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Le cascine di Milano:
antiche testimonianze di un mondo contadino

 di Mauro Colombo

La cascina di San Marchetto

La cascina di San Marchetto

 

 

Introduzione storica

 

Genesi ed evoluzione della “cascina”

A partire dal X secolo la presenza di cascine è attestata nella campagna milanese o addirittura in città: si trattava per lo più di depositi per prodotti agricoli o fienili, presumibilmente costruiti in materiale deperibile, come paglia e argilla, e talvolta annessi alle abitazioni cittadine.

Queste costruzioni, a partire dal XIII secolo, iniziarono a caratterizzarsi come strutture insediative composite, fatte di edifici di abitazione e rustici, con una diffusione sempre maggiore, come ebbe modo di testimoniare anche Bonvesin de la Riva nel 1288[1].

Ma già nel 1207, ad esempio, le numerose cascine “de la Bazana” (a sud di Milano, nella Pieve di Cesano Boscone), erano di proprietà di vecchi ceti aristocratici, e ospitavano i “cassinari” ai quali era stata affidata la conduzione dei fondi.

La “Compartizione delle fagie”, una fonte fiscale del 1345 riguardante la suddivisione degli oneri tributari fra tutti i proprietari che avevano possedimenti lungo le strade che dalla parte meridionale della città si dipartivano verso il contado, costituisce oggi un riferimento particolarmente prezioso in quanto fornisce un vasto elenco, seppur parziale, delle cascine situate sul nostro territorio.

Le cascine più vicine alle mura cittadine erano ovviamente limitate per quanto riguarda lo spazio di terreno a disposizione, come nel caso delle strutture appena fuori Porta Ticinese, caratterizzate per essere dotate di sole 60 pertiche[2] di terra, ma quasi sempre fornite di torchio e mulino[3].

Allontanandosi progressivamente dalle mura, si potevano incontrare nuclei di maggior estensione, con una tipologia di coltura anche più varia, come ad esempio nelle cascine sorte attorno al monastero di San Barnaba al Gratosoglio, dove si avevano vigneti e cereali.

Sappiamo che nel 1437, il 40% delle 1.526 pertiche delle cascine di Basmetto, della Crosta e della Torretta, appartenenti al monastero di San Barnaba, era sistemato a prato irriguo: coltura legata all’abbondanza di corsi d’acqua e già notevolmente diffusa, con ogni probabilità, in relazione allo sviluppo dell’allevamento, peraltro non sempre documentato.

Per quanto riguarda lo schema architettonico e tipologico delle cascine, sebbene in tutti i trattati di architettura vi fosse sempre una parte dedicata alla casa contadina e alla azienda agricola (si veda ad esempio Leon Battista Alberti, Sebastiano Serlio, Andrea Palladio, Vincenzo Scamozzi, fino alla trattatistica settecentesca del Milizia), non è possibile riferirci a modelli tipizzati. Possiamo invece parlare di esempi: uno dei meglio documentati è quello della cascina Roverbella nei pressi di Pantigliate, di proprietà della famiglia Amiconi. Un documento trecentesco attesta che la cascina era composta da due grossi corpi di fabbrica, uno dei quali con orientamento da settentrione a mezzogiorno. Partiamo proprio da quest’ultimo. Attenendoci a quanto indicato si possono elencare nell’ordine: due camere, la “caminata” o stanza del camino con portico e con i “solaria de supra”, quattro “cassi di cassina in quibus sunt stabia bestiarum”, cioè le stalle, che anche nella cascina moderna manterranno il medesimo orientamento. Dopo le stalle una “caxela”, probabilmente adibita alla trasformazione dei prodotti derivati dal latte, due grandi camere fornite di portico, un’altra “caminata” con portico e piano superiore. Tutto ciò costituiva un unico blocco edilizio circondato sui tre lati da un fossato, una delimitazione e al contempo una protezione che si utilizzava molto spesso in alternativa alle siepi vive o morte.

Alle spalle dell’edificio, oltre il canale, si aveva un brolo ampio otto pertiche; sul davanti la corte col pozzo e il torchio; in posizione decentrata, per evitare pericoli di incendio, il forno. A oriente, perpendicolare al primo, vi era un secondo edificio costituito da “cassi sex cassinae cupati” ossia sei cassi coperti di tegole.

Ai grandi fondi agricoli da loro controllati fin dal XIV secolo (i Brivio ad esempio nel 1397 ottennero in enfiteusi perpetua le terre del monastero di Santa Maria di Calvenzano), alcune nobili famiglie milanesi riuscirono a sommare (alla fine del Settecento) quelli derivanti dagli acquisti dei terreni degli ordini religiosi soppressi. Proprio così gli Stampa, oltre ai beni da loro già posseduti in quella zona, entrarono in possesso delle 500 pertiche del soppresso monastero di S. Vittore Grande di Milano[4].

Accanto a questi grandi proprietari terrieri ed immobiliari, occorre ricordare come l’impennata dell’organizzazione del lavoro agricolo dell’area milanese sia una conseguenza dell’affermarsi della figura del cosiddetto fittavolo. Questi infatti, fino a quel momento intermediario e appaltatore di fondi, iniziò ad acquisire una mentalità imprenditoriale gestendo direttamente l’azienda, con contratti novennali, sfruttando lavoratori salariati, versando un affitto assai elevato ai proprietari, ma diventando di fatto esso stesso una sorta di potente padrone all’interno della cascina dove, come ricorda il Cattaneo, i salariati infatti “non conoscono ulteriori padroni”[5].

Così, nel corso del XVIII secolo, si conclude il processo di tipizzazione delle cascine dal punto di vista architettonico, tipologico e funzionale. Gli elementi essenziali che si individuano nella grande azienda agricola della Bassa sono: le abitazioni (quella dei salariati e quella del fittabile), i rustici e i locali per la lavorazione dei prodotti. L’impianto che racchiude tali costruzioni è a corte chiusa, quantomeno su tre lati, ma spesso anche il quarto lato veniva cintato da un muro. Il portone d’ingresso poteva trovarsi sia nel muro di cinta, quanto più spesso attraverso il blocco delle case dei salariati. L’impianto chiuso nacque prevalentemente per motivi di difesa da possibili furti e razzie, molto frequenti nelle campagne soprattutto nelle ore notturne. Una volta sprangato il portone, la cascina era quasi una fortezza.

Esistevano poi numerose vere cascine-fortezze, ovverosia fortificate con tanto di torri d’avvistamento e ponti levatoi, diffusesi soprattutto nel ‘400 e nel ‘500.

Solo a partire dalla metà del XIX secolo si abbandonò la struttura a corte chiusa, anche per l’esigenza di ampliare spesso il numero dei fabbricati, sulla scorta della diminuzione dei furti e delle violenze nelle campagne, conseguenza di migliori attività di polizia e di controllo del territorio da parte dello Stato.

