Nel prendere in esame questo testo il mio
scopo era solo quello di renderlo disponibile agli studenti di arte lombarda,
senza pretendere di sottoporlo ad uno studio filologico od esegetico. Certo,
nel corso della lettura mi sono trovato nella necessità di operare alcuni interventi.
Anzitutto mi è venuto spontaneo applicare
un corredo iconografico che rendesse visibili gli oggetti e le opere cui l’autore
si riferiva.
Inoltre ho deciso di riassumere buona
parte del testo, che si presentava aridamente normativo, pieno di indicazioni
metriche e di dettagli tecnici di scarso interesse (per noi) e, non di rado,
di ardua interpretazione. Del libro secondo, in particolare, dedicato alla
suppellettile, ho riportato solo qualche brano esemplificativo. Oltre a tutto
non sono riuscito a trovare un preciso corrispondente delle unità di misura
usate dall'autore (cubito e oncia), per cui ho adottato, fra le varie possibili, quelle che mi sembravano
più congruenti con gli oggetti descritti.
Ho trovato inoltre opportuno introdurre
qualche spiegazione terminologica. Infine, quando il testo ne forniva
l'occasione, vi ho apposto dei commenti.
Ho distinto graficamente questi tre
livelli di lettura. In corpo più grande e tra virgolette, il testo nella
traduzione di Zelia Grosselli. In corpo
più piccolo e tondo le parti riassunte. Nello stesso corpo, ma corsivo, le
spiegazioni tra parentesi quadre e i commenti.
A conti fatti, avrei potuto limitare la
lettura delle "Instructiones" ai soli capitoli di stretta competenza
artistica e architettonica. Ma ho preferito render conto, almeno
riassuntivamente, di tutta l'opera, perchè, anche nelle sue parti più
"datate" (anzi, soprattutto in quelle!), fornisce al lettore il
contesto culturale, psicologico e devozionale in cui quei capitoli si
collocano. Eloquenti, in proposito, i capitoli sul monastero femminile.
Per lo stesso motivo mi è parso utile
premettere all'opera del Borromeo le disposizioni del concilio di Trento sulle
immagini sacre e sul loro utilizzo devozionale così come emergono dagli atti
della venticinquesima (e ultima) sessione di quel concilio. A parte le
corrispondenze puntuali, che non abbondano, anch'esse ci danno la possibilità di collocare le norme caroline nel
contesto che le ha fatte nascere.<<<
Il segno <<<
rimanda all’indice, salvo diversa indicazione.
"De
invocatione, veneratione et reliquiis sanctorum et sacris imaginibus".
[Sull'invocazione, la venerazione e le reliquie dei santi e sulle
immagini sacre]
Il sacro
concilio dispone per prima cosa che tutti i vescovi e le altre persone gravate
dalla responsabilità dell'insegnamento (…) istruiscano diligentemente i fedeli in materia di intercessione e
invocazione ai santi, di onoranza alle reliquie e legittimo uso delle immagini,
insegnando loro come i santi, che regnano insieme a Cristo, offrano a Dio le
loro preghiere in favore degli uomini; che quindi è cosa buona e utile
invocarli supplichevolmente e, al fine di ottenere da Dio benefici attraverso
il Figlio suo Gesù Cristo nostro signore, che è l'unico nostro redentore e
salvatore, affidarsi alle loro preghiere, alla loro opera e al loro aiuto” [segue
la deplorazione (= “pensa in modo empio”) di chi sostiene idee contrarie]
“[Il Concilio dispone inoltre] che i
corpi dei santi martiri e degli altri che vivono con Cristo, i quali sono stati
membra vive del Cristo e tempio dello Spirito Santo, destinati da questo ad
essere elevati e glorificati nella vita eterna, sono degni di esser venerati dai
fedeli e per mezzo loro vengono concessi da Dio molti benefici agli uomini” [qui
chi pensa diversamente è condannato (“anathema sit”= sia messo al bando)]
“Perciò le immagini del Cristo, della
Vergine madre di Dio e di tutti i santi devono essere poste e mantenute
soprattutto nelle chiese, e ad esse vanno tributati l'onore e la venerazione
dovuti, non perchè si creda che in esse risiedano qualche divinità o energia
che le rendano meritevoli di culto, né perchè vi sia qualcosa da chieder loro,
e nemmeno perchè si possa attribuire credibilità alle immagini, come accadeva tra i pagani di
un tempo, che riponevano le loro speranze negli idoli; bensì per il fatto che
l'onore ad essi tributato va in realtà ai modelli che esse raffigurano; così,
attraverso quelle immagini che baciamo, davanti a cui ci scopriamo il capo e
c'inginocchiamo, adoriamo il Cristo e veneriamo i santi, di cui esse portano
l'immagine. Cosa sancita dai decreti conciliari, soprattutto dal secondo
concilio niceno contro gli oppositori delle immagini.
“Insegnino con cura, i nostri vescovi,
che attraverso l'immagine dei misteri della nostra religione, espressa in
pittura o con qualunque altro mezzo, il popolo viene istruito e rafforzato nel
ricordare e custodire gli articoli della fede. Così da tutte le sacre immagini
deriva un gran frutto, non solo perchè al popolo vengono fatti presenti i
benefici e i doni largitigli dal Cristo, ma anche perchè attraverso i santi
vengono messi sotto gli occhi dei fedeli i miracoli e i salvifici esempi di
Dio, così che essi ne rendano grazie a Dio, impostino la loro vita morale a
imitazione dei santi, e siano spronati ad adorare e ad amare Dio e a vivere
nella pietà. E chi insegnasse in modo contrario a questi decreti, sia
condannato.
"Se poi in queste sante e salutari
devozioni si fosse insinuato qualche abuso, il sacro concilio vuole
ardentemente che questi siano subito eliminati, affinchè non venga eseguita
alcuna immagine di falsi dogmi o che dia occasione a errori pericolosi per gli
incolti. Così, quando capitasse di rappresentare episodi della sacra scrittura
a utilità della plebe incolta, si insegni al popolo che la divinità non sta
nelle figure, come se potesse esser vista da occhi corporei e fissata in forme
e colori. Analogamente, venga eliminata ogni superstizione nell'invocazione
dei santi, nella venerazione delle reliquie e nell'uso sacro delle immagini. Si
faccia cessare ogni turpe richiesta; si vieti infine ogni lascivia, così che le
immagini non siano dipinte od ornate con bellezze provocanti. E la gente non
approfitti della celebrazione dei santi o della visita alle reliquie per
banchetti e ubriacature, come se le feste in onore dei santi dovessero
trascorrere tra eccessi e licenze. In conclusione, i vescovi devono usare in
questo campo la massima cura e diligenza perchè, se alla casa di Dio spetta la
santità, nulla vi si veda di disordinato, di fatto al contrario o alla
rinfusa, nulla di profano e nulla di indecente.
"Perchè queste disposizioni vengano
più fedelmente osservate, il sacro concilio ha stabilito che a nessuno sia
lecito, in nessun luogo e in nessuna chiesa, per quanto autonoma a qualunque
titolo, porre o far porre alcuna immagine inconsueta, se non approvata dal
vescovo. Nemmeno si dovranno ammettere nuovi miracoli nè accettare nuove
reliquie senza il riconoscimento e l'approvazione del vescovo: costui, appena
abbia avuto notizia di tali fatti, dopo aver riunito a consiglio teologi e
altre persone pie, farà ciò che giudicherà conforme alla verità e alla pietà.
Se poi in tal materia rimarrà da estirpare qualche abuso o qualche difficile
dubbio, o comunque vi sia qualche grave problema, il vescovo, prima di decidere
sulla questione, sentirà il parere del metropo-lita e dei vescovi della
provincia riuniti in concilio provinciale: sempre tenendo presente che nulla
di nuovo e sinora non trattato dalla Chiesa può essere decretato senza aver
consultato il santo romano pontefice."
Qualche indicazione di lettura.
1. L'arte è considerata dai Padri conciliari
come un mezzo di comunicazione di massa, che ha dunque come destinatario
privilegiato il "popolo", in particolare la "plebe incolta".
In quanto tale deve rispondere a precisi caratteri qualitativi di cui artisti e
committenti portano la responsabilità.
2. In quanto produzione di immagini, l'arte
è veicolo di culto, poichè le immagini
di personaggi e fatti della storia biblico-cristiana vengono considerate
strumenti di istruzione e ammonimento per i fedeli e quindi giusto oggetto di
onore e venerazione.
3. Nell'affermare questo principio i Padri
si scontravano con forti obiezioni secondo cui la venerazione delle immagini
era una un atteggiamento superstizioso e paganeggiante che andava combattuto
anzichè promosso dalla Chiesa. Queste obiezioni erano tra i cavalli di
battaglia del protestantesimo, ma serpeggiavano da sempre anche in ambienti
cattolici. Ancor più forti erano le analoghe obiezioni che venivano mosse nei
confronti del culto delle reliquie.
4. Per far fronte a queste obiezioni i Padri
sono costretti a distinzioni e precisazioni. Anzitutto devono ammettere la
possibilità di abusi e l'urgenza d'interventi per sanarli. Inoltre devono
precisare che
- I santi non sono operatori di
benefici, ma solo intercessori presso Dio, che ne è l'unico operatore.
Non a caso, solo a Dio spetta, da parte dei fedeli, l'adorazione, mentre
ai santi spetta solo la venerazione.
- Non sono le immagini in sè a emanare un
potere salvifico, ma l'atteggiamento di fede che esse ispirano verso
Dio e il Figlio, il quale rimane l'unico Salvatore.
<<< [
a indice]
>>> [a Federico]
Carlo Borromeo, Instructiones Fabricae et
Suppellectilis ecclesiasticae, Libri duo, 1577
(edizione da me usata: ISU - Università Cattolica, traduzione di Zelia Grosselli, 1983, 2 voll. A questa si riferiscono i numeri di pagina
che seguono le citazioni)
Libro I. Regole sulla chiesa in
generale
Libro II: Regole sulla suppellettile
Unità di misura usate (stima
mia): cubito = cm 45 ca.; oncia = cm 2,2
ca.
LIBRO I
Cap. I: Ubicazione
della chiesa
Possibilmente in luogo elevato, così che vi si possa accedere per 3-5
scalini. Se la zona è pianeggiante, si costruisca un basamento di altezza
adeguata. Se la zona è in declivio, ricavare per sbancamento uno spiazzo che
garantisca almeno 12 cubiti di piano per ogni lato. Il lato a monte venga
rinforzato con muri di contenimento e provvisto di canali di drenaggio.
La chiesa deve risultare il più
possibile lontana da luoghi malsani e rumorosi. Non deve confinare muro a muro
con altri edifici. Può essere congiunta tramite muro all'abitazione del vescovo
o dei sacerdoti. Solo l'abitazione del custode o sacrestano può essere
adiacente o sovrapposta alla sacrestia, purchè non abbia aperture che guardino
direttamente in chiesa.
La chiesa dev'essere abbastanza ampia da poter accogliere, oltre ai
fedeli della zona di competenza, quelli che vi potessero accorrere per
particolari ricorrenze, tenendo presente che per ogni persona è necessario lo
spazio di almeno un cubito e 8 once in ogni direzione, al netto di pilastri e
colonne. [Circa 60 centimetri: standard abitativo più generoso di quello
offerto dagli odierni trasporti pubblici!] <<<
Cap. II: Forma della
chiesa
La pianta più autorizzata dalla
tradizione, cioè quella delle Basiliche romane maggiori, è a croce
"oblunga" [= latina]. Consigliabili anche la croce greca o quella a
T. "L'edificio rotondo fu un tempo usato per i templi pagani, e assai
meno presso il popolo cristiano" ( pag. 13).
Così il Borromeo liquida la pianta centrale. Ha di certo presente il
Pantheon, ma sembra ignorare che la maggior parte dei templi pagani ha pianta
rettangolare, mentre pianta centrale hanno insigni basiliche paleocristiane
come S. Stefano Rotondo e S. Costanza a Roma, S. Vitale a Ravenna, S. Lorenzo
a Milano ecc. Ammette la pianta
centrale, vedremo, solo per i battisteri.
Sono possibili anche piante diverse, a giudizio dell'architetto e previa
approvazione del vescovo.<<<
Cap.
III: I muri esterni e la facciata
Gli altri criteri costruttivi possono essere
liberamente adottati dal vescovo su consiglio dell'architetto.
"Si osservi tuttavia questo criterio
circa i muri esterni, e cioè che quelli laterali e quello posteriore non siano
decorati da immagini; il muro anteriore [= la facciata] sarà invece
tanto più decoroso e solenne quanto più sarà ornato di immagini o pitture relative
alla storia sacra.
Fianchi spogli e facciata decorata in San Paolo Converso. Come questa, altre chiese costruite o
decorate in epoca borromaica (San Maurizio, San Fedele, Santa Maria della
Passione, Santa Maria presso San Satiro…) seguono le indicazioni del
cardinale. Incisione di Domenico
Aspari, 1788 <<<
"Nella pia decorazione della
facciata, ideata secondo la struttura della chiesa e la grandezza
dell'edificio, l'architetto prenderà cura non solo che non vi sia nessuna immagine
profana, ma anche che quanto rappresentato lo sia il meglio possibile, a seconda
delle disponibilità, e si accordi con la santità del luogo.
