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 Carlo Borromeo - Istruzioni sull’edilizia e la suppellettile ecclesiastica

Cerlo Borromeo

Instructionum fabricae et suppellectilis ecclesiasticae libri duo, 1577

a cura di Adriano Bernareggi

 

 

Indice del testo

Nota

Concilio di Trento, sessione XXV, dicembre 1563, “De invocatione, veneratione et reliquiis sanctorum et sacris imaginibus”

 

LIBRO I

Cap. I - Ubicazione della chiesa
Cap. II - Forma della chiesa
Cap. III - I muri esterni e la facciata
Cap. IV - Atrio, portico e vestibolo
Cap. V - Il tetto
Cap. VI - Il pavimento
Cap. VII - Le porte
Cap. VIII - Le finestre
Cap. IX - La scalinata e i gradini della chiesa
Cap. X - La cappella maggiore
Cap. XI - L’altar maggiore
Cap. XII - Il coro
Cap. XIII - Il tabernacolo
Cap. XIV - Cappelle laterali e altari minori
Cap. XV - Elementi comuni a cappelle e altari maggiori e minori
Cap. XVI - Luoghi, vasi e loculi in cui si custodiscono le sacre reliquie
Cap. XVII - Le sacre immagini o le pitture
    Ciò che si deve evitare e ciò che si deve mantenere nelle immagini sacre
    Le insegne dei santi
    I luoghi non convenienti per le pitture sacre
    Il rito della benedizione delle immagini
    Le didascalie col nome dei santi
    I “parergi” e le aggiunte per ornamento
Cap. XVIII - Le lampade o il lampadario
Cap. XIX - Il battistero
    Ubicazione e forma del battistero di rito romano
Cap. XX - Il sacrario
Cap. XXI - Le acquasantiere
Cap. XXII - Amboni e pulpito
Cap. XXIII - Il confessionale
Cap. XXIV - L’assito per dividere la chiesa
Cap. XXV - I sedili
Cap. XXVI - Il campanile e le campane
Cap. XXVII - Sepolcri e cimiteri
        I cimiteri
        L’ossario
        Le porte del cimitero
Cap. XXVIII - La sacrestia
Cap. XXIX - Il ripostiglio per custodire i feretri e gli arredi funerari
Cap. XXX - L’oratorio in cui di quando in quando si deve celebrare la Messa
Cap. XXXI - Gli oratori in cui non si celebra la Messa
Cap. XXXII - La chiesa delle monache
     L’altar maggiore
     La finestra sopra l’altar maggiore
     L’interno della chiesa
     Il campanile
Cap. XXXIII - Il monastero femminile
       I parlatori o celle per i colloqui
      Le finestre per i colloqui
      Le porte
      Le ruote
     Gli orti o il giardino delle monache
      Il carcere e il luogo di ritiro
     Il confessionale
     L'alloggio del confessore
      L’alloggio esterno dei servi e dei coloni di passaggio
     La residenza per le converse
     Accorgimenti generali per il monastero femminile

 

LIBRO II - La suppellettile

Parte I - Elenco della suppellettile

Parte II - Forma della suppellettile
     Il calice
     La patena
     I candelieri per l’altare
     Il rivestimento del seggio episcopale
     L’abaco

 

Indice delle illustrazioni

Opere d’arte
Guardi, Francesco: Il parlatorio delle monache

Chiese e monumenti
Comnago, chiesa parrocchiale
Milano, S. Maria delle Grazie
Milano, S. Paolo Converso
Varallo Sesia, chiesa di S. Gaudenzio
Oratori non officiati: Biandronno, Bottanuco, Comnago, Roatto
Parma, Battistero

Elementi architettonici ed arredi
Altare di S. Maria della Passione
Amboni di vario tipo
Armadio-reliquiario
Battisteri di vario tipo: Efeso, Pisa, Siena
Busto-reliquiario
Calice
Carpugnino (VB): cappelle della Via Crucis intorno all’ex area cimiteriale
Carpugnino (VB): colonna crociata e ossario nell’ex cimitero
Ciborio (S. Paolo fuori le Mura) e capocielo pensile
Cripta del duomo di Piacenza e Confessione di S. Pietro
Leone stiloforo duomo Lodi
Mascherone
La parete trasversale di S. Maurizio al Monastero maggiore
Pulpito con capocielo
Una “ruota da infanti”
Scurolo di San Carlo
Tabernacoli di vario tipo

 

Nota

Nel prendere in esame questo testo il mio scopo era solo quello di renderlo disponibile agli studenti di arte lombarda, senza pretendere di sottoporlo ad uno studio filologico od ese­getico. Certo, nel corso della lettura mi sono trovato nella necessità di operare alcuni inter­venti.

