Bartolomeo
Arese e il Senato di Milano
di
Mauro Colombo
Il
Senato di Milano fu uno dei più potenti tribunali di massima istanza
a livello europeo, così temuto e prestigioso da tenere testa alle
varie dominazione che governarono Milano nel corso di tre secoli,
dal XVI al XVIII.
I suoi membri furono sempre personaggi di spicco, provenienti dalle
più illustri famiglie milanesi e lombarde.
Bartolomeo Arese
Bartolomeo
nacque a Milano nel 1610 da una famiglia senatoria cittadina, imparentata
con altre casate patrizie lombarde.
Suo padre Giulio, giureconsulto collegiato, aveva compiuto un esemplare
percorso nell'alta burocrazia del ducato, ed era figlio di Marco
Antonio Arese e Ippolita Claro, figlia questa di Giulio Claro (1525-1575),
celebre giurista alessandrino, conosciuto per l'opera "Liber
quintus sententiarum", vero vademecum del diritto criminale
dal Cinquecento in avanti..
Dopo aver frequentato il collegio dei gesuiti di Brera, anche Bartolomeo
si iscrisse giovanissimo alla facoltà giuridica dell'università
di Pavia, dove si addottorò. Successivamente fu ammesso a far parte
del collegio dei giureconsulti di Milano, ed in un primo tempo esercitò
con successo l'avvocatura.
Nel
frattempo il padre Giulio era diventato membro del Senato, poi residente
del magistrato dei redditi ordinari e consigliere segreto. Completò
il cursus honorum ottenendo la carica di Presidente del Senato nel
1619.
Nel 1626 il padre aveva acquistato Castellambro, onde acquisirne
il titolo comitale. Il privilegio sovrano di concessione arrivò
tuttavia poco dopo la sua morte, sicché fu proprio Bartolomeo a
potersi fregiare per primo del titolo di conte. Questi ottenne nel
campo giuridico numerose soddisfazioni, prima delle quali l'assegnazione
del seggio paterno tra i sessanta decurioni perpetui della città.
Nel
1636 Bartolomeo ricoprì l'incarico biennale di Capitano di giustizia,
e si dice addirittura che, al fine di vegliare sull'ordine pubblico,
passasse la notte aggirandosi per le vie della città accompagnato
da una scorta di armati per sedare risse e disordini.
Nel 1641 ottenne finalmente un posto in Senato, del quale divenne
Presidente nel 1660. Dall'alto di tale incarico si sforzò di reprimere
le illegalità, le vendette, i duelli.
Sul
piano letterario si distinse per la compilazione di numerose raccolte
manoscritte di giurisprudenza senatoria e di collezioni di pronunce
del magistrato dei redditi ordinari.
Il palazzo Arese-Borromeo-Litta di corso Magenta
Sua
dimora cittadina era il palazzo fatto realizzare nel 1648 in corso
di porta Vercellina (oggi corso Magenta) su progetto di Francesco
Maria Richini (poi, per ragioni successorie, conosciuto come Palazzo
Arese-Borromeo-Litta). Il palazzo, che in origine si protendeva
con rustici e giardini fin quasi al Castello (privilegio urbanistico
che mantenne fino alla costruzione dei palazzi di Foro Bonaparte),
fu celebre all'epoca per i fastosi ricevimenti che il conte Are
se amava dare.
Il
più mondano fu quello organizzato in occasione della sosta milanese
di Maria Anna d'Austria (1649), che andava sposa di Filippo IV di
Spagna. Per l'avvenimento Bartolomeo fece costruire una galleria
verso il giardino, con le pareti ricoperte di broccato d'oro e quadri,
e
"di quando in quando si incontravano fontane d'onde zampillavano
acque odorose. Da un momento all'altro, come per incanto comparvero
le tavole apprestate per una sontuosa cena. Agli ospiti il padrone
di casa presentò splendidi regali: al re d'Ungheria un quadro d'autore
insigne, alla regina un cestello d'oro, alle dame oggetti preziosi
d'ogni qualità".
