Francesco De Sanctis
XX
LA NUOVA
LETTERATURA
[Giuseppe Parini]
In questi
tempi di nuove idee e di vecchi uomini nacque Giuseppe Parini, il 22 maggio del
1729. Venuto dal contado in Milano, cominciò i soliti studi classici sotto i
barnabiti, e il padre Branda fu suo maestro di rettorica. Il babbo volle farne
un prete per nobilitare il casato; ma sul più bello fu costretto per le
strettezze domestiche a troncare i suoi studi e a ingegnarsi per trarre innanzi
la vita. Fece il copista e il pedagogo, e ne' dispregi e nella miseria si temprò
il suo carattere. Come Metastasio e come tutt'i poeti di quel tempo cominciò
arcade, e le sue prime rime le leggi in una raccolta di poesie a cura di quegli
accademici. Rivelò la sua personalità, combattendo il padre Bandiera e il padre
Branda, di cui era stato un cattivo scolare. Pare che nella scuola facesse poco
profitto, impaziente soprattutto di quei giuochi di memoria, che erano allora la
sostanza degli studi. Padrone di sè, ne' ritagli di tempo obbliava la sua
miseria, conversando con Virgilio, Orazio, Dante, Ariosto e Berni. E che cosa
dovea parergli il padre Branda col suo toscano, o il padre Bandiera co' suoi
periodi? Ma, se aveva a dispetto quella pedanteria, non gli rincresceva meno
quel francesizzare de' più, divenuto moda nelle alte e basse classi. Usando per
il suo mestiere in case signorili, potè studiare dappresso questa strana
mescolanza di vecchio e di nuovo, che costituiva allora la società italiana. Già
questo pigliar subito posizione, questo soprastare alla lotta e schivarne tutte
le esagerazioni mostra una spiccata personalità. Hai innanzi un
carattere.
Parini era uomo
più di meditazione che di azione. Non aveva il gusto de' piaceri, aveva pochi
bisogni, e nessuna cupidigia di onori e di ricchezze. La società non avea presa
su di lui: rimase indipendente e solitario, inaccessibile alle tentazioni e a'
compromessi, e, come Dante, fece parte da sè. Quel mondo nuovo, che fermentava
negli spiriti, fondato sulla natura e sulla ragione, e in opposizione al
fattizio e al convenzionale del secolo, giuntogli attraverso Plutarco e Dante
più che per influssi francesi, rimase in lui inalterato, puro di quelle macchie
e ombre che vi sovrappongono le vanità e le passioni e gl'interessi mondani,
perciò puro di esagerazioni e ostentazioni. Era in lui una interna misura,
quell'equilibrio delle facoltà, che è la sanità dell'anima, quella compiuta
possessione di se stesso, che è l'ideale del savio, quella mente rettrice, che
sta sopra alle passioni e alle immaginazioni, e le tiene nel giusto limite. La
sua forza è più morale che intellettuale; perchè la sua intelligenza si alza
poco più su del luogo comune, ed è notabile più per giustezza e misura che per
novità e profondità di concetti. Lo alza su' contemporanei la sincerità e
vivacità del suo senso morale, che gli dà un carattere quasi religioso, ed è la
sua fede e la sua ispirazione. Rinasce in lui quella concordia dell'intendere e
dell'atto mediante l'amore, che Dante chiamava sapienza: rinasce
l'uomo.
E l'uomo educa
l'artista. Perchè Parini concepisce l'arte allo stesso modo. Non è il puro
letterato, chiuso nella forma, indifferente al contenuto; anzi la sostanza
dell'arte è il contenuto, e l'artista è per lui l'uomo nella sua integrità, che
esprime tutto se stesso, il patriota, il credente, il filosofo, l'amante,
l'amico. La poesia ripiglia il suo antico significato, ed è voce del mondo
interiore, chè non è poesia dove non è coscienza, la fede in un mondo religioso,
politico, morale, sociale. Perciò base del poeta è
l'uomo.
La poesia riacquista
la serietà di un contenuto vivente nella coscienza. E la forma si rimpolpa, si
realizza, diviene essa medesima l'idea, armonia tra l'idea e
l'espressione.
La base del
contenuto è morale e politica, è la libertà, l'uguaglianza, la patria, la
dignità, cioè la corrispondenza tra il pensiero e l'azione. È il vecchio
programma di Machiavelli, divenuto europeo e tornato in Italia. La base della
forma è la verità dell'espressione, la sua comunione diretta col contenuto,
risecata ogni mediazione. È la forma di Dante e di Machiavelli riverginata con
esso il contenuto.
Il
contenuto è lirico e satirico. È l'uomo nuovo in vecchia
società.
