Marco Formentini,
uno storico a S. Carpoforo
di Paolo Colussi
Nascita e trionfi di un
ragioniere
La
formazione di Marco Formentini negli anni della Restaurazione getta qualche luce
sulla vita di un giovane borghese di modeste condizioni economiche in quei
grigi anni. Nato a Bosco Valtravaglia sopra Luino il 17 giugno 1811 da Gabriele
e Marianna Parietti, il Formentini studia a Bergamo. Appassionato di pittura,
frequenta nel suo tempo libero l'Accademia Carrara dove impara a dipingere. A
17 anni trova lavoro come "diurnista" (impiegato al mattino) nel
Commissariato di Verdello e l'anno successivo si diploma maestro elementare
"maggiore". Nel 1830, a 19 anni, ci informa lui stesso sulle sue
molteplici attività in una lettera ai suoi genitori: "sono pittore all'Accademia, praticante alla ragioneria centrale,
studente di metodica, maestro assistente alla scuola maggiore, diurnista al
Commissariato, delegato al riordino dell'Archivio locale, diurnista alla
pretura".
Il pittore e il maestro rappresentano una fase del tutto
transitoria della sua attività, che tende ormai a proiettarsi verso un futuro
di impiegato contabile, appassionato della razionalità e della precisione del
suo lavoro, con qualche traccia di interessi storici.
Nel 1833 prende la patente di ragioniere ed entra nella
Contabilità dello Stato dove resterà per 15 anni impadronendosi di tutti i
meccanismi connessi ai bilanci pubblici. Finalmente sistemato, nel 1848 sposa
Marianna Varischi, prende casa in via San Carpoforo ed è in attesa della prima
ed unica figlia quando a Milano esplodono le Cinque Giornate.
Marco Formentini si schiera subito decisamente con gli
insorti, partecipa con il Borromeo e il Borghi alla formazione della colonna
Simonetta. Parte con i volontari lombardi per Venezia come delegato del governo
provvisorio di Milano e come revisore dei conti. Nel 1849 prende parte alla
resistenza di Venezia.
Dopo la caduta di Venezia ritorna a Milano, ma non può
ovviamente riprendere il suo impiego pubblico. Decide allora di dedicarsi alla
libera professione, una scelta obbligata ma felice, che lo renderà presto uno
dei più stimati (e meglio remunerati) ragionieri della città. E' in questi anni
che il nostro ragioniere, deluso della politica, si volge al passato ed inizia
a collezionare documenti storici milanesi, presenti in abbondanza sul mercato
antiquario dopo gli sconvolgimenti politici e il conseguente stato di abbandono
degli archivi.
Nel 1854, diventato perito revisore dell'I.R. Tribunale
provinciale di Milano, pubblica il suo capolavoro giuridico-amministrativo:
"Sulla compilazione e revisione dei
rendiconti e divisioni dei patrimoni soggetti alla tutela del Giudice",
un saggio sulla gestione dei patrimoni fallimentari e sulle divisioni dei
patrimoni ereditati da minori che gli procurò una meritata fama nel mondo dei
giudici, allora molto impreparati sulle nuove questioni amministrative sorte
con lo sviluppo delle imprese. Nel 1858, si occupa ancora di fallimenti con il
saggio "Sui concorsi giudiziali
secondo la legislazione austriaca".
La guerra del 1859 sorprende sgradevolmente il non più
giovane Formentini. Il 31 maggio, mentre sta andando a trovare la famiglia sul
lago, viene arrestato a Varese dagli austriaci come presunta spia e poi
trattenuto come ostaggio per 5 giorni per garantire il pagamento di 3 milioni
imposti a Varese. Assiste così anche al tremendo bombardamento della città
inerme. Racconterà poco dopo le sue disavventure in un opuscolo intitolato "Le cinque giornate di prigionia nelle mani
del tenente-maresciallo Urban e il bombardamento di Varese", un
emozionante racconto di vita vissuta e, se vogliamo, la sua prima opera
storica.
Alle prime elezioni del 1860, Marco Formentini viene
proposto dal Circolo popolare di Brera come candidato per il Collegio di Luino.
La sua posizione politica "liberale e progressista" è favorevole alla
monarchia sabauda. Ciò nonostante, quando si profila l'esigenza di trovare una
candidatura a Giuseppe Ferrari, di idee opposte alle sue, è pronto a cedere il
posto a un candidato che si era battuto molto più energicamente di lui per la
liberazione della Lombardia dall'Austria. In seguito, Formentini non sarà più
candidato alle elezioni, ma sarà egualmente attento alle vicende politiche del
neonato Regno d'Italia, soprattutto in merito agli atti amministrativi dei vari
governi.