La
sontuosa dimora verrà poi completata e arricchita dai discendenti
di casa Arese, che le seppero dare lustro facendo erigere il famosissimo
scalone scenografico opera del Merli e la facciata di Bartolomeo
Bolli.
Per
la villeggiatura Bartolomeo fece realizzare nella Pieve di Seveso
una magnifica villa con uno splendido giardino, Palazzo
Arese a Cesano Maderno.
Meno fortuna ebbe invece sul piano familiare: dei tre figli
avuti dalla consorte Lucrezia Omodei, l'unico maschio morì in giovane
età, all'inizio della carriera giudica; le due femmine andarono
spose l'una al conte Renato Borromeo, l'altra al conte Fabio Visconti.
L'Arese
morì nel 1674, e le sue spoglie furono deposte nella chiesa di S.
Vittore al Corpo, dove aveva fatto realizzare qualche anno
prima una cappella di famiglia (la sesta cappella nella navata destra),
su progetto dell'architetto Girolamo Quadrio, con sculture di Giuseppe
Vismara.
Il lascito testamentario in favore del Senato
milanese
Il
24 settembre 1671 il conte Bartolomeo, prevedendo ormai di morire
senza lasciare eredi maschi, dispose con testamento rogato dal notaio
Annoni che al Senato milanese, di cui era stato membro e presidente,
e dal quale aveva ricevuto enormi soddisfazioni professionali e
prestigioso riconoscimento, andasse la maggior parte dei libri giuridici
che la sua vasta cultura e le cospicue finanze gli avevano permesso
di raccogliere.
Secondo
le sue ultime volontà, al momento della morte il segretario del
Senato (o il prefetto della biblioteca senatoria) avrebbe dovuto
stilare un preciso elenco dei libri di carattere giuridico lasciati
dal conte, di modo che tutti i testi che fossero risultati mancanti
alla biblioteca del Senato passassero a questo, mentre i "doppioni"
(dei quali il tribunale dunque non abbisognava) sarebbero andati
ad un nipote, il giureconsulto Agostino Arese.
Bartolomeo dispose anche per i libri non giuridici facenti parte
della sua collezione, lasciandoli ad altri soggetti a seconda dell'argomento.
I
libri che concretamente entrarono a far parte della biblioteca senatoria
vennero marchiati in modo indelebile con l'ex libris del suo munifico
proprietario: "Ex dono Co. B. Aresii Praesidis".
Il
legato di Bartolomeo Arese seguiva, a distanza di un decennio, quello
di un altro illustre presidente del Senato, il marchese Luigi Cusani.
Questi, infatti, nel 1659 aveva donato alla medesima biblioteca
tutti i propri libri attinenti il diritto.
A
seguito di questi due consistenti lasciti, che testimoniano peraltro
l'attaccamento e il rispetto che i membri del Senato avevano per
l'organo giudiziario di appartenenza, la biblioteca doveva essersi
notevolmente sviluppata, tanto da necessitare la stesura di un nuovo
catalogo, redatto presumibilmente intorno alla fine del 1688 e stampato
col titolo "Nomenclator librorum qui sunt in Bibliotheca Senatus
excellentissimi Mediolani ex legato illustrissimorum olim regentium
et praesidum d. marchionis Aloysii Cusani et d. comitis Bartholomaei
Aresii".
Da
tale catalogo, all'interno del quale i libri sono elencati sommariamente
con il nome dell'autore e del titolo (o solo quest'ultimo per le
opere miscellanee), si apprende che i testi di proprietà del Tribunale
assommavano a 1670 ed erano di vario formato, con prevalenza tuttavia
di quelli di formato cosiddetto in folio.
Soppresso
da Giuseppe II il Senato, come vedremo più avanti, tutti i testi
presenti nella sua biblioteca furono trasferiti prima alla Corte
d'Appello austriaca, successivamente passarono in proprietà del
Tribunale d'Appello di Milano (con sede in palazzo Clerici), il
quale volle a sua volta stampare nel 1858 un aggiornato "Catalogo
della Biblioteca Antica dell'I.R. Tribunale d'Appello in Milano",
dal quale si evince che i testi erano di poco aumentati rispetto
a quelli posseduti dal Senato dopo i lasciti Cusani ed Arese.