All’interno della corte (come appunto venne a chiamarsi il complesso della cascina che si affaccia su di un cortile-aia, spazio comune e collettivo di lavoro) si trovano dunque le abitazioni dei contadini che occupano un fabbricato a corpo semplice stretto e allungato, privo di qualsiasi elemento decorativo. Ogni famiglia dispone di un locale con camino a piano terra, il luogo della vita domestica, e di uno al piano superiore, entrambi dotati di due finestre giustapposte. Dalla stanza del camino si accede direttamente al solarium con una ripida scala alla fratesca che verrà eliminata quando la distribuzione a ballatoio prenderà il sopravvento. Queste abitazioni definite in alcune consegne d’affitto “cassi di casa”, nella loro ripetitività seriale assumono quasi la rigidità di un modulo, da 20 a 30 mq per locale, e sono prive di qualsiasi comodità[6]. Solo eccezionalmente sono dotate di fornello di cotto e di acquarolo di vivo, come risulta in una consegna del 1739. La pavimentazione della caminata era comunemente di terra o in qualche caso di cotto, mentre per il locale soprastante, lo spazzacà, vengono utilizzati “matoncini, pianele, o gerone”.

Ben differente è la casa del fittavolo o del padrone della cascina. Ubicata in una posizione che permette un controllo sull’attività interna dell’azienda, essa spicca sia per la dimensione che per alcuni elementi architettonici (il portico affacciato sull’aia e spesso una loggia) o particolari decorativi. I locali che la compongono sono numerosi e il collegamento fra piano terreno e piani superiori avviene tramite una scala interna in due andate. Anche i particolari erano curati: lo si deduce da un documento secondo cui la cucina ha “suolo di cotto e finestre, guarnerio nel muro con anta, l’acquarolo di cotto buono, camino e fogolaro di cotto”.

Spesso alla casa del fittavolo sono uniti, o quantomeno prossimi, la caneva (cioè la ghiacciaia), il locale del torchio, le dispense, la lavanderia, la casa che serve per fabbrica e, poco distante, il forno con suolo e volto di cotto.

Stalle, fienili, portici, depositi, porcilaie e pollai vengono comunemente accomunati sotto la denominazione di rustici.

L’elemento che caratterizza le cascine della Bassa è sicuramente lo stallone delle vacche, lungo da 5 a 12 cassi. Chiusi al piano terreno e aperti invece nel sovrastante fienile, detto cassina. Sui lati lunghi si trovano le mangiatoie e le piccole finestrelle e al centro del locale una corsia di passaggio per espletare i lavori di mungitura e pulizia. La stalla, per garantire un maggior calore durante l’inverno, è generalmente costruita con una altezza tanto che “un homo comune non tocchi appena col capo”, come raccomandava il Falci nel XVII secolo. Verso corte la falda del tetto si prolunga fino ad appoggiarsi sui pilastri (un portico usato come ricovero per gli attrezzi o come stalla estiva). Legato alla notevole diffusione della coltivazione della vite, il locale del torchio è presente di frequente nelle cascine di area milanese (a partire dal XVI secolo). Lo troviamo quasi sempre in prossimità della casa del fittavolo che sovrintende direttamente alla vendemmia e alle successive fasi di vinificazione.

 

Cartografia storica

L’individuazione delle cascine esistenti in quello che oggi è il territorio del comune di Milano è ricavabile attraverso lo studio e l’analisi della cartografia ancora reperibile, leggendo la quale è possibile non solo localizzare i vari insediamenti (non tutti ovviamente ancora esistenti), ma anche datare gli stessi, e ciò confrontando le mappe delle varie epoche al fine di individuare in quale periodo, approssimativamente, una cascina venne fondata.

Le due mappe più antiche, buona fonte per la rappresentazione delle campagne attorno a Milano, sono quelle preparate in occasione delle visite pastorali di Carlo Borromeo a partire dal 1566, che si svolsero nelle pievi di Segrate e di Cesano[7].

Visita pastorale di Segrate (particolare, clicca per vedere l'intera pagina)

Visita pastorale di Cesano (particolare, clicca per vedere l'intera pagina)

Nel 1600 venne invece data alle stampe la prima edizione della carta di Giovanni Battista Claricio, intitolata “carta dei dintorni di Milano per il raggio di 5 miglia di braccia milanesi”[8]. Questa mappa, molto dettagliata e con l’indicazione di tutti gli insediamenti rurali compresi in un territorio che si sviluppava nei sette chilometri di distanza dalle mura spagnole, permette di reperire tutte le cascine esistenti a questa data, avendone l’autore inserito il relativo nome.

Per l’epoca settecentesca sono utilizzabili le 2387 mappe di campagna del catasto teresiano, redatte tra il 1721 e il 1723 e volute da Carlo VI (anche se poi il complesso lavoro fu terminato solo nel 1760 sotto il governo di Maria Teresa)[9].

La validità degli accertamenti e delle rilevazioni del catasto teresiano durarono fino alla metà dell’Ottocento, quando venne sostituito dal nuovo catasto per il Lombardo-Veneto.

L’analisi si chiude con la carta edita dal tenente Giovanni Brenna, del 1833-1842[10], raffigurante Milano al centro e il territorio agricolo circostante, esteso a nord fino a Sesto San Giovanni, a est fino a Peschiera, a sud fino a San Giuliano/Quinto de Stampi, ad ovest fino al borgo di Seguro.

Giovanni Battista Claricio: Carta dei dintorni di Milano per il raggio di 5 miglia di braccia milanesi

 

Le cascine e loro localizzazione

La cascine sono presentate in base alla loro ubicazione territoriale, partendo da Nord in senso orario.
Clicca sul nome della cascina per vedere l'immagine dall'alto tratta dal sito http://maps.live.com

 

A nord di Milano

Villa LonatiCascina Villa Lonati (via Benefattori dell’Ospedale)

Nel catasto teresiano compare una corte chiusa, di probabile origine quattrocentesca, denominata “cassina Lunara” appartenente ai fratelli Lonati. Nel catasto lombardo-veneto compare invece con l’attuale denominazione.

Il complesso è composto da una villa padronale con altana, specie di torretta che permetteva di avere ampia visuale sui campi circostanti, e da tre corpi di fabbrica destinati ad abitazioni dei salariati e a rustici con stalle.

Esternamente alla corte, seppur appoggiata alla villa, si ha una piccola chiesa di origine settecentesca con campanile.

