Introduzione storica
Genesi ed evoluzione della “cascina”
A partire dal X secolo la presenza di cascine è attestata
nella campagna milanese o addirittura in città: si trattava per lo più di
depositi per prodotti agricoli o fienili, presumibilmente costruiti in
materiale deperibile, come paglia e argilla, e talvolta annessi alle abitazioni
cittadine.
Queste costruzioni, a partire dal XIII secolo, iniziarono a
caratterizzarsi come strutture insediative composite, fatte di edifici di
abitazione e rustici, con una diffusione sempre maggiore, come ebbe modo di
testimoniare anche Bonvesin de la Riva nel 1288.
Ma già nel 1207, ad esempio, le numerose cascine “de la
Bazana” (a sud di Milano, nella Pieve di Cesano Boscone), erano di
proprietà di vecchi ceti aristocratici, e ospitavano i “cassinari” ai
quali era stata affidata la conduzione dei fondi.
La “Compartizione delle fagie”, una fonte fiscale del 1345 riguardante la suddivisione degli oneri tributari
fra tutti i proprietari che avevano possedimenti lungo le strade che dalla
parte meridionale della città si dipartivano verso il contado, costituisce oggi
un riferimento particolarmente prezioso in quanto fornisce un vasto elenco,
seppur parziale, delle cascine situate sul nostro territorio.
Le cascine più vicine alle mura cittadine erano ovviamente
limitate per quanto riguarda lo spazio di terreno a disposizione, come nel caso
delle strutture appena fuori Porta Ticinese, caratterizzate per essere dotate
di sole 60 pertiche di terra, ma
quasi sempre fornite di torchio e mulino.
Allontanandosi progressivamente dalle mura, si potevano
incontrare nuclei di maggior estensione, con una tipologia di coltura anche più
varia, come ad esempio nelle cascine sorte attorno al monastero di San Barnaba
al Gratosoglio, dove si avevano vigneti e cereali.
Sappiamo che nel 1437, il 40% delle 1.526 pertiche
delle cascine di Basmetto, della Crosta e della Torretta, appartenenti al
monastero di San Barnaba, era sistemato a prato irriguo: coltura legata
all’abbondanza di corsi d’acqua e già notevolmente diffusa, con ogni
probabilità, in relazione allo sviluppo dell’allevamento, peraltro non sempre
documentato.
Per quanto riguarda lo schema architettonico e tipologico
delle cascine, sebbene in tutti i trattati di architettura vi fosse sempre una
parte dedicata alla casa contadina e alla azienda agricola (si veda ad esempio
Leon Battista Alberti, Sebastiano Serlio, Andrea Palladio, Vincenzo Scamozzi,
fino alla trattatistica settecentesca del Milizia), non è possibile riferirci a
modelli tipizzati. Possiamo invece parlare di esempi: uno dei meglio
documentati è quello della cascina Roverbella nei pressi di Pantigliate, di
proprietà della famiglia Amiconi. Un documento trecentesco attesta che la
cascina era composta da due grossi corpi di fabbrica, uno dei quali con
orientamento da settentrione a mezzogiorno. Partiamo proprio da quest’ultimo.
Attenendoci a quanto indicato si possono elencare nell’ordine: due camere, la “caminata” o stanza del camino con
portico e con i “solaria de supra”, quattro “cassi di cassina in quibus sunt stabia bestiarum”, cioè
le stalle, che anche nella cascina moderna manterranno il medesimo
orientamento. Dopo le stalle una “caxela”, probabilmente adibita alla trasformazione dei prodotti derivati dal
latte, due grandi camere fornite di portico, un’altra “caminata” con portico e piano superiore. Tutto ciò costituiva un unico blocco edilizio circondato sui tre lati da un fossato, una delimitazione
e al contempo una protezione che si utilizzava molto spesso in alternativa alle
siepi vive o morte.
Alle spalle dell’edificio, oltre il canale, si aveva un
brolo ampio otto pertiche; sul davanti la corte col pozzo e il torchio; in
posizione decentrata, per evitare pericoli di incendio, il forno. A oriente,
perpendicolare al primo, vi era un secondo edificio costituito da “cassi sex cassinae cupati” ossia sei cassi coperti di tegole.
Ai grandi fondi agricoli da loro controllati fin dal XIV
secolo (i Brivio ad esempio nel 1397 ottennero in enfiteusi perpetua le terre
del monastero di Santa Maria di Calvenzano), alcune nobili famiglie milanesi
riuscirono a sommare (alla fine del Settecento) quelli derivanti dagli acquisti
dei terreni degli ordini religiosi soppressi. Proprio così gli Stampa, oltre ai
beni da loro già posseduti in quella zona, entrarono in possesso delle 500
pertiche del soppresso monastero di S. Vittore Grande di Milano.
Accanto a questi grandi proprietari terrieri ed immobiliari,
occorre ricordare come l’impennata dell’organizzazione del lavoro agricolo
dell’area milanese sia una conseguenza dell’affermarsi della figura del
cosiddetto fittavolo. Questi infatti, fino a quel momento intermediario e
appaltatore di fondi, iniziò ad acquisire una mentalità imprenditoriale
gestendo direttamente l’azienda, con contratti novennali, sfruttando lavoratori
salariati, versando un affitto assai elevato ai proprietari, ma diventando di
fatto esso stesso una sorta di potente padrone all’interno della cascina dove,
come ricorda il Cattaneo, i salariati infatti “non conoscono ulteriori padroni”.