"Si badi inoltre che sulla facciata
di ogni chiesa, specie se parrocchiale, al di sopra della porta principale,
all'esterno, si dipinga o si scolpisca decorosamente e piamente l'immagine
della beatissima Vergine Maria con il Figlio tra le braccia; sulla sua destra
si porrà l'effigie del Santo o della Santa cui è intitolata la chiesa; sulla
sinistra quella del Santo o della Santa maggiormente venerato dal popolo di
quella parrocchia; o almeno, se non si possono avere le tre figure, si farà
l'immagine del solo santo o Santa cui è
intitolata la chiesa. Se poi la chiesa è intitolata all'Annunciazione,
all'Assunzione o alla Natività di Maria, l'immagine della beatissima Vergine
sarà in relazione al titolo in questione. Sarà poi compito dell'architetto
provvedere con solerzia a che questa
parte della struttura sia difesa durevolmente dalla pioggia e dalle intemperie.
"Le altre sculture o pitture e gli
altri ornamenti, cospicui o modesti, che contribuiscono a rendere maestosa e solenne
la facciata della chiesa saranno stabiliti dal Vescovo, sentito se necessario
il parere dell'architetto, a seconda del tipo di edificio ecclesiastico che si
vuole costruire." (pagg. 15-16). <<<
Cap.
IV: Atrio, portico e vestibolo
"Vi sarà poi davanti alla chiesa un
atrio, fatto su consiglio dell'architetto a seconda dello spazio a
disposizione e della struttura dell'edificio, cinto da ogni parte da portici
ed ornato decorosamente con altri elementi architettonici. Se poi per la
scarsità di spazio o per motivi economici non sia possibile costruirlo, si
faccia in modo che davanti alla chiesa vi sia almeno un portico. Questo,
costituito da colonne marmoree o pilastri di pietra o in laterizio, uguaglierà
in lunghezza tutta la facciata della chiesa e sarà ampio ed alto
proporzionalmente alla sua lunghezza.
"Sarà opportuno che ogni chiesa
parrocchiale abbia un portico di questo tipo. Se per motivi economici non si
potrà avere nemmeno questo, si provveda almeno a costruire davanti alla porta
principale un vestibolo [noi diremmo un protiro o pronao] di forma
quadrata, con solo due colonne o pilastri alquanto distanti da essa; esso sarà
un po' più ampio della porta della chiesa". ( pag. 17)
L'atrio cui l'autore si riferisce è il quadriportico del tipo di
quello antistante S. Ambrogio, ed è un elemento piuttosto raro in ogni tempo.
A Milano è presente, oltre che nella citata basilica, solo in S. Maria presso
S. Celso e alla Certosa di Garegnano. Non sembra che le
"Instructiones" ne abbiano incentivato l'adozione, anzi proprio in
quest'epoca viene demolito quello di S. Lorenzo. Abbondano invece, e proprio nell'area
geografica e cronologica dei Borromei, portici e pronai che conferiscono decoro e levità non solo a monumenti già di
per sè notevoli come il S. Gaudenzio di Varallo, ma anche a chiese per il resto rustiche e
modeste come se ne trovano dovunque tra
il Cusio e la Bergamasca. <<<
Comnago (VB) Varallo Sesia (NO) <<<
Cap. V: Il tetto
Nessun vincolo nella forma sia esterna che interna (soffitto). Importanti
invece gli accorgimenti contro la pioggia e l'umidità, quali il far cadere i
displuvii lontano dalle pareti e il circondare queste ultime con una
pavimentazione di pietra per prevenire le infiltrazioni. Il soffitto a
lacunari, tipico di molte basiliche romane, è raccomandabile per il suo
"significato mistico", ma quello a volta è meno vulnerabile agli
incendi, ed è anch'esso visibile "in antiche e insigni basiliche della
città e della provincia di Milano" ( pag. 19) <<<
Cap. VI: Il
pavimento
"Nella chiesa
insigne, nelle cappelle maggiori, negli altri edifici ecclesiastici di
importante struttura" non sia fatto in laterizio ma in marmo o in pietra
levigata, magari lavorati a intarsio o mosaico. Il laterizio è permesso solo in
chiese e cappelle minori. "Sul pavimento, comunque esso sia, non
dev'esservi nessuna croce dipinta o a rilievo, nè altra immagine o storia
sacra, nè altra figura che simboleggi i sacri misteri ( pag. 20).
Lo scopo è, ovviamente, che
tali immagini non vengano calpestate, ma è una norma che non sembra diffusa al
di fuori delle "Instructiones": si pensi alle cattedrali di Siena e
de La Valletta, i cui pavimenti sono totalmente coperti di storie sacre o di
tombe. <<<
Cap.
VII: Le porte
"Si badi bene (...) che le porte non
siano arcuate, poichè devono essere diverse dalle porte delle città, bensì
quadrangolari, quali si vedono nelle Basiliche più antiche. Inoltre non
dovranno essere troppo basse nè di struttura modesta, ma, secondo uno dei criteri
fondamentali dell'architettura, saranno alte il doppio della loro larghezza
"Nella parte superiore si potrà
aggiungere una cornice decorosamente lavorata sulla quale si imposti una
lunetta a emiciclo o a scafo rovesciato [forse a ogiva] in cui si
dipingano o scolpiscano le immagini sacre come sopra prescritto, così come si
vede nelle antiche e più insigni Basiliche milanesi.
Leone nel portale del duomo di Lodi <<<
"Le porte si apriranno sulla
facciata della chiesa; saranno dispari, e almeno tante quante sono le navate
della chiesa stessa. Se la chiesa è a
più navate, la mediana, ove possibile,
data la sua ampiezza, abbia alla propria
estremità tre porte; se la chiesa possiede un'unica navata, vi siano almeno
tre porte sulla facciata: infatti le basiliche romane insegnano che le entrate
della chiesa debbono essere molteplici per vari motivi, tra cui la separazione
degli uomini dalle donne.
"La porta mediana dovrà distinguersi
dalle altre per ampiezza e per ornamento, soprattutto nella Cattedrale;
sarebbe bene che fosse ornata con figure di leoni sull'esempio del tempio di
Salomone, che le fece scolpire sui basamenti per significare la vigilanza dei
presuli; portali così ornati si vedono poi in parecchie cattedrali della
provincia di Milano.
>>> [a “De
Pictura” pag. 28]
"I battenti o valve delle porte
della chiesa dovranno dare l'idea non tanto di ornamento quanto di robustezza.
Converrà pertanto che siano di cipresso o di cedro, o almeno di noce, lavorati
a rilievo che non imiti la levità della
pittura, ma che sia ben evidenziato con pio lavoro di scultura; le porte delle
chiese più insigni saranno ancor più convenientemente rivestite da lamine di
bronzo ed ornate di sacre immagini a cesello, tanto più che, secondo la
tradizione, le valve delle basiliche romane erano non di bronzo ma d'argento, o
ricoperte d'argento." (pagg. 21-22)
Ovviamente le porte della chiesa dovranno possedere serrature robuste ed
efficienti, azionabili solo dall'interno.
"Sul retro e sui lati della chiesa
non si aprirà nessuna porta, se non dove sia necessario un ingresso o alla
sacrestia o al campanile, al cimitero o alle abitazioni dei ministri
ecclesiastici. Soprattutto, non si apriranno porte in corrispondenza di un
altare o nelle zone laterali di esso, nè in alcun luogo che dia direttamente
sull'altare, perchè non ne derivi qualche pericolo di ostacolo, irriverenza o
disturbo ai sacri ministeri" (pagg.
22-23) <<<
Nelle
disposizioni sin qui viste si evidenziano alcuni dei temi che ricorreranno
nell'opera:
- l'idea di chiesa come luogo privilegiato, che
va isolato e distinto dal contesto edilizio in cui si trova;
- il frequente richiamo agli esempi
paleocristiani;
- il senso della gerarchia tra gli elementi
architettonici: la facciata prevale sui fianchi, la porta centrale sulle
laterali ecc. Essa rispecchia simbolicamente la gerarchia che deve governare la società cristiana: il
parroco sui fedeli, il vescovo sui parroci, il papa sui vescovi.
- l'importanza del numero dispari degli
elementi, fatto che solo in parte si può spiegare con le esigenze gerarchiche;
- l'insistita separazione tra uomini e donne
alle funzioni. <<<
Cap. VIII: Le finestre
"La forma più usata per le finestre
nelle chiese è quella che le vede arrotondate nella parte superiore e, sui
lati, più larghe verso l'interno che verso l'esterno, come anche insegna il
significato mistico tramandatoci dai Padri." ( pag. 24)
In termini attuali, le finestre descritte sono centinate e strombate.
Quanto al significato mistico, qui come in tutti gli altri casi analoghi, il
Borromeo non lo spiega, dandolo probabilmente per saputo dal pubblico di
esperti ed ecclesiastici cui si rivolge.
"Si faranno delle finestre laterali
nella navata centrale, se l'altezza del tetto lo consente, e nelle navate
minori, in numero dispari su entrambi i lati, ordinate al centro di ciascun
intercolumnio, in modo da corrispondersi in linea retta, e non molto distanti
dallo zooforo o dall'epistilio del tetto [termini indicanti il cornicione
che marca il raccordo tra le pareti e il soffitto o tra queste e l'imposta della volta]
"Come principale fonte di luce per la chiesa e la cappella
maggiore, si aprirà una finestra circolare a mo' di occhio, proporzionata alle
misure della chiesa, sulla facciata, sopra la porta principale e la si ornerà
al di fuori secondo la struttura dell'edificio. Anche in corrispondenza delle
altre navate ve ne sarà una di forma oblunga sulla facciata, a giudizio
dell'architetto."
L' "occhio" è naturalmente il rosone, mentre le finestre
laterali di facciata richiamano l'impostazione solariana di S. Maria delle Grazie, S. Pietro in
Gessate ecc. Molte delle "Instructiones" si riferiscono a modelli
già esistenti.
A sinistra, la
facciata di S. Maria delle Grazie col rosone e le finestre laterali. A
destra l'interno della cupola della stessa chiesa <<<
"Si può ricevere luce,
però, per la chiesa e la cappella [maggiore] anche dalla cupola (...) Nella
cappella maggiore e in ciascuna delle minori, in rapporto alla loro grandezza
e forma, vi saranno finestre su entrambi i lati, per ricevere luce dall'una e
dell'altra parte. Se poi non è possibile ricevere luce dai lati e non è
sufficiente quella che penetra dalla finestra circolare e dalle altre della
facciata nè da altre parti, si prenderà luce dalla parete di fondo della
cappella. Si badi tuttavia che le finestre della parete di fondo non occupino
nemmeno la più piccola parte dello spazio proprio di un qualsiasi altare; e
ancora e soprattutto, che non diano direttamente sull'altare addossato alla
stessa parete, e non siano nemmeno immediatamente sopra di esso.
"Se tuttavia non è possibile prendere
luce da altre parti in modo adeguato e decoroso, la finestra che
necessariamente dovrà aprirsi sopra l'altare sarà leggermente inclinata verso
l'esterno nella sua parte inferiore [si riferisce ovviamente al vano, non al
vetro] e lì rivestita di laterizio o di una solida tavola di marmo o
lastra di bronzo, in modo che l'acqua defluisca tutta all'esterno, e
all'interno non ne penetri neanche una goccia.
"Si prenda poi cura, se accade di costruire
la chiesa in luogo montuoso o particolarmente battuto dal vento, che le
finestre, ovunque si aprano, ma soprattutto quelle a settentrione, siano fatte
in modo da non recar danno ad alcuna parte della chiesa nè pericolo alle sacre
funzioni, o disagio ai fedeli in preghiera.
"Le finestre si ubicheranno in alto,
e in modo tale che chi sta fuori non possa guardare dentro. Dove sia necessario
aprire una finestra meno alta di quanto detto (...), la si munirà di imposte
con vetri che non sia possibile aprire dall'esterno per guardare all'interno.
Tutte le finestre, ovunque siano, dovranno essere munite, ove possibile,
d'inferriate cui si aggiunge la struttura in vetro o comunque trasparente, non
dipinta in alcuna sua parte se non, al massimo, con l'immagine del Santo cui è
dedicata la chiesa o la cappella, perchè si riceva maggior luce (...) Tuttavia,
di qualunque tipo e comunque siano fatte, le finestre dovranno essere tali da
potersi aprire o rimuovere in caso di esalazioni di vapore verificatesi all'interno
della chiesa o della cappella" (pagg. 24-27).
Forte è dunque nel Borromeo la cura per la luce, secondo una tendenza
che emerge spesso nell'architettura e nell'arte lombarda. Notevole è anche la
sua attenzione all'igiene, alla sicurezza e alla "privacy" del
fedele, tutti caratteri che nel luogo privilegiato della chiesa trovano
attuazione più che nelle strutture civili, anche ricche, del tempo. <<<
Cap. IX: La
scalinata e i gradini della chiesa.
Se occorrono più gradini di
quanto richiesto nel cap. I, questi devono essere sempre in numero dispari e
intervallati, ogni 3 o 5, da un pianerottolo; ma anche le rampe tra i
pianerottoli devono risultare in numero dispari. Ogni gradino deve misurare
circa 8 oncie in alzata e un cubito in pedata.
<<<
Cap. X: La
cappella maggiore[= quella che
ospita l'altar maggiore]
"Il sito di questa cappella si deve
scegliere in fondo alla chiesa, in luogo alquanto elevato. La sua parte posteriore
dovrà essere rivolta verso oriente, anche se nel suo retro vi fossero delle
abitazioni civili. Non dovrà essere rivolta verso l'oriente solstiziale ma
verso quello equinoziale" (pag. 29)
Se non siamo astronomi non ce ne accorgiamo, ma nel corso dell'anno
il punto da cui sorge il sole cambia continuamente, percorrendo nei due sensi
un tratto dell'orizzonte. Al centro di questo tratto c'è il punto in cui il
sole sorge agli equinozi (21 marzo, 23 settembre), agli estremi quelli in cui
sorge ai due solstizi (21 giugno, 21 dicembre ). Il punto equinoziale dunque
indica l'oriente medio, quello rispetto a cui le oscillazioni annuali sono meno
sensibili. Questa ricerca dell'oriente "vero" verso cui orientare la
chiesa non è un capriccio del nostro autore ma è comune da sempre nel mondo
cristiano, e non solo. L'oriente è per tutte le civiltà il luogo da cui, col
sole, nasce la vita e la divinità, qualunque sia, si manifesta in modo privilegiato.