 

A est di Milano

Mulino TorretteMulino Torrette (viale Marotta)

Cascina con annesso mulino, è una costruzione di pregevole fattura che appare già nella carta del 1600 del Claricio. La sua esatta estensione e planimetria è ben apprezzabile nei rilievi del catasto teresiano, dove è rappresentata come due corpi di fabbrica, separati dallo scorrere di un ramo del Lambro, detto Roggia Molina (intensamente sfruttata anche da altri mulini, come vedremo più innanzi), le cui acque appunto azionavano le ruote (almeno due, ma forse quattro) dei mulini. I due corpi di fabbrica risultano uniti da un passaggio coperto porticato a ponte sulla roggia. A completamento della struttura, ulteriori corpi di fabbrica destinati a rustici e stalle.

Per lungo periodo ne fu proprietario l’Ospedale maggiore, in seguito a lascito della famiglia Biumi.

 

Cascina BibliotecaCascina Biblioteca (via Casoria)

Rappresentata già nelle mappe del catasto teresiano, deriva il curioso nome dal fatto di appartenere alla Biblioteca Ambrosiana, e appariva a corte chiusa da due edifici e da un restante muro di recinzione. Il muro lascia spazio ad ulteriori edifici a partire dalla rappresentazione contenuta nelle mappe del catasto lombardo-veneto.

Si segnala per essere un chiaro esempio di tipologia classica: la casa del fittabile, la stalla porticata, l’edificio dei salariati con ballatoio per gli accessi alle stanze del piano superiore, l’edificio dei rustici destinati a magazzino per le attrezzature.

 

Cascina San GregorioCascina San Gregorio (viale Turchia)

Prima ancora di apparire nella carte del 1600 del Claricio, il vasto complesso agricolo risulta su una mappa cinquecentesca della pieve di Segrate.

Tuttavia solo nel catasto lombardo-veneto appare il completamento delle costruzioni, che finalmente danno vita al classico impianto a corte chiusa, con vastissima aia centrale.

L’edificio più pregevole è quello del fittabile, di chiaro impianto padronale: costruzione settecentesca, è dotata di portico a due colonne. Sul tetto, una campana per scandire i momenti della vita lavorativa nei campi.

 

Mulino San Gregorio (via Van Gogh)

Ad ovest della precedentemente descritta cascina San Gregorio (dalla quale è oggi purtroppo separata dalla tangenziale), e poco più a sud del mulino torrette, sulla medesima roggia Molina, si trova questa costruzione, un tempo edificio del tutto complementare al primo nei processi agricoli di trasformazione.

 

Cascina MelgheraCascina Melghera (via Crescenzago)

Nella carta del 1600 del Claricio appare come “cassina Malghere”, forse derivando il nome da meliga (saggina). Solo a metà ottocento appare come edificio a corte chiusa.

La sua pregevole fattura (fatta di lesene e di portali in cotto) andò lentamente deteriorandosi a partire dal 1930, quando l’apertura della via Feltre ne comportò un parziale abbattimento (edifici del lato sud) e un sostanziale stravolgimento delle proporzioni architettoniche.

 

Cascina RosaCascina Rosa (via Golgi/via Vanzetti)

Questa imponente cascina di probabile origine cinquecentesca, apparirebbe per la prima volta rappresentata nella carta del 1600 del Claricio, se si prende per buono il fatto che l’autore l’avesse disegnata attribuendole un diverso nome. Deve il suo nome al fatto di essere appartenuta alla famiglia spagnola dei marchesi di Rosales.

Nel catasto teresiano appare come l’insieme di una corte chiusa a est, e di un edificio padronale ad ovest. Nell’ottocento gli edifici che la compongono risultano aumentati di numero: in totale si contavano, oltre alla villa, il fienile, le case dei salariati, il granaio, le stalle. Ovunque archi in cotto e volte a botte, affreschi e il bel portico della villa padronale.

 

Cascine Villa Landa e Case NuoveCascina Villa Landa e cascina Case Nuove (via Corelli)

Cinquecentesca la prima, appare nella piante della pieve di Segrate, secentesca la seconda, che compare per la prima volta nella carta del 1600 del Claricio.

 

 

 

Cascina CasanovaCascina Casanova (via Taverna)

Appare a partire dal Cinquecento nella mappa della pieve di Segrate come edificio agricolo fortificato. Nel catasto lombardo-veneto risulta lambita, per tre lati, da una roggia.

 

 

 

Mulino Codovero (viale Forlanini)

Sfruttava il corso della roggia Molina (un ramo del Lambro, altre volte detta Lambretto), come più a nord facevano i già citati mulini Torrette e san Gregorio.

La sua esistenza è documentata fin dal XVII secolo, e risulta in un atto di vendita in favore del Monastero milanese di Santa Maria delle Grazie.

Il complesso fu edificato su un piccolo isolotto formatosi dalla biforcazione di detta roggia, cosicchè si contano ben quattro edifici, a due a due divisi dallo scorrere dei corsi d’acqua, il cui sfruttamento era garantito da quattro ruote idrauliche.

Completavano il tutto alcuni edifici rustici.

In tempi moderni, la demolizione di un corpo di fabbrica, la deviazione della roggia, la costruzione dello svincolo di viale Forlanini ne hanno decretato la morte.

 

Cascina CavrianaCascina Cavriana (via Cavriana)

La località Cavriano è attestata già nel 1014, come nucleo rurale ad est di Milano, che nella carta secentesca del Claricio prima, e in quella del catasto teresiano poi, appare identificabile come un insieme di più corti aggregate attraversate dalla strada che collega Monluè a Lambrate.

L’edificio di spicco è la villa padronale porticata ad archi, sopra i quali peraltro campeggia lo stemma dell’Ospedale maggiore (la colomba con il ramoscello d’ulivo), ente proprietario del vasto complesso agricolo. Gli altri edifici sono quelli tipici: abitazioni dei salariati, stalla con sovrastante fienile, rustici.

La cascina Cavriana

La cascina Cavriana

 

Cascina sant'AmbrogioCascina sant’Ambrogio (via Cavriana)

Posta poco più a sud della già menzionata cascina Cavriana, questa piccola struttura agricola nacque inglobando i resti di una chiesetta di campagna in stile romanico di origine trecentesca, della quale è rimasta la zona absidale in mattoni a vista.

L’edificio religioso apparteneva alle monache milanesi di Santa Redegonda, ed era annessa ad un altrettanto piccolo monastero. Oltre a tali costruzioni, già dalla carta del Claricio risultano ulteriori rustici. L’abside era affrescata con elementi religiosi ora scomparsi, anche in conseguenza dell’uso che della stessa se ne fece a partire dall’Ottocento: una fresca ghiacciaia[11].

 

Cascina MonluèCascina Monluè (via Monluè)

La località di Monluè era dominata da una fiorente abbazia fondata nel XIII secolo dagli Umiliati di Santa Maria di Brera. L’opera di bonifica portata avanti dai volenterosi monaci rese la zona, anticamente paludosa, alquanto appetibile dal punto di vista agricolo, ragion per la quale attorno al complesso religioso si sviluppò un nucleo agricolo di vaste dimensioni.

