Giuseppe
Colombo, milanese insigne per le sue molteplici doti di insegnante, ingegnere,
imprenditore ed anche di politico, è un personaggio a dir la verità un po’
dimenticato, ma che vogliamo inserire in questa galleria di milanesi illustri in quanto diede un poderoso contributo al decollo dell’ingegneria e
dell’industria, non solo in Lombardia,
ma nell’Italia intera.
Nella
Milano del 1836, dove Giuseppe Colombo nacque il 18 novembre, in una famiglia
della piccola borghesia artigianale (il padre era orafo), soffiava già il nuovo
vento dell’industria che, dopo aver rivoluzionato mezza Europa, avrebbe in pochi anni preso forza anche in Lombardia, insieme all’insofferenza per il dominio
austriaco. E’ facile pensare che Colombo, presto rivelatosi un giovane di notevoli doti intellettuali, abbia respirato
questo clima di fermenti e si sia sentito attratto dal mondo
tecnico-scientifico che sembrava aprire all’umanità nuove strade di conoscenza
e di successi. Così, diplomatosi a pieni voti al Liceo S. Alessandro di Milano,
si iscrisse a diciassette anni all’università di Pavia come aspirante al
dottorato di ingegnere-architetto[1].
Qui fu allievo prediletto di Francesco Brioschi e di Giovanni Codazza: dal
primo, docente di matematica applicata e dopo pochi anni fondatore del
Politecnico di Milano, il giovane Colombo assorbì un atteggiamento di grande
apertura e curiosità verso la scienza, la tecnica e l’industria; del secondo,
che era incaricato di meccanica applicata (materia a cui si appassionò particolarmente),
divenne assistente ad appena diciannove anni.
L'insegnante
Laureatosi
a soli vent’anni ottenne subito, grazie alla grande stima nei suoi confronti di
Brioschi e Codazza, un incarico di professore di geometria e meccanica alla
Scuola di Incoraggiamento d’Arti e Mestieri di Milano, dove iniziò una delle
sue brillanti carriere, quella di docente, che avrebbe in vari modi continuato
per tutta la vita. Insegnando in questa scuola, che era nata per iniziativa
della borghesia mercantile-industriale milanese con lo scopo di creare uno
stretto contatto fra sapere scientifico
e realtà produttive, Colombo rivelò ed
affinò le sue naturali doti di comunicatore ed ebbe le prime occasioni di
contatti col mondo industriale internazionale (tramite viaggi e visite a fabbriche,
scuole, mostre, che avrebbe anche in seguito sempre ricercato), dal quale
riportare idee e proposte per la realtà lombarda.
Nel
dicembre del 1863 Brioschi, rispondendo
ad una crescente esigenza di formazione di ingegneri di indirizzo industriale, fondò a Milano l’Istituto Tecnico
Superiore[2],
già dai primi anni indicato come Politecnico per i diversi studi di ingegneria che comprendeva, e
Colombo ne fu uno dei primi docenti, divenendo nel 1865 titolare della cattedra di Meccanica ed
Ingegneria Industriale. Colombo fu subito l’anima della specializzazione in
ingegneria meccanica, un indirizzo di studi per il quale, fino a quel momento,
gli studenti italiani avevano dovuto rivolgersi all’estero, assumendo
gradualmente incarichi sempre più importanti nel Politecnico, dove avrebbe
continuato a insegnare fino al 1911. Stimato e seguito dai giovani per
l’efficacia delle sue lezioni e per l’entusiasmo che sapeva comunicare, non
solo dalla cattedra ma anche nelle
frequenti visite a impianti e fabbriche nelle quali amava guidare gli studenti,
Colombo fu maestro di una foltissima schiera di ingegneri e futuri imprenditori
(fra i quali Giovan Battista Pirelli[3],
pioniere dell’industria italiana della gomma, ed Enrico Forlanini, pioniere
dell’aviazione).
Al
Politecnico Colombo seppe favorire lo studio non solo delle discipline
meccaniche, ma anche di quelle elettriche (l’elettrotecnica fu la tecnologia di
punta di quegli anni)[4].
Egli seppe inoltre trasferire le sue conoscenze anche fuori dalle aule universitarie;
per oltre dieci anni, dal 1870 al 1880, le sue conferenze serali nell’aula
della Società di Incoraggiamento Arti e Mestieri intorno ai più palpitanti
argomenti di attualità di meccanica, elettricità e termodinamica, attirarono un
pubblico attento e numeroso, di tutti i ceti sociali.