L'uomo nuovo non è
un concetto o un tipo d'immaginazione; ha tutte le condizioni della realtà, è
esso medesimo il poeta. Protagonista di questo mondo lirico è Giuseppe Parini,
che canta se stesso, esprime le sue impressioni, si effonde, così com'è, nella
ingenuità della sua natura. Spariscono i temi astratti e fattizi di religione,
di amore, di moralità. Tutto è contemporaneo e vivo e concreto, prodotto in
mezzo al movimento de' fatti e delle impressioni. Il poeta, ritirato nella pace
della natura e nella calma della mente, sta al di sopra del suo mondo, e sente
le sue agitazioni, i suoi piaceri e le sue punture, ma non sì che giungano a
turbare l'eguaglianza e la serenità del suo animo. Ci è in questo uomo nuovo una
vena d'idillio e di filosofia, come di uomo solitario, più spettatore che
attore, avvezzo a vivere tranquillo con sè, a conservare l'occhio puro e
spassionato nel giudizio delle cose. Ci è nel poeta un po' del pedagogo,
ammaestrando, librando con giusta misura i fatti umani. Ma il pedagogo è
trasfigurato nel poeta, e vi perde ogni lato pedantesco e pretensioso. Il suo
amore per la vita campestre non è misantropia, anzi è accompagnato con la più
tenera sollecitudine per l'umanità. La sua rigidità pel decoro e l'onestà
femminile è raddolcita da un vivo sentimento della bellezza. La sua dignità è
scevra di orgoglio, la sua severità è amabile, la sua virtù è pudica, piena di
grazia e di modestia. Ne' suoi concetti e ne' suoi sentimenti ci è sempre il
limite, un'armonica temperanza, dov'è la sua perfezione intellettuale e morale
di uomo e di poeta. Quando leggi la Vita
rustica, la Salubrità dell'aria, il Pericolo, la Musa,
la Caduta e la sua Nice e la
sua Silvia, provi una soddisfazione più che estetica, senti in te
appagate tutte le tue
facoltà.
La vecchia società
è colta non nelle sue generalità rettoriche, come nel Rosa, nel Menzini e in
altri satirici, ma nella forma sostanziale della sua vecchiezza, che è la pompa
delle forme nella insipidezza del contenuto. Quelle forme così magnifiche, alle
quali si dà una importanza così capitale, sono un'ironia, messe allato al
contenuto. La Batracomiomachia è l'ironia dell'lliade, la
Moscheide è l'ironia dell'Orlando: sono forme epiche applicate a un mondo
plebeo. L'ironia è la forma delle vecchie società, non ancora conscie della loro
dissoluzione. È il vecchio che vuol farla da giovine, con tanta più ostentazione
nelle apparenze quanto più meschina è la sostanza. Questo è il concetto
fondamentale del Giorno, fondato su di un'ironia che è nelle cose stesse,
perciò profonda e trista. Parini non vi aggiunge di suo che il rilievo, una
solennità di esposizione che fa più vivo il contrasto. E perchè sente in quelle
mentite forme negato se stesso, la sua semplicità, la sua serietà, il suo senso
morale, non ha forza di riderne e non gli esce dalla penna uno scherzo o un
capriccio. Ride di mala grazia, e sotto ci senti il disgusto e il disprezzo.
L'Italia avea riso abbastanza, e rideva ancora ne' versi di Passeroni e di
Goldoni. Qui il riso è alla superficie, sotto alla quale giace repressa e
contenuta l'indignazione dell'uomo offeso. La sua interna misura e pacatezza, la
sua mente rettrice gli dà la forza della repressione, sì che il sentimento di
rado erompe sulla superficie, e l'ironia di rado piglia la forma del sarcasmo.
L'ironia de' nostri padri del Risorgimento era allegra e scettica, come nel
Boccaccio e nell'Ariosto, perchè era rivendicazione intellettuale dirimpetto
alle assurdità teologiche e feudali, rivendicazione accompagnata con la
dissoluzione morale: era l'ironia della scienza a spese dell'ignoranza, e
l'ignoranza fa ridere. Ma qui l'ironia è il risveglio della coscienza dirimpetto
a una società destituita di ogni vita interiore; lì era l'ironia del buon senso,
qui è l'ironia del senso morale. Senti che rinasce l'uomo, e con esso la vita
interiore.
La parola di
quella vecchia società era a sua immagine, cascante, leziosa, vuota sonorità,
travolta e seppellita sotto la musica. Qui risuscita la parola. E vien fuori
faticosa, martellata, ardua, pregna di sensi e di sottintesi. La parola scopre
l'ironia, perchè è in antitesi con quella società molle ed evirata che il poeta
finge di celebrare.
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Giuseppe Bonghi - E-mail