Nel 1863, quando si avvertono i primi scricchiolii nel
bilancio dello Stato, pubblica un opuscolo - Sulla organizzazione politica
ed amministrativa del Regno d'Italia - dove lui, uomo della Destra
liberale, critica apertamente l’ eccessivo accentramento amministrativo, il
sistema autoritario di governo e il sistema fiscale "illogico e
instabile". Alle tesi politiche viene premesso un excursus storico, molto
chiaro e documentato, sulle magistrature milanesi dall'epoca dei Visconti,
segno che gli interessi storici stanno crescendo e sono ormai entrati in
profondità anche nel suo bagaglio professionale. Un secondo saggio delle sue
competenze nella storia locale, lo fornisce nel 1865 una sua Memoria
inviata al Ministero dell'Agricoltura e Commercio per perorare la causa del
Ragioniere, una figura professionale che necessitava di un adeguato
riconoscimento e di un nuovo ed apposito corso di studi. Anche in questo caso,
le richieste sono precedute da una chiara esposizione della storia della
ragioneria.
Nel 1866, di fronte ai chiari segni di bancarotta dello
Stato (933 milioni di spesa contro 668 milioni di entrate), pubblica come
ultimo, sconsolato, richiamo alla ragione, l'opuscolo "Sulla sistemazione delle Finanze del Regno
d'Italia", dove, contro Quintino Sella, propone una "tassa
uniforme sopra l'universalità delle rendite nitide di ciascun cittadino,
compresa quella degli stabili". Un saggio che raccoglierà larghi consensi
in giornali lombardi come La Lombardia
(3 marzo 1866) e il Sole (6 aprile
1866).
Sarà l'ultima volta che il nostro ragioniere interverrà nel
dibattito politico. Due anni dopo, nel 1868, fonda l'Accademia dei ragionieri e
ne diventa il primo presidente, raggiungendo il massimo della fama all'apice
della sua lunga carriera professionale. E' ora di voltare pagina.
Lo storico
Nel 1870, all'età di 59 anni, Marco Formentini pubblica
commentandolo un documento di sua proprietà che riporta il bilancio di un anno
del Ducato di Milano sotto Francesco Sforza. E' la Memoria sul rendiconto
del Ducato di Milano per l'anno 1463, un esempio inedito di saggio
storiografico, che concentra la propria attenzione non più sulle vicende
politiche e militari, ma sulle questioni amministrative e finanziarie, con una
competenza che allora gli storici non avevano. E' in sostanza un saggio di
storia economica, disciplina allora del tutto sconosciuta nel panorama della
cultura europea.
Con questo saggio il nostro ragioniere si affaccia per la
prima volta su un ambiente dov'era ancora sconosciuto, ma che in questi anni
sta vivendo una nuova stagione di crescita. All'inizio degli anni '70, Carlo
Tenca dopo molte insistenze era riuscito a convincere la Municipalità ad istituire
l'Archivio
Storico Civico, che apre i battenti agli studiosi intorno al 1870-72 nella
chiesa sconsacrata di S. Carpoforo. Il primo nucleo, guidato da Cesare Cantù,
annoverava nomi noti e meno noti: D'Adda, Portioli, Vignati, Cusani, Intra,
Mongeri, De Castro. Il Formentini, che vede dalle sue finestre questi signori
confluire come carbonari in quest'antro pieno di carte, non può resistere
dall'aggregarsi a loro. Come dirà più tardi Francesco Novati, già da allora
"cercava ristoro nelle ricerche storiche da una professione onesta e
laboriosa che gli diede fama e agiatezza".
Non ci stupiremo perciò se nel 1877, quando il gruppo si dà
una struttura stabile come Società Storica Lombarda, troviamo il Formentini tra
i primi fondatori del sodalizio. In quest'anno del resto non è più sconosciuto
perché l'anno prima "già declinante a vecchiezza e quasi ignoto agli storici"
- è sempre il Novati che parla - Marco Formentini aveva pubblicato il suo primo
libro: Il Ducato di Milano.