Il
Colombo docente e divulgatore non si limitò, comunque, all’uso della parola,
ma produsse anche una notevole mole di
scritti. Ai primi interventi sui giornali, con lettere e articoli con i quali
cominciò a farsi conoscere per la sua lucidità di esposizione ed argomentazione, seguirono numerose
pubblicazioni scientifiche, traduzioni di fondamentali trattati di ingegneria
francesi e inglesi, saggi. Colombo fu anche collaboratore e poi
direttore della rivista tecnica “L’industriale”, pubblicata dal 1871 al 1877. I suoi scritti più famosi rimangono
certamente i suoi manuali tecnici, in particolare quel “Manuale dell’Ingegnere
Civile ed Industriale” (o più familiarmente “il Colombo”) la cui prima edizione, presso l’editore Ulrico Hoepli di
Milano, è del 1877, e che è stato per decenni, con numerosissime riedizioni ed
aggiornamenti, la guida pratica di generazioni di ingegneri.
L'imprenditore
Lasciando
per il momento il Colombo insegnante, passiamo ad esplorare la sua carriera di
imprenditore, che fu tutta legata alla nascita dell’industria elettrica in
Italia. Il nostro paese non era rimasto estraneo al grande sviluppo che la
fisica dei fenomeni elettrici aveva avuto nell’800 (basti pensare ad Alessandro
Volta ed a Luigi Galvani, e più tardi ad Antonio Pacinotti e Galileo Ferraris),
e quando la tecnologia cominciò ad impadronirsi delle nuove conoscenze ed a
proporre realizzazioni di pratico utilizzo, il terreno era pronto per
accogliere la nuova meraviglia.
Nel
1877 ebbe luogo sulla piazza del Duomo il primo esperimento milanese di
illuminazione elettrica con una singola lampada ad arco, impressionante per la
sua potenza luminosa ma ancora poco pratica per utilizzi cittadini estesi.
Meno di un anno dopo la questione dell’illuminazione elettrica veniva
brillantemente trattata da Colombo in una delle sue frequentatissime
conferenze serali, dove egli ebbe modo di spiegare alla cittadinanza i
risultati degli studi e delle ricerche che erano in corso in tutto il mondo[5].
L’episodio di piazza del Duomo non ebbe seguito fino al giugno del 1881, quando,
in occasione della grande Esposizione Nazionale di Milano, la Galleria Vittorio
Emanuele venne illuminata con 25 potenti lampade ad arco della Siemens.
Nell’autunno dello stesso anno si costituì, per opera di Colombo e con il
sostegno finanziario di importanti banche milanesi, il “Comitato Promotore per
le Applicazione dell’Energia Elettrica in Italia”[6].
Intanto, in uno dei suoi frequenti viaggi all’estero, Colombo, in occasione
della “Mostra Internazionale dell’Elettricità” di Parigi del 1881, aveva trattato con la società fondata da Thomas
Edison per ottenere l’esclusiva del sistema Edison in Italia. Su mandato del
“Comitato”, Colombo perfezionò l’accordo di esclusiva con la Edison ed iniziò
la trattativa per la realizzazione a Milano di un impianto di potenza
ragguardevole. Poco dopo Colombo si recò a New York dove definì personalmente
con Thomas Edison i particolari del progetto e concluse la trattativa per
l’acquisto dei macchinari. Qui Colombo ebbe modo di visitare il cantiere, e
partecipò all’inaugurazione della prima centrale elettrica al mondo, quella
che la Edison Illuminating Company
stava costruendo in Pearl Street (nel
quartiere finanziario di Wall Street), e che sarebbe entrata in
esercizio nel settembre del 1882.
Colombo
ritornò a Milano in compagnia di uno dei più stretti collaboratori di Edison,
John William Lieb, che l’avrebbe assistito nei mesi successivi
nell’allestimento della centrale elettrica che avrebbe preso il nome di Santa
Redegonda. I lavori procedettero speditamente, cosicché il 28 giugno del 1883,
a Milano, nell’Italia che era l’ultima arrivata nel mondo industriale, fu
inaugurata la prima centrale elettrica europea. Essa era in grado di alimentare
4800 di quelle lampade ad incandescenza che Edison aveva messo a punto con
innumerevoli prove, e che producevano una luce calda, non abbagliante come
quella delle lampade ad arco: erano perciò adatte a illuminare gli interni ed a
far concorrenza alle lampade a gas, allora ampiamente diffuse. L’energia
elettrica prodotta veniva distribuita in una piccola zona fra il Duomo, la
Galleria e la Scala; gli utenti principali furono i locali eleganti ed i
teatri, gli unici forse disposti a pagare il doppio di quello che allora costava
l’equivalente illuminazione a gas.
