Draghi, lupi mannari e fantasmi metropolitani
di
Paolo Colussi
Che gli Angeli e i Santi ci proteggano
“Maestorum
refugium, Deus, tribulantum consolator, clementiam tuam suppliciter exoramus, ut
afflictis oppressione gentium auxilium tuae defensionis impedens eripere nos,
et salvare digneris. Tribue, quaesumus, fortitudinem fessis, laborantibus opem,
solatium tristibus, adjutorium tribulatis. Circumda civitatem hanc virtutis
tuae praesidio, et omnes in ea manentes immensae pietatis tuae defende
juvamine. Pone in muris et portis ejus Angelorum custodiam, salutis ancilia,
munitionem omnium sanctorum tuorum: ut qui pro peccatis nostris juste
affigimur, de sola misericordia tua confidentes, miserationis tuae munere
adjuvemur. Quatenus a pressura hac, quae nos circumdedit, erepti liberis tibi
mentibus gratia agentes servire possimus. Per Dominum nostrum ...”
Questa drammatica invocazione affinché le mura
e le porte della città fossero poste sotto la custodia degli Angeli e di tutti
i Santi, veniva recitata dai Milanesi penitenti in ciascun Carrobio che si
trovava accanto alle sei porte della città durante le Litanie Triduane.
Le Litanie o Rogazioni Triduane si svolgevano
dal V secolo con modalità diverse da città a città. Anche se i Milanesi
vantavano la priorità dell’istituzione di questo rito che dicevano fondato dal
vescovo Lazzaro nella prima metà del V secolo nell’imminenza dell’arrivo di
Attila, in genere si pensa che siano state istituite, o meglio riorganizzate,
nella seconda metà del secolo da Mamerto, vescovo di Vienne, quando questa
città era “ridotta a condizione infelicissima pei frequenti terremoti, per
gl’incendi, e per il guasto, cagionato ai contorni di essa dai cervi e dai
lupi, che moltiplicati si erano a dismisura.”
Questo rituale, che doveva rassicurare i
cittadini minacciati da pericoli provenienti dall’esterno, si svolgeva nei tre
giorni seguenti la domenica successiva alla festa dell’Ascensione, che cade
generalmente alla fine di maggio. I fedeli, dopo l’imposizione delle ceneri, si
muovevano in processione dalla cattedrale verso le porte della città, che
dovevano essere tutte raggiunte nell’arco dei tre giorni. Essendo un rito
penitenziale, si doveva osservare il digiuno (solo pane e acqua), vestire abiti
semplici e in origine anche andare scalzi. Ogni città aveva un proprio
itinerario e preghiere adeguate alle chiese e ai santi che si trovavano sul
percorso. La preghiera usata a Milano davanti alle sei porte è quella citata all’inizio,
che rinvia ad una forte minaccia esterna e alla grave prostrazione dei
cittadini. Oltre alla città, anche i paesi delle campagne lombarde celebravano
questo Triduo sostituendo nella preghiera le parole “civitatem istam” con “plebem
istam” e “muros nostros” con “fines nostros”.
In seguito le Litanie Triduane, specialmente
quelle campestri, si trasformarono in feste molto scomposte tanto da far
sorgere lamentele da parte dei monasteri che venivano attraversati da queste
folle, che, come dice il Fumagalli, percorrevano i campi “con tamburi o
qualch’altro grossolano strumento siasi imitato il rombo del tuono,
accompagnato poi da urla e schiamazzi, coi quali avrà forse creduto quella
buona gente di fugar in tal guisa le aeree infeste podestà.” Anche a Milano le
Litanie assunsero un carattere di festa della fertilità: per scongiurare le
carestie si ponevano alle finestre vari tipi di pietanze tanto che ben presto
furono chiamate le processioni “delle lasagne”.
Resta sempre però l’elemento del terrore contro
i pericoli che vengono “da fuori”, pericoli minacciosi soprattutto perché
ignoti e inaspettati, com’erano le improvvise incursioni degli Unni o degli
Ungari nel Medioevo. Non meno minacciose erano le possibili incursioni di
qualche “aerea infesta podestà”, causa di terremoti, di incendi ed anche di
selvagge aggressioni da parte di fiere e, perché no, di draghi.
C’era una volta un drago...
La natura, come disse Aristotele, è “demonica”
(Leopardi dirà “matrigna”). Dove l’uomo non ha posto le sue salvaguardie, i
suoi dei o i suoi santi, il territorio è dominato da forze ostili sempre in
agguato che prendono quelle forme di leoni, di lupi, di draghi che vediamo
torcersi e avventarsi sull’uomo in centinaia di sculture romaniche.
