa oggetto di mostra. Per superare gli
ostacoli che però sorgevano lungo il suo percorso, tra i quali la stazione
delle ferrovie Nord, questa meraviglia tecnologica venne costruita tutta in
sopraelevata, naturalmente a trazione elettrica.
La linea d'alimentazione era formata da due fili di rame
duro elettrolitico, tesi in corrispondenza della mezzeria dei due binari, ad
un'altezza massima di cinque metri e mezzo.
Con quaranta corse all'ora, la modernissima sopraelevata era
in grado di trasportare circa sessantamila persone al giorno.
Essendo l'Esposizione una grande occasione per fare
conoscere le più recenti invenzioni nel campo dei trasporti terrestri, numerose
società meccaniche presentarono i propri progetti, alcuni duraturi, altri
solamente provvisori.
Così, il 10 giugno del 1906 venne attivata la linea
Stazione-Esposizione, con omnibus automobili a vapore della Serpollet italiana.
Questo omnibus mantenne per due mesi la massima regolarità di servizio, con una
percorrenza di circa novanta chilometri al giorno.
Inoltre, nel periodo dell'esposizione, la S.I.T.A.,
costituitasi nel 1905 con lo scopo di dotare Milano di veloci linee di
trasporto urbano mediante omnibus automobilistici alimentati a benzina, riuscì
a gestire, con tali mezzi, addirittura quattordici linee urbane.
Anche la F.I.A.T. – Diatto iniziò a mettere in funzione
delle vetture tranviarie elettriche, ma la vera novità tra le novità fu la vettura filoviaria della Società per la
Trazione Elettrica.
La municipalizzazione del trasporto urbano
Fin dalla promulgazione della tanto discussa legge numero
103 del 1903, il Governo era stato incaricato di procurare le risorse necessarie
agli enti locali affinchè questi potessero riscattare e conseguentemente
gestire tutti i servizi pubblici locali.
Milano aveva presto iniziato questo corso economico votando
di non rinnovare alla Edison la concessione per l'illuminazione cittadina,
dando conseguentemente vita all'Azienda Elettrica Municipale.
Pur registrandosi il successo di questa operazione, non si
era inizialmente voluto sollevare il problema dei trasporti pubblici, le cui
linee, oramai, vantavano uno sviluppo di quasi 76 chilometri, con circa 300
vetture.
Tuttavia, dopo un decennio di tentennamenti, il 25 gennaio
1917 il Comune, che non aveva rinnovato la concessione scaduta l'anno prima,
rilevò dalla Edison tutto il materiale rotabile e gli impianti per
l'alimentazione. Anche il personale della Edison passò alle dipendenze del
Comune.
A Giuseppe Colombo, che aveva fondato la società elettrica
33 anni prima, rimase, momentaneamente, la concessione per le sole linee
extraurbane, poca cosa per poter permettere alla Edison di avere ancora un vero
sviluppo.
Tant'è che il 19 marzo del 1919 venne costituita la
S.T.E.L., Società trazione elettrica lombarda, che ottenne in gestione le linee
extraurbane al posto della Edison.
Il ventennio fascista
Dopo la soppressione, avvenuta nel 1926, dell'ormai
caratteristico "carosello" di piazza Duomo per motivi viabilistici,
nella seconda metà degli anni '20, dagli USA, arrivò una vera innovazione: il
tram con ruote montate su carrelli separati, cioè carrelli in grado di ruotare
separatamente rispetto al corpo della vettura.
Così anche a Milano, tra il 1927 e il 1930, entrarono in
servizio le vetture mod. "1928", denominate "Peter Witt"
(moltissime tutt'oggi in servizio), che presero il nome proprio dall'ingegnoso
presidente della compagnia di trasporti di Cleveland.
Questi tram, costruiti dalla Carminati & Toselli in 500
esemplari, erano di color nocciola e crema (poi ridipinti negli anni quaranta
di verde), ed erano dotati di porte a soffietto anziché dei soliti cancelletti
in ferro. Inizialmente erano allestiti con un salottino per fumatori, presto
soppresso.
Dal 1932 iniziò poi la fabbricazione di tram articolati a
tre casse, sempre della Carminati & Toselli, in servizio fino ai
bombardamenti del 1943.