Del primitivo aspetto monastico sopravvivono oggi la chiesa dedicata a San Lorenzo e parte di un chiostro.

Nel catasto teresiano l’area è descritta come un vasto complesso che raggruppa gli edifici tipici della vita contadina non nettamente distinti da quelli religiosi (tipico invece delle abbazie cistercensi).

La cascina venne dotata di un mulino azionato dalle acque del Lambretto, di un forno, di una porcilaia e delle abitazioni dei salariati.

 

A sud di Milano

Cascina Tre RonchettiCascina Tre Ronchetti (via Pescara)

Inserita in un vasto borgo agricolo detto Tre Ronchetti (poi Ronchetto delle rane), appare nel catasto teresiano costituita da una chiesetta e da quattro edifici a forma di L. Nel catasto lombardo-veneto appare a corte chiusa, dove gli edifici più rappresentativi sono la dimora padronale porticata e la casa a ballatoio per i salariati, sormontata da una torretta di avvistamento e di sorveglianza dei campi circostanti.

 

Cascina BasmettoCascina Basmetto (via Chiesa Rossa)

Vasta cascina a corte chiusa, si hanno notizie della sua presenza fin dal 1400, quando apparteneva al monastero di San Barnaba al Gratosoglio. Passò poi al cardinal Cusani, come risulta dal catasto teresiano. Solo nella raffigurazione del catasto lombardo-veneto appare tuttavia a forma chiusa e regolare, simmetrica nel suo impianto.

Centralmente nell’edificio nord si trova la casa padronale, porticata con terrazzo superiore; alla sua destra e alla sua sinistra, l’edificio si completa con ulteriori abitazioni. I restanti tre lati della corte sono costituiti da altre abitazioni per i salariati, da una imponente stalla e da fienili.

Esternamente alla corte si trovano la porcilaia e la letamaia, per ovvie ragioni igieniche.

 

Cascine S.Marco, S.Marchetto, S.MarcaccioCascine San Marco, San Marchetto, San Marcaccio (via San Marchetto, zona Barona)

Queste tre cascine, le prime due oggi ancora funzionanti[12] grazie al fatto di essere inserite nel Parco agricolo sud, sorgono attorno alla piccola chiesa campestre di San Marchetto, o San Marco alla Barona, della metà del Cinquecento, e da questa prendono con tutta evidenza il nome.

Le cascine, seppur di non facile collocazione storica dato il loro cambiamento di nome lungo i secoli, dovrebbero essere di epoca secentesca. Nella carta del Claricio del 1600, nella zona oltre alla chiesetta è raffigurata tuttavia un’unica cascina col nome di San Marco al Boscho.

 

Cascine Moncucco e MonterobbioCascina Moncucco (via Moncucco)

Già “cassina monchucco” nella carta del Claricio, la forma di corte appare col catasto teresiano, corte che si chiude tuttavia solo all’epoca della stesura della carta del catasto lombardo-veneto.

È caratterizzata dall’edificio padronale e dal mulino, azionato dalla roggia Boniforte, derivata dal Lambro meridionale. Il nome deriverebbe dal latino mons cucus, cioè piccolo rilievo del terreno.

La zona era famosa in quanto vi sorgeva una villa agreste appartenente ai Bolagnos, poi ceduta ad un’eccentrica principessa del Galles, assai nota tra la mondanità milanese dell’epoca.

 

Cascina Monterobbio (via Moncucco)

Poco a sud della cascina Moncucco, questa struttura agricola appare nella cartografia del catasto teresiano come un unico fabbricato, sormontato da un’altana. Solo in seguito tale edificio risultò essere l’elemento separatore tra le due corti che si erano venute a formare, e visibili nel catasto lombardo-veneto.

Sulla prima corte si affacciano gli edifici di abitazione, mentre sulla seconda quelli adibiti a stalle e fienili.

 

A ovest di Milano

Cascina Ronchetto sul NaviglioCascina Ronchetto sul Naviglio (via Merula)

Poco distante dal naviglio grande, l’abitato agricolo di Ronchetto appare nitidamente sulla mappa cinquecentesca della pieve di Cesano, e appare conseguentemente raffigurata nella carta del 1600 del Claricio.

Nel catasto teresiano il borgo è un insieme di edifici agricoli posti attorno ad una piazza, e la cascina ne chiude lo spazio a sud, già raffigurata come a corte chiusa. A sua volta, la zona sud della cascina è raffigurata quale giardino: il complesso infatti era la cinquecentesca villa della famiglia Corio (quella dello storico Bernardino), voluta ed abbellita da Giovanni Antonio Corio, capitano delle guardie di Giovanni Maria Visconti. Nel 1537 un membro della famiglia elesse stabile dimora nella tenuta del Ronchetto, in quanto impresario del Naviglio Grande per la riscossione delle gabelle relativa alle merci ivi in transito, nonchè delle tasse sul sale.

Successivamente, il complesso passò ai Durini di Monza, che intrapresero lavori di miglioria tuttavia mai portati a completamento.

Nel catasto lombardo-veneto alla corte primitiva se ne affianca un’altra. L’edificio padronale, porticato, presenta affreschi sul soffitto dell’androne e nelle lunette.

 

Cascina Guascona (fuori Muggiano, direz. Trezzano s/N)

Grande complesso agricolo, è costituito da due cortili chiusi tra loro comunicanti: il più piccolo e più antico, una sorta di corte fortificata, è allietato dalla casa padronale, mentre il secondo e più spazioso è l’aia sulla quale si affacciano le case dei contadini e tutti gli edifici tipici del lavoro agricolo: stalle, fienili, magazzini.

Del borgo fortificato si ha la prima attestazione nel 1472: si tratta di un documento nel quale si dà notizia del fatto che il canonico di santa Maria Fulcorina attesta d’aver ricevuto denaro quale corrispettivo di affitti da Giovanni Antonio da Guasconibus di porta Vercellina per terreni e immobili situati in Muziano (oggi Muggiano) della plebe di Cesano.

Nella prima metà del secolo XVI era la residenza prediletta dei conti di Caravaggio. Il palazzetto padronale era una “casa da nobile”, il che significa che la famiglia vi risiedeva stabilmente o che comunque l’aveva eletta quale residenza estiva.

La presenza di nobiltà si nota dalla ricercatezza del portale d’ingresso e da un camino del piano terra, entrambi adornati con stemmi nobiliari di famiglia.

La cascina era dotata di due mulini situati a poca distanza, alimentati dalla roggia del fontanile Bergonzino. Completava il borgo una piccola chiesa per le funzioni festive, officiate da sacerdoti provenienti da Cesano.

Nel dopoguerra l’ultimo proprietario decise di alienare la cascina vendendola a più persone sino ad allora affittuarie, di fatto smembrando il complesso in tante, piccole, aziende agricole indipendenti.