Con
l'istituzione, nel 1924, dell'Università degli Studi di Milano,
l'intera biblioteca, rivestendo un enorme valore storico-giuridico,
fu a questa trasferita, anche se purtroppo attualmente, dopo l'incendio
occorso alla Corte d'Appello e il bombardamento aereo del 24 ottobre
1942, i testi un tempo di così illustri organi giudiziari si sono
ridotti a 1168.
Il
Senato milanese fu creato per volere di Luigi XII d'Orleans, con
l'editto di Vigevano dell'11 novembre 1499. Suo desiderio
era infatti quello, sconfitto Ludovico il Moro e avanzando pretese
sul ducato milanese in qualità di discendente di Valentina Visconti,
di riorganizzare il sistema giudiziario secondo le nuove esigenze
governative.
Il
nuovo e potentissimo organo, chiamato latinamente Senatus
e che andava a sostituire sia il consilium secretum
sia il consilium iustitiae di stampo visconteo-sforzesco,
ottenne una vasta serie di prerogative, ben maggiori di quelle detenute
dai due consigli soppressi.
Accanto
al diritto d'interinazione, cioè il diritto di confermare e far
eseguire gli atti del sovrano, il Senatus fu depositario
fin dall'inizio dell'amministrazione della giustizia, intesa più
che come gestione diretta delle singole cause (cosa che faceva solo
in parte) soprattutto come controllore delle magistrature inferiori
presenti nel ducato.
All'atto
della creazione ne dovevano far parte diciassette membri (detti
Senatores), scelti tra i personaggi di spicco della città, e che
già avevano fatto parte dei consigli sforzeschi. Accanto a questi
membri milanesi sedevano alcuni francesi, uomini di fiducia di Filippo.
Col
tempo però il numero dei senatori andò aumentando, e già nel 1535,
con il definitivo passaggio di Milano nell'orbita dell'impero, si
erano attestati a ventisette, oltre al presidente. Vi erano dunque
nove cavalieri, cinque prelati e tredici giureconsulti, questi ultimi
tutti lombardi, secondo la volontà dell'ultimo Sforza, Francesco
II.
Come
era facile che accadesse, i senatori giuristi, proprio a causa della
loro estrazione culturale, presero il sopravvento sui membri laici,
e si arrogarono il diritto di riservarsi le attribuzioni prettamente
giurisdizionali, e col passare degli anni i membri non giuristi
persero progressivamente d'importanza. Questi dottori del diritto
provenivano tutti dal patriziato milanese, all'interno del quale
lo studio e la pratica giuridica erano intesi come massima forma
di prestigio e potere. Anzi, in pieno Seicento la maggiore aspirazione
di un nobile giureconsulto collegiato lombardo era proprio quella
di entrare tra il numero dei senatori, con la speranza, magari,
di raggiungere la più prestigiosa carica: la presidenza.
Quando
nel 1541 furono promulgate dall'imperatore le Nuove Costituzioni,
compilazione di leggi elaborata da una commissione di esperti con
la finalità di organizzare in una sorta di testo unico le miriadi
di decreti viscontei e sforzeschi (diventerà la legislazione provinciale
fino a tutto il XVIII secolo), il secondo titolo del primo libro
fu dedicato alle prerogative del Senato, in pratica ricalcando l'editto
di Vigevano.
I poteri del Senato
In
materia di diritto civile, il Senato era competente in primo grado
a decidere su controversie relative a cause ritenute ardue o di
alto valore economico, in materia di confini tra fondi, in diritto
di famiglia e successorio, nomina di tutori, rapporti obbligatori
tra privati, e in materia di cause feudali: "Cognoscet(que)
Senatus de causisi marchionatuum, comitatuum et quorumqumque feudorum,
sive lis et contentio oriatur inter principem et vassallos, et seu
inter ipsos vassalos". In tal modo la giurisdizione venne definitivamente
tolta ai pares curiae, cioè ai vassalli dipendenti da uno stesso
signore, o al dominus.