Così, nel corso del XVIII secolo, si conclude il processo di
tipizzazione delle cascine dal punto di vista architettonico, tipologico e
funzionale. Gli elementi essenziali che si individuano nella grande azienda
agricola della Bassa sono: le abitazioni (quella dei salariati e quella del
fittabile), i rustici e i locali per la lavorazione dei prodotti. L’impianto
che racchiude tali costruzioni è a corte chiusa, quantomeno su tre lati, ma
spesso anche il quarto lato veniva cintato da un muro. Il portone d’ingresso
poteva trovarsi sia nel muro di cinta, quanto più spesso attraverso il blocco
delle case dei salariati. L’impianto chiuso nacque prevalentemente per motivi
di difesa da possibili furti e razzie, molto frequenti nelle campagne
soprattutto nelle ore notturne. Una volta sprangato il portone, la cascina era
quasi una fortezza.
Esistevano poi numerose vere cascine-fortezze, ovverosia
fortificate con tanto di torri d’avvistamento e ponti levatoi, diffusesi
soprattutto nel ‘400 e nel ‘500.
Solo a partire dalla metà del XIX secolo si abbandonò la
struttura a corte chiusa, anche per l’esigenza di ampliare spesso il numero dei
fabbricati, sulla scorta della diminuzione dei furti e delle violenze nelle
campagne, conseguenza di migliori attività di polizia e di controllo del
territorio da parte dello Stato.
All’interno della corte (come appunto venne a chiamarsi il
complesso della cascina che si affaccia su di un cortile-aia, spazio comune e
collettivo di lavoro) si trovano dunque le abitazioni dei contadini che
occupano un fabbricato a corpo semplice stretto e allungato, privo di qualsiasi
elemento decorativo. Ogni famiglia dispone di un locale con camino a piano
terra, il luogo della vita domestica, e di uno al piano superiore, entrambi
dotati di due finestre giustapposte. Dalla stanza del camino si accede
direttamente al solarium con una ripida scala alla fratesca che verrà eliminata
quando la distribuzione a ballatoio prenderà il sopravvento. Queste abitazioni
definite in alcune consegne d’affitto “cassi di casa”, nella loro ripetitività
seriale assumono quasi la rigidità di un modulo, da 20 a 30 mq per locale, e
sono prive di qualsiasi comodità.
Solo eccezionalmente sono dotate di fornello di cotto e di acquarolo di vivo,
come risulta in una consegna del 1739. La pavimentazione della caminata era
comunemente di terra o in qualche caso di cotto, mentre per il locale
soprastante, lo spazzacà, vengono utilizzati “matoncini, pianele, o gerone”.
Ben differente è la casa del fittavolo o del padrone della
cascina. Ubicata in una posizione che permette un controllo sull’attività
interna dell’azienda, essa spicca sia per la dimensione che per alcuni elementi
architettonici (il portico affacciato sull’aia e spesso una loggia) o
particolari decorativi. I locali che la compongono sono numerosi e il
collegamento fra piano terreno e piani superiori avviene tramite una scala
interna in due andate. Anche i particolari erano curati: lo si deduce da un
documento secondo cui la cucina ha “suolo di cotto e finestre, guarnerio nel
muro con anta, l’acquarolo di cotto buono, camino e fogolaro di cotto”.
Spesso alla casa del fittavolo sono uniti, o quantomeno
prossimi, la caneva (cioè la ghiacciaia), il locale del torchio, le dispense,
la lavanderia, la casa che serve per fabbrica e, poco distante, il forno con
suolo e volto di cotto.
Stalle, fienili, portici, depositi, porcilaie e pollai
vengono comunemente accomunati sotto la denominazione di rustici.
L’elemento che caratterizza le cascine della Bassa è
sicuramente lo stallone delle vacche, lungo da 5 a 12 cassi. Chiusi al piano
terreno e aperti invece nel sovrastante fienile, detto cassina. Sui lati lunghi
si trovano le mangiatoie e le piccole finestrelle e al centro del locale una
corsia di passaggio per espletare i lavori di mungitura e pulizia. La stalla,
per garantire un maggior calore durante l’inverno, è generalmente costruita con
una altezza tanto che “un homo comune non tocchi appena col capo”, come
raccomandava il Falci nel XVII secolo. Verso corte la falda del tetto si
prolunga fino ad appoggiarsi sui pilastri (un portico usato come ricovero per
gli attrezzi o come stalla estiva). Legato alla notevole diffusione della
coltivazione della vite, il locale del torchio è presente di frequente nelle
cascine di area milanese (a partire dal XVI secolo). Lo troviamo quasi sempre
in prossimità della casa del fittavolo che sovrintende direttamente alla
vendemmia e alle successive fasi di vinificazione.
Cartografia storica
L’individuazione delle cascine esistenti in quello che oggi
è il territorio del comune di Milano è ricavabile attraverso lo studio e
l’analisi della cartografia ancora reperibile, leggendo la quale è possibile
non solo localizzare i vari insediamenti (non tutti ovviamente ancora
esistenti), ma anche datare gli stessi, e ciò confrontando le mappe delle varie
epoche al fine di individuare in quale periodo, approssimativamente, una
cascina venne fondata.
Le due mappe più antiche, buona fonte per la
rappresentazione delle campagne attorno a Milano, sono quelle preparate in
occasione delle visite pastorali di Carlo Borromeo a partire dal 1566, che si
svolsero nelle pievi di Segrate e di Cesano.
Visita pastorale di Segrate (particolare, clicca per vedere l'intera pagina)
Visita pastorale di Cesano (particolare, clicca per vedere l'intera pagina)
Nel 1600 venne invece data alle stampe la prima edizione
della carta di Giovanni Battista Claricio, intitolata “carta dei dintorni di
Milano per il raggio di 5 miglia di braccia milanesi”.
Questa mappa, molto dettagliata e con l’indicazione di tutti gli insediamenti
rurali compresi in un territorio che si sviluppava nei sette chilometri di
distanza dalle mura spagnole, permette di reperire tutte le cascine esistenti a
questa data, avendone l’autore inserito il relativo nome.
Per l’epoca settecentesca sono utilizzabili le 2387 mappe di
campagna del catasto teresiano, redatte tra il 1721 e il 1723 e volute da Carlo
VI (anche se poi il complesso lavoro fu terminato solo nel 1760 sotto il
governo di Maria Teresa).