In Francia spesso le Litanie Triduane erano
accompagnate dall’immagine del drago che nei primi due giorni precedeva il
corteo mentre nel terzo giorno lo seguiva sconfitto. Anche a Milano ci fu un
drago, appostato fuori dalle mura, ma non venne mai inserito nei riti liturgici
probabilmente perché la storia nacque piuttosto tardi, come uno “spot
pubblicitario” che accompagnò l’affermazione politica della famiglia dei
Visconti all’inizio del XIV secolo.
Furono i Domenicani di S. Eustorio, largamente
debitori dei Visconti, che elaborarono questa campagna pubblicitaria grazie
all’ingegno di Galvano Fiamma, il loro più famoso scrittore di quell’epoca. Da
questa fucina, accanto a molte altre mirabolanti avventure degli antenati dei
Visconti, nacque questa del drago, che il Morigia e il Torre ripresero poi nel
Cinquecento e nel Seicento con dovizia di particolari.
“In
questi tempi poco dopo la morte di Teodosio, & del nostro Padre Santo
Ambrogio, nella parte della Città, dove è la Chiesa hora di San Dionigi, nacque
un pestifero morbo, onde ne morirono quivi assai centenaia di persone; ne
sapendosi d’onde fosse cagionato questo accidente, in quella parte sola della
Città, essendo in tutte l’altre parte sanissima; fu scoperto un gran Dragone,
che usciva à certe hore dalle cave, & col pestifero, & mortifero fiato
suo ammorbava l’aria; alqual non trovandosi remedio speditivo, come in tal
instante caso faceva bisogno, Uberto uno de’ primi nobili della Città di casa
d’Angiera, allhora Luogotenente del detto Conte d’Italia, mosso dal suo naturale
valore, & dalla Pietà della patria, si espose al pericolo della vita per
liberare la patria. Andò adunque il coragioso Uberto contro il mortifero Drago
armato non tanto di ferro, quanto di fortezza d’animo, di destrezza, &
d’ingegno, et al fine felicemente l’ucise, et liberò la sua patria con gloria
eterna di lui. Da questo Uberto ha havuto origine casa Visconte ...”
“Questi [S. Dionigi] è poi quel sito, in cui fu occiso da Uberto
Visconte il Drago, che co’ suoi fiati apportava a’ Cittadini malefici danni,
mentre distoltosi da profonda tana givasene per questi vicini contorni, à
procacciarsi il vitto, havendo voi à sapere, che in quelle antiche età
rendevasi tal sito disabitato, e selvaggio, innalzandosi assai discoste le
Cittadine Mura, quindi havevano famigliari i Covaccioli le Fiere. Generoso era
cotesto Uberto Cavaliere di nascita, Signore d’Angera popolata abitazione,
anzicome vogliono alcuni istorici Città ne’ Confini del Verbano Lago, prendendo
il nome da Anglo del Ceppo d’Enea Troiano, che negl’anni quattro cento seguita
la Nascita del Messia assisteva a’ pubblici maneggi in Milano con il Titolo di
Viceconte ... quindi postosi Uberto in pretensione, di farsi mirare vittorioso,
entrò in arringo, e vinse il mostro, dal cui felice successo ne trasse di valoroso
memoria eterna ne’ posteri.”
Questi due graziosi raccontini ci dicono in
sostanza che fuori Porta Orientale (oggi Venezia), nella zona dove poi sorsero
i Giardini Pubblici, particolarmente ricca di acque e quindi di vegetazione,
c’era questo drago che non uccideva i viandanti, ma inquinava l’aria della zona
con il suo “mortifero fiato” provocando gravi malattie (tumori?) agli abitanti
dei quartieri vicini. Scoperta la causa del morbo e tentati vari rimedi, forse
anche un Triduo di preghiere, ecco che Uberto Visconti si offre come salvatore e “armato non tanto di ferro,
quanto di fortezza d’animo, di destrezza, & d’ingegno” uccide il drago
risanando felicemente l’atmosfera. La storia non racconta come è avvenuto
questo epico scontro, né dove sia finito il corpo di questo drago, anche se lo
stesso Torre, parlando del Mausoleo Trivulzio a Porta Romana, ci dà forse
qualche traccia sulla sua sepoltura, riportando la notizia inedita di un
ritrovamento avvenuto più di un secolo prima:
“Trassi da una istoria manuscritta datami dal Prencipe Cardinale
Teodoro Trivulzi, adoprandomi in construere l’Arbore di sua antica Famiglia,
che numera più di ottocent’anni di nascita, come nell’iscavare i fondamenti di
questo Mausoleo, fu trovato il carcame d’un’orribile, e mostruoso Drago; ciò
non vi rasembri fuor di credito, poiché questo sito dianzi d’essere
ecclesiastico, aitava a formare quel vasto Serraglio chiamato Ergasto, dove
solevansi racchiudere ferocissime belve, con le quali veggevansi ogni giorno
accozzar ardite persone armigere...”