Attualmente mantiene parzialmente una funzione agricola, senza tuttavia l’allevamento di bestiame.

 

Cascina CretaCascina Creta (via Saint Bon)

Ormai demolita, occupava quest’area almeno dal 1659, risultando inserita nella carta del Claricio, nella sua seconda edizione. Appare ben delineata nella carta del censimento del comune di Sellanuova del 1770, e risulta appartenere al monastero maggiore della Vittoria. La strada campestre d’accesso iniziava sull’attuale via forze armate. L’origine del nome (in dialetto, la Crea) dovrebbe ricercarsi nel fatto che la zona era ricca di terreno argilloso, e in più parti attorno ai campi di pertinenza erano presenti cave per estrarre l’argilla.

La cascina era circondata dalle acque del fontanile della Crea, che irrigava le colture tutt’attorno. Le abitazioni della cascina potevano dunque essere raggiunte scavalcando apposite ponticelle. Tale percorso della roggia, a mo’ di piccolo fossato, farebbe pensare ad una cascina in origine fortificata.

Sul finire degli anni trenta l’attività venne spostata nella nuova struttura agricola costruita accanto, e denominata Creta Nuova (inaugurata nel novembre ’37, con strutture all’avanguardia).

Così la Creta vecchia fu prima abbandonata, poi occupata nel dopoguerra da sfollati e successivamente, nel boom economico, da immigrati senza casa. Terminò la sua agonia tra la fine degli anni ottanta e l’inizio degli anni novanta, quando fu completata la sua demolizione.

Poco distante, sulla via Bisceglie, si trovava la cascina Sgualginasco, ora scomparsa, e la cascina Garegnano, di proprietà dello stesso monastero maggiore della Vittoria.

Tutta la zona perse la vocazione agricola nel dopoguerra, quando venne interessata dalle cave di ghiaia e sabbia (dette lago di Garegnano) utilizzate per il materiale edile atto alla ricostruzione di Milano[13].

 

Cascina Arzaga (via Arzaga)

Una delle più pregevoli e grandi cascine dell’area ora occupata dal comune di Milano, demolita per fare spazio alle nuove strutture abitative nel 1960.

Era costituita da due grandi cortili comunicanti tra loro: nel primo si trovavano l’aia, la chiesa, la casa padronale e l’edificio ad U con gli alloggi dei contadini, caratterizzati da suggestivi archi a sesto acuto. Vi si accedeva da un grandioso portale anch’esso a sesto acuto.

Il secondo cortile era adibito all’attività agricola: le stalle, le scuderie, i fienili, i depositi di attrezzi e macchinari, e aveva sbocco sui campi. Il cortile era abbellito da un monumentale abbeveratoio, la cui acqua proveniva dal sottosuolo, pompata da pompe a stantuffo.

L’area era irrigata dalla roggia Castelletto (che dava peraltro il nome alla zona e ad un’altra cascina, la Castelletto, un tempo ubicata tra le vie Forze Armate e Anguissola) che principiava dal fontanile che sgorgava dove oggi si trova piazzale Siena[14].

 

Cascina Lorenteggio (via Lorenteggio 251)

Questa cascina sorgeva fin dall’epoca viscontea nella località detta almeno dal 1005 Laurentiglio, ed era posizionata in zona leggermente rialzata, tant’è che fino al  Cinquecento era una sorta di fortino. Nel XVII secolo alla struttura agricola venne aggiunto il palazzotto signorile dei Durini, che erano entrati in possesso del fondo prima dei Corio.

A metà del Settecento l’intero territorio divenne Comune a se stante, in mano ai Durini, al monastero di San Vittore, e a Renato Borromeo.

La zona cessò di essere comune autonomo con l’annessione prima al comune di Corsico, e poi definitivamente al comune di Milano nel 1923.

Del tutto demolita la parte agricola a partire dagli anni sessanta e settanta, oggi rimane solo il palazzo Durini.

 

Cascina Barocco (via fratelli Zoia 218)

Di origini medievali e comunque con certezza citata nel 1345 dal Porro Lambertenghi negli Statuti della acque e delle strade del contado di Milano, la si incontrava uscendo “lungo la strata per Bagio comenzando al ponte de la Preda” cioè prendendo, da piazza de Angeli, la via Trivulzio dopo aver superato il ponte sull’Olona.

Appartenne ai luoghi pii elemosinieri della Misericordia e poi agli Archinto.

Circondata da marcite alimentate dal fontanile della Misericordia, aveva grandi stalle per allevamenti di bovini ed equini. Al suo interno funzionava un’osteria di antica fondazione, nei tempi del dopoguerra detta Speranza e famosa per l’annessa balera.

Parzialmente scomparsa, sopravvive oggi solo l’osteria e parte del caseggiato ospitante gli alloggi dei contadini, col bel portale sormontato dalla croce dell’ordine dei templari.

 

Cascina MeriggiaCascina Meriggia (via Budrio)

Il primo documento che ne attesta l’esistenza è un catasto del 1555, dove appare estesa soprattutto per quanto riguarda le pertiche di terreno annesso. Appartenendo alla famiglia Sfondrati, era detta anche cascina Sfondrata.

Dotata fin dal Settecento di casa padronale, questa si affaccia su un cortiletto quadrato, arricchito da una chiesetta con torre campanaria. Sull’altro cortile si affacciano gli edifici agricoli e i rustici.

Il palazzo padronale era adornato da numerosi affreschi e allietato, sul retro, da un ampio giardino.

Fortunatamente il complesso è stato recentemente ristrutturato ed è adibito a centro ippico nonchè centro per il ricovero dei cavalli della polizia locale milanese.

 

Cascina Moiranino (via Cusago)

Assieme alle altre due cascine che descriveremo di seguito, forma un importante nucleo agricolo a cavallo della via ora chiamata Cusago, un tempo direttrice preferenziale che da Baggio usciva nel contado per raggiungere, passando per il borgo di Assiano, l’antico abitato di Cusago, sorto attorno ad uno dei castelli preferiti da casa Visconti soprattutto per i soggiorni estivi.

Questa cascina, delle tre della zona, è senz’altro la più recente, essendo sorta all’inizio del 1800 con una struttura ad U rovesciata.

 

Cascina Assiano (via Cusago)

Questa vasta cascina, come la precedente sorta sulla direttrice per Cusago, ha origini antichissime: con buona probabilità si tratta di un complesso agricolo di epoca romana, detto Axilianum.

Di sicuro, ne è attestata l’esistenza fin dal 1045, quando una sentenza riconosce alla basilica di Sant’Ambrogio la proprietà di alcuni beni appartenenti in zona.

Il complesso è composto da tre corti chiuse, e nei secoli a noi più vicini erano gestite da proprietari diversi.