Nell’impianto
di Milano si fecero le ossa alcuni dei più valenti ingegneri elettrotecnici
italiani, che Colombo scelse fra i suoi migliori laureati del 1882-83; fra
questi, Giacinto Motta, che ebbe in seguito un ruolo di primo piano per lo
sviluppo del sistema elettrico lombardo, prima come progettista degli storici
impianti idroelettrici della Valtellina e poi come direttore della società elettrica Edison. Fu questa generazione di
tecnici che, dando impulso all’utilizzo delle forze idrauliche delle Alpi,
diede all’industria settentrionale quella disponibilità di energia a basso
prezzo che la mancanza di carbone aveva fino allora negato all’Italia.
Il politico
Il
1882 fu un anno cruciale anche per la carriera politica di Colombo, personaggio
che pur avendo da tempo acquisito un rilievo pubblico cospicuo, si era fino
allora tenuto al di fuori da impegni politici diretti anche se non era stato
certo un indifferente nei riguardi delle grandi vicende della formazione
dell’Italia, arruolandosi come volontario sia nella Seconda che nella Terza
Guerra d’Indipendenza. La sua competente partecipazione, come esperto, in varie
commissioni comunali non era passata inosservata, cosicché fu convinto dai suoi
amici a presentarsi per le elezioni del Consiglio Comunale di Milano, dove
entrò con ampi suffragi: questa sua posizione probabilmente facilitò al
“Comitato” che egli presiedeva l’ottenimento dal Comune delle concessioni per
la centrale elettrica nel centro cittadino.
Quanto alla sua collocazione
politica, è noto che egli ebbe in
gioventù simpatie mazziniane (mazziniano era l’ambiente universitario a Pavia),
al punto di essere andato a trovare Mazzini a Londra, nel 1861, durante uno dei
suoi primi viaggi all’estero. Egli si era comunque presto accostato agli
ambienti liberali moderati milanesi del giornale “La Perseveranza”, del
salotto della contessa Maffei e del “Circolo Popolare Milanese”. Fu proprio
nell’ambito di questo circolo che maturò, nel 1886, la sua candidatura a
deputato del Parlamento italiano, al quale fu eletto con quasi 8000 voti. Le
idee politiche di Colombo erano coerenti con i suoi interessi e con la sua formazione tecnica. In un discorso del 1890
lui stesso si definiva un “conservatore moderno”, cioè un “vero progressista illuminato, che studia
con metodo scientifico i problemi sociali, onde condurre la società senza
scosse attraverso le evoluzioni che il continuo mutarsi delle condizioni
materiali richiede”. La sua azione ebbe quindi una chiara connotazione a favore di una strategia industrialista (ma
fu sempre contrario sia al liberalismo, sia al protezionismo assoluti) e
contraria a confusione di ruoli fra destra e sinistra. Fu anche favorevole ad
un graduale riassetto dello stato di tipo autonomistico, per favorire
quell’effettivo raccordo fra l’unità dello stato e lo sviluppo della vita e
delle libertà locali che era mancato dopo l’unità d’Italia.
L’avvento
al governo di Crispi lo vide fiero oppositore di una politica che giudicava
inadatta a raggiungere l’obbiettivo primario del rafforzamento della situazione
economica reale, e tutta preoccupata di raggiungere obbiettivi di mero
prestigio, sia nella politica interna (ad esempio con lavori pubblici non
urgenti), sia in quella estera (con
costose avventure militari)[7].
Dopo una prima legislazione passata all’opposizione, e rieletto con larghi
suffragi per una seconda volta al Parlamento, Colombo si vide chiamato a
reggere il Ministero delle Finanze nel primo governo del marchese Di Rudinì, ma
con la coerenza che lo contraddistingueva non esitò dopo poco più di un anno a
dare le dimissioni per non venir meno alla promessa fatta ai suoi elettori di
non applicare nuove tasse (cose davvero d’altri tempi!), anche a costo di
favorire indirettamente il ritorno al governo dei suoi avversari. Dopo la
catastrofe militare di Adua, ritornò però come Ministro del Tesoro nel secondo
governo Di Rudinì nel 1896.
Non
possiamo dilungarci molto nelle complesse vicende politiche degli anni
successivi, ma ricordiamo che Colombo coprì altri incarichi importanti come
quello di Presidente della Camera nel tumultuoso anno 1899. Battuto nelle
elezioni del 1900 dal candidato socialista in quello stesso collegio milanese
che lo aveva rieletto più volte, dopo
pochi mesi fu nominato senatore (per diretta scelta del giovane Vittorio
Emanuele III) e si reinserì nell’agone politico; continuò così a ricoprire
incarichi di prestigio, soprattutto in commissioni che si occupavano di
questioni economiche e finanziarie, dove era indiscussa la sua autorità[8]
ed a prodigarsi in favore dei due settori dell’industria elettrica e degli
studi tecnici, che gli stavano sempre molto a cuore.