Lascio a voi decidere se è più “fuor di
credito” pensare che questo drago sia lo stesso che è stato ucciso da Uberto
Visconti o se sia invece, come suppone il Torre, un drago “da combattimento” impiegato
nell’Arena in epoca romana. Magari era un dinosauro attardatosi nelle paludi
milanesi qualche milione di anni fa.
Lupi in Lombardia
Gli Angeli e i Santi, posti a protezione delle
mura e delle porte di Milano dagli antichi arcivescovi, hanno dovuto lavorare
parecchio non solo nel Medievo, ma anche nei secoli successivi fino alle Cinque
Giornate del 1848, quando i Milanesi
sfondarono a Porta Tosa, o fino all’agosto del 1943, quando si trovarono forse
impreparati davanti ad una minaccia che veniva dal cielo. Molti furono gli
eserciti nemici accampati fuori Milano: qualcuno riuscì ad entrare, altri non
vi riuscirono, ma i protettori della città, invocati ogni anno nelle Litanie
Triduane, fecero sempre del loro meglio per limitare i danni o almeno per
aiutare i superstiti a risollevarsi.
Dove riuscirono meglio nel loro compito, fu
nella protezione dalle insidie della Natura - acqua, fuoco, terremoti, belve -
dalle quali Milano è stata egregiamente preservata. Il drago di Porta Venezia,
è vero, fece morire centinaia di persone con il suo fiato pestilenziale, ma fu
subito ucciso (con una salatissima multa?) dall’ingegnoso funzionario pubblico
Uberto Visconti. L’opera dei protettori fu ancora più meritoria se pensiamo a
com’era il territorio che circonda la città sino a due secoli fa, infestato da
banditi e da un’altra razza dimenticata di predatori: i lupi.
La battaglia contro i lupi fu piuttosto dura e
impensierì più volte le autorità laiche e religiose, raramente però nei secoli
passati i lupi hanno portato la loro minaccia alle porte di Milano. Grazie all’attento e minuzioso studio di
Maria Comincini pubblicato nel 1991 (vedi Bibliografia) possiamo conoscere
meglio il paesaggio milanese, quando al posto di automobili, TIR ed aerei,
sfrecciavano cervi, caprioli, lupi.
In questo ambiente, esterno ed estraneo alla
città, i lupi erano numerosi e spadroneggiavano senza infastidire molto l’altro
e più forte predatore: l’uomo. Soltanto nei periodi di carestia le due specie
venivano allo scontro, ed era in genere il lupo che attaccava. Lo studio sopra
menzionato riporta molti dati su questa guerra, relativamente agli ultimi
secoli e nelle diverse province lombarde. Ho estratto da quell’elenco gli
avvenimenti più rilevanti svoltisi non troppo lontano da Milano per poter
inquadrare meglio l’evento più significativo,
ancora oggi ricordato in molte pubblicazioni: quello della Bestia
Feroce.
Persone
aggredite e uccise dai lupi intorno a Milano:
1462 i
lupi assaltano dei fanciulli nella Martesana
1484 i
lupi vanno di notte a mangiare i cadaveri nel cimitero dell’ospedale di S.
Ambrogio (via S. Vittore a Milano)
1512 e 1530 alcuni
morti fuori Porta Ludovica.
1528 molti
lupi nel Milanese che aggrediscono i ragazzi
1530 fuori
di città molte persone uccise soprattutto da un grosso lupo
1558 molti
lupi che uccidono nel Ducato
1575-78 cinque
persone uccise da due lupi a Misinto
1580 un
lupo fa molte vittime a Busto Garolfo
1603 boschi
infestati dai lupi tra Cusago e Trezzano
1650-52 tre
ragazzi uccisi da un lupo a Nosate
1655 molte
persone uccise ad Abbiategrasso
1656-58 quattro
bambini uccisi da un lupo a Bellusco
1668 una
bambina uccisa da un lupo a Cesate, un altro nel 1692
1676 due
bambini uccisi a Nosate
1679 molti
ragazzi uccisi dai lupi a Bellusco
1740 una
bestia simile a quella del 1792 assale molte persone in Lombardia, scompare
nell’inverno e viene uccisa la primavera seguente
1765 sedici
persone assalite a Orio Litta e molte uccise anche per aver contratto la
rabbia; a Rivolta d’Adda un lupo (idrofobo?) assale i soldati del Castello e
molte altre persone
1766 premio
a chi uccide i lupi e caccia generale nello Stato
1767 un
lupo assale cinque persone a S. Colombano al Lambro
1772-74 premi
a chi uccide i lupi
1801 bestia
feroce “che credesi lupa” a Legnano e Locate
1801 lupo
idrofobo a Limbiate
1812 un
fanciullo ucciso ad Arluno
1816 una
bambina assalita da un lupo a Gessate
Questo elenco, a detta dello stesso studioso
che è riuscito a raccogliere tutti questi dati, è ancora incompleto, ma ci consente di fare queste
considerazioni: i lupi attaccano l’uomo - generalmente giovanissimi guardiani
di animali - soprattutto in momenti di grave carestia. I casi più drammatici,
quelli del 1765-67, ebbero come protagonisti dei lupi idrofobi e i danni più
rilevanti furono causati dalla malattia contratta dai morsi del lupo più che
dai morsi stessi.