"Se non è possibile questa
impostazione, a giudizio del Vescovo e su sua licenza, la si potrà costruire
volta verso un'altra direzione, ma in tal caso si abbia almeno cura, se
possibile, di non volgerla verso settentrione ma verso meridione. In ogni caso
dovrà essere volta ad occidente quella cappella in cui, secondo il rito della
chiesa, il sacerdote celebri la messa all'altar maggiore col viso rivolto
verso il popolo." ( pag. 29)
Dunque è il sacerdote che deve guardare a oriente. Ma occorre anche qui una spiegazione. Oggi,
dopo il concilio Vaticano II, è normale che il celebrante sia rivolto verso i
fedeli, ma prima questa era l'eccezione, attuata solo in certi rituali: di
solito il sacerdote guardava nella stessa direzione dei fedeli, quindi voltava
loro le spalle. Ecco perchè la cappella maggiore (quella dove c'è l'altar
maggiore) dev'essere volta a oriente. Ma dove vige l'eccezione l'orientamento
dev'essere opposto.
"La cappella sarà coperta a volta e
degnamente ornata con mosaici o altra insigne decorazione pittorica o
architettonica (...) Il suo pavimento
sarà più alto di quello della chiesa, in rapporto alla posizione e al tipo di
chiesa cui appartiene: se questa è una parrocchiale sarà più alto, come
minimo, di otto oncie e al massimo di un cubito; se è una collegiata o
cattedrale, oppure una parrocchiale insigne, sovrasterà non meno di un cubito
e non più di un cubito e sedici oncie. Quando poi nella cappella maggiore
esiste il luogo detto "confessione" [in questo caso sembra
trattarsi della cripta] il criterio di elevazione del pavimento verrà
adeguatamente e decorosamente riferito all'altezza di questo luogo."
(pagg. 30-31)
I gradini per la salita alla cappella maggiore, in marmo, "solida
pietra" o laterizio solo se manchino quei materiali, saranno in numero
dispari, e l'autore si dilunga sulle possibili combinazioni derivanti dal
rapporto fra l'altezza dei gradini (non più di otto oncie) e l'elevazione della
cappella.
Risparmieremo al lettore le più minuziose tra le questioni
dimensionali che abbondano nell'opera, ma dobbiamo segnalare che tali questioni,
agli occhi dell'autore, hanno un ruolo essenziale. Ritroviamo, nel discorso
sulla cappella maggiore, la concezione gerarchica dell'architettura e
l'insistenza sul numero dispari. <<<
La differenza
tra cripta e "confessione".
A sinistra, la
cappella maggiore del duomo di Piacenza con l'altare sopraelevato sulla
cripta, di cui si vedono ai lati i due ingressi
A destra la
"confessione" di S. Pietro a Roma: la struttura non eleva l'altare
e vi si entra attraverso un vano aperto a livello del pavimento <<<
Cap. XI: L'altar maggiore
"L'altar maggiore della cappella
potrà essere ubicato in modo che dal gradino più basso dell'altare stesso ai
cancelli di recinzione della cappella vi sia uno spazio di otto cubiti o anche
più, ove lo consenta, o anzi lo richieda per motivi di proporzione, l'ampiezza
della chiesa. Tale spazio sarà comodo e utile al numeroso clero che si riunisce
per la Messa solenne e le funzioni divine" (pag. 32)
Segue un elenco degli artifici da attuare per ottenere o aumentare le
misure date in casi difficili. Tra
questi presenta qualche interesse quello di espandere la gradinata della
cappella maggiore verso la navata con un tracciato poligonale, come appare ad
esempio nel duomo di Milano.
"L'altezza dell'altar maggiore sarà,
dalla predella, di due cubiti e otto oncie, o al massimo dieci; la lunghezza di
cinque cubiti o più, in rapporto alla lunghezza e alle misure del luogo.
Inoltre, se di fronte o sui lati c'è spazio, si costruiranno tre gradini, cioè
uno formato dalla predella e due altri sottostanti: questi ultimi dovranno
essere in marmo o pietra solida, o, se ciò non è possibile, in laterizio [seguono
le misure]. Il terzo gradino, formante la predella, sarà in tavole di
legno [seguono le misure].Ove
poi, grazie all'ampiezza della chiesa e dell'altar maggiore, vi sia spazio per
più gradini, se ne potranno costruire cinque, dell'altezza e larghezza
prescritti sopra.
"Sotto l'arco di volta della
cappella maggiore, in ogni chiesa, specie se parrocchiale, sarà adeguatamente
collocata una croce con l'immagine di Cristo crocifisso, in legno o altro
materiale, di fattura pia e decorosa. Se non è possibile collocarlo in quel
luogo per l'eccessiva bassezza dell'arco o della volta, si appenderà alla
parete sopra l'arco stesso, nella parte esterna sotto il soffitto, oppure
addirittura sopra la porta della cancellata della cappella" (pagg. 34-35) <<<
Cap. XII: Il coro [= la serie di sedili ("stalli")
in cui tutti i sacerdoti addetti a una certa chiesa cantano i salmi e le altre
orazioni quotidiane nelle "ore canoniche"]
"Il coro (...) dovrà essere separato
dalla parte della chiesa dove stanno i fedeli e chiuso da cancelli" ( pag.
36).
Per il resto esso potrà essere collocato o davanti all'altar maggiore,
"secondo l'uso antico", o dietro di esso, mentre dimensioni, forma e
ornamento saranno a giudizio dell'architetto.
Dovunque sta il clero ci devono essere chiari e solidi elementi di
separazione rispetto al luogo dei fedeli.
<<<
Pianta della cattedrale di Amiens |
Pianta della cattedrale di Canterbury |
Coro della cattedrale di Canterbury |
Pianta della chiesa di S. Maria dei Frari a Venezia |
Coro della chiesa di S. Maria dei Frari
|
Pianta della cattedrale di Leon |
Coro della cattedrale di Leon |
La posizione del coro (C) nelle cattedrali di Amiens, Canterbury, Leon e nella chiesa dei Frari a Venezia. A fianco l’ingresso monumentale del
recinto (trascoro) che lo separa dai fedeli.
<<<
>>> (a “De Pictura” l. II cap. XIII)
Ovviamente il coro è presente solo
nelle chiese officiate da una grande comunità (cattedrali, collegiate,
abbazie…). Quanto all’”uso antico”, esso si trova ancora presso i monasteri,
nelle cattedrali di Spagna e dei paesi da essa influenzati (es. le Fiandre)
oltre che in Inghilterra, ove però la complessa articolazione spaziale delle
chiese non permette di identificare facilmente il “centro” del percorso
liturgico. L’uso “moderno” è in vigore almeno dal medio evo gotico, e ad esso
si deve il grande sviluppo della parte absidale delle cattedrali sorte in quel
periodo. Viene accolto da S. Carlo, che su di esso
imposta la sua ristrutturazione del Duomo. Federico, invece, pur senza intervenire
sull’opera del cugino, manifesterà una certa propensione per l’uso antico (si
veda il capitolo finale del “De Pictura”) <<<
Cap. XIII: Il tabernacolo [=
il contenitore dell'ostia consacrata, vero cuore della chiesa]
"Poichè per decreto provinciale si
deve collocare il tabernacolo della Santissima Eucarestia sull'altar maggiore,
converrà dare qui qualche istruzione. Nelle chiese più insigni, ove possibile,
sarà opportuno che esso sia di lamine d'argento o di bronzo, in entrambi i casi
dorate, o di marmo prezioso. Il corpo del tabernacolo, elegantemente lavorato e
ben compatto nelle sue parti, scolpito con immagini dei misteri della Passione
di Cristo e decorato con dorature in alcuni punti, presenterà un'ornamentazione
veneranda e pia. All'interno dovrà essere rivestito di tavole di pioppo o di
altro legno del genere, perchè la Santissima Eucarestia sia protetta, grazie a
tale rivestimento, dall'umidità del metallo e del marmo (...)
"Sarà ampio in rapporto alla
dignità, grandezza ed esigenze della chiesa sul cui altar maggiore si deve
collocare. La sua forma sarà ottagonale o rotonda, come più parrà adatta per
decoro e pietà alla forma della chiesa. Sulla sommità del tabernacolo vi sarà
l'immagine di Cristo che risorge gloriosamente o che mostra le sante piaghe
(...)
"Inoltre il tabernacolo, poggiato
sull'altare con una base ornata e ferma, sostenuto da solidi gradini
decorosamente lavorati o da statue di angeli o da altri sostegni decorati con
temi religiosi, sarà ben fissato e solido; inoltre sarà munito di chiave."
(pagg. 37-39)
Seguono le solite questioni dimensionali sull'accessibilità al
tabernacolo e sulle alternative in caso di mancanza di spazio.
"Sotto il tabernacolo non vi dovrà
essere alcun armadietto, nè alcun luogo per riporre i libri o gli arredi
ecclesiastici [non si tratta di un mobile ma di un oggetto sacro e non può
essere adibito ad usi utilitari] (...)
"All'interno il tabernacolo sarà
rivestito in ogni parte e ornato di seta rossa, se la chiesa è di rito
ambrosiano, o bianca, se è di rito romano. Avrà nella parte anteriore una
porticina abbastanza larga da permettere di introdurre e togliere facilmente
l'ostensorio [il contenitore manuale con cui il sacerdote mostra l'Ostia ai
fedeli] che si chiude al suo interno; inoltre si aprirà in modo da potersi
completamente ripiegare ai lati, così da non dare impaccio alla mano o al
braccio del sacerdote che toglie dal tabernacolo la Santa Eucarestia. La
porticina sarà adorna dell'immagine di Cristo crocifisso o risorgente, o che
mostra le ferita del petto, o di altra pia effigie". <<<
Sembra che l'unica forma ammessa
dal Borromeo per il tabernacolo sia quella detta a edicola o a tempietto,
struttura autonoma di forma press'a poco cilindrica o prismatica che si appoggia
con un basamento al piano dell'altare (figura a sinistra): è il tipo che si vede, in
formato gigante, nel duomo di Milano (al centro). In pratica però sembra più
usato il tipo ad armadietto, che si apre con uno sportello nella testata
dell'altare (a destra). <<<
Cap. XIV:
Cappelle laterali e altari minori
La presenza di altari e cappelle minori nelle chiese era giustificata
da almeno due fattori:
- l'usanza
largamente diffusa tra le famiglie influenti di "patrocinare" una
certa chiesa istituendovi uno o più
altari e mantenendo a proprie spese i relativi celebranti, oppure
fondandovi cappelle a proprio uso
- l'abbandono in cui era caduta la
pratica della concelebrazione dei riti, per cui ciascuno dei sacerdoti
officianti in una chiesa doveva celebrare la messa per proprio conto.
Entrambi questi fattori sono venuti meno
dopo il concilio Vaticano II, per cui oggi cappelle e altari laterali sono una
semplice traccia del passato. Ma il Borromeo doveva imporre una disciplina al
proliferare di queste strutture, e lo fa con le norme che seguono, ispirate
sostanzialmente a un'istanza di ordine e di decoro.
Quanto all'ubicazione, le
cappelle laterali trovano una sede naturale nelle testate dei transetti, se ci
sono; possono essere anche ricavate ai
due lati della cappella maggiore, avendo cura però che non la superino per
dimensioni e splendore e, se la chiesa è a tre navate, che risultino in asse
colle laterali.
Anche lungo le navate si possono costruire cappelle; ma allora devono
essere quanto più possibile omogenee per aspetto e dimensioni, disposte
simmetricamente sui due lati e in asse con gli intercolumnii; non devono
comunque occupare la prima campata prossima all'ingresso (in cui si potrà
collocare solo il battistero) e devono ricevere luce a sufficienza, magari
attraverso adsidiole finestrate. Non ve ne devono essere comunque in
controfacciata o in posizione tale che chi vi dice Messa volti le spalle
all'altar maggiore. Devono essere sollevate di almeno un gradino rispetto alle
navate, ma non tanto da superare la cappella maggiore, e devono essere separate
da esse con cancelli o balaustre. L'altare vi va collocato sulla parete di fondo.
Le dimensioni [tralasciamo i particolari!] devono esser tali che
i celebranti siano ben visibili anche dall'esterno della cappella e non si
disturbino reciprocamente nelle funzioni. Nel definirle, l'autore mostra la sua
solita preferenza per i numeri dispari (7, 9, 11 cubiti ecc.). Se manca lo
spazio per cappelle vere e proprie,
queste possono essere sostituite da semplici altari, purchè inquadrati da una
coppia di colonne trabeate e opportunamente cintati. <<<
Cap. XV:
Elementi comuni a cappelle e altari maggiori e minori
Materiale: mai legno, ma pietra o, solo in mancanza di questa,
laterizio.
Forma: compatta, senza cavità che possano prestarsi a impieghi
utilitari. E' consentita la forma a tavolo, purchè non vi si collochi nulla
sotto.
Altare e celebrante devono avere sempre sopra di sè una volta o un
baldacchino cui si possa facilmente accedere per periodiche pulizie: non può quindi
coincidere col soffitto della chiesa. Questa struttura, che l'autore chiama
"capocielo", può essere in muratura, in legno o anche in tela e può
essere sorretta da colonne o anche pendere dal soffitto della chiesa.
La descrizione non è del tutto chiara, ma nel complesso sembra indicare il
ciborio, struttura a tempietto o a
baldacchino che sovrasta l'altare in
molte chiese: classici esempi, quello di S. Ambrogio a Milano o quelli delle
basiliche romane.