Non
bisogna comunque credere che le sue energie fossero tutte assorbite dalla
politica. Colombo mantenne infatti importanti incarichi nella società elettrica
Edison, della quale divenne presidente
nel 1896 e nel Politecnico del quale fu Rettore dal 1897 (alla morte di
Brioschi), fino al 1921. Tenne anche a lungo la presidenza del Collegio degli
Ingegneri e Architetti, e del Credito Italiano; ebbe inoltre cariche
amministrative e di consulenza in alcune aziende industriali.
La vita privata
Non
abbiamo finora detto nulla della vita privata di Giuseppe Colombo, e non
vorremmo lasciare al lettore l’impressione che il nostro personaggio fosse un
uomo dedito solo al lavoro ed al dovere. In realtà, oltre alla scienza ed alla
tecnica, ebbe molti altri interessi intellettuali: amante della musica (fu
decano degli abbonati alla Scala) e della letteratura, fu anche un discreto
pittore, particolarmente attratto dai paesaggi dei laghi lombardi, dove amava
soggiornare appena libero da impegni[9].
Ma non disdegnava neanche la cura del corpo: fu grande camminatore, alpinista,
buon rematore ed amante del ciclismo, frequentatore a Roma, con altri deputati,
della famosa pista Tommei. Anche negli ultimi anni gli piaceva compiere lunghe
escursioni per i monti e crociere in motoscafo, e per questo amore al
turismo accettò di divenire Consigliere
del Touring Club di Milano.
Si
era sposato nel 1868 con Carolina De Luigi, nipote colta e modesta, quanto
graziosa, del naturalista Emilio Cornalina, che aveva conosciuto nel salotto Maffei e di cui era
divenuto grande amico. Erano andati ad abitare in un
appartamento al secondo piano di un elegante stabile di via Andegari a pochi passi
dal palazzo Maffei; qui crebbero le loro due figlie, fonte di soddisfazione per
i genitori per la loro intelligenza ed educazione, ma anche di un grande
dolore. Infatti la figlia maggiore
Federica, che era andata sposa al conte Giuliano Corniani di Brescia morì
improvvisamente durante il viaggio di nozze in Spagna. Dopo qualche anno la
figlia minore, Amalia, si sposò con il vedovo cognato, e da quelle nozze
nacquero tre nipoti molto amati da Colombo, particolarmente il primogenito
Alessandro che fece brillanti studi di ingegneria e si conquistò un posto fra i
dirigenti dell’industria idroelettrica.
La
morte sorprese improvvisa Giuseppe Colombo, una domenica mattina del gennaio
del 1921, nella sua casa di via Monte Napoleone 22. Un attacco cardiaco stroncò
in poche decine di minuti la tempra di quest’uomo infaticabile, che in 84 anni
non era mai stato ammalato. Sulla sua tomba al Cimitero Monumentale di Milano
si possono leggere queste parole del suo amico Edison:
“Colombo
appartiene alla categoria di quelle nature serie, destinate a lasciare una
impronta personale ovunque si trovino e qualunque cosa facciano. Come certi
eroi di Charles Dickens, il Colombo può dire: I fatti, signori miei, non
sono altro che i fatti”.
Bibliografia
Federico Giordano (a cura di), Scritti e discorsi di
Giuseppe Colombo (Discorsi e scritti scientifici, Vol. III,IV),
Ulrico Hoepli editore, Milano, 1934
Giuseppe Gallavresi (a cura di), Scritti e discorsi di
Giuseppe Colombo (Discorsi e scritti politici, Vol. I, II), Ulrico
Hoepli Editore, Milano, 1934
Ferdinando Lori, Storia
del Regio Politecnico di Milano, Cordani, Milano, 1941
Carlo G. Lacaita (a
cura di), Industria e politica nella storia d’Italia (Scritti scelti
di Giuseppe Colombo, 1861-1916), Cariplo-Laterza, Milano–Bari, 1985
Lauro Orizio , Francesco Radice, L’Industria Elettrica Italiana (1882-1990), Ed. Lombarda, Como, 1991
Vittorio Nivellini,
Giuseppe Colombo, il papa’ degli ingegneri italiani, Domus, Milano,
1945
Società Edison Milano, Nel Cinquantenario della Societa’
Edison, 1884-1934, Istituto Grafico Raffaello Barbieri, Milano, 1934
Note