La Bestia Feroce
Nel 1792 le cose però andarono ancora
diversamente. Dal 5 luglio al 2 settembre, un animale dall’aspetto pauroso e
vagamente somigliante ad un lupo uccise quattro ragazzi e sei ragazze, tutti
compresi tra i 6 e i 13 anni di età, ferì gravemente un’altra ragazza e assalì alcune persone adulte. Non era un
periodo di carestia, né l’animale era idrofobo. Forse non era nemmeno un lupo.
La storia, curiosa e inquietante, ci è stata fortunatamente raccontata con
dovizia di particolari dall’anonimo estensore del Giornale circostanziato... (testo on line) pubblicato a Milano nello stesso anno.
Tutto cominciò il 5 luglio 1792, quando
Giuseppe Antonio Gaudenzio, un bambino di 10 anni di Cusago venne mandato dal
padre di notte nel bosco a cercare la vacca che aveva smarrito. Non tornò più a
casa. Dopo qualche giorno si trovarono dei vestiti stracciati e “avanzi del
corpo di un fanciullo divorato”. Si incolparono i lupi e si pensò che il
bambino, stanco, fosse stato assalito mentre dormiva. Pochi giorni dopo però,
il 9 luglio, un gruppo di ragazzi di Limbiate viene assalito da “una brutta
bestia, simile a un grosse cane, ma dall’orribile aspetto e di strana forma”. I
ragazzi fuggirono, ma il più piccolo, Carlo Oca di 8 anni, venne raggiunto.
Quando i contadini accorsero avvertiti dagli altri ragazzi lo trovarono
sbranato dalla belva. La notizia si sparse rapidamente seminando il panico tra
i contadini. Molti videro o credettero di vedere lo strano animale in località
molto distanti tra loro. Qualcuno sparò contro qualcosa, ma senza esito. I
bambini erano tenuti chiusi in casa. Le autorità governative, nella persona del
conte di Kevenhüller, il 14 luglio pubblicarono un Avviso nel quale si diede
notizia dell’uccisione dei due fanciulli da parte di “una feroce Bestia di
colore cinericcio moscato quasi in nero, della grandezza di un grosso Cane”. Fu
indetta quindi una “generale Caccia” con premio di 50 zecchini per chi avesse
ucciso la “predetta feroce Bestia”.
La caccia generale, organizzata da varie città
e paesi della zona ad ovest di Milano, non diede alcun esito, neppure quando il
premio per “distruggere la Bestia feroce”
salì a 150 zecchini. Nel frattempo giravano strane voci sul “Mostro
girovago”, segnalato ormai da troppe parti. Un intraprendente tipografo stampò
un’incisione dove la Bestia feroce venne raffigurata con un bambino in bocca,
quasi fosse un nuovo tipo di biscione visconteo. Altri sostennero che si
trattava di una jena, ricordando che recentemente era passato per Milano un
artista girovago con due jene in gabbia. La notizia trovò ancora più credito
quando si venne a sapere che questo artista - un certo Bartolomeo Cappellini -
era a Cremona dove esibiva una sola jena. Interrogato, diede varie versioni
sulla sparizione dell’altro animale, fece le valigie e riparò velocemente nel
Veneto.
Più aumentava il premio, più numerosi erano i
cacciatori che si lanciavano nell’impresa. Alcuni “professionisti” giunsero
anche dalla Vallassina e dalla Valsassina, ma senza alcun esito. Anzi, arrivò
ben presto dalla Bestia una tremenda sfida. Il 1° agosto sorprese un gruppo di
bambini vicino a Senago, raggiunse Antonia Maria di 8 anni e la trascinò nel
bosco dove i contadini che la inseguivano la costrinsero a lasciare la preda
ormai moribonda. Sul collo della bambina furono contate 45 ferite. Un testimone
fornì questa descrizione dell’animale che suscitò molte perplessità nei
funzionari pubblici e un grande terrore nei contadini: “lunghezza di due braccia circa, alta un
braccio e mezzo come un vitello di ordinaria grandezza, con la testa simile a
quella di un maiale, orecchie da cavallo, peli lunghi e folti sotto il mento
come le capre ed il resto del corpo baio rossino sulla groppa e lungo di egual
colore sotto la vita, con la coda lunga arricciata, zampe sottili ma larghe
alle estremità con unghie lunghe, con un grosso petto che va restringendosi
posteriormente.”