La validità degli accertamenti e delle rilevazioni del
catasto teresiano durarono fino alla metà dell’Ottocento, quando venne
sostituito dal nuovo catasto per il Lombardo-Veneto.
L’analisi si chiude con la carta edita dal tenente Giovanni
Brenna, del 1833-1842,
raffigurante Milano al centro e il territorio agricolo circostante, esteso a
nord fino a Sesto San Giovanni, a est fino a Peschiera, a sud fino a San
Giuliano/Quinto de Stampi, ad ovest fino al borgo di Seguro.
Giovanni Battista Claricio: Carta dei dintorni di Milano per il raggio di 5 miglia di braccia milanesi
Le cascine e loro localizzazione
La cascine sono presentate in base alla loro ubicazione
territoriale, partendo da Nord in senso orario.
Clicca sul nome della cascina per vedere l'immagine dall'alto tratta dal sito http://maps.live.com
A nord di Milano
Nel catasto teresiano compare una corte chiusa, di probabile
origine quattrocentesca, denominata “cassina Lunara” appartenente ai fratelli
Lonati. Nel catasto lombardo-veneto compare invece con l’attuale denominazione.
Il complesso è composto da una villa padronale con altana,
specie di torretta che permetteva di avere ampia visuale sui campi circostanti,
e da tre corpi di fabbrica destinati ad abitazioni dei salariati e a rustici
con stalle.
Esternamente alla corte, seppur appoggiata alla villa, si ha una
piccola chiesa di origine settecentesca con campanile.
A est di Milano
Cascina con annesso mulino, è una costruzione di pregevole
fattura che appare già nella carta del 1600 del Claricio. La sua esatta
estensione e planimetria è ben apprezzabile nei rilievi del catasto teresiano,
dove è rappresentata come due corpi di fabbrica, separati dallo scorrere di un
ramo del Lambro, detto Roggia Molina (intensamente sfruttata anche da altri
mulini, come vedremo più innanzi), le cui acque appunto azionavano le ruote
(almeno due, ma forse quattro) dei mulini. I due corpi di fabbrica risultano
uniti da un passaggio coperto porticato a ponte sulla roggia. A completamento
della struttura, ulteriori corpi di fabbrica destinati a rustici e stalle.
Per lungo periodo ne fu proprietario l’Ospedale maggiore, in
seguito a lascito della famiglia Biumi.
Rappresentata già nelle mappe del catasto teresiano, deriva
il curioso nome dal fatto di appartenere alla Biblioteca Ambrosiana, e appariva
a corte chiusa da due edifici e da un restante muro di recinzione. Il muro
lascia spazio ad ulteriori edifici a partire dalla rappresentazione contenuta
nelle mappe del catasto lombardo-veneto.
Si segnala per essere un chiaro esempio di tipologia
classica: la casa del fittabile, la stalla porticata, l’edificio dei salariati
con ballatoio per gli accessi alle stanze del piano superiore, l’edificio dei
rustici destinati a magazzino per le attrezzature.
Prima ancora di apparire nella carte del 1600 del Claricio,
il vasto complesso agricolo risulta su una mappa cinquecentesca della pieve di
Segrate.
Tuttavia solo nel catasto lombardo-veneto appare il
completamento delle costruzioni, che finalmente danno vita al classico impianto
a corte chiusa, con vastissima aia centrale.
L’edificio più pregevole è quello del fittabile, di chiaro
impianto padronale: costruzione settecentesca, è dotata di portico a due
colonne. Sul tetto, una campana per scandire i momenti della vita lavorativa
nei campi.
Mulino San Gregorio (via Van Gogh)
Ad ovest della precedentemente descritta cascina San
Gregorio (dalla quale è oggi purtroppo separata dalla tangenziale), e poco più
a sud del mulino torrette, sulla medesima roggia Molina, si trova questa
costruzione, un tempo edificio del tutto complementare al primo nei processi
agricoli di trasformazione.
Nella carta del 1600 del Claricio appare come “cassina
Malghere”, forse derivando il nome da meliga (saggina). Solo a metà ottocento
appare come edificio a corte chiusa.
La sua pregevole fattura (fatta di lesene
e di portali in cotto) andò lentamente deteriorandosi a partire dal 1930,
quando l’apertura della via Feltre ne comportò un parziale abbattimento
(edifici del lato sud) e un sostanziale stravolgimento delle proporzioni
architettoniche.
Cascina Rosa (via Golgi/via Vanzetti)
Questa imponente cascina di probabile origine
cinquecentesca, apparirebbe per la prima volta rappresentata nella carta del
1600 del Claricio, se si prende per buono il fatto che l’autore l’avesse
disegnata attribuendole un diverso nome. Deve il suo nome al fatto di essere
appartenuta alla famiglia spagnola dei marchesi di Rosales.
Nel catasto teresiano appare come l’insieme di una corte
chiusa a est, e di un edificio padronale ad ovest. Nell’ottocento gli edifici
che la compongono risultano aumentati di numero: in totale si contavano, oltre
alla villa, il fienile, le case dei salariati, il granaio, le stalle. Ovunque
archi in cotto e volte a botte, affreschi e il bel portico della villa
padronale.
Cinquecentesca la prima, appare nella piante della pieve di
Segrate, secentesca la seconda, che compare per la prima volta nella carta del
1600 del Claricio.
Appare a partire dal Cinquecento nella mappa della pieve di
Segrate come edificio agricolo fortificato. Nel catasto lombardo-veneto risulta
lambita, per tre lati, da una roggia.
Mulino Codovero (viale Forlanini)
Sfruttava il corso della roggia Molina (un ramo del Lambro,
altre volte detta Lambretto), come più a nord facevano i già citati mulini
Torrette e san Gregorio.
La sua esistenza è documentata fin dal XVII secolo, e
risulta in un atto di vendita in favore del Monastero milanese di Santa Maria
delle Grazie.
