Enrico Forlanini
di
Gian Luca Lapini
Forlanini: è un nome familiare a tutti i milanesi, e in cui
si imbattono anche i forestieri in arrivo a Milano-Linate. A Enrico Forlanini
sono infatti dedicati sia l’aeroporto che il lungo viale che porta
all’aerostazione.
Ma, chi era costui?
Intanto bisogna stare attenti a non confonderlo con Carlo
Forlanini (1847-1918) che era suo fratello maggiore e fu medico
pneumologo di notevole fama (fu due volte candidato al premio Nobel, ed a lui
sono dedicati molti ospedali) inventore tra l’altro dello pneumotorace
artificiale, un apparecchio ed un metodo di cura che furono molto importanti
per la cura della tubercolosi, in un’epoca in cui questo morbo falcidiava le
famiglie di tutta Europa.
Enrico nacque a Milano il 13 dicembre 1848 (l’anno delle
Cinque Giornate); suo padre, Francesco Forlanini, era un noto medico, primario
dell’Ospedale Fatebenefratelli, ed in famiglia si respirava un clima molto
favorevole alla scienza ed alla tecnica. In questo clima, ed al Politecnico di
Milano, si formò il nostro personaggio, a cui non ha caso è stato intitolato
l’aeroporto milanese in quanto, come vedremo, egli ebbe un ruolo molto importante per la nascita dell’aviazione in
Italia.
Non si hanno molti documenti sui primi anni di studi di
Forlanini, ma è certo che dopo le scuole elementari frequentò per quattro anni
una delle tre Regie Scuole Tecniche che esistevano a Milano (erano
l’alternativa a chi non voleva frequentare il ginnasio-liceo, di impronta quasi
esclusivamente umanistica), per poi entrare nel 1862 nel Collegio Militare di
Milano. Qui si distinse subito nelle materie scientifiche, anche se la sua
pagella del 1863-64, riporta:
“intelligenza: molta; indole: buona; tratto: trascurato;
ordine e pulizia: disordinato”, rilevando precocemente che la vita militare non
faceva per lui. Comunque, dopo questo corso si iscrisse nel 1866 all’Accademia
Militare di Torino, divenendo sottotenente del Genio, ed iscrivendosi poi, nel
1868, alla Scuola d’Applicazione di Artiglieria e Genio, sempre a Torino. Da questo
corso uscì nel 1870 con il grado di luogotenente, e fu assegnato al reggimento
di stanza a Casale Monferrato. In questa caserma esisteva una officina bene
attrezzata, dove il giovane Forlanini ebbe tempo e modo di cominciare a
lavorare alla sperimentazione sistematica di eliche (o “elici”, come allora
venivano chiamati), con lo scopo di determinare le condizioni meccaniche e le
potenze necessarie a sollevare degli oggetti. Queste sue fatiche sfociarono
nella realizzazione, nel 1872, di una specie di piccolo elicottero, dotato di
due eliche controrotanti ad asse verticale, azionato da una matassa di elastici
di gomma, che riuscì a sollevarsi di circa 6 metri.
Nel 1874, Forlanini si mise in aspettativa dall’Esercito e
tornò a Milano per iscriversi al Regio Istituto Tecnico Superiore (l’antenato
del Politecnico); qui Enrico fu allievo di Giuseppe
Colombo, laureandosi nel 1875
in Ingegneria Industriale, assieme ad altri personaggi che
avrebbero lasciato una traccia nella tecnica e nell’industria italiana (ad
esempio Giuseppe Ponzio). La sua passione per la realizzazione di apparecchi
volanti, sicuramente trovò l’appoggio del Colombo, che tra i suoi molteplici
interessi tecnici, coltivò anche quello dell’aeronautica[1].