Tutto il periodo tra le due guerre fu in ogni caso
caratterizzato, oltre all'incremento delle linee tranviarie, anche dallo
sviluppo di autobus (alimentati a legna, date le ristrettezze imposte
dall'autarchia) e dalle più efficienti filovie, che tra il 1933 e il 1940
riscossero grande interesse, poiché funzionavano a corrente come i tram, ma non
richiedevano la costosa messo in posa delle rotaie.
Dal dopoguerra alla metropolitana
Durante il secondo conflitto mondiale anche le linee (ben
37) e i mezzi di trasporto urbani subirono pesantissimi danni. Furono centinaia
le vetture tranviarie distrutte sotto il peso dei bombardamenti
anglo-americani, e, come se ciò non bastasse, l'esercito tedesco sequestrò più
di 30 tram per inviarli a Monaco, dove sostituirono le vetture andate distrutte
dai bombardamenti alleati.
Al termine della guerra la situazione tornò alla normalità,
ma per una perfetta efficienza si dovettero attendere gli anni Cinquanta, dato
che fino ad allora molte vetture tranviarie circolavano riparate alla meglio
dalla Breda, con ricambi e componenti di fortuna, recuperati dallo
smantellamento delle vetture giudicate definitivamente compromesse.
In ogni caso fu possibile ricostruire tutte le
"1928" (ad eccezione della numero 1624), grazie al loro robusto
telaio d'acciaio. All'interno i sedili vennero ricostruiti in legno e
unificati.
Sul fronte del trasporto extraurbano le cose non andavano
meglio, visto che nel 1952 le linee Milano-Magenta e Monza-Trezzo-Bergamo erano
le uniche ancora a carbone su tutto il territorio nazionale, oltre alla Barletta-Bari.
Infatti i costi troppo alti ne sconsigliavano la
ristrutturazione, e le due linee rimasero a carbone assorbendo, fino alla loro
soppressione, locomotive e carri provenienti dalle altre linee, che venivano
mano a mano elettrificate.
Tuttavia, ben presto anche queste linee vennero soppresse, e
il famoso gamba de legn sostituito da autobus.
Gli ultimi quarant'anni di storia sono caratterizzati dal
moltiplicarsi delle linee, sia urbane che extraurbane, e dall'introduzione di
mezzi tecnologicamente sempre più avanzati, con una spiccata prevalenza per gli
autobus con motore a scoppio, giudicati più economici e veloci.
Ma tra il 1958 e il 1959 entrarono in servizio anche 40
filovie snodate a 4 assi Fiat 2472 CGE Viberti, cui seguirà un ulteriore
fornitura di altre 45 unità negli anni 1964/65 (veicoli che resteranno in
servizio fino agli anni '90, quando furono sostituiti con i filobus tutt'oggi
in circolazione).
Negli anni settanta si registrarono due importanti novità:
il nuovo coloro dei veicoli, l'arancione al posto del verde, e la sostituzione,
per quanto riguarda il meccanismo attraverso il quale i tram prendono corrente,
della "perteghetta" a rotella con il più sofisticato pantografo.
Con l'avvento della metropolitana la modernizzazione dei
trasporti pubblici urbani raggiunse il suo culmine.
I lavori per quella che sarà poi la Linea Uno iniziarono nel
1957, per concludersi nel 1964. Negli anni successivi ulteriori lavori ne
prolungarono sempre più la sua lunghezza.
Nel 1971 iniziarono i lavori per la Linea Due, mentre nel
1982 quelli per la Linea Tre.
Bibliografia
Alonge Park, M., Cento anni di vita dei tram milanesi:
1841-1941, 1941
Bersa, M., Filovie e filobus a Milano, 1986
Cazzaniga G., Il gamba de legn, 1991
Cornolò, G. - Severi, G., Tram e Tramvie a Milano,
1987
Guida di Milano per l'anno bisestile 1872, 1871
Mantegazza, A. - Pavese, C., L'ATM di Milano 1861-1972,
1993
Ogliari, F., Dall'Omnibus alla metropolitana, 1989
Ogliari, F., El gamba de legn, 1991
Severi, G. - Vasini, R., Autobus a Milano, 1988
Vedi anche questi siti:
Atm immagini, galleria fotografica, filotram, Museo della Scienza e della Tecnica
Ultima modifica: giovedì 10 ottobre 2002
maurocolombomilano@virgilio.it