Inoltre,
era giudice d'appello per le sentenze emesse dalle altre magistrature
superiori del ducato, e corte di ultima istanza per ogni reclamo
avverso giudicati di grado inferiore.
In
materia di diritto criminale, il Senato aveva ogni e più ampio potere
discrezionale, con l'unica (certa) esclusione della concessione
della grazia, potere riservato al principe.
Quando
il caso non era direttamente sottoposto al Senato, a questo comunque
spettava l'ultima decisione per i giudizi istruiti nello Stato per
i reati comportanti pene corporali, pena di morte e confisca dei
beni.
Tutti
i giudici inferiori della città, primo tra tutti il Capitano di
giustizia, dovevano settimanalmente recarsi presso il Senato onde
relazionare le cause trattate . Per queste incombenze era di norma
addetto il senatore di turno, che riceveva e sentenziava direttamente
in casa propria, mentre la decisione collegiale, presa cioè durante
la riunione di tutti i senatori, era riservata alle cause delicate
o estremamente controverse.
Infine,
tra i residuali compiti attribuiti al collegio, vi era quello di
amministrare l'università di Pavia (dove "nascevano" i
giuristi lombardi dell'epoca), la censura dei libri stampati nel
Ducato, e la tutela della salute pubblica, sovrintendendo sull'operato
del magistrato di sanità.
Per
comprendere l'enorme potere di cui questo supremo tribunale godeva,
si pensi che poteva modificare o disapplicare la legge nel caso
concreto sottopostogli, potere che sfociava dunque nella capacità
di creare nuove norme. Accadde così sempre più spesso che il Senato
(come del resto i grandi tribunali dell'epoca: la Rota romana, il
S.R. Consiglio di Napoli), pur dovendo in teoria solo applicare
la legge, si arrogò in pratica il potere legislativo, potendosi
allontanare discrezionalmente dalle norme scritte e seguendo i dettami
dell'equitas.
Questo
modo di operare era tollerato dal potere politico, se non addirittura
autorizzato, dato che, comunque, senza tale potere discrezionale
i giudici avrebbero non poco faticato nel venire a capo delle lacune
e delle incongruenze del diritto vigente, sempre minato dall'eccessiva
frammentazione delle fonti, della procedura macchinosa e dalla difficoltà
di comprensione delle norme.
Lo
spirito di onnipotenza che aleggiava sul Senato lo spinse a mostrarsi
in più di un'occasione insofferente nei confronti del sovrano, quest'ultimo
quasi sottomesso, in certi campi, proprio a causa del già menzionato
diritto d'interinazione senatoriale.
Si
pensi che del Senato si arrivò ad affermare che giudicava "ut
principes" e che sentenziava "divino quoddam efflatu"
(Cavanna). Il Senato infatti guardava alla verità del fatto, piuttosto
che alle leggi, e poteva condannare a morte sulla base di indizi
e senza prova certa legale.
Le
sentenze del Senato, non motivate, avevano valore di precedenti,
e dovevano rispettarsi nel futuro come fossero vere e proprie leggi,
secondo una interpretazione compiacente ricavata da un passo del
Digesto.
Inoltre, le sentenze dei tribunali inferiori contrarie ai precedenti
del Senato erano bollate come "iniustae" e di conseguenza
riformate. Per questa ragione il Senato milanese vide nascere raccolte
a stampa di sue decisiones (sentenze), come succedeva per gli altri
tribunali centrali presenti nelle varie realtà politiche italiane.
Ad
occuparsi della raccolta e della diffusione delle sentenze in un
mercato librario in forte crescita erano di norma gli stessi alti
giudici innanzi ai quali le cause erano state discusse, oppure persone
comunque vicine agli ambienti giud iziari.
Se
con Carlo V il Senato aveva ottenuto, se possibile, ancora più potere,
con Filippo II dovette scontrasi più volte, intenzionato questo
a mettere un freno allo strapotere e agli abusi tanto ricorrenti
del sistema della burocrazia lombarda. Ciononostante, il sovrano
mantenne sempre, per rispetto e per opportunità, le prerogative
dei senatori, cercando di mediare e bilanciare i loro poteri con
quelli spettanti al Governatore.