Impegnato negli studi di ingegneria e poi nel suo primo lavoro[2],
possiamo immaginare che Forlanini abbia fatto un po’ fatica a coltivare i suoi
interessi per il volo, ma già nel 1877 era pronto per una impresa che avrebbe
lasciato una traccia rilevante nella storia dell’aeronautica. Costruì infatti
un modello di “elicottero” dotato di due eliche coassiali del diametro di 1,8
metri, del peso totale di circa 3,5 Kg, dotato di un leggero e potente motore a
vapore[3],
appositamente realizzato, che riuscì ad alzarsi da terra prima, nel giugno del
1877, ad Alessandria[4], e poi più
volte fino a circa 13 metri, in altri esperimenti pubblici ripetuto ai Giardini
Pubblici di Milano[5], nel luglio
dello stesso anno, restando in volo per una ventina di secondi. Questa
dimostrazione non ebbe seguiti pratici, ma Forlanini continuò i suoi studi,
progettando motori a vapore leggeri, un altro elicottero spinto da getti di
vapore fuoriuscenti dalle estremità delle pale e modelli di aeroplani propulsi
da razzi a polvere pirica.
Intanto egli aveva lasciato definitivamente l’Esercito, e aveva
trovato impiego presso la “Società Anonima Forlivese per l’illuminazione a gas
e per la fonderia di ferro”di Forlì[6],
del quale fu direttore tecnico per molti anni. Lavorando presso questo
stabilimento vi introdusse vari macchinari innovativi, realizzando anche un
originale generatore di acetilene (il gas allora usato per le lampade e per gli
apparecchi di saldatura), ed evidentemente vi fece anche una buona fortuna[7]
in quanto ne divenne proprietario nel 1895.
Dopo aver trasferito, nel 1897, la sua attività industriale
nella periferia milanese, a Crescenzago, in un’area allora situata in piena
campagna[8], Forlanini continuò a dedicarsi agli studi ed ai progetti di
aeronautica in una città dove l’interesse dell’ambiente tecnico-scientifico
per questa materia rimaneva elevato. Ne sia testimonianza il fatto che nel 1895
l’editore milanese Ulrico Hoepli aveva pubblicato il libro dell’ingegnere
torinese Aristide Faccioli intitolato “Teoria del volo e della navigazione
aerea” (Faccioli non si limitò alla teoria e nel 1909 riuscì a volare con un suo apparecchio), che nel 1896 era uscito
il primo numero della rivista “L’Aeronauta” e che nel 1903 fu pubblicato il
primo importante testo italiano di aerodinamica, “Esperienze sulla dinamica dei
fluidi”, dei fisici Finzi e Soldati.
In questo clima favorevole, Forlanini non seguì però le profezie del suo vecchio maestro, e per le sue macchine volanti scelse la strada del “più leggero
dell’aria”, dedicandosi a risolvere il problema di come renderle facilmente
governabili, cioè “dirigibili". L’idea di dirigere il volo di un pallone (di
forma allungata od ellittica), munendolo di qualche mezzo di propulsione e
direzione (remi, ali battenti, timoni, ecc.) era stata avanzata già pochi anni
dopo il volo dei fratelli Montgolfier (1783), ma bisognò attendere la fine
dell’800, quando i tecnici ebbero finalmente a disposizione con il motore a
scoppio il propulsore adatto allo scopo, per assistere alla costruzione di
aerostati dirigibili di prestazioni
accettabili. Tra i primissimi, nel 1898, i dirigibili flosci muniti di motore a
scoppio con i quali il brasiliano Alberto Santos-Dumont (futuro pioniere anche
del più pesante dell’aria) cominciò a svolazzare nel cielo di Parigi. Fu poi
nel 1900 che il conte Ferdinando von Zeppelin fece volare in Germania il suo
primo dirigibile rigido, prototipo di quelle gigantesche aeronavi che per i
primi trent’anni del ‘900 avrebbero conteso il dominio del cielo all’aeroplano.
