Antonietta Fagnani in Arese Lucini
di Paolo Colussi e Maria Grazia Tolfo
Una famiglia stravagante
Antonia Barbara Giulia Faustina Angiola Lucia nasce a Milano il 19 novembre
1778 nella parrocchia di S. Babila, ultimogenita del conte Giacomo Fagnani, marchese di Gerenzano e di Costanza Brusati dei marchesi di Settala (vedi on line i discendenti
di Costanza Brusati).
I genitori passeranno nella storia di Milano per essere due personaggi
dissoluti ed eccentrici. Appena sposati nel 1767, intrapresero come di consueto il grand tour a Firenze, Roma e Napoli. Ritornati a Milano nel 1769 attirarono l'attenzione pubblica
lui per la frenesia che mostrava nel dilapidare le cospicue fortune paterne come giocatore d'azzardo; lei per le sue civetterie e stravaganze nel vestire all'ultima moda, con
acconciature monumentali. Alcune pettinature si alzavano quasi di un metro e avevano alla sommità fiori e frutta e tortore svolazzanti, come nel caso del famoso puff di
sentimento. Era un tale personaggio che Laurence Sterne la citò nel cap. XXXV del suo Viaggio sentimentale (1768).
Nel 1770 i due ripresero il grand tour per Parigi e Londra. Qui, il 25
agosto 1771 Costanza partorì una bimba, figlia pare di W. Douglas conte di March, anch'egli famoso libertino. La bimba, Mie-Mie, rimarrà a Londra e sposerà nel 1798 il conte di
Yarmouth, morendo nel 1856 ricchissima e pure lei votata al libertinaggio a Parigi.
Giacomo Fagnani assunse nel gennaio 1776 con altri due gentiluomini la
gestione del ridotto della erigenda Scala, relativamente al gioco d'azzardo che vi si teneva, ma il 1° giugno 1781 dovette essere interdetto per l'avanzato degrado fisico a causa
della sifilide. Costanza si mostrò in questo frangente una moglie "comprensiva e devota". C'è una sua ironica descrizione in un "Avviso" di Milano, una sorta
di Gazzettino del tempo: "Trovasi alla campagna il cieco mentecatto Fagnani. L'amorosa sua moglie vi si porta a visitarlo regolarmente una volta alla settimana in compagnia
del professor antiprolifico (Pietro) Moscati. Vanno ambi vestiti a "la Levite" color carne con fasce celesti, cappelli e scarpe bianche, in un magnifico carrettino con
livree e postiglioni che non volgonsi indietro, infine un equipaggio che tutta spira asiatica galanteria". Il Fagnani morì cieco e demente il 7 giugno 1785, a 45 anni.
Costanza, convertitasi dopo una vita sregolata, morì a Milano il 24 gennaio 1805, a 58 anni.
Un cuore di cervello
Antonietta
sposa il 20 febbraio 1798 in S. Maria alla Porta il marchese Marco Arese Lucini, nato a Milano il 9 febbraio 1770 e, ancora giovanissimo, entrato a far parte del collegio milanese
di giureconsulti. All'arrivo dei Francesi era stato chiamato da Napoleone a partecipare all'amministrazione centrale del Dipartimento dell'Olona (22 luglio 1797) e in novembre era
stato eletto a far parte del Consiglio degli Juniori per il dipartimento della Montagna. Un austero magistrato, quindi, sposa la frivola Antonietta.
Dopo il grand tour d'obbligo, Marco Arese viene nominato nella Consulta di
Lione deputato dei notabili per il Dipartimento dell'Olona al posto dell'anziano padre. L'Arese è deciso a battersi per la proporzionalità dei tributi, l'abolizione della libertà
di stampa e la restaurazione della religione, interpretando i sentimenti della nuova politica napoleonica. E' un vero conservatore. Viene inviato con incarichi speciali presso
Napoleone a Parigi nel 1805 e nel 1811 e nel 1812 è creato barone del Regno.
La moglie Antonietta è considerata una delle figure di maggior spicco della
brillante società milanese del Consolato e dell'Impero, venendo ammessa alla corte del vicerè Eugenio e legandosi con un caldo rapporto d'amicizia alla regina d'Olanda Ortensia
Beauharnais.