Il complesso fu edificato su un piccolo isolotto formatosi
dalla biforcazione di detta roggia, cosicchè si contano ben quattro edifici, a
due a due divisi dallo scorrere dei corsi d’acqua, il cui sfruttamento era
garantito da quattro ruote idrauliche.
Completavano il tutto alcuni edifici rustici.
In tempi moderni, la demolizione di un corpo di fabbrica, la
deviazione della roggia, la costruzione dello svincolo di viale Forlanini ne
hanno decretato la morte.
La località Cavriano è attestata già nel 1014, come nucleo
rurale ad est di Milano, che nella carta secentesca del Claricio prima, e in
quella del catasto teresiano poi, appare identificabile come un insieme di più
corti aggregate attraversate dalla strada che collega Monluè a Lambrate.
L’edificio di spicco è la villa padronale porticata ad
archi, sopra i quali peraltro campeggia lo stemma dell’Ospedale maggiore (la
colomba con il ramoscello d’ulivo), ente proprietario del vasto complesso
agricolo. Gli altri edifici sono quelli tipici: abitazioni dei salariati,
stalla con sovrastante fienile, rustici.
La cascina Cavriana
Posta poco più a sud della già menzionata cascina Cavriana,
questa piccola struttura agricola nacque inglobando i resti di una chiesetta di
campagna in stile romanico di origine trecentesca, della quale è rimasta la
zona absidale in mattoni a vista.
L’edificio religioso apparteneva alle monache milanesi di
Santa Redegonda, ed era annessa ad un altrettanto piccolo monastero. Oltre a
tali costruzioni, già dalla carta del Claricio risultano ulteriori rustici.
L’abside era affrescata con elementi religiosi ora scomparsi, anche in
conseguenza dell’uso che della stessa se ne fece a partire dall’Ottocento: una
fresca ghiacciaia.
La località di Monluè era dominata da una fiorente abbazia
fondata nel XIII secolo dagli Umiliati di Santa Maria di Brera. L’opera di
bonifica portata avanti dai volenterosi monaci rese la zona, anticamente
paludosa, alquanto appetibile dal punto di vista agricolo, ragion per la quale
attorno al complesso religioso si sviluppò un nucleo agricolo di vaste
dimensioni.
Del primitivo aspetto monastico sopravvivono oggi la chiesa
dedicata a San Lorenzo e parte di un chiostro.
Nel catasto teresiano l’area è descritta come un vasto
complesso che raggruppa gli edifici tipici della vita contadina non nettamente
distinti da quelli religiosi (tipico invece delle abbazie cistercensi).
La cascina venne dotata di un mulino azionato dalle acque
del Lambretto, di un forno, di una porcilaia e delle abitazioni dei salariati.
A sud di Milano
Inserita in un vasto borgo agricolo detto Tre Ronchetti (poi
Ronchetto delle rane), appare nel catasto teresiano costituita da una chiesetta
e da quattro edifici a forma di L. Nel catasto lombardo-veneto appare a corte
chiusa, dove gli edifici più rappresentativi sono la dimora padronale porticata
e la casa a ballatoio per i salariati, sormontata da una torretta di
avvistamento e di sorveglianza dei campi circostanti.
Vasta cascina a corte chiusa, si hanno notizie della sua
presenza fin dal 1400, quando apparteneva al monastero di San Barnaba al
Gratosoglio. Passò poi al cardinal Cusani, come risulta dal catasto teresiano.
Solo nella raffigurazione del catasto lombardo-veneto appare tuttavia a forma
chiusa e regolare, simmetrica nel suo impianto.
Centralmente nell’edificio nord si trova la casa padronale,
porticata con terrazzo superiore; alla sua destra e alla sua sinistra,
l’edificio si completa con ulteriori abitazioni. I restanti tre lati della
corte sono costituiti da altre abitazioni per i salariati, da una imponente
stalla e da fienili.
Esternamente alla corte si trovano la porcilaia e la
letamaia, per ovvie ragioni igieniche.
Queste tre cascine, le prime due oggi ancora funzionanti
grazie al fatto di essere inserite nel Parco agricolo sud, sorgono attorno alla
piccola chiesa campestre di San Marchetto, o San Marco alla Barona, della metà
del Cinquecento, e da questa prendono con tutta evidenza il nome.
Le cascine, seppur di non facile collocazione storica dato
il loro cambiamento di nome lungo i secoli, dovrebbero essere di epoca
secentesca. Nella carta del Claricio del 1600, nella zona oltre alla chiesetta
è raffigurata tuttavia un’unica cascina col nome di San Marco al Boscho.
Già “cassina monchucco” nella carta del Claricio, la forma
di corte appare col catasto teresiano, corte che si chiude tuttavia solo
all’epoca della stesura della carta del catasto lombardo-veneto.
È caratterizzata dall’edificio padronale e dal mulino,
azionato dalla roggia Boniforte, derivata dal Lambro meridionale. Il nome
deriverebbe dal latino mons cucus, cioè piccolo rilievo del terreno.
La zona era famosa in quanto vi sorgeva una villa agreste
appartenente ai Bolagnos, poi ceduta ad un’eccentrica principessa del Galles,
assai nota tra la mondanità milanese dell’epoca.
Poco a sud della cascina Moncucco, questa struttura agricola
appare nella cartografia del catasto teresiano come un unico fabbricato,
sormontato da un’altana. Solo in seguito tale edificio risultò essere
l’elemento separatore tra le due corti che si erano venute a formare, e
visibili nel catasto lombardo-veneto.
Sulla prima corte si affacciano gli edifici di abitazione,
mentre sulla seconda quelli adibiti a stalle e fienili.
A ovest di Milano
Poco distante dal naviglio grande, l’abitato agricolo di
Ronchetto appare nitidamente sulla mappa cinquecentesca della pieve di Cesano,
e appare conseguentemente raffigurata nella carta del 1600 del Claricio.