In Italia Forlanini non fu il primo[9] in assoluto a realizzare
dirigibili (fu preceduto nel 1905 dal conte Almerico da Schio e nel 1908 da Arturo Crocco), ma la macchina
da lui realizzata nel 1909 si dimostrò particolarmente indovinata. Si trattava
di un dirigibile del tipo semirigido, nel quale, cioè, a differenza degli
Zeppelin solo la lunga chiglia inferiore era costituita da una trave rigida di
alluminio. Battezzato F.1, questo dirigibile
era lungo circa 40 m ed era dotato di un motore da 40 CV. Forlanini lo pilotò
personalmente, assieme al fedele collaboratore e amico Cesare Dal Fabbro, in
numerosi voli sopra la città di Milano ed ai milanesi dovette diventare tanto
caro e famigliare che fu lanciata una sottoscrizione grazie alla quale
Forlanini poté costruire una nuova macchina, più grande a potente. Il modello
F.2, Città di Milano, che volò
nell’agosto del 1913, era lungo 72 m, e con due motori Isotta Fraschini da 80
CV viaggiava a 70 km/h. La sua maggiore potenza non gli bastò comunque a
scampare ad un violento temporale, che nell’aprile 1914 lo fece precipitare
vicino a Cantù, danneggiandolo seriamente. La macchina andò poi completamente
distrutta, durante le operazioni di recupero, per un incendio.
L’incidente non fermò però l’entusiasmo del nostro
ingegnere; probabilmente stimolato dalle nubi di guerra che si addensavano
sull’Italia, realizzò altri quattro
modelli di dirigibili semirigidi, che trovarono impiego nel corso della Prima
Guerra Mondiale con l’Esercito e la Marina.
Con la fine delle guerra, l’ormai anziano Forlanini
tentò di lanciare anche in Italia
l’utilizzo dei dirigibili per voli commerciali. Ad una prima dimostrazione di
trasporto passeggeri sulla rotta Milano-Venezia, effettuata nel giugno del 1919
con il suo modello F.6, fecero seguito i tentativi di creare dei servizi
stabili sulle rotte Roma-Napoli e Roma-Pisa-Milano, che però ebbero breve
durata.
Le ultime idee di Forlanini sui dirigibili, trovarono
realizzazione postuma l’anno successivo
alla sua morte (avvenuta nel 1930), quando volò il modello Omnia Dir,
sul quale una serie di “valvole a reazione” a poppa e a prua, emettevano dei
potenti getti d’aria in modo da rendere autonoma, o per lo meno più facile, la
manovra a terra del dirigibile (che fu sempre uno dei punti più critici del
loro impiego).
Ma l’idea non ebbe seguito: si era ormai entrati nel decennio che vide la crisi e poi
l’abbandono di queste macchine volanti, che divenne definitivo dopo la tragedia
dello Zeppelin Hindemburg, nel 1937.
Una fortuna molto più duratura dei dirigibili ha avuto
un’altra macchina ideata di Forlanini, quella che lui chiamava “idrovolante”(o
idrottero), ma che è poi stata comunemente denominata “aliscafo”. Si tratta, come è noto di una imbarcazione a motore dotata di superfici
idrodinamiche immerse, che all’aumentare della velocità, generano una spinta
verso l’alto (simile alla “portanza” delle ali) provocando il sollevamento
dall’acqua dello scafo; ciò causa una netta diminuzione della resistenza
all’avanzamento, e consente, a pari potenza dei motori, di raggiungere velocità
nettamente superiori a quelle delle imbarcazioni convenzionali. Forlanini
cominciò a lavorare a questa idea attorno al 1897, ma provò i primi prototipi
solo a partire dal 1905 per poi arrivare alla realizzazione di una macchina di discrete dimensioni nel 1910, che fu a lungo usata con successo sul Lago Maggiore. Da segnalare il fatto che nella primavera del 1911,
Forlanini ebbe come passeggero su uno dei suoi “idrovolanti” il celebre
inventore americano del telefono, Alexander Graham Bell , allora in viaggio in
Italia, che fu talmente entusiasta dell’esperienza da acquistare da Forlanini
il brevetto per la costruzione di queste imbarcazioni in America.
In conclusione un personaggio milanese di cui andare
particolarmente fieri, che ha ben meritato la dedicazione al suo nome
dell’aeroporto cittadino, un vero pioniere del mezzo aereo, del quale già nel
1877 preconizzava il futuro, come ricordano alcune sue parole incise in una
targa commemorativa, visibile nell’atrio del Politecnico:
“La macchina volante, a conti fatti, in un avvenire non
lontanissimo farà forse una seria concorrenza alla ferrovia per quanto riguarda
il servizio celere viaggiatori e per le poste..”