Vero
schiaffo fu l'emanazione dei cosiddetti ordini di Tomar, che Filippo
II promulgò nel 1581, col fine di correggere le disfunzioni legislative
ed evitare i conflitti tra poteri, non senza espliciti rimproveri
all'abuso di potere di cui il Senato quotidianamente si macchiava.
Ma
anche in quella occasione il Senato seppe rispondere per le rime
e tenere testa alla corona.
Il lavoro quotidiano
Le
cause sottoposte all'attenzione del Senato erano migliaia, sia civili
che penali. Ciò, come detto, era dovuto al fatto che oltre a conoscere
direttamente le cause nelle materie prestabilite, spessissimo avocava
a sé cause di altri giudici inferiori. Inoltre, soprattutto in campo
civile, era solito spedire ordini, detti rescritti, a tali giudici,
con le istruzioni di merito o processuali per dirimere le controversie
innanzi a loro pendenti.
Le parti processuali chiedevano poi in continuazione il parere senatoriale
sulle cause che le vedevano coinvolte presso i giudici minori.
Per questo la mole di lavoro che gravava sui singoli membri era
enorme, pur coadiuvati da decine di cancellieri e segretari, che
si occupavano della stesura degli atti e alla conservazione dei
documenti.
I
senatori, tra l'altro, nel Seicento si erano ridotti al numero di
15, compreso il presidente, ma tale numero dovrebbe essere in realtà
ridotto, se si considera che concretamente erano assai meno i membri
davvero operanti. Infatti i due di prima nomina erano inviati per
due anni presso le preture di Pavia e Cremona, molti erano anziani
o addirittura impossibilitati causa salute a prestare servizio,
essendo la carica attribuita a vita, senza contare che ad ogni epidemia
di peste la situazione si faceva molto precaria.
Il
sistema comunque poteva reggere grazie alla trattazione delle cause
operata disgiuntamente, dal singolo senatore
Come
detto il consesso interveniva solo per le cause maggiori, sulla
base della istruttoria preparata del senatore di turno o "di
lettura".
Il
collegio sedeva in tale occasioni nell'aula predisposta nel piano
nobile del palazzo regio ducale, in giorni ed orari prestabiliti.
Qui, fattisi un'idea della causa, discutevano e votavano, esprimendo
la motivazione a turno ed in latino.
Il declino settecentesco
Il
Settecento segnò per la città la fine di un'epoca e l'inizio di
una nuova stagione.
Quando
infatti, a partire dal 1706, il Ducato divenne provincia dell'impero
asburgico, il Senato cominciò a rivelarsi eccessivamente arroccato
su posizioni ormai superate, ostinandosi a sbandierare il potere
che gli derivava direttamente dalle Nuove Costituzioni.
Nel
1740, salita al trono Maria Teresa, venne varata una linea riformistica
della struttura statale, all'interno della quale non poteva esserci
ancora posto per il Senatus Excellentissimus Mediolani e
per i suoi ordines.
L'istituzione
milanese (ed il suo modus operandi) era ormai bersaglio anche
degli scritti illuministici, tra i quali si devono ricordare le
opere del Beccaria, dei fratelli Verri, ed in generale gli articoli
prodotti in seno al gruppo "Il caffè".
Fu
però Giuseppe II ad intervenire radicalmente: nel 1786 il supremo
tribunale venne abolito con editto dell'undici febbraio. Vennero
anche abrogate le Nuove Costituzioni e riformata la procedura criminale.
Davanti
a tutti quegli sconvolgimenti, il Verri scrisse: "Giuseppe
Secondo conobbe che il sistema era viziato; ma non conobbe che una
contemporanea ed universale distruzione delle leggi e delle pratiche
d'un paese è un rimedio peggior del male. Si videro i senatori senza
alcuna distinzione e mutato titolo, andare avviliti al nuovo tribunale.