Esempio di capocielo pensile Il
ciborio di S. Paolo fuori le Mura, Roma
<<<
Seguono norme minuziose sull'arredo collaterale all'altare: dal
ripostiglio per le sacre ampolle, che deve stare dal lato dell'epistola e incorporare
un lavamano, al campanello, che dev'essere collocato in modo da non poter
essere azionato per errore fuori tempo, al chiodo per appendere il berretto del
sacerdote, che dev'essere dal lato dell'epistola e non superare l'altezza di
due cubiti... Quanto alla recinzione, dev'essere alta circa tre cubiti, ma nel
cubito più basso l'inferriata o le colonnine devono essere più compatte
"per impedire l'ingresso ai cani" ( pag. 58).
L'altare dev'essere rivestito su ciascuna delle facce visibili da
tessuto: il pallio sulla faccia rivolta ai fedeli, la tovaglia sul piano e sui
lati. La mensa sarà in pietra o in marmo.
Interessante, anche se un po' oscura per i non addetti, è la
descrizione che segue dell'altare consacrato.
Sotto la mensa dell'altare
consacrato vi sarà un "sepolcro delle reliquie", raggiungibile
tramite un'apertura praticata o sulla fronte o sul retro o sul piano
"secondo il criterio di consacrazione, prescritto dal libro pontificale, che il Vescovo vorrà usare" ( pag.
63). Tale "sepolcro" sarà chiuso da una tavola in pietra o in marmo
recante i nomi dei santi cui le reliquie appartengono.
L'autore indica questo luogo anche come una "fossa", per
cui possiamo pensare, che, almeno in certi casi, si tratti di una tomba vera e
propria come quella che troviamo, ancora una volta, in S. Ambrogio sotto
l'altare d'oro.
La mensa dell'altare consacrato sarà coperta di tela cerata, mentre
quello non consacrato sarà coperto in legno. Al centro della mensa consacrata
si trova l'"altare portatile", consistente in una pietra incastrata
in una spessa tavola di legno, il tutto a sua volta infossato nella mensa così
da essere appena distinguibile al tatto. E' questa, consacrata dal vescovo, l'elemento propriamente sacro
dell'altare, tanto che il suo trasferimento trasferisce la consacrazione ad un
altro altare. <<<
Cap. XVI: Luoghi, vasi e loculi in cui si custodiscono le sacre
reliquie.
Lo "scurolo" di S. Carlo nel duomo di Milano. Tutta la cassa è di vetro, anche se il santo si sarebbe accontentato di una "finestrella" (v. pag. 14) <<<
"I corpi dei Santi si custodiscono
piamente e decorosamente soprattutto in quella parte sotterranea della chiesa
detta 'confessione' o volgarmente 'scurolo' [è sempre la cripta],
quando la chiesa la possiede, e negli altari di pietra o sotto di essi, com'è
antica usanza. Pertanto sarà opportuno apprestare un'arca di marmo o almeno di
solida pietra, assai ben levigata all'interno, fornita di coperchio di tipo
fastigiato [forse a forma di tetto con spioventi], che contenga, ben
chiusi, i sacri corpi; essa sarà posta all'interno o al di sotto degli altari.
"Oltre che negli altari, le reliquie
potranno essere custodite in un altro luogo cospicuo della chiesa: in tal
caso l'arca dovrà essere in marmo più prezioso, scolpita all'interno [o
all'esterno?] e insigne per ornamento pio e religioso. Essa, sostenuta da
quattro o più colonnine anch'esse di marmo, assai ben eseguite (...) sarà
decorosamente collocata o nella parte centrale della chiesa, se l'ampiezza lo
permette, o nella cappella più insigne, o ancora in quella in cui si custodisce
il Santissimo Sacramento. (...) Se si pone in qualche cappella, la si potrà
ubicare nella sua parte posteriore o di fianco all'altare: la si addosserà alla
parete o si porrà in una leggera, decorosa concavità di essa; sarà collocata
quattro cubiti al di sopra del pavimento. (...)
"Affinchè poi i corpi dei Santi o le
sacre ossa, incorrotte e inviolate, si conservino in perpetuo monde da ogni
sporcizia e polvere e al sicuro da ogni ingiuria, si prenderà questa
precauzione: ogni arca (...) sarà assai solida e compatta nella parte esterna
ed inoltre rinforzata da ganci di ferro e di piombo su ogni lato, in modo che
non si veda nemmeno una fessura; inoltre in essa verrà chiusa un'altra cassa
d'oro, d'argento o di stagno (in questi due ultimi casi dorata), di solida
fattura, in cui si conservino i sacri corpi. Questi, quando verranno posti in
tale cassa, saranno rivestiti e avvolti in tessuto di seta o in un velo ancor
più prezioso, del colore adeguato al Santo o alla Santa cui appartengono,
disposti secondo il rito e l'istituto ecclesiastico. La cassa o teca o i loculi
o i vasi, di qualunque tipo siano, saranno benedetti secondo il rito con la
preghiera prescritta sul libro pontificale o rituale prima che vi vengano
chiuse le sante reliquie (...)
"In ogni cassa sarà chiusa una
tavoletta in bronzo in cui siano incisi i nomi dei Santi. Sarà posta anche
sull'arca un'iscrizione che indichi con precisione i nomi e i corpi dei Santi,
il tempo in cui sono stati posti nella chiesa o traslati e altre notizie del genere,
purchè certe.
"Le teste dei Santi, affinchè
possano essere esposte alla venerazione dei fedeli in determinati giorni,
saranno opportunamente custodite a parte: e cioè chiuse in una teca d'oro o
d'argento oppure, se i mezzi non lo consentono, di bronzo dorato, che abbia la
forma e riproduca le fattezze della testa, con collo e mezzo busto.
Esempio di busto-reliquiario <<<
"Affinchè poi qualche volta si
possano vedere ancora integri e con tutte le loro membra i corpi dei Santi custoditi sull'altare o in luoghi cospicui,
l'altare o l'arca saranno fatti in modo da avere sulla parte anteriore una
finestrella, ornata e ben fatta, munita di una griglia di ferro o di bronzo e
solidamente chiusa (...) da cui i corpi stessi si possano vedere." (pagg. 67-71)
L'ampiezza, la cura e la qualità verbale con cui espone queste
norme testimoniano l'impegno posto dal Borromeo nel culto delle reliquie, culto
cui sembra dedicare una partecipazione emotiva superiore, ad esempio, a quella
che emerge dalla burocratica normativa sull'altar maggiore. E non è tutto,
perchè, dopo aver sistemato le reliquie dei corpi interi, l'autore si dilunga
sulle reliquie parziali, anche minime, di cui le chiese dei suoi tempi si
fregiavano.
Tipico armadio-reliquiario <<<
Le reliquie parziali vanno custodite in appositi contenitori trasparenti
proporzionati alle loro dimensioni e corredate da etichette coi nomi dei santi
di appartenenza (ma sono ammessi
anche santi non identificati). Tali
contenitori vanno posti in armadi sopraelevati, collocati a loro volta in
luoghi ben visibili della chiesa, ma accessibili solo dai sacerdoti in
occasione delle ostensioni, fuori dalle quali dovranno essere tenuti ben
chiusi. Nelle loro vicinanze ci saranno dei pali terminanti con ganci ai quali
i fedeli appenderanno le loro corone del rosario, che verranno poi portate a
contatto coi vasi delle reliquie. Non
mancheranno poi, nella chiesa, le immagini dei santi più illustri di
cui vi sono custodite le reliquie e iscrizioni che di tali reliquie narrino la
storia.
Dunque il cardinale ammette la "grazia per contatto". A
scaricarlo dall'accusa di superstizione si può soltanto dire che anche la
medicina del tempo attribuiva valore terapeutico a pratiche simili a volte
ancor più arbitrarie. <<<
Cap.
XVII: Le sacre immagini o le pitture
"In base al decreto del concilio di
Trento e alle costituzioni provinciali, il Vescovo deve porre gran cura a che
le sacre immagini siano rappresentate in modo pio e religioso; inoltre è stata
prevista una gran pena o multa ai pittori e agli scultori perchè non si
allontanino, nelle rappresentazioni di cui sopra, dalle regole prescritte. E'
stata inoltre prevista una sanzione anche per i rettori ecclesiastici, qualora
permettano che nella loro chiesa sia raffigurata o collocata un'immagine
insolita e contraria alle disposizioni del concilio tridentino.
"Ciò che si
deve evitare e ciò che si deve mantenere nelle immagini sacre.
"Innanzitutto non si raffigurerà in
chiesa o altrove un'immagine sacra che contenga un falso dogma, o che offra
agli ignoranti occasione di pericoloso errore, che sia contraria alle sacre
scritture o alla tradizione della Chiesa; al contrario, l'immagine sarà
conforme alla verità delle Scritture, delle tradizioni, delle storie
ecclesiastiche, alle consuetudini e all'uso della madre Chiesa.
"Inoltre, nel dipingere o scolpire
sacre immagini, come non si dovrà rappresentare nulla di falso, di incerto o
apocrifo, di superstizioso e di insolito, così si eviterà rigorosamente tutto
ciò che sia profano, turpe o osceno, disonesto e procace; e analogamente si
eviterà tutto ciò che sia stravagante, che non stimoli gli uomini alla pietà, o
che possa offendere l'animo e gli occhi dei fedeli.
"Inoltre, per quanto nella
rappresentazione di un santo si debba ricercare, si avrà cura di non riprodurre
a bella posta l'effigie di un altro uomo vivente o morto.
"Non dovranno trovar posto in chiesa
o in altro luogo sacro immagini di bestie da soma, di cani, di pesci o altri
animali bruti, a meno che la rappresentazione della storia sacra, secondo la
consuetudine della madre Chiesa, non lo richieda specificamente (...)
"Le insegne dei santi
"Le insegne che, con significato
sacrale, vengono apposte alle immagini dei santi, dovranno essere conformi, in
modo adeguato e decoroso, all'istituto ecclesiastico; esse possono essere, ad
esempio, l'aureola che si pone attorno al capo dei santi, a mo' di scudo
rotondo; le palme nelle mani dei martiri; la mitria e il pastorale che si
attribuiscano ai vescovi e altre del genere, e inoltre l'attributo proprio e
caratteristico di ciascun santo. Inoltre bisognerà aver cura che la
raffigurazione risponda a verità storica, all'uso della chiesa, ai criteri
prescritti dai Padri. Bisognerà far sì
che l'aureola di Cristo si distingua da quella dei santi per mezzo di
una croce. Inoltre bisognerà badare a non attribuire l'aureola a nessuno che
non sia canonizzato. [Di questi temi parla più diffusamente Federico
nel cap. VIII del
libro II]
"I luoghi non convenienti per
le pitture sacre
"Non si rappresenterà alcuna immagine
sacra per terra, nemmeno in chiesa; nè in luoghi umidi, che causano col tempo
il guasto e il decadimento della pittura; nè sotto le finestre, da dove possa
stillare l'acqua piovana; nè in prossimità di punti in cui si debba piantar
chiodi; nè, si ribadisca, per terra e in luoghi fangosi. In luoghi simili non
si rappresenteranno neanche storie di santi o raffigurazioni o simboli dei
misteri liturgici.
"Il rito
della benedizione delle immagini
"Non bisogna aver cura solo del
luogo, ma anche dell'antico rito ecclesiastico: le immagini dei santi, cioè,
una volta eseguite, saranno consacrate con una solenne benedizione e preghiere
stabilite, prescritte dal libro pontificale o sacerdotale (...)
"Le
didascalie con i nome dei santi
"Non è disdicevole che, nel gran
numero di immagini che si raffigurano in una chiesa, sotto quelle meno note si
scrivano i nomi dei santi rappresentati (...)
"I 'parergi'
e le aggiunte per ornamento
"I 'parergi', o accessori, e cioè
gli elementi che pittori e scultori sono soliti aggiungere alle immagini per
ornamento, non saranno profani, nè voluttuosi, nè volti al diletto estetico, nè
estranei alla pittura sacra, come ad esempio le teste umane deformi che
vengono volgarmente chiamate 'mascaroni' (vedi immagine a destra), o gli uccelli, o il mare, o i campi
verdeggianti che si dipingono per il piacere e il diletto della vista e per
ornamento; a meno che non siano parte integrante della storia sacra che si
rappresenta, o che si tratti di tavole ex voto, in cui si dipingono, per
spiegarne il senso, teste umane ed altro, come detto sopra.
"Gli ornamenti e gli indumenti delle
sacre immagini non dovranno avere alcunchè di vano o che, insomma, si accordi
poco o nulla con la santità.
"Le tavolette votive, gli ex voto,
le immagini di cera e gli altri oggetti che si suole appendere nelle chiese
per antica consuetudine e istituto, a ricordo della salute recuperata o di un
pericolo scampato o di una grazia divina miracolosamente ricevuta, dovranno
essere oggetto della cura prescritta sopra, poichè spesso le loro
raffigurazioni sono false, indecorose, turpi e frutto di superstizione"
(pagg. 79-84)
Questo è l'unico capitolo che il Borromeo dedica all'arte figurativa,
perciò l'ho riprodotto quasi per intero. La minacciosa apertura, con le sanzioni che attendono gli artisti infedeli
e i committenti poco vigili (sanzioni che però non compaiono nel decreto
conciliare), ci fa capire che le arti
erano considerate dalla Chiesa un mezzo di comunicazione sociale altrettanto
valido che la stampa, quindi altrettanto meritevole di attenzione censoria. Di
quest'attenzione il cardinale sembra farsi portavoce inflessibile, proponendo
un modello di arte che si può definire "conformista" se non altro
perchè dev'essere "conforme" a canoni estremamente rigidi.