La Fagnani conosceva il francese, l'inglese e il tedesco, tanto che aiutò
il Foscolo nella revisione della prima stesura del 1798 delle Ultime lettere di Jacopo Ortis (1802), traducendogli letterariamente I dolori del giovane Werther
di Goethe. La sua passione per Ugo Foscolo fu breve ma intensa e si snodò sullo sfondo del palco della Scala F n° 14 del 1° ordine. Ci è noto attraverso le sole lettere del
Foscolo e sembra aver avuto inizio nel torrido luglio 1801. A lei l'esuberante poeta dedicò All'amica risanata (vedi testo
on line). "La contessa in sul principio sentì l'orgoglio di avere nel proprio dominio quella fiera generosa e indomita", ma si stancò ben presto, suscitando
la gelosia del poeta che arrivò a somministrarle una scudisciata quando la colse in atteggiamento inequivocabile con un giovane graduato.
Il 4 marzo 1803 l'avventura amorosa era già conclusa, con uno strascico di
malattie veneree di cui i due si palleggiavano la responsabilità del contagio. Foscolo scrisse al Pecchio che Antonietta "aveva il cuore fatto di cervello" e come tale
la Fagnani passò alla storia. Ma la sua immagine è in ogni caso molto controversa: Stendhal la definì "femme de génie", Monti la stimava moltissimo, Rovani la
immortalò nel cap. XV del suo libro Cent'anni (vedi testo on line):
" La
contessa A..., bellissima fra le belle, aveva molto spirito, molto ingegno, molta coltura (parlava quattro lingue); era buona, generosa e affabile; costituiva insomma il complesso
rarissimo di egrege qualità; ma tutte parevano sfasciarsi sotto l'uragano di un difetto solo. Ella faceva dell'amore l'unico passatempo; ma un passatempo tumultuoso, fremebondo,
irrequieto; né occorre il dire che quell'amore era parente di quello rimasto nudo in Grecia, come disse Foscolo. Ma lo stesso Foscolo si trovò un bel giorno avvolto e impigliato
nell'ampia rete che la contessa teneva sempre immersa nella grande peschiera della capitale lombarda.
Il lettore non
può immaginarsi quanti belli e cari giovinetti si trovarono a sbatter le pinne convulse in quella rete ognora protesa: giovani cari e belli, e, ciò che fu il danno, senza punto
d'esperienza, che pigliando fieramente in sul serio le care lusinghe di quella sirena, ebbero poi a subire disinganni orridi. Ma non solo i giovinetti di prima cottura, non solo i
paperi innocenti del ruscelletto, ma frolli don Giovanni e grossi topi veterani del Seveso, dovettero sovente parer novizi al contatto maliardo di quella donna. Colei, lo
ripetiamo, non era cattiva, ma nel suo intelletto e nel suo cuore non era mai penetrata l'idea della costanza in amore. Né è a credere che non amasse; amava assai, amava
ardentemente; e nei primi istanti che le entrava nel sangue la scintilla incendiaria, ella non aveva pace e si struggeva finché non avesse potuto accostare l'oggetto dei suoi
desideri. Ma un amante nelle sue mani non era né più né meno di un cappone messo in sul piatto di un ghiotto. In pochi momenti non rimanevano che le ossa, e la fame chiedeva
tosto altro cibo. Ella era tanto bella e cara e seducente, e nel periodo acuto del suo innamoramento faceva provare tali estasi a chi ne era il passeggero oggetto, che questi
subiva tosto quella passione acuta che non soffre commensali alla medesima tavola. Ognuno voleva essere il solo possessore di quel caro bene. Ma il caro bene non volendo vincoli di
sorta, e dando accademia d'amore, metteva tosto alla porta i pretendenti che ambivano un trono assoluto, ed erano avversissimi alla monarchia mista."
Più psicologico il giudizio di Giuseppe Pecchio, che disse di lei "si
fa gioco degli uomini perché li crede nati come i galli per amare, ingelosirsi e azzuffarsi".