Il Ducato di Milano
Il libro è dedicato al conte Giulio Belinzaghi, sindaco di
Milano, al quale l'autore riconosce la grande capacità di "mantenere la
concordia fra due elementi, il popolo ed il patriziato, le cui dissenzioni nei
tempi andati furono la radice di tanti danni per Milano". La dedica
anticipa la tesi di fondo del libro: non è stata l'avventatezza di Ludovico il
Moro nel chiamare in Italia i Francesi la ragione vera della perdita
dell'indipendenza, ma le discordie tra le due anime della città, il popolo e il
patriziato. In particolare, Carlo V è riuscito subdolamente a impadronirsi di
Milano approfittando dell'atteggiamento dei nobili, ostili ad un'alleanza con
il popolo.
Al di là di questa tesi, sulla quale gli storici avanzeranno
subito molte riserve, il libro presenta molti altri elementi di notevole
interesse. In primo luogo l'analisi attenta delle condizioni dell'agricoltura lombarda
dal XIII al XVI secolo, e poi lo studio degli Statuti e degli ordinamenti
amministrativi del comune che consente al Formentini di mostrare le grandi
capacità di governo di Gian Galeazzo Visconti e di Francesco Sforza.
Il libro è diviso in tre parti: a) fino al 1499; b) fino al
1535; c) lettere, arti, industria e commerci. L'andamento del testo presenta un
carattere insolito per quell'epoca, snodandosi come una fitta successione di
documenti commentati e cuciti tra loro da considerazioni soprattutto
tecnico-amministrative. Alla fine si capisce che tutto il lavoro prelude
all'opera successiva - La dominazione
spagnola - e intende mostrare le grandi capacità economiche dei lombardi e
il grado di ricchezza raggiunto nel '500 per far meglio risaltare il carattere
nefasto dell'azione svolta dai Gesuiti e da Carlo Borromeo nella seconda metà
del XVI secolo.
La dominazione spagnola
Cinque anni dopo, nel 1881, a 70 anni, il Formentini
pubblica il suo secondo e ultimo libro, che si presenta esplicitamente come il
diretto proseguimento dell'opera precedente: La dominazione spagnola in Lombardia. Il volume è diviso in due
sezioni: ad una prima parte di testo che tratta il periodo che va dall'inizio
della dominazione spagnola (1535) alla morte di Carlo Borromeo (1584) segue una
seconda parte di documenti tratti questa volta non tanto dal fondo di sua
proprietà quanto dalle carte conservate nell'Archivio Storico Civico di San
Carpoforo.
La tesi di fondo di quest'opera, com'è esposta alla
conclusione della prima parte del libro (sono riportate in Appendice le stesse
parole dell'autore), sostiene che la decadenza di Milano e la povertà che
tormenterà il Ducato di Milano fino alla metà del Settecento sono state
provocate dal programma dei Gesuiti mirante a realizzare a Milano un
esperimento, esemplare per l'Europa, di trasformazione integrale di una società
laica in una comunità religiosa. Questo programma sarebbe in gran parte
riuscito per merito (o meglio, per colpa) delle straordinarie capacità di Carlo
Borromeo e del suo inarrestabile attivismo.
Vane furono quindi le resistenze opposte fino dall'inizio
dalla municipalità attraverso il Vicario di Provvisione e il consiglio dei
Decurioni, che erano riusciti, nella prima parte della dominazione spagnola
(1535-1565), a conservare sia il benessere sia una larga autonomia dei Lombardi
grazie principalmente ad un astuto ed efficace sistema di "tangenti"
con il quale venivano ammorbiditi i poteri dei Governatori e dei funzionari
della corte spagnola. Con l'arrivo del Borromeo a Milano inizia la battaglia
tra poteri laici e religiosi. La censura dei libri e la pratica delle
Quarant'Ore, già introdotte a Milano negli anni precedenti, diventano motivi ossessivi
di allontanamento dalla cultura e dal lavoro. La prima occasione di scontro
esplode il 28 febbraio 1565, quando il Governatore, il duca di Albuquerque, si
lascia ingenuamente convincere ad emettere un decreto che solleva un vespaio di
polemiche per la sua stravaganza. Secondo questo decreto, coloro che avessero
mangiato carne, uova o latticini durante la Quaresima erano soggetti alla
seguenti pene: tre tratti di corda e 10 scudi al denunciante (commutabili in 50
scudi) per chi era sorpreso per la prima volta a commettere questo reato ;
dieci anni di galea per chi era condannato per la seconda volta e la pena di
morte per coloro che fossero stati condannati per la terza volta. Ciò valeva
per le famiglie, i negozianti, le locande, le osterie e gli alberghi in tutto
lo Stato di Milano. Erano esentati dal provvedimento gli ammalati che potevano
acquistare i prodotti proibiti (a questo scopo i negozianti potevano tenere un
po' di quei prodotti ben nascosi nel retro del negozio) esibendo un preciso
certificato medico e un certificato del parroco vistato dalla Curia.