E' sin troppo facile criticare questi canoni dal punto di vista
odierno. Vediamo piuttosto di collocarli storicamente, cercando di capire in
quali realtà Carlo e i Padri conciliari vedessero i "pericoli" per
un'arte ortodossa. I "falsi dogmi" avrebbero dovuto provenire anzitutto
dal protestantesimo, ma questa confessione si caratterizza soprattutto per il
rifiuto (più o meno radicale, ma altrettanto censorio di quello cattolico) dei
temi più cari al cattolicesimo (santi, Madonne, Eucarestia ecc.), col
quale quindi non entra in concorrenza. I "falsi dogmi" si potevano
più facilmente trovare in certa produzione tardo-rinascimentale, che s'ispirava
ai temi di un neo-paganesimo nutrito di magia e di cabala (il cosiddetto
ermetismo) e proponeva una religiosità "più autentica" di quella
cristiana in quanto fondata su princìpi più antichi ed universali. Abili nel
dissimulare le loro idee, gli artisti ermetici si servivano di simboli e
"geroglifici" che spesso inserivano nelle loro opere facendoli
passare per semplici decorazioni: sono
forse questi i "mascaroni" con cui san Carlo se la prende, insieme ai
tanti casi in cui l'episodio sacro viene preso a pretesto per scene mondane e
galanti (si pensi alle "cene" tipo Veronese o alle tante Susanne e
Cleopatre discinte come Veneri). Come può un vescovo benedire simili immagini?
Curioso ed ermetico appare il precetto di non "riprodurre a
bella posta" tra i santi "l'effigie di un altro uomo vivente o
morto". Per nostra fortuna lo ritroveremo esposto più estesamente da
Federico nel suo capitolo sui ritratti,
(Lib. II, cap. VIII), dove raccomanda di
non dare alle immagini sacre le fattezze di persone reali che non siano
di virtù provata, e di non servirsi di tali "ritratti indiretti" a
scopi polemici o vendicativi, citando il famoso caso di Michelangelo e Biagio
da Cesena da lui trasformato in Minosse.
Possiamo anche ritenere ingenuo il riferimento alla "verità
storica" di fatti la cui credibilità è affidata soprattutto alla fede; tanto
più che per il cardinale tale verità fa tutt'uno con la tradizione raccolta
dalla Chiesa, cui egli attribuisce la capacità (conferita dallo Spirito Santo?)
di distinguere fra tante leggende e notizie discordi quelle vere o per lo meno
più attendibili. Arbitrario e discutibile fin che si vuole, è un tentativo di
sottoporre l'arte a un criterio di verità e di evitare quelle che ancor oggi
si chiamano "false comunicazioni sociali": non basta insomma che un
fatto sia oggetto di pie leggende e di devozione popolare perchè sia da
considerarsi vero.
A far le spese di questo precetto furono anzitutto i vangeli
apocrifi, che conobbero in quest'epoca la loro morte iconografica. Ma più
esplicita e severa è la condanna, da parte del Borromeo, della superstizione,
in cui troviamo una corrispondenza precisa col decreto conciliare. Ai nostri occhi molte delle pratiche raccomandate da san
Carlo sono esse stesse superstiziose (si pensi al culto delle reliquie), ma è
comunque significativo che egli voglia distinguere una religione
"vera", fondata su quella che egli, con tutta la Chiesa, ritiene la
"parola di Dio", da una religione "falsa", fondata su
opinioni umane o su credenze di non "certa" origine divina. Sembra
che nel criticare gli "ex voto" il cardinale consideri superstiziosa
anche la credenza in miracoli "utilitari" (guarigioni, scampati
pericoli ecc.) nelle cui origini o nei cui esiti non è chiaro l'apporto della
fede.
Il conclusione, la precettistica carolina (cui si aggiungerà tra
mezzo secolo quella di Federico, più ricca e duttile, ma sostanzialmente
concorde) ha certamente l'effetto di promuovere una pratica artistica uniforme
e standardizzata, ma anche quello di spingere gli artisti a misurarsi con la
dimensione sacra e con le esigenze comunicative. Se traduciamo la "verità
storica" da essa richiesta con "credibilità umana" ci troviamo nell'ambito di una tendenza già
da tempo operante nell'area lombarda, sotto forma di concretezza, attenzione al
reale e al quotidiano come veicoli del sacro (Bergognone, Lotto...), tendenza
che in questa precettistica trova conferma e promozione. Così l'arte italiana
non avrà il suo Bosch ma troverà presto un Caravaggio. <<<
Cap. XVIII: Le lampade o il lampadario
Nei
dispositivi d'illuminazione sono ammesse varie forme di lampade, secondo la
tradizione. L'importante è che le singole lampade siano sempre in numero
dispari, anche quando sono disposte circolarmente attorno a un lampadario.
Il lampadario dev'essere sempre in asse, mai laterale rispetto
all'altare o alle reliquie cui è applicato. Deve distare dal pavimento almeno 7
cubiti e dev'essere collocato in modo che la cera, nel colare, non disturbi le
funzioni. Quando in un lampadario si deve accendere una sola luce, si accenderà
quella posta al centro.
Qui il numero dispari è in funzione simmetrica e gerarchica. Ma non
sempre lo si può spiegare in questo modo
<<<
Cap.
XIX: Il battistero
Il battistero di Parma <<<
Dev'essere presente in tutte le chiese in cui vi sia cura d'anime:
cattedrali e parrocchie. Può essere collocato all'esterno della chiesa
come cappella indipendente o all'interno
della chiesa stessa.
Se è una cappella indipendente, deve trovarsi, a giudizio dell'architetto, in un luogo volto a mezzogiorno posto a una
certa distanza dalla facciata. Il "volume" [= perimetro] sarà di
circa 33 cubiti, la struttura "insigne in rapporto al carattere della
chiesa" ( pag. 90) e la dedica a S.
Giovanni Battista. La pianta potrà essere circolare, ottagonale o esagonale,
comunque iscrivibile in un cerchio; preferibile su tutte è quella ottagonale.
La copertura sarà a volta, illuminata da una lanterna centrale. Il pavimento
sarà rialzato rispetto alla strada di tre o più gradini, comunque meno della
chiesa da cui il battistero dipende. La porta, della forma prescritta nel cap.
VII, guarderà a occidente e sarà preceduta da un "vestibolo"
[pronao]. Vi saranno più finestre, in numero e forma a giudizio
dell'architetto. All'interno vi sarà un solo altare presso la parete est, di
forma e caratteri conformi al cap. XV. Sopra di esso vi sarà raffigurato il
battesimo di Cristo, scena che non dovrà mancare nemmeno se mancasse spazio
per l'altare.
Se è all'interno della chiesa, esso sarà collocato in un apposito
sacello piuttosto vicino alle porte d'ingresso e possibilmente dal lato del
Vangelo, che è quello di destra per chi entra, sud per le chiese orientate e
riservato agli uomini durante la messa. Può occupare una cappella laterale,
l'unica che può trovarsi nella prima campata, o uno dei due primi intercolumni, opportunamente recintato da inferriate
e colonne.
L'autore distingue fra i due riti in uso ai suoi tempi: quello romano
che prevede la semplice aspersione dell'acqua, e quello ambrosiano che prevede
l'immersione del battezzando.
"Ubicazione e
forma del battistero di rito romano
"Il battistero dovrà essere al centro della
cappella: esso, largo undici cubiti e profondo in modo che, dal pavimento
della cappella, vi si discenda per meno di tre gradini, per questa discesa e
per quella certa sua profondità, presenterà qualche somiglianza con un
sepolcro. Ai piedi del gradino più basso vi sarà uno spazio vuoto del diametro
di sette cubiti e sedici oncie. Al centro di questo spazio si porrà il fonte o
vasca battesimale, nel quale si trova l'acqua; (...) la sua forma sarà
rotonda, ottagonale o altra, che sia
appropriata a quella della cappella. Sarà fatto, se possibile, di un unico
blocco di marmo o di altro materiale, oppure da due o più lastre di marmo o
pietra (...) Il fondo della vasca sarà ricoperto e rinforzato, se non è
monolitico, di croste lavorate di marmo o di granito, assai ben connesse tra
loro e unite con bitume. Sarà da ogni lato dolcemente digradante verso il
centro e presenterà alcuni canaletti per mezzo dei quali l'acqua sarà condotta
verso il foro che si trova al centro, scavato sotto la base di una colonnina.
Al di sotto del fondo della vasca, in luogo sotterraneo, sarà ricavata come sacrario
una piccola cisterna, nella quale confluisca l'acqua che scorre dalla testa del
bambino che viene battezzato.
Il
Borromeo vuole probabilmente rilanciare l'idea del battesimo come morte
iniziatica, idea che però dopo i primi secoli cristiani sembra essere stata
abbandonata: al contrario, dal medio evo in poi i più illustri battisteri innalzano la vasca come un altare o come una "fontana di
vita". Nè sembra che i precetti del santo abbiano trovato seguito su
questo punto.
Battistero di Efeso, sec. IV. Qui è evidente
l’assetto sepolcrale caro al Borromeo (a sinistra)
Battistero di Pisa, sec. XII (al centro)
Battistero di Siena, sec. XV (a destra) <<<
Al centro del fondo della vasca si
innalzerà, fissandola solidamente, una colonnina di marmo a base triangolare,
quadrangolare o esagonale o di altra forma che parrà opportuna, lavorata e
ornata bene e decorosamente. Nella parte superiore della colonnina si
collocherà in modo adeguato e decoroso il vaso battesimale, in cui per tutto
l'anno si conserva l'acqua. Questo vaso (...) potrà sovrastare la vasca
inferiore di circa sedici oncie, calcolando l'altezza in senso perpendicolare dalla sommità del
labbro della vasca inferiore alla sommità del labbro del vaso superiore."
(pagg. 93-95)
Questi complicati calcoli hanno lo scopo di garantire al fonte
battesimale un aspetto infossato, pur non compromettendone la visibilità.
"Per versare l'acqua sul capo del
bambino che si battezza si userà un cucchiaio d'argento (...) L'orlo del
cucchiaio, nella parte sinistra, formerà un beccuccio, come un canaletto, dal
quale si verserà dolcemente l'acqua sul capo del bambino." ( pag. 95)
Il battistero di rito ambrosiano ha una vasca sola ma le stesse
caratteristiche morfologiche e dimensionali dell'altro. In entrambi i tipi
l'acqua va conservata il più possibile pulita coprendo le rispettive vasche
con una "mensa" di legno da aprirsi solo in occasione della cerimonia.
Dopo l'uso l'acqua defluisce in un'apposita cisterna detta "sacrario"
e dev'essere tenuta chiusa e lontana dalla vista dei fedeli
In realtà di "sacrari" simili nella chiesa ce ne sono
diversi (ne ritroveremo uno tra poco) perchè l'acqua santa va protetta e
custodita anche dopo il suo impiego.
Seguono l'esposizione dell'arredo collaterale del battistero (il
contenitore dell'olio santo, che può assumere una forma simile a un
tabernacolo, la recinzione con un velario o "conopeo"...) e di
soluzioni alternative, che mantengono però gli elementi essenziali: tra questi
vi è sempre l'immagine del Battista o del battesimo di Cristo. <<<
Cap. XX: Il
sacrario
Oltre a quello del battistero, dovrà essere collocato
nella cappella maggiore e in sacrestia, ma sempre "lontano dalla vista del
popolo". Funge da scarico per l'acqua con cui il sacerdote si lava le
mani durante la messa, per le ceneri e per altro eventuale materiale residuo
delle cerimonie. Potrà avere la forma di una vaschetta coperta o di una cavità
a muro, e in ogni caso comunicherà con una cisterna sotterranea.
Perchè "lontano dalla vista del popolo"? L'acqua santa non si può buttar via e va conservata
sinchè i processi naturali di evaporazione e assorbimento non la elimineranno;
ma è bene che il popolo non veda questi processi in corso, come se si trattasse
di una normale acqua reflua. <<<
Cap. XXI: Le
acquasantiere
Collocate possibilmente a destra di chi entra, una
per gli uomini e una per le donne [l'autore dà per scontato che i due ingressi
siano differenziati], corredate di aspersorio e/o spugna chiusa [per
ragioni igieniche?] in una sferetta forata. <<<
Cap. XXII: Amboni e
pulpito
[Amboni sono i
luoghi balconati da cui si leggono il Vangelo e l'Epistola, dal pulpito il
sacerdote dice l'omelia.] Se gli
amboni sono due, quello per il Vangelo sarà più alto e posto sul lato sud [=
destra di chi entra], che è quello riservato agli uomini; quello per
l'Epistola sarà più basso, sul lato nord riservato alle donne. Se è uno solo,
sarà sul lato del Vangelo, ma avrà una pedana un po' più alta per quest'ultimo,
mentre per l'Epistola ne avrà una più bassa. In entrambi i casi saranno di
marmo o almeno rivestiti di tale materiale, con scolpiti temi religiosi. E'
consigliabile che abbiano due scale di accesso, una per la salita e una per la
discesa.
Il pulpito, tipico delle chiese parrocchiali o di minore sfarzo, può
anche essere di legno ben lavorato. In tutti i casi queste strutture dovranno
essere collocate in modo tale che chi vi si trova sia visto e udito in ogni
parte della chiesa. <<<
[da sinistra a destra] 1. Ambone cosmatesco, sec. XII (Cava
dei Tirreni). 2 Ambone con doppia scala (Kalabaka, Grecia). 3 Pulpito con capocielo (Agira, Enna). 4.