Una madre invadente
Marco Arese finse di non accorgersi di questo trambusto sentimentale della
moglie. Ebbero cinque figli, dei quali solo tre sopravvissero: Margherita (1798-1828), sposata a C.E. Cotti; Costanza Maria (1803-1822) e Francesco (12.8.1805-1881).
Alla caduta di Napoleone, Marco Arese si ritirò a vita privata. Il Comune
di Milano lo mandò quale inviato speciale presso Francesco I d'Austria, ma non entrò mai a far parte del governo cittadino, preferendo appartarsi. Non così fecero, con suo
grande disappunto, suo fratello Francesco Teodoro e suo figlio Francesco.
Francesco Teodoro aveva legami d'amicizia con G. Pecchio e F. Confalonieri
per cui appoggiò i moti carbonari, pur senza aderire alla società segreta dei Federati. Falliti i moti del 1822, l'Arese venne arrestato e, per seguire il suo personale codice
d'onore, preferì confessare la verità piuttosto che negare o mentire, compromettendo ulteriormente il Confalonieri. Passò così tre anni di reclusione allo Spielberg.
Antonietta, anche se era stata ben inserita presso la corte del Regno
d'Italia, non si perse d'animo con la Restaurazione, stringendo nuovamente buoni rapporti con la corte austriaca. Suo figlio Francesco rimase inizialmente filo-bonapartista,
nonostante l'ostilità della madre, più che determinata a farlo sposare con una damigella austriacante. Antonientta aveva brigato per ottenere un'amnistia per il figlio, concessa
a patto che fosse lui stesso a chiederla all'imperatore. Francesco rifiutò con sdegno e Antonietta, "abituata a dirigere tutto e imperiosa" gli tolse i viveri.
Francesco aderì nell'autunno 1831 alla Giovane Italia di Mazzini, promossa
a Milano da Luigi Tinelli, l'industriale ceramista di S. Cristoforo sul Naviglio. Alla fine del 1833 si ebbero già i primi arresti per i cospiratori, fra cui Cesare Cantù e nel
settembre 1834, quando si riaprirono inchieste e processi, Francesco si arruolò per tre anni nella Legione straniera.
Riparò presso la regina Ortensia, amica della mamma, nel castello di
Arenenberg (CH) e qui rinsaldò i legami d'amicizia con Luigi Carlo Napoleone (nato nel 1808), figlio dell'ex re di Olanda, che aveva partecipato nel febbraio 1831 all'insurrezione
della Romagna contro lo Stato pontificio. Luigi Carlo si era sentito investito della missione di rappresentare l'idea bona partista dopo la morte del cugino, figlio di Napoleone,
nel 1832. Quando Francesco Arese lo raggiunse in Svizzera, Luigi Carlo aveva appena pubblicato le sue Fantasticherie politiche (1833), che esponevano la sua idea di
nazionalità e l'obiettivo del miglioramento delle condizioni di vita del popolo, realizzabili con la restaurazione dell'impero.
Francesco Arese seguì Luigi Carlo nel 1836 a New York, dove dal marzo 1835
si trovava F. Confalonieri, graziato in seguito all'incoronazione di Ferdinando I. Non è escluso che Francesco partecipasse al tentativo di rovesciare Luigi Filippo, fatto a
Strasburgo il 30 ottobre 1836 e fallito miseramente. Rientrato in Italia dopo l'amnistia concessa il 6 settembre 1838 per l'incoronazione a re del Lombardo-Veneto dell'imperatore
Ferdinando, Francesco si piegò finalmente alla ferrea volontà materna e accondiscese a sposare nel 1839 Carolina Fontanelli, figlia del generale Achille, già ministro della
guerra nel regime napoleonico, rientrato nell'esercito austriaco.
Gravemente malata, nell'ottobre 1847 Antonietta fu spostata a Genova, dove
si spense l'11 dicembre 1847. A suo ricordo rimase il balconcino di casa Arese in corso Venezia e la leggenda del suo fantasma, che si affacciava con in testa il cappello di paglia
forse a scrutare i bei giovanotti che si attardavano lungo il corso nelle notti di luna piena.
Marco Arese la seguì il 16 gennaio 1852, Francesco Arese continuerà la sua
carriera politica nel governo del Regno dell'Italia unita.
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Ultima modifica: martedì 30 luglio 2002
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