L'Ormaneto, vicario del Borromeo, aggiungeva a questa disposizione una propria
circolare ai parroci nella quale raccomandava la massima vigilanza sulla
veridicità dei certificati medici.
L'esorbitanza delle pene e la lauta ricompensa concessa ai
delatori (10 scudi corrispondono all'incirca a un milione di oggi!)
sbalordiscono la cittadinanza. Il Vicario di Provvisione, nel corso di
un'affollata assemblea dei Decurioni, stila un veemente documento di protesta
all'indirizzo del Governatore che recepisce il forte malcontento e invia una
lettera al Capitano di Giustizia perché non vengano emesse sentenze di galea o
di morte per quel reato senza che il Governatore possa prima commutarle in pene
meno severe. Dopo questo primo tentativo, in parte fallito, di convincere con
la violenza i milanesi ad essere "buoni cattolici", il Borromeo passa
ad esercitare in proprio le maniere forti e si arma di un bargello e di una
"famiglia armata". E' questo forse il punto più
"scandaloso" del libro.
Davanti agli occhi dei buoni borghesi dell'Ottocento, il
Formentini fa scorrere i documenti inediti sulle centinaia di cittadini
incarcerati e torturati dall'Arcivescovo nei primi anni del suo insediamento a
Milano. Dopo questa prima campagna terroristica, arrivano i provvedimenti
restrittivi sui teatri, le feste, il Carnevale, la separazione dei maschi dalle
femmine nelle chiese, la proibizione del gioco del calcio alla domenica, la
soppressione degli Umiliati, la segregazione delle monache, il proliferare
delle Congregazioni religiose. Tutto ciò, malgrado le sempre più deboli
proteste della società laica, porterà in pochi anni alla fuga da Milano delle
menti migliori e ad un'irreversibile decadenza dello spirito d'impresa. Il
crollo economico diventerà in seguito inevitabile ad opera di Federico
Borromeo, che completerà agli inizi del Seicento l'opera del cugino. Ma
l'ultimo volume, che avrebbe dovuto documentare quest'ultima fase del processo
di demolizione dell'economia lombarda, non vedrà mai la luce perché il
Formentini, il 10 giugno 1883, muore lasciando agli eredi i documenti e gli
appunti del suo ultimo lavoro. Nel 1911, a cent'anni dalla nascita, la nipote
contessa Biandrà di Reaglie, lascia tutte le carte e i documenti alla Società
Storica Lombarda assieme ad un fondo di L. 3.000 nella speranza che il lavoro
venga completato, ma l'iniziativa non avrà esito positivo. Il nuovo clima
giolittiano convincerà comunque la municipalità milanese ad intitolare a Marco
Formentini la piazza San Carpoforo e ad apporre una lapide sulla facciata della
sua abitazione.
Conclusioni
Marco Formentini non era un massone, né un anticlericale.
Era uno stimato e anziano professionista senza particolari ambizioni di
carriera politica o sociale. Quindi la sua denuncia documentata delle
"malefatte" di San Carlo non poté essere imputata a faziosità o
spirito di parte. La chiesa milanese rispose alle accuse con una propria nuova
biografia del santo, ma non scatenò contro l'autore alcuna campagna
denigratoria. Certamente da allora il Formentini è stato letto attentamente
propria da quella parte del mondo cattolico (i modernisti) che cercava di
liberare la Chiesa dai molti resti di gesuitismo. Anche molti anarchici e
radicali dell'epoca cercarono di sbandierare strumentalmente le rivelazioni
trasgressive del libro, distorcendone il significato che resta eminentemente
storico-economico.
Coloro che invece ficcarono subito la testa nella sabbia
furono gli storici. I discorsi del Novati e del Verga per il centenario della
morte presso la Società Storica Lombarda esprimo ammirazione per il
collezionista di documenti e benevola condiscendenza per l'anziano storico
dilettante, ma non entrano nel merito del problema da lui sollevato e da allora
il "problema San Carlo" resterà in sospeso anche per gli storici
dell'economia, mentre la figura del santo verrà lasciata come prima nelle mani
degli storici ufficiali della Chiesa, che continuano ancora oggi a considerare
l' "affare Formentini" come un trascurabile incidente di percorso.