Nel catasto teresiano il borgo è un insieme di edifici
agricoli posti attorno ad una piazza, e la cascina ne chiude lo spazio a sud,
già raffigurata come a corte chiusa. A sua volta, la zona sud della cascina è
raffigurata quale giardino: il complesso infatti era la cinquecentesca villa
della famiglia Corio (quella dello storico Bernardino), voluta ed abbellita da
Giovanni Antonio Corio, capitano delle guardie di Giovanni Maria Visconti. Nel
1537 un membro della famiglia elesse stabile dimora nella tenuta del Ronchetto,
in quanto impresario del Naviglio Grande per la riscossione delle gabelle
relativa alle merci ivi in transito, nonchè delle tasse sul sale.
Successivamente, il complesso passò ai Durini di Monza, che
intrapresero lavori di miglioria tuttavia mai portati a completamento.
Nel catasto lombardo-veneto alla corte primitiva se ne
affianca un’altra. L’edificio padronale, porticato, presenta affreschi sul
soffitto dell’androne e nelle lunette.
Cascina Guascona (fuori Muggiano, direz. Trezzano
s/N)
Grande complesso agricolo, è costituito da due cortili
chiusi tra loro comunicanti: il più piccolo e più antico, una sorta di corte
fortificata, è allietato dalla casa padronale, mentre il secondo e più spazioso
è l’aia sulla quale si affacciano le case dei contadini e tutti gli edifici
tipici del lavoro agricolo: stalle, fienili, magazzini.
Del borgo fortificato si ha la prima attestazione nel 1472:
si tratta di un documento nel quale si dà notizia del fatto che il canonico di
santa Maria Fulcorina attesta d’aver ricevuto denaro quale corrispettivo di
affitti da Giovanni Antonio da Guasconibus di porta Vercellina per terreni e
immobili situati in Muziano (oggi Muggiano) della plebe di Cesano.
Nella prima metà del secolo XVI era la residenza prediletta
dei conti di Caravaggio. Il palazzetto padronale era una “casa da nobile”, il
che significa che la famiglia vi risiedeva stabilmente o che comunque l’aveva
eletta quale residenza estiva.
La presenza di nobiltà si nota dalla ricercatezza del
portale d’ingresso e da un camino del piano terra, entrambi adornati con stemmi
nobiliari di famiglia.
La cascina era dotata di due mulini situati a poca distanza,
alimentati dalla roggia del fontanile Bergonzino. Completava il borgo una
piccola chiesa per le funzioni festive, officiate da sacerdoti provenienti da
Cesano.
Nel dopoguerra l’ultimo proprietario decise di alienare la
cascina vendendola a più persone sino ad allora affittuarie, di fatto smembrando
il complesso in tante, piccole, aziende agricole indipendenti.
Attualmente mantiene parzialmente una funzione agricola,
senza tuttavia l’allevamento di bestiame.
Ormai demolita, occupava quest’area almeno dal 1659,
risultando inserita nella carta del Claricio, nella sua seconda edizione.
Appare ben delineata nella carta del censimento del comune di Sellanuova del
1770, e risulta appartenere al monastero maggiore della Vittoria. La strada
campestre d’accesso iniziava sull’attuale via forze armate. L’origine del nome
(in dialetto, la Crea) dovrebbe ricercarsi nel fatto che la zona era ricca di
terreno argilloso, e in più parti attorno ai campi di pertinenza erano presenti
cave per estrarre l’argilla.
La cascina era circondata dalle acque del fontanile della
Crea, che irrigava le colture tutt’attorno. Le abitazioni della cascina
potevano dunque essere raggiunte scavalcando apposite ponticelle. Tale percorso
della roggia, a mo’ di piccolo fossato, farebbe pensare ad una cascina in
origine fortificata.
Sul finire degli anni trenta l’attività venne spostata nella
nuova struttura agricola costruita accanto, e denominata Creta Nuova
(inaugurata nel novembre ’37, con strutture all’avanguardia).
Così la Creta vecchia fu prima abbandonata, poi occupata nel
dopoguerra da sfollati e successivamente, nel boom economico, da immigrati
senza casa. Terminò la sua agonia tra la fine degli anni ottanta e l’inizio
degli anni novanta, quando fu completata la sua demolizione.
Poco distante, sulla via Bisceglie, si trovava la cascina Sgualginasco, ora scomparsa, e la
cascina Garegnano, di proprietà
dello stesso monastero maggiore della Vittoria.
Tutta la zona perse la vocazione agricola nel dopoguerra,
quando venne interessata dalle cave di ghiaia e sabbia (dette lago di
Garegnano) utilizzate per il materiale edile atto alla ricostruzione di Milano.
Cascina Arzaga (via Arzaga)
Una delle più pregevoli e grandi cascine dell’area ora
occupata dal comune di Milano, demolita per fare spazio alle nuove strutture
abitative nel 1960.
Era costituita da due grandi cortili comunicanti tra loro:
nel primo si trovavano l’aia, la chiesa, la casa padronale e l’edificio ad U
con gli alloggi dei contadini, caratterizzati da suggestivi archi a sesto
acuto. Vi si accedeva da un grandioso portale anch’esso a sesto acuto.
Il secondo cortile era adibito all’attività agricola: le
stalle, le scuderie, i fienili, i depositi di attrezzi e macchinari, e aveva
sbocco sui campi. Il cortile era abbellito da un monumentale abbeveratoio, la
cui acqua proveniva dal sottosuolo, pompata da pompe a stantuffo.
L’area era irrigata dalla roggia Castelletto (che dava
peraltro il nome alla zona e ad un’altra cascina, la Castelletto, un tempo ubicata tra le vie Forze Armate e Anguissola)
che principiava dal fontanile che sgorgava dove oggi si trova piazzale Siena.