Due giorni dopo, il 3 agosto, la vittima fu
Domenico Cattaneo di 13 anni ucciso nei pressi di Cesano Boscone; il 4 agosto,
fu Giovanna Sada di 10 anni ad essere afferrata per la gola ad Arluno mentre
era al pascolo ai margini di un bosco. Considerando la notevole distanza che
c’è tra Arluno e Cesano Boscone, a questo punto si pensò che ci fossero
addirittura due Bestie feroci.
Ormai tutta la città e il contado erano
terrorizzati. A Milano non si parlava d’altro. Il 7 agosto anche la
Municipalità di Milano volle fare qualcosa e decise di offrire “con le dovute
cautele” fucili in prestito a chi avesse voluto cacciare la Bestia. Aggiunse
altri 50 zecchini al premio offerto dal Governo.
Le campagne attorno a Milano, a questo punto,
si popolarono di rumorose brigate di cacciatori che ricordavano, con il loro
fracasso, le antiche Litanie Triduane in una versione più laica e moderna. Una
di queste brigate, si racconta, il 10 agosto burlò un oste mangiando e bevendo
allegramente e abbondantemente. Ad un certo punto uno di essi sbucato dal bosco
gridò di aver visto la Bestia. Subito tutti balzarono in piedi, afferrarono i
fucili e si dileguarono in un attimo dalla vista dell’oste e dal... conto.
Se i Milanesi avevano ancora voglia di fare
scherzi, la Bestia invece non scherzava affatto. Il giorno dopo questo buffo
episodio, l’11 agosto, alle 8 del mattino, Regina Mosca di 12 anni venne uccisa
“in vicinanza di S. Siro fuori di Porta Vercellina, sotto la parrocchia di S.
Pietro in Sala (oggi in piazza Wagner)”. Alle 23 dello stesso giorno, Dionigi
Giussano di 12 anni fu aggredito e ferito a Boldinasco nella pieve di Trenno
(oggi piazza Kennedy). Ormai la Bestia era sotto le mura di Milano. I rimedi
finora adottati, le grandi battute di caccia, si erano dimostrati del tutto
inefficaci. I cacciatori di professione, che provenivano da lontane vallate, se
ne tornarono a casa delusi e le Autorità si misero in moto per cercare altre
soluzioni mentre le uccisioni continuavano.
Il 16 agosto il conte di Kevenhüller scrisse al Magistrato Politico Camerale
affermando che a suo avviso non si trattava di un lupo, che i cacciatori
avevano fallito e quindi bisognava trovare qualche altro rimedio. Chiese una
relazione su quanto era stato fatto fino a quel momento. Il funzionario che
venne incaricato di far eseguire la “condanna a morte” della Bestia feroce fu
lo stesso personaggio che trent’anni prima era stato osannato in tutto il mondo
per il suo libro contro la pena di morte: Cesare Beccaria.
Il 20 agosto, Cesare Beccaria, vagliate le
varie proposte presentate, e orientatosi verso l’antica soluzione delle
trappole che da sempre erano state adottate per catturare i lupi, incaricò i
sacerdoti Rapazzini e Comerio di seguire l’esecuzione un loro progetto che era
risultato essere il più idoneo. Si trattava di una fossa circondata da una
palizzata ovale con al centro un piccolo rialzo con un animale vivo legato. Il
contratto con i due sacerdoti prevedeva che venissero predisposti a spese dello
Stato 30 steccati o “giochi” secondo il loro progetto. Potevano crearne altri
se volevano a loro spese e in questo caso avrebbero preso il premio del
governo. Un avviso in questo senso venne affisso con la stessa data del 20
agosto.
Anche la Congregazione municipale di Milano si
mise al lavoro, ma in tutt’altra direzione: pensò di rivolgersi agli Angeli e
ai Santi. Il 18 agosto fece affiggere l’Avviso di un Triduo di preghiere in S.