Ambone moderno, semplice leggio con microfono. L'avvento dell'altoparlante ha
messo fuori uso gran parte degli antichi luoghi di lettura e predicazione. E'
rimasta però la distinzione fra lato dell'Epistola (sinistra per chi entra) e
lato del Vangelo (destra)
Cap. XXIII: Il confessionale
Anche nella chiesa più modesta ve ne devono essere almeno due, per tener
distinti gli uomini dalle donne. Se gli officianti sono molti, come nelle
cattedrali e nelle collegiate, ve ne sarà uno per ciascuno, sempre distinti fra
quelli riservati all'uno e all'altro sesso. Dev'essere in legno, chiuso su
cinque lati ma aperto sul davanti, con la possibilità però di chiuderlo a
chiave con un cancello o un graticcio perchè "quando non c'è il
confessore, laici, vagabondi o persone sudicie non vi si possano sedere e
dormire oziosamente, con irriverenza del ministero che ivi si esercita" (
pag. 124). Dev'essere diviso verticalmente
in due ambiti, uno per il sacerdote e uno per il penitente, e dev'essere
collocato in modo che il sacerdote si trovi sempre verso l'altar maggiore e il
penitente verso la porta. Il tramezzo fra i due ambiti dev'essere aperto da uno
sportello che verso il confessore avrà una tendina e verso il penitente una
grata piuttosto fitta (con fori "della grandezza di un cece"). Da
entrambe le parti vi saranno cartelli pro-memoria per le rispettive funzioni. <<<
Cap. XXIV: L'assito per dividere la chiesa
Sempre per separare gli uomini dalle donne. Collocato sull'asse principale
della chiesa, dalla porta centrale sino all'ingresso della cappella maggiore,
sarà alto circa 5 cubiti e avrà sezioni abbassabili in corrispondenza del
pulpito o ambone e ove sia necessario seguire una parte della cerimonia che si
svolge nel settore opposto.
Non ho trovato documenti che dicessero se e in che misura questa
disposizione sia stata osservata. <<<
Cap. XXV: I sedili
La parte riservata alle donne è quella a nord.
In essa è concesso l'uso delle "bradelle" [banchi-inginocchiatoio?
La descrizione non è chiara] in numero fissato dal vescovo e non troppo
vicine agli altari. Per gli uomini non sono previsti sedili. Si possono concedere
solo panche senza schienale da collocare lungo le pareti o longitudinalmente
negli intercolumnii. Panche e bradelle devono essere comunque facilmente
asportabili. [La chiesa non è un salotto!]
<<<
Cap. XXVI: Il
campanile e le campane
Il campanile, di dimensioni proporzionate
alle dimensioni della chiesa, dev'essere staccato da essa, prossimo al portico
o alla facciata e a destra di chi entra. Sarà diviso in piani, l'ultimo dei
quali, destinato a contenere le campane, avrà aperture più larghe. Se mancano i
mezzi, il campanile può anche essere addossato al corpo della chiesa, ma sempre
a destra di chi entra [il lato "forte", quello del Vangelo e degli
uomini!]. E' anche opportuno che sul campanile sia collocato un orologio
che batta le ore e abbia sulla lancetta
la figura di una stella.
Le campane saranno in numero da cinque a sette nelle cattedrali, di
tre nelle collegiate e da due a tre nelle parrocchiali, "tutte con suono
distinto, ben armonizzati tra loro a seconda delle esigenze e del significato
dei diversi uffici divini che si celebrano" ( pag. 137). Le campane
dovranno recare figure o iscrizioni sacre. Prima dell'installazione, vanno benedette "secondo l'istituto
della Chiesa", e la cerimonia verrà ricordata con un'iscrizione da qualche
parte del campanile o della chiesa. <<<
Cap.
XXVII: Sepolcri e cimiteri
"I canoni hanno sancito che i
vescovi, i presbiteri e gli altri ecclesiastici siano sepolti nella chiesa.
"Nella cattedrale il luogo della
sepoltura dei vescovi potrà essere davanti alle porte o all'ingresso del coro;
se però il luogo non è decoroso, se ne sceglierà un altro più conveniente (...)
purchè non nel coro nè nella cappella maggiore (...). La sepoltura episcopale
si distinguerà dalle altre, anche da quella dei canonici, per il luogo e per
qualche insegna adeguata" ( pag. 140)
A destra dei vescovi saranno sepolti i canonici, a sinistra gli altri
sacerdoti operanti nella cattedrale. Nelle collegiate vi saranno tre ordini di
sepolcri: al centro o prepositi, arcipreti o rettori; ai lati, i canonici da
una parte e gli altri sacerdoti dall'altra. Nelle chiese parrocchiali gli
ordini di sepoltura saranno soltanto due: quelle dei parroci e quelle dei
chierici..
"E' stato decretato che gli altri
sepolcri, quelli dei laici, non devono aver posto in chiesa se non per
concessione del Vescovo. Se si concederà che essi siano lì posti o costruiti, non si
porranno o costruiranno vicino agli altari (com'è stato proibito dal concilio
Varense [Francia, sec. VII]) e la
bocca del sepolcro disterà dalla loro predella [degli altari] almeno tre
cubiti. Non saranno costruiti entro i limiti del coro e della cappella
maggiore, e nemmeno entro i cancelli delle cappelle minori, quelli per mezzo
dei quali il celebrante è separato dal popolo. Saranno a volta e non
sporgeranno in alcun modo dal pavimento della chiesa, ma saranno ad esso
perfettamente pareggiati. Saranno disposti in fila ordinata sull'uno e
sull'altro lato della chiesa a destra e a sinistra, ove ciò sia concesso, in
modo che siano in corrispondenza tra di loro." (pag. 142)
Insomma, la gerarchia va mantenuta anche nelle sepolture. Quanto ai
laici, zitti e in fila, che non vengano a turbare l'ordine!
Le sepolture devono avere una doppia copertura per evitare esalazioni
nocive. Se sono nel pavimento, non ne sporgeranno e non porteranno immagini
sacre. Solo su concessione del vescovo vi potranno essere delle scritte. <<<
"I cimiteri
“I cimiteri, come si può vedere, sono alcuni
nel portico o atrio della chiesa, e cioè sulla fronte di essa, altri sul retro,
altri sul lato settentrionale, altri sul meridionale, alcuni tutt'intorno, e
non c'è ancor oggi proibizione che vengano istituiti in una singola parte o in
tutte. Ma i cimiteri che si trovano sulla fronte o nell'atrio della chiesa,
sebbene servano, con la loro vista stessa, a suscitare sentimenti di carità
verso i fedeli defunti, o il ricordo della condizione umana, tuttavia, poichè
si trovano sul passaggio alla chiesa e attraverso di essa, assai frequentato,
più facilmente diventano luogo di transito per gli animali, per le servitù, per
il passeggio, per le adunanze e per altre azioni umane indegne di quel sacro
luogo (...); pertanto, se possono essere istituiti su di un altro lato, non si
conceda che siano ubicati sul davanti della chiesa, negli atrii o nei portici.
Li si ubichi piuttosto sul lato settentrionale della chiesa, o sul lato in cui
meglio si possa evitare il transito quotidiano (...)
"I cimiteri dovranno essere ampi in rapporto alla
chiesa cui sono annessi e al numero degli abitanti del luogo. Di forma
potranno essere oblunghi o quadrati, a giudizio dell'architetto e in base alle
caratteristiche del terreno. Non devono essere privi di muri, ma circondati da
ogni lato. I muri dovranno essere alti da terra circa sette cubiti. (...) I
muri saranno al di fuori intonacati di bianco; nei luoghi più insigni sarà
decoroso che all'interno i cimiteri siano da ogni lato ornati di portici con
pitture e storie sacre. In questi portici potranno disporsi, in fila ordinata e
a ugual distanza l'una dall'altra, le sepolture secondo il criterio sopra esposto. Ove i cimiteri siano privi di
portici, i muri dovranno essere ornati almeno da qualche sacra pittura, posta
in determinati punti di essi.
Cappelle della Via Crucis delimitano l’ex area
cimiteriale di Carpugnino (VB)
<<<
"Al centro dei cimiteri si
collocherà una croce di ottone, di marmo o di altra pietra, poggiante su una
colonna di marmo o pietra o su un pilastro in muratura, e decorosamente
coperta; oppure la si farà in legno, alta. Ove possibile, si costruirà una
piccola cappella, volta ad oriente, in cui si recitino le preghiere per i morti
(...) <<<
"L'ossario
"Vi sarà poi all'interno un luogo
determinato, circondato da mura e, ove possibile, coperto da tetto a volta, e
alla vista di tutti, ["memento mori"!] dove si pongano in ordine
le ossa dei morti via via esumate. <<<
Colonna crociata e ossario nell’ex cimitero di
Carpugnino (VB) <<<
"Le porte del cimitero
"Nella parte anteriore del cimitero
possono esservi tre porte (...). Sulla sommità della porta maggiore , posta
sulla fronte del cimitero, al di fuori, si porrà l'immagine della croce,
recante all'estremità [= alla base?] un cranio. Le porte, da qualunque
lato siano, saranno munite e chiuse con solidi battenti, chiavistelli e chiave,
e si apriranno solo quando necessario.
"Non ci dovranno essere nei cimiteri
viti, alberi, arbusti e cespugli di qualsiasi genere, nè da frutto nè di
qualità infruttifera; non dovrà esservi nemmeno fieno o erba che serva da
pascolo. Non vi dovranno essere cataste di legna o di travi o mucchi di cemento
o di pietre, o in genere alcuna cosa che non si addica alla santità, alla pietà
e al decoro del luogo" (pagg. 144-148)
<<<
Certo, il cimitero non è una discarica. Ma lascia sgradevolmente
sorpresi che le piante di qualsiasi genere vengano equiparate ai mucchi di
pietre come elementi contrari alla santità del luogo. Il cimitero, per il nostro autore, sembra
essere una cittadella dei morti da cui escludere, con alte mura (sette cubiti,
circa tre metri), qualunque essere vivente, compresi, si direbbe, gli stessi parenti dei defunti, visto che
l'accesso ad esso è strettamente controllato.
Cap. XXVIII: La
sacrestia
Custodia della suppellettile sacra, dev'essere presente
in ogni chiesa, ampia in rapporto al numero dei sacerdoti che vi celebrano.
Nella chiese più insigni possono esservene due, una per il capitolo e una per
i celebranti occasionali. Se vi è spazio sufficiente "essa sarà
abbastanza distante dalla cappella o dall'altar maggiore da permettere che il
sacerdote in procinto di celebrare la Messa, insieme ai suoi assistenti,
muovano da essa in ordine processionale verso l'altare, com'è antico costume
con significato mistico".
Dev'essere preferibilmente orientata a est o a sud, munita di finestre e
di pavimento a gattaiolato per impedire il ristagno di umidità e la formazione
di muffe. Coperta a volta, o almeno a lacunari, non deve dare direttamente
sulla cappella maggiore (per la ragione appena vista) e deve presentare un
doppio ordine di porte per evitare che i "laici" guardino al suo interno
senza motivo.
Vi sarà un'immagine sacra e possibilmente un altare (o un mobile che lo
simuli) presso il quale il sacerdote indossi i paramenti. Vi sarà anche un
"oratorio", angolo di preghiera "dove il sacerdote in procinto
di celebrare la Messa si ritiri e, standovi in raccoglimento, mediti e preghi
un po'". Vi sarà una tabella con le orazioni preparatorie alla Messa. Vi
sarà un lavabo, possibilmente in pietra, con uno scarico che porti l'acqua
lontano dalla sacrestia, e corredato da "un asciugamano
bianchissimo".
Vi saranno armadi per i paramenti sacri, per i libri liturgici e per i
documenti parrocchiali, tutti accuratamente puliti e chiusi [si può
immaginare la pignoleria dell'arcivescovo su questo punto!] <<<
Cap. XXIX: Il
ripostiglio per custodire i feretri e gli arredi funerari
Dev'essere
vicino alla sacrestia o al cimitero ma separato da essi perchè destinato a
contenere anche oggetti "indecorosi" quali zappe, badili, scale,
ramazze ecc. <<<
Cap. XXX:
L'oratorio in cui di quando in quando si deve celebrare la Messa
Ha
gli stessi caratteri di una cappella laterale, con un gradino all'ingresso,
dove sono i cancelli, e due all'altare. E' orientato come una chiesa, con
l'altare opposto all'ingresso e le finestre "poste tanto in alto che chi è
fuori non possa guardare all'interno". Può avere cappelle laterali e una
cappella maggiore, cui aderisce, possibilmente a sud, una sacrestia, mentre dal
lato opposto vi sarà il campanile, o una struttura analoga, con una sola
campana. <<<
Cap. XXXI: Gli
oratori in cui non si celebra la Messa
Esempi di
oratorio non officiato analoghi a quelli descritti dall’autore: 1. Biandronno (VA); 2. Bottanuco (BG); 3. Calogna (VB); 4. Roatto (AT)<<<
"Gli oratori dove non si celebra
la Messa, che sono solitamente costruiti lungo le strade, si edificheranno non
nei campi, ma sulla via pubblica, in modo che i viandanti, mossi da sentimenti
pii nel vederli, si fermino un po' a pregare.
"Per costruirli si sceglierà un
punto della strada un po' elevato e piuttosto lontano dal percorso dei veicoli,
così da esser meglio difesi dal fango e dall'acqua sudicia. Sa ranno di forma
quadrata, rotonda o altra, quella che paia più opportuna in rapporto alle
caratteristiche del luogo, decorosi d'aspetto e ben coperti, perchè le sacre
immagini siano protette dalla pioggia. Al di fuori saranno intonacati e
all'interno ben imbiancati e ornati con un Crocifisso, con l'immagine della
Beata Vergine o di qualche santo o santa, o ancora con un quadro di soggetto
pio appeso alla parete. Non dovranno avere altari.