Cascina Lorenteggio (via Lorenteggio 251)
Questa cascina sorgeva fin dall’epoca viscontea nella
località detta almeno dal 1005 Laurentiglio, ed era posizionata in zona
leggermente rialzata, tant’è che fino al
Cinquecento era una sorta di fortino. Nel XVII secolo alla struttura
agricola venne aggiunto il palazzotto signorile dei Durini, che erano entrati
in possesso del fondo prima dei Corio.
A metà del Settecento l’intero territorio divenne Comune a
se stante, in mano ai Durini, al monastero di San Vittore, e a Renato Borromeo.
La zona cessò di essere comune autonomo con l’annessione
prima al comune di Corsico, e poi definitivamente al comune di Milano nel 1923.
Del tutto demolita la parte agricola a partire dagli anni
sessanta e settanta, oggi rimane solo il palazzo Durini.
Cascina Barocco (via fratelli Zoia 218)
Di origini medievali e comunque con certezza citata nel 1345
dal Porro Lambertenghi negli Statuti della acque e delle strade del contado di
Milano, la si incontrava uscendo “lungo la strata per Bagio comenzando al ponte
de la Preda” cioè prendendo, da piazza de Angeli, la via Trivulzio dopo aver
superato il ponte sull’Olona.
Appartenne ai luoghi pii elemosinieri della Misericordia e
poi agli Archinto.
Circondata da marcite alimentate dal fontanile della
Misericordia, aveva grandi stalle per allevamenti di bovini ed equini. Al suo
interno funzionava un’osteria di antica fondazione, nei tempi del dopoguerra
detta Speranza e famosa per l’annessa balera.
Parzialmente scomparsa, sopravvive oggi solo l’osteria e
parte del caseggiato ospitante gli alloggi dei contadini, col bel portale
sormontato dalla croce dell’ordine dei templari.
Il primo documento che ne attesta l’esistenza è un catasto
del 1555, dove appare estesa soprattutto per quanto riguarda le pertiche di
terreno annesso. Appartenendo alla famiglia Sfondrati, era detta anche cascina
Sfondrata.
Dotata fin dal Settecento di casa padronale, questa si
affaccia su un cortiletto quadrato, arricchito da una chiesetta con torre
campanaria. Sull’altro cortile si affacciano gli edifici agricoli e i rustici.
Il palazzo padronale era adornato da numerosi affreschi e
allietato, sul retro, da un ampio giardino.
Fortunatamente il complesso è stato recentemente
ristrutturato ed è adibito a centro ippico nonchè centro per il ricovero dei
cavalli della polizia locale milanese.
Assieme alle altre due cascine che descriveremo di seguito,
forma un importante nucleo agricolo a cavallo della via ora chiamata Cusago, un
tempo direttrice preferenziale che da Baggio usciva nel contado per
raggiungere, passando per il borgo di Assiano, l’antico abitato di Cusago, sorto
attorno ad uno dei castelli preferiti da casa Visconti soprattutto per i
soggiorni estivi.
Questa cascina, delle tre della zona, è senz’altro la più
recente, essendo sorta all’inizio del 1800 con una struttura ad U rovesciata.
Questa vasta cascina, come la precedente sorta sulla
direttrice per Cusago, ha origini antichissime: con buona probabilità si tratta
di un complesso agricolo di epoca romana, detto Axilianum.
Di sicuro, ne è attestata l’esistenza fin dal 1045, quando una
sentenza riconosce alla basilica di Sant’Ambrogio la proprietà di alcuni beni
appartenenti in zona.
Il complesso è composto da tre corti chiuse, e nei secoli a
noi più vicini erano gestite da proprietari diversi.
Gli estesi campi di pertinenza erano irrigati sia dal
fontanile Gandola, sia dal corso d’acqua che nasce dal fontanile san Martino,
ubicato nella cantina di una della case padronali, al fine di sfruttarne la
temperatura costante di circa dieci gradi per la conservazione, nel locale
costruito attorno, di alimenti quali formaggi ed insaccati.
Lo stato di conservazione è differente a seconda degli
attuali proprietari: la parte in mano privata è attualmente in discrete
condizioni, essendo a tutt’oggi in funzione una grossa azienda agricola; la
parte pubblica di pertinenza dell’Aler versa in totale stato di abbandono e
alcune strutture sono già collassate.
La terza cascina a cavallo della strada che unisce Baggio a
Cusago (quella che veniva quindi percorsa dei Visconti per raggiungere il
castello di Cusago, e difatti detta un tempo via Ducale) affonda le radici
anch’essa in epoca romana, ma la prima documentazione scritta e quindi sicura è
della fine del secolo XI, quando apparteneva alla canonica di Sant’Ambrogio.
La sua struttura è a corte chiusa ma asimmetrica, con un
corpo di fabbrica centrale che quasi divide la grande aia in due diversi
cortili.
Alquanto degradata fino all’anno scorso, dal 2006 sono iniziati importanti lavori edilizi per riconvertire l’intero complesso in una struttura capace di circa settanta appartamenti, tenendo in piedi, purtroppo, soli i muri perimetrali nel rispetto delle cubature originali. Un altro monumento dell'agricoltura padana che sicuramente meritava maggiore attenzione.
Si trattava fin dalla sua fondazione di un casale con
annesso mulino, che ebbe origine probabilmente nel corso del XIII, e dovette
appartenere inizialmente ad enti religiosi o a ceti nobiliari.
Di certo sappiamo che un documento del 1465 parla del suo
proprietario, un certo Johannes De Braschis, che diede poi il nome al complesso
agricolo e ad una roggia limitrofa, detta infatti Braschettino.
La ruota molinaria era alimentata però da un’altra roggia,
la Sant’Agnese, la cui testa di fontanile si trova a Seguro. Dopo numerosi
passaggi di mano, l’intera proprietà finì ad un Visconti di Modrone, che lasciò
traccia di sè abbellendo alcune stanze ed in particolar modo facendo costruire
un imponente camino. Successivamente nel 1802 anche i Visconti di Modrone
cedettero la proprietà, che poi rimase a lungo nelle mani di un possidente
della zona di Baggio, l’avvocato Giacomo Gianella.