Gli estesi campi di pertinenza erano irrigati sia dal fontanile Gandola, sia dal corso d’acqua che nasce dal fontanile san Martino, ubicato nella cantina di una della case padronali, al fine di sfruttarne la temperatura costante di circa dieci gradi per la conservazione, nel locale costruito attorno, di alimenti quali formaggi ed insaccati.

Lo stato di conservazione è differente a seconda degli attuali proprietari: la parte in mano privata è attualmente in discrete condizioni, essendo a tutt’oggi in funzione una grossa azienda agricola; la parte pubblica di pertinenza dell’Aler versa in totale stato di abbandono e alcune strutture sono già collassate.

 

Cascina Moirano (via Cusago)

La terza cascina a cavallo della strada che unisce Baggio a Cusago (quella che veniva quindi percorsa dei Visconti per raggiungere il castello di Cusago, e difatti detta un tempo via Ducale) affonda le radici anch’essa in epoca romana, ma la prima documentazione scritta e quindi sicura è della fine del secolo XI, quando apparteneva alla canonica di Sant’Ambrogio.

La sua struttura è a corte chiusa ma asimmetrica, con un corpo di fabbrica centrale che quasi divide la grande aia in due diversi cortili.

Alquanto degradata fino all’anno scorso, dal 2006 sono iniziati importanti lavori edilizi per riconvertire l’intero complesso in una struttura capace di circa settanta appartamenti, tenendo in piedi, purtroppo, soli i muri perimetrali nel rispetto delle cubature originali. Un altro monumento dell'agricoltura padana che sicuramente meritava maggiore attenzione.

 

Cascina Molino del Paradiso o BraschettaCascina Molino del Paradiso o Braschetta (via Mosca 118, loc. Muggiano)

Si trattava fin dalla sua fondazione di un casale con annesso mulino, che ebbe origine probabilmente nel corso del XIII, e dovette appartenere inizialmente ad enti religiosi o a ceti nobiliari.

Di certo sappiamo che un documento del 1465 parla del suo proprietario, un certo Johannes De Braschis, che diede poi il nome al complesso agricolo e ad una roggia limitrofa, detta infatti Braschettino.

La ruota molinaria era alimentata però da un’altra roggia, la Sant’Agnese, la cui testa di fontanile si trova a Seguro. Dopo numerosi passaggi di mano, l’intera proprietà finì ad un Visconti di Modrone, che lasciò traccia di sè abbellendo alcune stanze ed in particolar modo facendo costruire un imponente camino. Successivamente nel 1802 anche i Visconti di Modrone cedettero la proprietà, che poi rimase a lungo nelle mani di un possidente della zona di Baggio, l’avvocato Giacomo Gianella.

Attualmente, dopo i mutamenti degli anni Sessanta, sopravvive come allevamento di bovini e cavalli da carne.

 

Cascina Brusada o Bruciata (via Caprilli)

Appare già rappresentata nella carta del Claricio del 1600, e come riportato dalla cartografia del catasto teresiano, era di proprietà della famiglia Stampa.

Nel periodo di sua massima espansione, era costituita dalla villa padronale di chiara impronta settecentesca e da edifici rustici su altri tre lati, formando così il classico impianto a corte chiusa.

Nell’Ottocento ospitava la “Osteria de la brusada” ove si narra vi trovò ristoro Napoleone al termine di una battaglia.

Il declino dal punto di vista agricolo si ebbe con la costruzione dell’ippodromo di San Siro, tanto che le stalle furono riattate in scuderia. Il colpo di grazia le fu inferto tuttavia dalla seconda guerra mondiale, e dalle sconsiderate demolizioni degli anni sessanta con relativa inurbazione in quartieri residenziali.

 

Cascina Boldinasco (via De Lemene)

Appare come una serie di costruzioni agricole nella edizione della carta del Claricio del 1659, tutte raggruppate sotto l’unico nome di Boldinascho. Il piccolo nucleo agricolo era formato da due cortili chiusi circondati da 98 ettari di terreno.

La sua attività agricola (che peraltro raggiunse notevole rinomanza, essendo la base operativa della “Fattoria sperimentale Lamberti”, che a cavallo delle due guerre vantava le tecniche e i macchinari più moderni in fatto di sfruttamento dei terreni e della zootecnia) cessò nell’immediato dopoguerra, quando dai suoi campi venne estratta la sabbia e la ghiaia per ricostruire la città bombardata.

Al termine di tale sfruttamento, l’immensa cava così formatasi venne ricoperta coi detriti delle costruzione devastate dalle incursioni aeree, e nacque così la montagnetta di San Siro.

 

Cascina SellanuovaCascina Sellanuova (via Sellanuova)

Antico possedimento dei primi signori di Milano, i Torriani, a seguito della loro caduta ad opera dei Visconti, il nucleo agricolo Sala nova (dove sala indicava un possedimento signorile con depositi alimentari) passò ai nuovi signori, e risulta infatti di proprietà di Gian Galeazzo.

Il fondo agricolo così individuato, peraltro alquanto esteso, passò poi, dopo varie peripezie, ai conti Archinto ed infine ai Bagatti Valsecchi.

Nel catasto teresiano risulta abbellita da un parco all’italiana, essendo con gli Archinto divenuta residenza estiva di campagna. Molto caratteristico è l’edificio progettato per la porcilaia, costruito con il tetto a doppio spiovente, al fine di una corretta circolazione dell’aria.

Il nucleo di Sella nuova e le case sorte attorno formavano, assieme ad altre cascine della zona, il comune autonomo di Sellanuova, poi sciolto nel 1869 per confluire, variamente ripartito, nei tre comuni di Baggio, Cesano Boscone, Trenno ed Uniti (il primo e l’ultimo, in seguito, annessi al comune di Milano).

La cascina oggi appare mutilata delle case dei contadini, demolite per lasciare posto a palazzi residenziali, la cui costruzione ha del tutto snaturato la vocazione agricola della zona.

Il camino che ornava l’edificio padronale venne dai Bagatti Valsecchi rimosso e riposizionato nel loro edificio cittadino di via Santo Spirito.

Non distante, ed inserita nel medesimo contesto agricolo, si trova la cascina Cascinazza, con pregevole edificio per i salariati e villa padronale.

 

Cascina MonasteroCascina Monastero (via Anselmo da Baggio)

Il suo nucleo primitivo è da ricercarsi nel monastero quattrocentesco che Balzarino da Posterla, genero di Matteo Visconti, fece costruire e poi donò ai monaci Olivetani, scegliendo la località di Baggio in quanto vicina a Milano e adeguatamente protetta anche dal non lontano castello di Cusago. Il monastero vide col tempo accrescere sia la sua fortuna sia la sua estensione, in quanto vennero a circondarlo rustici e abitazioni di contadini.