“Ogni oratorio avrà sulla
parete anteriore tre finestrelle con solide inferriate, da cui si possa guardare
all'interno per pregare stando inginocchiati: due saranno ai lati della porta e
la terza sui battenti. Se l'oratorio è piccolo potrà averne una sola, quella
sui battenti. Sarà comunque munito di porta e di chiave.
"Gli oratori così stretti da non
poter avere nemmeno battenti che si aprano verso l'interno (...) saranno chiusi
da cancelli di legno in luogo della porta, mentre il resto dell'edificio sarà
come detto sopra. Se sui lati non sono chiusi da pareti, anche su di essi
saranno cinti con cancelli di legno. Non sarà poi inopportuno recingerli
tutt'intorno di stanghe per tener lontano cavalli e altri animali. (...)
"Poichè le sacre raffigurazioni che
di solito si dipingono sulla parete esterna dell'oratorio, essendo così
esposte, possono sporcarsi di fango o polvere od essere insudiciate anche in
modo più indecente, non si dipingeranno le pareti esterne se non in alto, dove
possono essere protette da ogni danneggiamento" (pagg. 163-165). <<<
Si sarà notato che la normativa del Borromeo è anche una descrizione
delle realtà di cui si occupa. Descrizione che vuol essere idealizzata, ma a
volte, in filigrana, ci fa intravedere realtà molto diverse (cani che
scorrazzano in chiesa, vagabondi che dormono nei confessionali...). In questo
caso la realtà evocata ha qualcosa di romantico, perchè ci fa pensare a quelle
cappellette devozionali che ancor oggi si trovano lungo le strade, soprattutto
in zone campestri e montane e che segnano
dei punti di quiete, dove la furia edificatoria e modernizzatrice così diffusa
ai nostri tempi, sembra trovare un limite inviolabile e condiviso, anche dai
non credenti.
Col prossimo capitolo entriamo invece in tutt'un altro ordine di
realtà, l'universo carcerario dei monasteri femminili
Cap. XXXII: La chiesa delle monache
"Essa potrà essere costruita ad una
sola navata e guarderà a oriente, se l'ubicazione del monastero lo consente.
Sarà grande in rapporto al luogo in cui si trova, con tetto a volta o a
lacunari e costruita, per quanto riguarda tutto il resto, secondo quanto prescritto
in precedenza.
"L'altar
maggiore
"Non avrà una cappella maggiore, ma
una parete trasversale che divida la parte più interna della chiesa da quella
esterna, dove celebra il sacerdote. L'altare sarà addossato a questa parete,
al centro di essa e risponderà alle prescrizioni già date circa l'altezza, la
lunghezza e la larghezza dell'altar maggiore. (...)
"La finestra
da aprire sopra l'altar maggiore
"Nella parete trasversale, in vista
dell'altare, si aprirà una finestra da cui le monache possano vedere e udire
la Messa. La finestra sarà larga quanto l'altare e alta circa due cubiti (...)
Sarà munita di inferriata duplice, i cui due elementi distino tra loro circa
dodici oncie. Le sbarre di ciascuna inferriata saranno fitte, in modo che la
loro distanza non superi le tre oncie, e saldamente unite e fissate, in modo da
non potersi facilmente svellere o separare. Nella parte interna [quella
verso il monastero] la finestra presenterà delle imposte munite di chiavistello
e chiave: esse si apriranno ai lati o si alzeranno con una carrucola e una
fune." (pagg. 166-167).
"Si badi bene che la finestra sopra
l'altare, munita di inferriata, sia fatta in modo che da essa non si possa
vedere la pubblica via, specie se vi si tengono spettacoli o se essa è molto
frequentata. Per ottenere ciò si costruirà davanti alla porta della chiesa un
piccolo atrio con porta su di un lato e non di faccia alla porta della chiesa;
oppure, se ciò non è possibile, l'ingresso della chiesa stessa sarà su un lato,
a giudizio dell'architetto, secondo le caratteristiche del luogo" (pag. 174)
L'"atrio" di cui si parla qui è
probabilmente una bussola del tipo di quelle in legno che si trovano anche oggi
all'ingresso di molte chiese.
La parete trasversale di S.
Maurizio a Milano, vista dalla chiesa pubblica. Sopra l'altare si nota
l'apertura con inferriata verso la chiesa claustrale. A sinistra, sopra
l'angioletto, la finestrella per l'esposizione dell'Eucarestia; a destra,
sotto il Cristo sanguinante, l'apertura per le comunioni. Poichè questa chiesa
è stata costruita ben prima dell'episcopato di S. Carlo, alcuni pensano che
proprio essa abbia fatto da modello per le "Instructiones" . Su
queste si basa sicuramente S. Paolo Converso. <<<
Altre piccole finestre si apriranno nella parete trasversale: quella, a
ruota, per passare verso l'esterno i paramenti sacri, quella per esporre
eventuali reliquie, sempre custodita da inferriate, quella per l'olio santo,
aperta solo verso l'esterno, e quella per somministrare alle monache la
comunione (sei oncie per otto, in fondo a una profonda strombatura), chiusa da
un doppio ordine di imposte in ferro e bronzo e accessibile dalla chiesa
interna solo grazie a una scaletta di legno rimovibile. Nella chiesa esterna vi
sarà anche una sacrestia, ma...
"…si badi bene che non vi sia nè
finestra nè ruota nè altra apertura del genere, da cui si possa vedere o udire
nel monastero delle monache. Per questo motivo il lavabo, che si costruirà
nella parte esterna della sacrestia per lavare le mani, non dovrà avere alcuna
conduttura per la quale riceva acqua dall'interno del monastero, scaricandola
poi altrove. Al di sopra della sacrestia, poi, non vi sarà alcuna costruzione
cui le monache possano accedere." (pag. 173)
"L'interno
della chiesa [dal lato del
monastero]
"L'interno della chiesa sarà ad una
sola navata, senza cappelle. Il pavimento sarà tutto allo stesso livello, e non
rilevato da gradini in alcuna parte. Esso però sarà di un cubito, o un cubito e
mezzo, più basso di quello dove si ubicherà l'altare esterno. Bisogna
soprattutto porre cura che la chiesa interna, propria delle monache, non sia
costruita vicino a strade pubbliche; se ciò non si può evitare a causa
dell'ubicazione del luogo, non dovranno esservi finestre nella parete volta
verso la via, ma si riceverà luce dalla parte attigua al monastero. Sarà il
contrario nella chiesa esterna, le cui finestre si apriranno non sul monastero
ma sulla pubblica via.
"Il campanile
"Il campanile dev'essere annesso
alla chiesa interna delle monache: nè la sua porta, nè le finestre, nemmeno
una fessura guarderanno verso la chiesa esterna. Sarà alto in rapporto alla
chiesa, ma più basso di quanto la struttura e la forma richiedano (...) I fori
per le campane saranno stretti, in modo che vi passino solo le funi. La porticina sarà molto solida, chiusa con due
chiavistelli, due serrature, due chiavi differenti (...) (pagg. 174-176).
Di tutto il monastero, la chiesa è il punto più esposto ai pericoli
del mondo, per cui abbisogna di accorgimenti particolari. Oltre allo
sbarramento di ogni possibile punto di comunicazione con l'esterno, anche lo
sguardo delle monache è ostacolato dal livello del loro pavimento, che,
essendo più basso di quello della chiesa esterna, rende inaccessibile alla
vista non solo la finestra dell'altare, ma anche la feritoia della comunione.
Persino il campanile va tenuto basso perchè non serva da vedetta; e dai fori
delle corde quali mai strumenti di Satana potranno passare? Ma tutto questo non
è che l'inizio. Si veda il capitolo seguente, che è anche quello conclusivo
della parte architettonica delle
"Instructiones". <<<
Cap.
XXXIII: Il monastero femminile
"Il luogo per costruire questo
monastero sarà scelto secondo gli avvertimenti del canone Agatense [Gallia,
sec. VI] e, com'è logico, distante dai monasteri di monaci e regolari, ma
anche dalle canoniche e dagli edifici
sacri in genere, dalle chiese collegiate, dalle torri, dalle pubbliche mura,
dagli avamposti, dal terrapieno, dalla rocca e da edifici particolarmente alti,
dai quali si potrebbe vedere all'interno di esso. Ove possibile, non sarà
adiacente ad alcun edificio laico, ma da esso separato da un certo spazio.
Sarà lontano anche da piazze, mercati, botteghe, vie per le quali transitano
con frequenza animali da soma, carri, veicoli ed altro di tal genere, ed anche
da luoghi in cui la folla accorra e faccia strepito.
"D'altra parte si curi di non
stabilire l'ubicazione del monastero in un luogo nascosto e molto lontano dal
consorzio umano, e nemmeno fuori dalle mura della città, del paese e della
località in genere, cosa che il concilio di Trento ha giudicato inadatta al
monastero delle monache" (pagg. 177-178)
Segue la descrizione minuziosa di tutti i locali: sala capitolare,
refettorio, cucina, forno, dispensa, dormitorio. Quest'ultimo sarà sempre al
piano superiore e vi si potrà accedere solo per una scala, o al massimo per
due, così da poterlo facilmente chiudere. Potrà essere, secondo le regole vigenti nei vari Ordini
monastici, o in un unico locale o diviso in celle. Nel primo caso avrà finestre
sui lati brevi e sarà comunque diviso in cubicoli da stuoie o tende. Nell'altro
caso, le celle avranno circa sette cubiti di lato, una finestrella, una porta
apribile anche dall'esterno e conterranno un solo letto. Si potranno anche fare celle più grandi, ma
allora "dovranno contenere almeno tre letti o più, a giudizio dei
superiori, ma mai, per nessun motivo, due" (pag. 198). [L'autore non
dice la motivazione di questo precetto, ma è un silenzio eloquente]. In
ogni caso non vi saranno camini. Per l'inverno però è prevista la presenza di
una stanza riscaldata ("ipocausto"). Non mancano laboratori,
farmacia, orto e le strutture per le novizie, con scuola e alloggi separati.
Per l'igiene vi sono latrine, lavatoi e un luogo apposito per lavare i
capelli.
Naturalmente non vi devono essere finestre che guardino all'esterno del
convento; se proprio è necessario bisognerà apporvi la solita pesante transenna
con fori distanti almeno un'oncia. "Non si aprirà però per nessun motivo
una finestra, per quanto piccola possa essere, nè nelle parti inferiori nè in
quelle superiori del monastero, che dia sulla pubblica strada" (pag. 199)
"I parlatori o celle per i
colloqui
"Il parlatorio, sia esterno che
interno, dovrà essere costruito in luogo non remoto e nascosto, ma visibile a
tutti, e vicino alla porta dell'auditorio del monastero. Le finestre del
parlatorio interno [la parte cioè dove stanno le monache] riceveranno
luce dall'interno del monastero; quelle del parlatorio esterno [quello dove
stanno i visitatori] dalla parte rivolta verso l'esterno. Si porrà inoltre
cura a che non vi sia nella parete tra l'uno e l'altro parlatorio alcuna
finestra, eccetto quelle appositamente fatte per i colloqui.
"Le finestre per i colloqui
Francesco
Guardi: Il parlatorio delle monache. Venezia, Ca' Rezzonico.
Siamo oramai nel
'700 e forse S. Carlo non avrebbe gradito questo parlatorio-salotto con
amplissime finestre, dove si danno convegno intere famiglie e per
intrattenere i più piccoli c'è addirittura il teatro dei burattini. <<<
"La finestra per i colloqui sarà
munita di doppia inferriata, con uno spazio di circa dodici oncie tra l'uno e
l'altro elemento [come nella finestra del divisorio della chiesa]. L'inferriata
avrà sbarre fitte, solidamente fissate, distanti l'una dall'altra non più di
tre oncie. Si appresterà inoltre una lamina di ferro, poco più larga della
finestra da ogni parte, che, fissata alla parete dalla parte interna, cioè
quella del monastero, e saldata con bitume, aderisca dall'interno
all'inferriata. Essa recherà numerosi fori della grandezza di un cece,
distanti l'uno dall'altro circa tre oncie. Al centro avrà una finestrina
quadrata della misura di sedici oncie, chiusa con serratura, sbarra e chiave.
Dalla parte interna la finestra sarà poi ricoperta di tela nera, fissata a un
telaio apribile.
"Nei monasteri in cui vige la regola
che dalla finestra del parlatorio non si possano in alcun modo vedere le
monache, essa avrà un'inferriata semplice. Sarà coperta di lamina di ferro
senza finestrella e il telaio non sarà apribile.
“Dove, a causa del numero delle monache,
vi è necessità di due, tre o più finestre, sarà bene costruirle in un unico
luogo o cella, se è comodo, nel modo prescritto, ma facendo sì che esse, poste
in fila ordinata, distino l'una dall'altra almeno cinque cubiti. Si potranno
anche separare per mezzo di divisori, purchè in essi vi sia una finestra o un'apertura
da cui ogni monaca che ha in corso un colloquio possa essere vista dalle altre
che parlano alle altre finestre. (...) <<<
"Le
porte
Ve ne saranno due, una per le persone e una per le merci. La prima avrà
battenti solidi, sbarre e chiavistelli con due chiavi diverse. Vi si aprirà uno
spioncino e un portoncino più piccolo, non meno accuratamente chiusi.
"La posizione di questa porta deve
essere tale che, quando essa venga aperta, le monache dall'interno non possano
vedere la pubblica via, ma anzi la vista sia impedita da un atrio frapposto.
Oppure la porta sarà aperta su un lato e da essa non si guarderà direttamente
all'interno, ma su una parete vicina al vestibolo (...) Vicino alla porta si
costruirà una piccola cella dove le monache portinaie facciano i loro lavori e
siano pronte a rispondere a coloro che bussano. Si porrà lì presso anche una
ruota, che dia nella cella delle portinaie o in un luogo vicino." (pagg.