Attualmente, dopo i mutamenti degli anni Sessanta,
sopravvive come allevamento di bovini e cavalli da carne.
Cascina Brusada o Bruciata (via Caprilli)
Appare già rappresentata nella carta del Claricio del 1600,
e come riportato dalla cartografia del catasto teresiano, era di proprietà
della famiglia Stampa.
Nel periodo di sua massima espansione, era costituita dalla
villa padronale di chiara impronta settecentesca e da edifici rustici su altri
tre lati, formando così il classico impianto a corte chiusa.
Nell’Ottocento ospitava la “Osteria de la brusada” ove si
narra vi trovò ristoro Napoleone al termine di una battaglia.
Il declino dal punto di vista agricolo si ebbe con la
costruzione dell’ippodromo di San Siro, tanto che le stalle furono riattate in
scuderia. Il colpo di grazia le fu inferto tuttavia dalla seconda guerra
mondiale, e dalle sconsiderate demolizioni degli anni sessanta con relativa
inurbazione in quartieri residenziali.
Cascina Boldinasco (via De Lemene)
Appare come una serie di costruzioni agricole nella edizione
della carta del Claricio del 1659, tutte raggruppate sotto l’unico nome di
Boldinascho. Il piccolo nucleo agricolo era formato da due cortili chiusi
circondati da 98 ettari di terreno.
La sua attività agricola (che peraltro raggiunse notevole
rinomanza, essendo la base operativa della “Fattoria sperimentale Lamberti”,
che a cavallo delle due guerre vantava le tecniche e i macchinari più moderni
in fatto di sfruttamento dei terreni e della zootecnia) cessò nell’immediato
dopoguerra, quando dai suoi campi venne estratta la sabbia e la ghiaia per
ricostruire la città bombardata.
Al termine di tale sfruttamento, l’immensa cava così
formatasi venne ricoperta coi detriti delle costruzione devastate dalle
incursioni aeree, e nacque così la montagnetta di San Siro.
Antico possedimento dei primi signori di Milano, i Torriani,
a seguito della loro caduta ad opera dei Visconti, il nucleo agricolo Sala nova
(dove sala indicava un possedimento signorile con depositi alimentari) passò ai
nuovi signori, e risulta infatti di proprietà di Gian Galeazzo.
Il fondo agricolo così individuato, peraltro alquanto
esteso, passò poi, dopo varie peripezie, ai conti Archinto ed infine ai Bagatti
Valsecchi.
Nel catasto teresiano risulta abbellita da un parco
all’italiana, essendo con gli Archinto divenuta residenza estiva di campagna.
Molto caratteristico è l’edificio progettato per la porcilaia, costruito con il
tetto a doppio spiovente, al fine di una corretta circolazione dell’aria.
Il nucleo di Sella nuova e le case sorte attorno formavano,
assieme ad altre cascine della zona, il comune autonomo di Sellanuova, poi
sciolto nel 1869 per confluire, variamente ripartito, nei tre comuni di Baggio,
Cesano Boscone, Trenno ed Uniti (il primo e l’ultimo, in seguito, annessi al
comune di Milano).
La cascina oggi appare mutilata delle case dei contadini,
demolite per lasciare posto a palazzi residenziali, la cui costruzione ha del
tutto snaturato la vocazione agricola della zona.
Il camino che ornava l’edificio padronale venne dai Bagatti
Valsecchi rimosso e riposizionato nel loro edificio cittadino di via Santo
Spirito.
Non distante, ed inserita nel medesimo contesto agricolo, si
trova la cascina Cascinazza, con pregevole edificio per i salariati e villa
padronale.
Il suo nucleo primitivo è da ricercarsi nel monastero
quattrocentesco che Balzarino da Posterla, genero di Matteo Visconti, fece
costruire e poi donò ai monaci Olivetani, scegliendo la località di Baggio in
quanto vicina a Milano e adeguatamente protetta anche dal non lontano castello
di Cusago. Il monastero vide col tempo accrescere sia la sua fortuna sia la sua
estensione, in quanto vennero a circondarlo rustici e abitazioni di contadini.
Ne risultò così un complesso formato da tre corti chiuse,
una sola però agricola; la chiesa ne risulta esterna. Il complesso era
abbellito da un vasto giardino e comprendeva una importante ghiacciaia.
Struttura agricola di origine remota, con molta probabilità
si trattava inizialmente di una grangia dei monaci Benedettini. Non lontano,
sfruttava un mulino azionato dalla roggia nascente dal fontanile Olonella.
Il cortile più antico, che nei secoli venne affiancato da
altri due, è caratterizzato da colonne in granito e archi in mattoni, e vi
spicca un piccolo campanile.
Il nome attuale di cascina Cornaccia è da ricercarsi nel
nome dei proprietari, che dal tardo Settecento furono i conti Cornaggia, i
quali oltre ad utilizzarla come rendita agricola, godevano nei tempi estivi
della frescura campestre. Ebbero modo di entrarne in possesso in seguito alle
soppressioni di enti religiosi effettuate dalla Cisalpina, che poi mise in
vendita i beni così requisiti per incamerare soldi da inviare in Francia.
Nel 1721, tuttavia, risulta in proprietà dei padri Trinitari
Scalzi di Monforte, mentre all’inizio del Novecento era della famiglia Casati
Brioschi, che durante la prima guerra mondiale la frazionò cedendola a più
famiglie di agricoltori.
Cascina Bettole (via Novara 543, sul tracciato precedente il 1990)
Grande struttura agricola cinquecentesca, risulta censita
per la prima volta nel 1605, durante la visita pastorale di san Carlo Borromeo
alla pieve di Trenno.