Bibliografia
Apostolo Giorgio, Pagliano Maurizio, Il volo a Milano,
Edizione a cura dell’Istituto Gaetano Pini, Milano, 1998
Campodall'Orto Sergio, Ghiglione Beatrice, Mezzi di
trasporto, in: AIM (a cura di S. Campodall’Orto), Innovazione e sviluppo a
Milano, Abitare Segesta, Milano, 1996
Calabrò Sara (a cura di), Dal Politecnico di Milano,
protagonisti e grandi progetti. Cento anni di storia italiana nel campo
dell’architettura, del design e dell’ingegneria, ALP Associazione Laureati
del Politecnico di Milano, Milano, 1993
Calabrò Sara (a cura di), La passione dell’invenzione.
Enrico Forlanini, ingegnere e aeronauta, Telesma Edizioni, Milano, 2004
Valli Federico, Foschini Antonio, Il volo in Italia (Presentimento,
scienza e pratica nel pensiero, nell’arte, nella letteratura e nelle cronache
dagli antichi tempi ai giorni nostri), Editoriale Aeronautica, Roma,1939
Vedi anche il sito www.aerostati.it
[1] Colombo aveva fra l’altro pubblicato
articoli e tenuto conferenze sul volo, prendendo profeticamente posizione a
favore dell’idea della superiorità degli apparecchi “più pesanti dell’aria”, in
anni in cui a volare erano solamente i palloni.
[2] Dopo la laurea Forlanini,
ancora in aspettativa dall’Esercito, trovò impiego come ingegnere municipale
del Comune di Gallarate. Qui doveva anche svolgere l’incarico di docente di
meccanica presso il locale Istituto Professionale.
[3] Questo motore era
alimentato da una caldaietta sferica, appesa in basso, che accumulava vapore in
pressione, prima dell’inizio del volo, tramite un sistema di combustione
esterno, che l’apparecchio, al momento dello stacco, lasciava a terra. In
questo modo evitava di dover sollevare un ulteriore rilevante peso, anche se
ovviamente la sua autonomia era molto limitata dalla scarsa energia
accumulabile nella sua caldaietta sferica.
[4] Forlanini, dopo un breve
periodo di lavoro, al comune di Gallarate, aveva ripreso servizio nel Genio, ad
Alessandria. Qui il suo attendente, abilissimo meccanico, Pietro Torresini,
lo aiutò molto per la realizzazione pratica dell’apparecchio.
[5] Alcuni autori, per esempio
Valli-Foschini, riportano che la dimostrazione dell’apparecchio fu fatta dentro
il Teatro alla Scala (esiste anche l'illustrazione dell’evento, di data assai
posteriore), ma questa notizia sembra sia effettivamente una leggenda,
probabilmente indotta dal fatto che la dimostrazione avvenne comunque al
chiuso, “nel Salone dei Giardini Pubblici”.
[6] Questa società era stata fondata
nel 1863 per volontà del Comune di Forlì, con l’intento di dare impulso
all’economia cittadina.
[7] A Forlì, Forlanini trovò
anche moglie, sposandosi nel 1878 con Angiolina Turchi, maestra elementare.
[8] Dove sia situabile
l’insediamento Forlanini, negli attuali dintorni di Milano, non sono riuscito a
ricostruirlo. Questi sono comunque gli indizi per ritrovarlo:
“…lontano
dalla linea statale che da Crescenzago conduce a Vaprio… Chi viene da
Crescenzago, superato il ponte sul Lambro, si incammina in un viottolo verde
che porta direttamente all’entrata del recinto ove sorgono le officine, il
gasometro e il maestoso hangar”.
[9] In realtà avrebbe potuto
essere il primo, ma come egli stesso ricordava, gli mancarono i mezzi
finanziari : “Il
dirigibile di Crescenzago sarebbe stato fatto assai prima se io avessi avuto i
mezzi necessari. La sua costruzione fu decisa nel luglio del 1900 e fu
cominciato nel 1901 con la validissima cooperazione del mio amico il Capitano
(poi Generale, ndr) Cesare Dal Fabbro. Io speravo allora che saremmo riusciti a
finire i lavori in un paio d’anni, nel qual caso il dirigibile di Crescenzago
sarebbe uscito prima del Zeppelin e del Lebaudy…”
Ultima
modifica: sabato 18 dicembre 2004
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