Nuova forma, metodi, vocaboli, ebbero i tribunali di giustizia".
Scriverà
poi, parlando di quegli anni ricchi di cambiamenti, il Cattaneo:
"Si abolirono le preture feudali, s'abolì un Senato, sul quale
pesava la memoria di supplizii iniqui e crudeli (…), si abolì la
tortura, che puniva nell'innocente i delitti dell'ignoto, sparvero
le fruste, le tenaglie infocate, le orribili rote, l'inquisizione".
Morì
così un'istituzione milanese, che nel bene e nel male era stata
la protagonista indiscussa per quasi tre secoli.
Di
seguito indichiamo i nomi dei Senatori che furono Presidenti del
Senato, segnalando la relativa data di investitura. Si tenga presente
che la carica era concessa a vita.
I PRESIDENTI DEL SENATO DI MILANO
|
Data di investitura
|
Senatore
|
1°
marzo 1531
|
Giacomo
Filippo Sacchi
|
24
ottobre 1550
|
Marco
Barbavara
|
17
dicembre 1552
|
Pietro
Paolo Arrigoni
|
1°
settembre 1565
|
Gabriele
Casati
|
18
novembre 1569
|
Giovanni
Battista Rainoldi
|
11
dicembre 1587
|
Giacomo
Riccardi
|
21
febbraio 1597
|
Bartolomeo
Brugnoli
|
18
febbraio 1604
|
Giacomo
Mainoldi
|
15
novembre 1612
|
Agostino
Domenico Squarciafico
|
31
gennaio 1619
|
Giulio
Arese
|
29
giugno 1627
|
Giovanni
Battista Trotti
|
30
maggio 1641
|
Ottaviano
Picenardi
|
15
dicembre 1646
|
m.
Luigi Cusani
|
17
novembre 1660
|
c.
Bartolomeo Arese
|
24
giugno 1675
|
c.
Carlo Belloni
|
24
marzo 1683
|
Luca
Pertusati
|
6
febbraio 1697
|
Giorgio
Clerici
|
1706
|
c.
Luca Pertusati
|
9
aprile 1711
|
m.
Giorgio Clerici
|
10
dicembre 1733
|
c.
Carlo Pertusati
|
25
gennaio 1734
|
m.
Carlo Castiglioni
|
29
settembre 1736
|
c.
Carlo Pertusati
|
25
agosto 1751
|
m.
Giovanni Corrado de Olivera
|
|
Sulla
sede del Senato vedi: Palazzo
Reale dagli Spagnoli ai Savoia
Bibliografia
AA.
VV.: Bibliotheca Senatus mediolanensis, 2002;
Bascapè
G.C., I palazzi della vecchia Milano, ristampa 1986;
Cattaneo,
C.: Notizie naturali e civile su la Lombardia (1844) in Scritti
su Milano e la Lombardia, 1990;
Cavanna,
A.: La codificazione penale lombarda, 1975;
Massetto,
G.P.: Saggi di storia del diritto penale lombardo, 1994;
Petronio,
U.: Il Senato di Milano, 1972;
Signorotto,
Giovanni Vittorio: Il ruolo politico di Bartolomeo Arese nell'Europa
secentesca, Convegno di studi "Mecenatismo culturale e spettacolo
al tempo dei conti Bartolomeo Arese e Vitaliano Borromeo. 1650-1690",
Cesano Maderno, 13-14 giugno 1998;
Zeppegno,
L.: Le chiese di Milano, 1999.
Tra
le molte raccolte di pronunce senatorie:
-
Ordines excellentiss. Senatus Mediolani editi circa eiusdem decreta
fienda in civilibus causis et criminalibus, necnon de iis quae per
iudices huius Dominij in memoratis causis servari debent, 1580;
-
Ordines excellentissimi Senatus mediolani ab anno MCDXC usque ad
annum MDCXXXIX collecti et scholiis ornati ab olim j.c. Angelo Stephano
Garono. (…), 1743.
Ultima
modifica: martedì 18 febbraio 2003
maucolombo@hotmail.com |