Nel 1721 appare rappresentata in una carta catastale di
Figino, mentre in un’altra del 1836 risulta contigua ad una fornace per la
fabbricazione di mattoni.
In uno dei due cortili della cascina si trovava una osteria,
famosa tra i viandanti diretti a Milano, che qui potevano fare tappa prima di
quello che una volta era l’ingresso alla città, attraverso porta Vercellina,
distante solo pochi chilometri. Funzionava anche un cambio di cavalli per i
servizi di diligenza di linea per Magenta e Novara.
Il luogo era stato prescelto anche per posizionarvi un dazio
e una caserma di carabinieri.
Nell’osteria è visibile ancora un imponente camino del XVII
secolo, descritto nell’opera Reminiscenze di storia ed arte nel suburbio e
nella città di Milano.
Attualmente si conserva in mediocri condizioni, mentre
l’attività agricola è notevolmente ridotta, tanto più che la variante a più
corsie della via Novara (realizzata per i mondiali del ’90) ha di fatto
separato la cascina dai suoi campi, unendoli con un modesto sottopasso inadatto
ad un eventuale intenso passaggio di macchinari agricoli moderni.
Si trova presso l’abitato di Quinto Romano (sorto alla
quinta pietra miliare sulla strada che da Milano portava a Novara, in direzione
del Ticino), e il suo nucleo più antico è databile intorno al XVI secolo, dato
che risultano alcuni edifici con tale nome nella carta del Claricio. Non è da
escludersi comunque una sua fondazione in epoca romana.
Dalla sua rappresentazione iconografica nel catasto lombardo
veneto del 1850 risulta dotata di annessa chiesuola (oggi scomparsa, era
dedicata a S.Romano, e venne sconsacrata nel 1939) e appare a corte chiusa da
tutti e quattro i lati (mentre oggi è a corte aperta, causa demolizione di
alcuni corpi di fabbrica).
L’edificio più pregevole è senz’altro la stalla, porticata
verso il cortile, con otto campate di cui sei ad arco a tutto sesto, il
soffitto è a volte a botte.
Benchè oggi scomparsa, di pregio doveva essere pure la casa
padronale, il cui camino, e lo stemma gentilizio dei Rainoldi sopra scolpito,
trovarono posto nella descrizione in Reminiscenze di storia ed arte nel suburbio
e nella città di Milano.
A poca distanza sorgeva la piccola cascina San Romanello,
appartenente alla stressa famiglia Rainoldi, sempre edificata a partire dal XVI
secolo, oggi esistente in minima parte (le due realtà agricole facevano parte
dello scomparso comune di Malpaga, oggi sono incluse nell'area del Boscoincittà).
Risalente al 1500, fino al 1596 appartenne ai nobili
Rainoldi, un membro dei quali fece erigere una piccola chiesa annessa, dedicata
a san Carlo Borromeo. Successivamente, la cascina passò ad un ramo della
famiglia, che comunque ne mantenne la proprietà fino al 1753, allorquando passò
di mano.
Subì importanti lavori di miglioria ed ingrandimento nel
1843, quando vennero aumentati i posti per i bovini nelle stalle, ed eretti
spazi per l’allevamento di maiali e polli in strutture sovrapposte a due piani.
Venne anche incrementata la zona dedicata alla lavorazione e stagionatura dei
formaggi.
La chiesetta secentesca venne demolita al fine di ingrandire
l’entrata alla corte.
Poco resta oggi di questa costruzione agricola già ricordata
nel 1400 come Osteria, e caratterizzata, in linea coi dettami stilistici
dell’epoca, da archi a sesto acuto e finestrelle contornate da formelle in
cotto. Per il controllo dell’area circostante era sovrastata da una torretta
d’avvistamento.
Di proprietà della famiglia Caimi, a fine Quattrocento venne
acquistata dal giureconsulto Giuseppe Bolla, che le diede il nome.
Benchè non siano notizie certe, parrebbe che la struttura
agricola fosse meta abituale della cavalcate di Gian Galezzo Visconti, e chi
ivi risiedesse addirittura Leonardo nel periodo in cui attendeva alla
realizzazione dell’ultima cena in Santa Maria della Grazie.
Il declino arrivò nel Novecento, quando il nuovo piano
regolatore ne decretò la demolizione per il passaggio della via Ravizza.
Durante il ventennio la cascina venne ceduta prima all’Opera nazionale balilla
e poi alla Gioventù italiana del littorio, fino a quando un bombardamento del
1941 la danneggiò gravemente.
La cascina Bolla
Contemplata nella carta del Claricio, era localizzata nei
pressi del bosco della Merlata, famoso per essere rifugio, oltre che di animali
quali lupi, cinghiali e ottima selvaggina, di brigati e delinquenti. Nel bosco
operava la famigerata banda del Legorino e dello Scorlino, due criminali che
con il loro piccolo esercito derubavano ed uccidevano i viandanti che
attraversavano la vasta distesa boschiva. I due furono giustiziati nel maggio
del 1566.
La cascina si presenta a forma di U, con il lato privo di
costruzioni chiuso da una muratura. Il corpo centrale, porticato, ospitava le
case dei contadini dotate di ampi ballatoi, mentre i due corpi laterali erano
destinati a fienili e stalle.
Attualmente la situazione è di totale abbandono.
Bibliografia
AA. VV., Cascine a Milano, 1987 (a cura dell’Ufficio
editoriale del Comune di Milano);
AA. VV., Ad Ovest di Milano-Le cascine di Porta Vercellina,
a cura dell’ass. Amici Cascina Linterno;
L. Chiappi Mauri, Il mondo rurale lombardo nel Trecento e
nel Quattrocento, in La Lombardia delle Signorie, 1986;
De Carlo V., Le strade di Milano, 1998;
Letture consigliate dall’autore:
Barbesta-Bassi-Carera-Cattaneo, Vivere di cascina, 1985.