Maria delle Grazie per i giorni 19-20-21 agosto “attesa l’inefficacia dei mezzi
umani finora adoperati per l’uccisione della Bestia feroce”. Fu proclamato lo
stato di pubblica calamità. Alla
vigilia dell’arrivo a Milano di Napoleone, e della profonda trasformazione dei
costumi che ne seguì , si riaccendeva dunque la polemica tra Illuministi e
Tradizionalisti. L’Anonimo estensore del Giornale,
illuminista convinto, stigmatizzò l’operato delle autorità locali con queste
parole:
“... al volgo contadino, inclinato al
meraviglioso, e al poltrone, che ama meglio lassiar di sè la cura al cielo, che
da sè stesso difendersi, destano il pensiero, che non una Bestia naturale
questa sia, ma uno spirito infernale, o altroché d’analogo. Questa, comunque
insensata, opinione si sparge, e v’ha sin chi dice averla trovata di notte in
mezzo ad un bosco in figura di gentil donzella. A ciò danno peso, presso chi
non ragiona, le preci pubblicamente contro la Fiera ordinate...” (pp. 17-18)
Questo atteggiamento della Municipalità aveva
dalla sua una tradizione molto antica, quando molti santi erano preposti alla
difesa dai lupi, come S. Defendente, S. Alessandro, S. Sebastiano, S. Giuliana
e S. Elia. Nel 1777, pochi anni prima di questo evento, il prevosto di
Primaluna aveva raccolto 189 lire tra gli abitanti della Valsassina da mandare
a Roma al fine di ottenere dal papa una Bolla di scomunica contro i lupi.
Intanto i bambini continuavano ad essere
assaliti e a morire in varie località fuori Milano: il 16 agosto alle 23 a
Barlassina, Anna Maria Borghi di 13 anni; il 21 agosto presso Bareggio,
Giuseppa Re di 13 anni; il 22 agosto a Terrazzano, la bambina Maria Antonia
Rimoldi di Mazzo; il 2 settembre, Giovanna Bosone venne assalita, ma il
fratello Gerolamo di 14 anni riuscì a liberarla in tempo. Ferita gravemente
alla gola, venne curata grazie al chirurgo fornito da Pompeo Litta e guarì.
Il 13 settembre erano pronte 18 delle 30
trappole previste. Si stilò il rapporto sull’idoneità da parte dell’ispettore
del Beccaria, che il giorno 17 dispose il pagamento ai sacerdoti delle spese sostenute.
Il giorno dopo, in un campo detto la Crosazza della Pobbia fuori di Porta
Vercellina, distante da Milano miglia 5 circa, un lupo cadde nella trappola. I
contadini, sentendolo urlare, lo colpirono con sassi e pertiche e poi lo
impiccarono con un cappio.
Iniziò un processo formale di riconoscimento
che vide sfilare molti testimoni chiamati a osservare l’animale per capire se era veramente quello veduto da loro
durante le drammatiche aggressioni: molti riconobbero nel lupo ucciso la Bestia
feroce, alcuni invece affermarono che si trattava di un animale diverso. Il 4
ottobre venne stilata una Relazione che ammise l’identità del lupo con la
Bestia feroce, ma con molte riserve, tanto che si proseguì comunque a
realizzare le altre 13 fosse, che furono terminate il 30 ottobre. Soltanto il
24 dicembre Beccaria autorizzò l’esposizione al pubblico del lupo, debitamente
imbalsamato, in una casa Agli scalini del
Duomo (dov’è ora la Rinascente) dalle 9 alle 14 e dalle 17 alle 21. Il
biglietto costava 10 soldi a persona e per i nobili ci si rimetteva alla loro
discrezione. Nella primavera dell’anno seguente le fosse vennero smontate e
rinchiuse. L’incubo era finito, ma solo il 18 gennaio 1794 la Municipalità
riconobbe il premio di 50 zecchini ai due sacerdoti, che presero in seguito
altri 12 zecchini vendendo il lupo al Museo di Storia Naturale dell’Università
di Pavia.
Fantasmi a Milano
Ben protetta dalle sue tre cerchia di mura,
alle quali se ne sono aggiunte in questo secolo altre due - la circonvallazione
della linea 90-91 e la Tangenziale - Milano è stata dunque sempre impenetrabile
alle “aeree infeste podestà” di cui parlava il Fumagalli nel Settecento. Questo
forse spiega anche perché Milano, a differenza di molte altre grandi città, è
sempre stata avara di eventi paranormali, e soprattutto di fantasmi.
Anche sfogliando i numerosi libri dedicati
alla Milano “magica” o “misteriosa” usciti negli ultimi anni (vedi
Bibliografia) ben poco troviamo su questo argomento ed è convinzione generale
che questa città sia molto povera di fantasmi. L’argomento meriterebbe, io
credo, un approfondimento per vedere se i Milanesi realmente non incontrano mai
queste “anime sofferenti” nelle loro veglie notturne oppure se non ne parlano perché esiste una specie di censura collettiva
che impedisce a questo argomento di circolare. Le storie di fantasmi, così ben
accette in altri ambienti (Piemonte e Toscana, per esempio), a Milano sembra
invece che imbarazzino chi le ascolta e in certo qual modo screditino chi le
racconta, facendolo apparire come persona poco “affidabile e concreta”, due
aggettivi sommamente apprezzati in questa città. Affrontiamo questo rischio.