Ne risultò così un complesso formato da tre corti chiuse, una sola però agricola; la chiesa ne risulta esterna. Il complesso era abbellito da un vasto giardino e comprendeva una importante ghiacciaia.

 

Cascina CornacchiaCascina Figinello o Cornacchia (via Molinetto, zona Figino)

Struttura agricola di origine remota, con molta probabilità si trattava inizialmente di una grangia dei monaci Benedettini. Non lontano, sfruttava un mulino azionato dalla roggia nascente dal fontanile Olonella.

Il cortile più antico, che nei secoli venne affiancato da altri due, è caratterizzato da colonne in granito e archi in mattoni, e vi spicca un piccolo campanile.

Il nome attuale di cascina Cornaccia è da ricercarsi nel nome dei proprietari, che dal tardo Settecento furono i conti Cornaggia, i quali oltre ad utilizzarla come rendita agricola, godevano nei tempi estivi della frescura campestre. Ebbero modo di entrarne in possesso in seguito alle soppressioni di enti religiosi effettuate dalla Cisalpina, che poi mise in vendita i beni così requisiti per incamerare soldi da inviare in Francia.

Nel 1721, tuttavia, risulta in proprietà dei padri Trinitari Scalzi di Monforte, mentre all’inizio del Novecento era della famiglia Casati Brioschi, che durante la prima guerra mondiale la frazionò cedendola a più famiglie di agricoltori.

 

Cascina BettoleCascina Bettole (via Novara 543, sul tracciato precedente il 1990)

Grande struttura agricola cinquecentesca, risulta censita per la prima volta nel 1605, durante la visita pastorale di san Carlo Borromeo alla pieve di Trenno.

Nel 1721 appare rappresentata in una carta catastale di Figino, mentre in un’altra del 1836 risulta contigua ad una fornace per la fabbricazione di mattoni.

In uno dei due cortili della cascina si trovava una osteria, famosa tra i viandanti diretti a Milano, che qui potevano fare tappa prima di quello che una volta era l’ingresso alla città, attraverso porta Vercellina, distante solo pochi chilometri. Funzionava anche un cambio di cavalli per i servizi di diligenza di linea per Magenta e Novara.

Il luogo era stato prescelto anche per posizionarvi un dazio e una caserma di carabinieri.

Nell’osteria è visibile ancora un imponente camino del XVII secolo, descritto nell’opera Reminiscenze di storia ed arte nel suburbio e nella città di Milano[15].

Attualmente si conserva in mediocri condizioni, mentre l’attività agricola è notevolmente ridotta, tanto più che la variante a più corsie della via Novara (realizzata per i mondiali del ’90) ha di fatto separato la cascina dai suoi campi, unendoli con un modesto sottopasso inadatto ad un eventuale intenso passaggio di macchinari agricoli moderni.

 

Cascina San RomanoCascina San Romano (via Novara)

Si trova presso l’abitato di Quinto Romano (sorto alla quinta pietra miliare sulla strada che da Milano portava a Novara, in direzione del Ticino), e il suo nucleo più antico è databile intorno al XVI secolo, dato che risultano alcuni edifici con tale nome nella carta del Claricio. Non è da escludersi comunque una sua fondazione in epoca romana.

Dalla sua rappresentazione iconografica nel catasto lombardo veneto del 1850 risulta dotata di annessa chiesuola (oggi scomparsa, era dedicata a S.Romano, e venne sconsacrata nel 1939) e appare a corte chiusa da tutti e quattro i lati (mentre oggi è a corte aperta, causa demolizione di alcuni corpi di fabbrica).

L’edificio più pregevole è senz’altro la stalla, porticata verso il cortile, con otto campate di cui sei ad arco a tutto sesto, il soffitto è a volte a botte.

Benchè oggi scomparsa, di pregio doveva essere pure la casa padronale, il cui camino, e lo stemma gentilizio dei Rainoldi sopra scolpito, trovarono posto nella descrizione in Reminiscenze di storia ed arte nel suburbio e nella città di Milano[16].

A poca distanza sorgeva la piccola cascina San Romanello, appartenente alla stressa famiglia Rainoldi, sempre edificata a partire dal XVI secolo, oggi esistente in minima parte (le due realtà agricole facevano parte dello scomparso comune di Malpaga, oggi sono incluse nell'area del Boscoincittà).

 

Cascina CalderaCascina Caldera (via Caldera)

Risalente al 1500, fino al 1596 appartenne ai nobili Rainoldi, un membro dei quali fece erigere una piccola chiesa annessa, dedicata a san Carlo Borromeo. Successivamente, la cascina passò ad un ramo della famiglia, che comunque ne mantenne la proprietà fino al 1753, allorquando passò di mano.

Subì importanti lavori di miglioria ed ingrandimento nel 1843, quando vennero aumentati i posti per i bovini nelle stalle, ed eretti spazi per l’allevamento di maiali e polli in strutture sovrapposte a due piani. Venne anche incrementata la zona dedicata alla lavorazione e stagionatura dei formaggi.

La chiesetta secentesca venne demolita al fine di ingrandire l’entrata alla corte.

 

Cascina Bolla (via Paris Bordone 9)

Poco resta oggi di questa costruzione agricola già ricordata nel 1400 come Osteria, e caratterizzata, in linea coi dettami stilistici dell’epoca, da archi a sesto acuto e finestrelle contornate da formelle in cotto. Per il controllo dell’area circostante era sovrastata da una torretta d’avvistamento.

Di proprietà della famiglia Caimi, a fine Quattrocento venne acquistata dal giureconsulto Giuseppe Bolla, che le diede il nome.

Benchè non siano notizie certe, parrebbe che la struttura agricola fosse meta abituale della cavalcate di Gian Galezzo Visconti, e chi ivi risiedesse addirittura Leonardo nel periodo in cui attendeva alla realizzazione dell’ultima cena in Santa Maria della Grazie.

Il declino arrivò nel Novecento, quando il nuovo piano regolatore ne decretò la demolizione per il passaggio della via Ravizza. Durante il ventennio la cascina venne ceduta prima all’Opera nazionale balilla e poi alla Gioventù italiana del littorio, fino a quando un bombardamento del 1941 la danneggiò gravemente.

La cascina Bolla

La cascina Bolla

 

Cascina MerlataCascina Merlata (via Gallarate)

Contemplata nella carta del Claricio, era localizzata nei pressi del bosco della Merlata, famoso per essere rifugio, oltre che di animali quali lupi, cinghiali e ottima selvaggina, di brigati e delinquenti. Nel bosco operava la famigerata banda del Legorino e dello Scorlino, due criminali che con il loro piccolo esercito derubavano ed uccidevano i viandanti che attraversavano la vasta distesa boschiva. I due furono giustiziati nel maggio del 1566.