187-178)
Anche la porta carraia sarà solida e ben munita di chiavistelli. Al
suo interno poi vi sarà una transenna per garantire un ulteriore isolamento
durante le operazioni di scarico delle merci.
"Le ruote [= sportelli girevoli per passare oggetti]
La "ruota" era spesso destinata al ricevimento di infanti rifiutati. <<<
La ruota posta in chiesa
o presso la porta o in altro luogo prescritto sarà o di bronzo o di legno, in
tal caso rivestito diligentemente con lamine dette "de tola" [= di
latta?]. Sarà alta un cubito e otto oncie, larga un cubito, ma
all'imboccatura non dovrà essere più larga di sedici oncie. Sarà tutta ben
commessa e compatta, in modo che da nessuna parte vi sia una fessura, anche
piccola, da cui si possa guardare fuori. All'interno, dalla parte del monastero,
avrà un uncino o una piccola sbarra ben fissata per la chiusura; non potrà
esser girata dall'esterno, a meno che non sia sbloccata dalle monache che sono
all'interno. Dalla parte interna sarà chiusa con solidi battenti, sbarra,
serratura e chiave.
L'infermeria. Separata dagli altri ambienti, riproduce in miniatura il
convento, con cucina, refettorio,
lavatoio, latrine ecc. ecc. suoi propri. A differenza del convento, le celle
sono munite di camino.
L'educandato delle fanciulle. Anche questa, quando esiste, è una struttura
separata e indipendente rispetto al convento.
<<<
"Gli orti o il giardino delle
monache
"Gli orti delle monache, a causa dei
molti pericoli di violare la clausura, non dovranno essere vasti. Quando
infatti, per la loro ampiezza, non possono facilmente essere cinti di mura,
accade che si possa avere accesso o vista di parti del monastero. Pertanto
essi misureranno da ogni parte cento cubiti o poco più. Saranno cinti su
ogni lato da muri spessi un cubito e otto oncie, alti da terra non meno di
sedici cubiti. (...)
"Non si pianteranno all'interno,
vicino ai muri, talee o altre piante, o viti, o alberi di qualsiasi genere, e
nemmeno all'esterno, se non alla distanza di almeno sei cubiti. Non si
pianteranno alberi troppo grandi in fondo agli orti, ma arbusti piuttosto bassi
e radi. Non vi si faranno cataste di legna o covoni di paglia o fieno. Non vi
si costruirà nessuna capanna, nemmeno piccolissima. (...)
"Se attraverso gli orti scorre acqua
per mezzo di una fossa o di canali, si baderà che tale acquedotto sia coperto
molto solidamente con pietra o cemento per la lunghezza di sei cubiti circa
dalla bocca da cui entra l'acqua, calcolando lo spazio esterno ed interno. La
bocca per cui entra l'acqua all'inizio della copertura di pietra o cemento, e
l'altra bocca alla fine della copertura stessa, da cui l'acqua esce, saranno
munite di cancelli di ferro da entrambe le parti. Lo stesso si farà in fondo
al giardino, dove l'acqua esce. L'acquedotto stesso si potrà fare senza
cancelli se lo si coprirà tutto per l'estensione intera del fondo per cui
l'acqua fluisce. Se è necessario fare qualche deviazione, o per irrigare gli
orti o per la lavanderia, si potranno deviare dove si vuole dei ruscelletti
attraverso piccoli fori e poi ancora ricondurli all'acquedotto." (pagg.
203-205)
Vita dura insomma per suor Gertrude: nemmeno un Egidio acrobata o
sommozzatore potrebbe attentare alla sua vocazione. Ma se proprio il diavolo
riuscisse a insinuarsi nell'anima delle monache, sono pronti altri rimedi.
"Il
carcere e il luogo di ritiro
"I monasteri dovranno avere, come un
tempo, un solido carcere in cui chiudere, a seconda della gravità delle colpa,
quelle suore che, sottraendosi alla disciplina, abbiano agito male. Il carcere
sarà ben lontano dalla strada pubblica e dagli edifici vicini, anzi, sarà
ubicato all'interno del piano superiore del monastero, discosto dai luoghi
frequentati dalle monache. Ben munito, solidamente costruito, con una buona
volta, avrà una finestrella di un cubito con robuste inferriate, alta dal
pavimento, da cui entri poca luce; e avrà una porticina munita di battenti
doppi: in quelli interni si aprirà una finestrella piccolissima. La porta sarà
chiusa con doppia serratura e doppie sbarre. Esso avrà anche dei ceppi, come è
stato raccomandato nelle antiche regole, e delle manette di ferro per legare le
monache imprigionate se ce n'è bisogno. Nel carcere non vi sarà il camino, e
nessun foro se non la latrina, dotata di sottili tubature.
"Non lontano dal carcere vi sarà il
luogo di ritiro, più libero e più comodo della prigione. Qui le monache,
separate dalle altre, faranno qualche volta una salutare penitenza per colpe
più lievi" (pagg. 205-206)
Il confessionale. Ha la stessa struttura del parlatorio,
ma è ubicato e costruito in modo tale che la voce della suora penitente possa
essere udita solo dal confessore [è l'unico luogo del convento che
garantisce una perfetta "privacy"].
L'alloggio del confessore. Da utilizzarsi solo quando il
sacerdote debba pernottare presso il convento per somministrare i sacramenti a
una suora gravemente malata. Due locali indipendenti e riscaldati ma
completamente separati dal convento e ed estremamente angusti e spartani:
"In tal modo vi saranno minori, o nessuna, comodità e occasione di
rimanervi, se non per causa di necessità" (pag. 209).
L'alloggio esterno dei servi e dei coloni di passaggio.
Anch'esso separato e da usarsi solo per necessità. "Non sarebbe
sconsigliabile che esso fosse un po' distante dall'edificio del monastero, in
modo almeno da non toccarlo con il tetto" [La separazione dei tetti
sottolinea, anche simbolicamente, la separazione delle comunità] .
La residenza delle converse [= religiose che seguono la
regola ma non hanno fatto piena professione, pertanto non sono legate alla
clausura]. Dev'essere contemporaneamente aperta e chiusa verso il resto
del monastero. Chiusa come il resto del monastero verso l'esterno, sarà anche
indipendente da questo, e verso di esso avrà una porta che potrà venire aperta
o chiusa, secondo le occasioni, solo dalle monache professe. Presso questa
porta ci sarà uno spioncino attraverso il quale la superiora potrà controllare
i movimenti delle converse. <<<
"Accorgimenti
generali per il monastero femminile
Le mura, a parte quelle dell'orto di cui si è già detto, non dovranno
essere alte meno di 24 cubiti. Non vi saranno camini prominenti verso l'esterno.
Gli spazi interni dovranno essere abbastanza ampi da poter accogliere più suore
di quelle che vi risiedono in un dato momento
"Ma la più grande precauzione si
ponga a che in nessun parlatorio esterno, in nessuna residenza del confessore
o dei coloni e servi di passaggio, in nessuna parete esterna del monastero, in
nessun edificio costruito esternamente, vi sia un luogo elevato cui le monache
possano accedere; e nemmeno nelle parti alte vi sia un luogo più alto che dia
accesso ad altri, per nessun motivo.
"Bisognerà inoltre badare che tutti
gli ingressi, i vestiboli, gli angiporti e luoghi del genere che vi siano nel
monastero non siano oscuri o in penombra, ma piuttosto illuminati e ben
visibili. Infine, in tutti gli angoli, gli ingressi, le scale, le zone
terminali in genere, vi sarà qualche sacra immagine, piamente
rappresentata" (pagg. 211-213)
Si conclude qui la parte architettonico-strutturale delle
"Instructiones", senza che ci vengano date norme sui monasteri
maschili. <<<
Parte I
Vengono minuziosamente elencati tutti gli arredi e i
capi d'abbigliamento liturgico per le quattro categorie di chiese: cattedrale,
collegiata, parrocchiale, comune. Ogni corredo deve tener conto del grado di
solennità della cerimonia, della dignità del celebrante e della chiesa e
dell'occasione liturgica: in base a queste ultime ogni paramento dovrà essere in cinque colori: bianco, rosso,
viola, verde, nero. Occorreranno poi capi di ricambio per ragioni igieniche e
per prevenire l'usura.
Parte II: Forma della suppellettile
Ogni oggetto è descritto,
anche qui, con estrema minuzia, con indicazioni su materiali, misure ecc. Diamo
solo qualche esempio. <<<
"Il calice
"Il calice sarà di oro puro o, se
non è possibile per motivi economici, di argento puro dorato sia all'interno
che all'esterno. Il piede potrà essere d'ottone dorato, se non può essere
d'oro o d'argento per la povertà della chiesa. Esso sarà largo, in rapporto al
resto, in modo che il calice rimanga ben saldo dove lo si posa e non possa
cadere; sarà di forma [= sezione] esagonale o altra del genere.
"Sulla superficie del piede vi
saranno decorazioni, non tuttavia tali da impacciare le mani, che portino il
significato di qualche sacro mistero di Passione. Non vi saranno in alcun modo
figurazioni con fini meramente estetici. Il nodo nel mezzo, decorosamente
ornato, non presenterà alcuna sporgenza che renda scomoda la presa o che rischi
di ferire le dita, soprattutto nel momento in cui, durante la Messa, il calice
è sorretto dal pollice e dall'indice uniti del celebrante [*]. La coppa,
abbastanza stretta al fondo, dovrà allargarsi gradualmente sino al labbro
superiore. Quest'ultimo non dovrà piegarsi nè in dentro nè in fuori.
[*] L'autore si riferisce a una pia usanza secondo cui il sacerdote, dopo aver toccato il corpo di
Cristo all'Elevazione, doveva tenere uniti il pollice e l'indice per non
toccare altre cose fino alla Comunione; in quella fase quindi egli reggeva il
calice con le altre dita.
"Il calice più grande e più
prezioso, di oro puro e ornato di immagini sacre cesellate, che si usa nelle
Messe solenni, avrà una circonferenza di almeno diciotto oncie; sarà alto in
tutto quattordici oncie, e sarà più grande nella cattedrale, nella collegiata e
nella parrocchiale insigne. Il calice più piccolo, che si usa nella Messa non
solenne, avrà la circonferenza di quattordici oncie e sarà alto dodici."
(pagg. 141-142) <<<
Tipico calice con "nodo" a metà del
piede <<<
"La patena [= piatto per contenere l'ostia consacrata]
"La patena dovrà essere, come il
calice, d'oro o d'argento; se è d'argento dovrà essere completamente dorata;
non sarà lavorata nè sarà incisa nemmeno da un cerchio tracciato col compasso,
se non in modo assolutamente superficiale. Il labbro esterno sarà circolare e
molto sottile, in modo da permettere di raccogliere facilmente anche i
frammenti dell'ostia santa. Avrà al centro una leggera concavità che si adatti
all'orlo superiore del calice" (pag. 143).
Materiali preziosi, dunque, per tutti gli oggetti che vengono a
contatto col corpo di Cristo. Per gli altri, dipende anche dai mezzi della
chiesa e dall'occasione liturgica. <<<
“Il rivestimento del seggio episcopale
“Il seggio episcopale, posto per antica tradizione in un luogo elevato e
cospicuo, dovrà essere rivestito in modo degno a seconda delle solennità.
Pertanto, il suo rivestimento sarà di raso di seta, liscio, non intessuto
d’argento e d’oro. I suoi gradini saranno rivestiti con tappeti o panni di
lana” (pag. 152) <<<
“L’abaco
“L’abaco (cioè la tavola su cui si
dispongono i grandi vasi d’oro e d’argento, di fattura insigne, necessari agli
uffici divini, ed alcuni paramenti come la mitra ed altri) sarà lungo cinque
cubiti o poco più (…) Sarà sorretto da due o tre treppiedi di quercia o di noce
per corroborarne la solidità. La tovaglia dell’abaco, di lino prezioso o di
bisso, elegantemente confezionata, sarà ampia, in modo da giungere, sul davanti
e sui lati, sino a terra (…). I vasi esposti sui gradini ad ornamento
dell’abaco avranno forma di ampolla (…), saranno alti un cubito o poco più;
quelli al centro saranno alquanto più alti. Saranno d’oro e d’argento,
cesellati a soggetti non profani ma religiosi” (pp. 154-155). <<<
Gli oggetti sacri vanno dunque
esibiti con quel fasto che ne sottolinei la funzione nel quadro del rito
salvifico.
“I candelieri per l'altare
Possibilmente in oro o argento, o almeno
in ottone o legno dorato. Meglio se a sezione triangolare, piamente
decorati e disposti simmetricamente, tre a destra e tre a sinistra col
Crocifisso in mezzo.
In questo modo l'altare
riceve quell'impostazione che ancor oggi è tipica delle chiese tradizionali. La si veda per
esempio in S. Maria della Passione: cinque gradini, pallio in questo caso
sostituito con un pannello intarsiato al cui centro s'intravede un
reliquiario ovale; i sei candelabri che inquadrano il Crocifisso, poco visibile
sopra lo sportello del tabernacolo; grande ciborio a tempietto che si apre in
due ante rivestite con altri piccoli reliquiari e culmina con la statua del
Cristo risorto; il tutto in marmi e pietre preziose. <<<
La trattazione si conclude con una serie di direttive sulla pulizia
sistematica dei locali e degli arredi ecclesiastici.
Anche in questo caso
dobbiamo osservare che i criteri d'igiene e decoro applicati dal Borromeo alla
chiesa sono molto più rigorosi di quelli vigenti all'epoca nelle abitazioni
private, anche ricche, e probabilmente negli stessi ospedali. <<<
San Carlo
in preghiera circondato dalle immagini delle molte istituzioni religiose da lui
fondate <<<