La più
antica storia di fantasmi, tra le poche che sono state raccolte, risale alla
seconda metà del XIV secolo e riguarda Bernarda, figlia naturale di Bernabò
Visconti.
Rinchiusa nella Rocchetta di Porta Nuova per adulterio, Bernarda morì dopo
pochi mesi per riapparire più volte come fantasma, prima a Bologna e poi nel
chiostro di S. Radegonda a Milano. Il padre, da buon milanese, pensò più
semplicemente che fosse riuscita a fuggire. Fece riesumare il cadavere e svolse
accurate indagini, ma il mistero rimase.
Nel Seicento ci viene in aiuto il solito
immaginifico Carlo Torre con una bellissima storia, da lui vissuta in prima
persona nella sua chiesa di S. Nazaro in Brolo:
“Ma
non potrei partirmi da questa moderna Fabbrica [la cappella di S. Matroniano],
se prima non vi narrassi un’avvenuto prodigio nello smantellare dell’antica
Cappella. Eransi qui dinanzi radunate tutte quelle Panche da voi vedute ora
disposte in determinati siti, per rendere disimpacciata la Chiesa al lavorio,
che si faceva per la nuova Erezione, quando al disfacimento delle vecchie
muraglie videsi distesa per ogni dilungata sedia gran massa di polvere, atta à
ricevere qualsisia impronta d’appoggiato oggetto: Una mattina all’aprire della
Chiesa furono osservate nelle polverose Panche varie forme di disuniti
Scheletri d’umane persone, quivi dimorando una Coscia, ivi dilungandosi una
gamba, in altro sito veggendosi sdentata una faccia, poco distante riposandosi
ravvoltato teschio, più da vicino allargandosi una spalla con il braccio
contiguo, per un lato mirandosi un’ossatura di stomaco, tenendosi appresso
distesa una schiena, doveche da sagge persone contemplata scena si lugubre,
tennesi per prodigioso successo; fecersi coteste figure visitare da periti
disegnatori, se mai con grande astuta vi havesse l’arte per ingannar gli occhi
trafficata sua mano, fù conchiuso non potere umano ingegno giungere à delineamenti
così perfetti: mentre stavasi considerando il fatto, quasiche non desiderasse
memorabile la Fama, benche si fosse prodigioso, dispersesi ogni forma apparsa,
lasciando per autentico raccordo, che tien poca durevolezza ciocche vien
registrato nella polvere. Considerate voi se tal’accidente hebbe ardire di
paventare tutti noi Calonaci, e me in particolare; s’impiegassimo subito in
pubblici solenni suffragij, giudicando, che gli spiriti di que’ raffreddati
Carcami n’havessero duopo; suffragati, che si furono, niuna altra novità mai
più si vide.”
Nel Seicento i fantasmi si presentano dunque
come scheletri che si divertono a disegnare ogni loro parte (anche l’ossatura di stomaco) sulle panche
impolverate della chiesa. Il Torre, da bravo Canonico, sa comunque come evitare
altri incontri con gli “spiriti di que’ raffreddati Carcami”: alcune messe
solenni di suffragio, e il problema è risolto.
Neanche un milione di messe di suffragio
avrebbe potuto far sparire il fantasma di Carlo Sala dai dintorni del suo luogo
di sepoltura, che si trovava dalle parti del Foppone di Porta Vercellina, oggi
piazza Aquileia. Carlo Sala era stato giustiziato in corso di Porta Tosa (oggi
Verziere) il 25 novembre 1775 come ladro sacrilego per aver spogliato 38 chiese
nelle campagne del Milanese. Poiché in punto di morte non aveva voluto dar
segni di pentimento, venne sepolto in luogo sconsacrato. La ferma resistenza
opposta dal condannato alla conversione e all’assunzione dei Sacramenti fece
grande scalpore. Tranne alcuni rari miscredenti “volterriani”, tutti pensarono
che la sua anima sarebbe stata certamente dannata. Per questo quel luogo per
molto tempo fu ritenuto infestato dal suo spettro. L’avanzata di case e strade
nella zona ha cancellato anche il ricordo di questa paura.
Nell’Ottocento romantico i fantasmi sono
numerosi in letteratura, rari nella vita. La storia della bellissima Antonietta
Fagnani Arese che compariva nelle notti di luna al balcone di Palazzo Arese in
corso Venezia è così vaga da sembrare essa stessa un fantasma.
Forse però questa storia ha i suoi segreti cultori: quando dopo l’ultima guerra
Palazzo Arese è stato demolito, qualcuno ha salvato uno dei suoi balconi
neoclassici e l’ha ricollocato sulla nuova facciata moderna, forse sperando nel
perpetuarsi delle apparizioni.