La cascina si presenta a forma di U, con il lato privo di costruzioni chiuso da una muratura. Il corpo centrale, porticato, ospitava le case dei contadini dotate di ampi ballatoi, mentre i due corpi laterali erano destinati a fienili e stalle.

Attualmente la situazione è di totale abbandono.

 

 

Bibliografia

 

AA. VV., Cascine a Milano, 1987 (a cura dell’Ufficio editoriale del Comune di Milano);

AA. VV., Ad Ovest di Milano-Le cascine di Porta Vercellina, a cura dell’ass. Amici Cascina Linterno;

L. Chiappi Mauri, Il mondo rurale lombardo nel Trecento e nel Quattrocento, in La Lombardia delle Signorie, 1986;

De Carlo V., Le strade di Milano, 1998;

 

Letture consigliate dall’autore: Barbesta-Bassi-Carera-Cattaneo, Vivere di cascina, 1985.

 



[1] Bonvesin de la Riva, De magnalibus Mediolani, 1288, testualmente scriveva: “...sunt mansiones extraordinarie, quarum quedam molandina, quedam vulgo cassine vocantur, quarum vix possem perpendere numerum infinitum” (Cap. II, numero X).

[2] Nel Milanese, una pertica equivale a 654,52 metri quadrati.

[3] Naturalmente, torchi e mulini erano presenti anche in città, dentro le mura, anche se le loro funzioni potevano non essere legate all’agricoltura. Ancora oggi alcuni toponimi viari ricordano la presenza di questi manufatti: si pensi alla via Molino delle armi (dove appunto i mulini mossi da naviglio interno erano utilizzati per la preparazione di armi), oppure alla via del torchio, al Carrobio di Porta Ticinese. Ricordava sempre Bonvesin de la Riva che i mulini in città “...plura nonagentis sunt numero, cum suis rotis” (De magnalibus..., cap. IV, numero XIIII).

[4] All’atto delle soppressione di enti ecclesiastici, ad esempio, la Repubblica Cisalpina faceva seguire l’esproprio dei loro possedimenti, che successivamente metteva in vendita per ricavarne denaro sonante, necessario per il pagamento delle spese delle truppe e per inviarlo in Francia. Con esborsi spesso vantaggiosi, molte famiglie nobili poterono così di fatto acquistare fondi ed immobili precedentemente ecclesiastici.

[5] Dal fittavolo dipendevano tre figure fondamentali nella rigida gerarchia lavorativa delle cascine: il capo casaro, responsabile tecnico dei lavori caseari, colui il quale dirigeva la lavorazione di tutti i prodotti derivati dal latte; il capostalla, responsabile degli allevamenti di animali quali le vacche, i manzi, i cavalli; il fattore, che sovrintendeva i lavori dei campi, i tempi tecnici, la distribuzione dei compiti per meglio sfruttare i terreni coltivati di competenza. Ognuna di queste tre figure aveva poi sotto di sè numerosi lavoratori, più o meno specializzati. Si tenga presente che in cascine medio-grandi, erano presenti circa una sessantina di lavoratori, che con le loro famiglie, portavano a circa due/trecento gli abitanti di queste vere e proprie cittadelle agricole.

[6] Nel 1895, seppur a proposito della situazione delle campagne cremonesi, il Vescovo di Cremona, mons. Bonomelli, dopo alcune visite pastorali nelle varie cascine della diocesi, ebbe modo di osservare: “Con meraviglia e non senza pena ne vidi (di case dei contadini, NDA) di molte anguste, senza luce, senza soffitti, senza vetri, difese da impannate di carta, prive d’aria, prive di pavimento, colle pareti nere, scrostate...buche, tane...dai tetti gronda acqua, mentre in estate quelle famiglie bruciano dal calore, vi gelano durante l’inverno...”.

[7] Entrambe conservate presso l’Archivio della Curia Arcivescovile di Milano, sono disegni a penna su carta a mano, con inchiostro seppia.

[8] Conservata presso le civiche raccolte Bertarelli; la carta ebbe due successive ristampe, nel 1659 e nel 1682.

[9] Catasto teresiano, conservato presso l’Archivio di Stato di Milano, fondo mappe di Carlo VI.

[10] Ten. Ing. Geografo Giovanni Brenna “Dintorni di Milano”, presso le civiche raccolte Bertarelli.

[11] Le ghiacciaie erano abbastanza diffuse presso cascinali e monasteri, e rappresentavano, all’epoca, l’unico modo per conservare le derrate alimentari deperibili senza ricorrere a metodi quali l’essicazione o la conservazione in sale o nell’aceto. La ghiacciaia era un piccolo vano, spesso scavato nel sottosuolo, nel quale veniva immagazzinata la neve durante l’inverno conservandola pressata e protetta da strati di paglia. In tali ambienti venivano poi immessi gli alimenti da conservare durante l’estate.

[12] La cascina San Marchetto, caratterizzata da un allevamento di vacche da latte e circondata da terreni coltivati, risulta essere di proprietà di una società immobiliare in liquidazione. La cascina ed i terreni annessi andranno all’asta nei giorni immediatamente prossimi alla chiusura redazionale di questo testo. La relazione tecnica estimativa commissionata dal liquidatore giudiziario (recentemente aggiornata) ha determinato che il valore dell’intero complesso dovrebbe aggirarsi sui 4.133.000 euro (si tratta di un terreno di 448.000 mq sul quale insiste il fabbricato agricolo, costituito da stalla di mq 190, due edifici abitativi di mq 190 + mq 220, alcuni rustici e depositi e aia centrale di mq 3.070). La perizia sottolinea infine che, essendo in zona consentita solo l’attività agricola e similare, sarebbe più remunerativo convertire la cascina ad un’attività di agriturismo. Il futuro di un’altra cascina milanese appare quindi molto incerto.

[13] Dalle cave della zona partivano i curiosi trenini dai numerosissimi vagoncini, che scaricavano al deposito di via Peruchetti, (ma altri percorsi rotabili conducevano ad altrettanti depositi cittadini, come quello di via Olivieri) da dove i costruttori potevano prelevare la quantità di sabbia e ghiaia loro necessaria e caricarla su carri e camion. La vasta zona escavata ora non esiste più, riempita alla bell’e peggio con materiali di scarto e oggi occupata da sfasciacarrozze e parcheggi di veicoli pesanti.

[14] In anni recenti, la roggia Castelletto finì col divenire un collettore fognario (che oggi porta verso sud gli scarichi di questa popolosa zona di Milano). Ulteriore acqua era data dalla roggia Patellana, che proveniva dal fontanile omonimo sito a Settimo Milanese.

[15] Carlo Fumagalli, Diego Sant’Ambrogio, Luca Beltrami, Reminiscenze di storia ed arte nel suburbio e nella città di Milano, volume III, 1892.

[16] V. nota 11.

 

Ultima modifica: domenica 23 settembre 2007

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