Resta comunque non spiegato il motivo per cui un tranquillo
e agiato professionista, un fortunato collezionista di documenti storici, si
sia avventurato in una crociata contro una delle più venerate figure della sua
città, a rischio di apparire un arrabbiato rivoluzionario anticlericale. Forse
la spiegazione di questo enigma va trovata negli scritti politici, là dove lo
vediamo polemizzare con veemenza contro le disposizioni accentratrici e
autoritarie dei primi governi piemontesi. C'è un punto nel suo opuscolo del '63
dove sostiene che "il discredito amministrativo all'estero è più
pericoloso delle scomuniche e del brigantaggio". Forse proprio questo
timore di un tracollo economico dell'Italia gli ha suggerito l'idea di una
ricognizione su un altro tracollo economico: quello della Lombardia nel
Seicento. Da qui - è sempre un'ipotesi - deve essersi domandato se c'era stato
anche in quel caso un violento e improvviso sovvertimento degli ordinamenti
paragonabile a quello incautamente provocato dai piemontesi subito dopo l'unità
d'Italia. Il seguito delle sue ricerche lo hanno portato dove sappiamo, non
conosciamo però le conclusioni dell'intera opera, probabilmente riserbate al
terzo volume mai pubblicato. I Gesuiti come i Piemontesi? Un avvertimento ai
Lombardi perché non si lasciassero ancora una volta distogliere dalla loro vera
natura di onesti lavoratori e di oculati amministratori? Forse in futuro una
più attenta e distaccata analisi di questo personaggio forniranno le risposte a
questi interrogativi.
Bibliografia
Scritti di Marco
Formentini
Cenni statistici,
storici e biografici risguardanti il Comune di Bosco e i suoi abitanti,
Milano 1856
Le cinque giornate di
prigionia nelle mani del tenente-maresciallo Urban e il bombardamento di Varese,
Milano, Tip. Wilmant, 1859 (Sormani
J VAR 1797)
Sulla organizzazione
politica ed amministrativa del Regno d'Italia, Milano 1863 (Brera Misc.
Correnti 132-35)
Sulla sistemazione
delle Finanze del Regno d'Italia, Milano, G. Chiusi, 1866 (Sormani O VAR
3010)
Memoria sul rendiconto
del Ducato di Milano per l'anno 1463, Milano, Brigola, 1870 (Sormani N VAR
685)
Il Ducato di Milano,
Milano, Brigola, 1877 (Bibl. d'Arte CONS 15 D 9; Sormani N CONS 2406)
Libello famoso contro
la citta di Milano, Milano, Tip. Bernardoni 1878 (Estratto da:
"Archivio Storico Lombardo", anno V, fasc. 1, Milano, 1878)
La dominazione
spagnola in Lombardia, Milano, Ottino, 1881 (Trivulziana Arch E 210; Soc.
Storica Lombarda F.V. V v. 169)
Scritti su Marco
Formentini
AA.VV., Marco
Formentini nel centenario della sua nascita (discorsi di F. Novati e di E.
Verga), Milano 1911 (Bibl. d'Arte, Op D 764; Trivulziana Arch E 171)
Cazzaniga, Ernesto, In
commemorazione del ragioniere Marco Formentini, Milano, Tip. Rozza, 1911
(Brera, Misc. Novati L 781)
Dizionario biografico
degli italiani, biografia di L. Narducci, IL, Roma 1997, pp. 28-30
Raponi, Nicola, La
Società Storica Lombarda e i suoi soci (1873-1899), in AA.VV., Milano fin de siècle e il caso Bagatti
Valsecchi, Milano, Guerini e Associati, 1991, pp. 33-46
Rimoldi, Antonio, La
storiografia nei secoli XIX e XX, in AA.VV., S. Carlo e il suo tempo, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura,
1986, vol. I, p. 81
Storia di Milano,
vol. XVI, p. 429 (ritratto di Marco Formentini come vice presidente della
Società Storica Lombarda)
Altre biografie
on-line:
Verbanensia
(con bibliografia)
Montegrino
Valtravaglia
Ultima modifica: giovedì 24 febbraio 2011
paolo.colussi@rcm.inet.it
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