Ancora più gentile fu lo spirito di Tommaso
Marino che offrì tre numeri da giocare al lotto al bisnonno dell’architetto
Paolo Mezzanotte.
I numeri erano comparsi in sogno sotto la cornice dell’antico ritratto del
banchiere che era nella sagrestia di S. Marco. Non essendo certo di averli
letti bene, andò due giorni dopo a controllare e, sollevando la cornice, lesse
chiaramente: 62-44-56. Purtroppo, dopo averli giocati per due sabati, non
riuscì a giocarli per la terza volta quando naturalmente uscirono. Più tardi,
per convincere gli amici increduli della sua storia, andò con loro in S. Marco,
ma i numeri sotto il ritratto erano scomparsi. Oggi anche il ritratto è
scomparso dalla sagrestia. Lo tiene al sicuro il parroco forse per sottrarlo all’eccessiva
curiosità dei giocatori.
L’ultimo fantasma che godette di larga
notorietà a Milano e che è riportato in tutti i libri, è il Fantasma del Parco.
Alla fine dell’Ottocento comparve più volte nei pressi del Parco Sempione,
all’angolo con via Paleocapa, una dama velata che invitava con un cenno i
giovani a seguirla per i viali del Parco finché, dopo lunghi giri, li faceva
entrare in una villa elegantemente arredata, ma deserta e completamente
ricoperta di parati di velluto nero. Qui dopo aver danzato al suono di una
musica misteriosa, i malcapitati giovani avevano la sorpresa di scoprire che il
volto della silenziosa signora, sotto il velo, aveva le fattezze di un macabro
teschio. Dopo alcuni di questi “incontri ravvicinati”, furono organizzate diverse
ricerche della misteriosa villa nel Parco, ma invano. Forse si trattava di un
UFO in stile liberty.
Tra le due guerre, vennero raccolte parecchie
storie di apparizioni misteriose nella zona Vittoria-Taliedo, presso la chiesa
del Suffragio, la Senavra e lo stabilimento Caproni. Poi per fortuna venne
costruita la Tangenziale Est e le apparizioni cessarono.
Neppure lo spiritismo e le sedute medianiche
hanno mai avuto a Milano il successo travolgente verificatosi in tutta Europa
in certi anni e in certi ambienti alla fine dell’Ottocento e nel corso di
questo secolo. Nessuno a
Milano si fece paladino di quest’arte come avvenne per esempio a Torino con
Massimo d’Azeglio, ma si utilizzarono piuttosto le medium, o, come si diceva
agli inizi, le “Sonnambule”, per avere notizie sugli affari, gli amori, i
viaggi, e soprattutto sulla salute. Erano insomma considerate come delle
super-astrologhe, una professione quindi “scientifica” al servizio del
benessere dei cittadini più che una guida ai misteri dell’oltretomba, verso i
quali l’interesse è sempre stato piuttosto scarso.
Per concludere, ricorderemo ancora, come
l’eccezione che conferma la regola, l’avventura editoriale dell’industriale
Giovanni Guglielmone, proprietario di una fabbrica di biscotti molto noti nel
dopoguerra. Nel settembre 1945 uscì il primo numero di “Humana, Rassegna
mensile scientifico-filosofica”. Costava L. 25, ne era direttore lo stesso
Guglielmone che riprendeva con una Nuova Serie un’iniziativa già iniziata dieci
anni prima. La redazione era in Corso Vittorio Emanuele 1. Accanto alla rivista
furono organizzate serie di conferenze nelle quali si intendeva divulgare
l’idea filosofica del Guglielmone: l’Essenzialismo, una sintesi delle verità
contenute in ogni filosofia e in ogni religione. La rivista e le conferenze
furono praticamente l’unica occasione che ebbe Milano di sondare in profondità
ogni tipo di fenomeno paranormale con toni che precorsero l’attuale New Age.
L’esperto di fenomeni medianici era l’avvocato Calogero Picone Chiodo che nella
sua rubrica fissa analizzò ogni aspetto di questo fenomeno. Sfogliando queste
pagine, però, tra decine e decine di fantastiche apparizioni non ce n’è neppure
una che riguardi Milano. La ricerca, comunque, dovrebbe continuare.
Bibliografia
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Giornale circostanziato di quanto ha fatto
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Celoni, Fabio Milano, esoterismo e mistero, Firenze, Editoriale Olimpia 2006
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Porzio, Domenico, Diavoli, fantasmi e spiriti in
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di Milano, Milano, SugarCo 1987, pp. 17-25
Torre, Carlo, Il ritratto di Milano, Milano 1714 [Rist. Bologna, Forni 1973]
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Ultima modifica: mercoledì 21 marzo 2007
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