Anzitutto mi è venuto spontaneo applicare un corredo iconografico che rendesse visi­bili gli oggetti e le opere cui l’autore si riferiva.

Inoltre ho deciso di riassumere buona parte del testo, che si presentava aridamente normativo, pieno di indicazioni metriche e di dettagli tecnici di scar­so interesse (per noi) e, non di rado, di ardua interpretazione. Del libro secondo, in particolare, dedicato alla suppellettile, ho riportato solo qualche brano esemplificativo. Oltre a tutto non sono riuscito a trovare un preciso corrispondente delle unità di misura usate dall'autore (cubito e oncia), per cui ho adottato, fra le varie possibili, quelle che mi sembravano più congruenti con gli oggetti descritti.

Ho trovato inoltre opportuno introdurre qualche spiegazione terminologica. Infine, quando il testo ne forniva l'occasione, vi ho apposto dei commenti.

Ho distinto graficamente questi tre livelli di lettura. In corpo più grande e tra virgolette, il testo nella traduzione di Zelia Grosselli. In corpo più piccolo e tondo le parti riassunte. Nel­lo stesso corpo, ma corsivo, le spiegazioni tra parentesi quadre e i commenti.

A conti fatti, avrei potuto limitare la lettura delle "Instructiones" ai soli capitoli di stretta competenza artistica e architettonica. Ma ho preferito render conto, almeno riassuntivamente, di tutta l'opera, perchè, anche nelle sue parti più "datate" (anzi, soprattutto in quelle!), fornisce al lettore il contesto culturale, psicologico e devozionale in cui quei capitoli si collocano. Elo­quenti, in proposito, i capitoli sul monastero femminile.

Per lo stesso motivo mi è parso utile premettere all'opera del Borromeo le disposizioni del concilio di Trento sulle immagini sacre e sul loro utilizzo devozionale così come emergo­no dagli atti della venticinquesima (e ultima) sessione di quel concilio. A parte le corrispon­denze puntuali, che non abbondano, anch'esse ci danno la possibilità di collocare le norme caroline nel contesto che le ha fatte nascere.<<<

Il segno <<< rimanda all’indice, salvo diversa indicazione.

 

Concilio di Trento, sessione XXV, dicembre 1563 (Da Mansi, Sacrorum Conci­liorum nova et amplissima Collectio, vol. 33, 171)

"De invocatione, veneratione et reliquiis sanctorum et sacris imaginibus".
[Sull'invocazione, la venerazione e le reliquie dei santi e sulle immagini sacre]

Il sacro concilio dispone per prima cosa che tutti i vescovi e le altre persone gra­vate dalla responsabilità dell'insegnamento (…) istruiscano diligentemente i fedeli in materia di intercessione e invocazione ai santi, di onoranza alle reliquie e legittimo uso delle immagini, insegnando loro come i santi, che regnano insieme a Cristo, offrano a Dio le loro preghiere in favore degli uomini; che quindi è cosa buona e utile invocarli supplichevolmente e, al fine di ottenere da Dio benefici attraverso il Figlio suo Gesù Cristo nostro signore, che è l'unico nostro redentore e salvatore, affidarsi alle loro pre­ghiere, alla loro opera e al loro aiuto” [segue la deplorazione (= “pensa in modo em­pio”) di chi sostiene idee contrarie]

“[Il Concilio dispone inoltre] che i corpi dei santi martiri e degli altri che vivono con Cristo, i quali sono stati membra vive del Cristo e tempio dello Spirito Santo, de­stinati da questo ad essere elevati e glorificati nella vita eterna, sono degni di esser ve­nerati dai fedeli e per mezzo loro vengono concessi da Dio molti benefici agli uomini” [qui chi pensa diversamente è condannato (“anathema sit”= sia messo al bando)]

“Perciò le immagini del Cristo, della Vergine madre di Dio e di tutti i santi devo­no essere poste e mantenute soprattutto nelle chiese, e ad esse vanno tributati l'onore e la venerazione dovuti, non perchè si creda che in esse risiedano qualche divinità o e­nergia che le rendano meritevoli di culto, né perchè vi sia qualcosa da chieder loro, e nemmeno perchè si possa attribuire credibilità alle immagini, come accadeva tra i pa­gani di un tempo, che riponevano le loro speranze negli idoli; bensì per il fatto che l'o­nore ad essi tributato va in realtà ai modelli che esse raffigurano; così, attraverso quelle immagini che baciamo, davanti a cui ci scopriamo il capo e c'inginocchiamo, adoriamo il Cristo e veneriamo i santi, di cui esse portano l'immagine. Cosa sancita dai decreti conciliari, soprattutto dal secondo concilio niceno contro gli oppositori delle immagini.

“Insegnino con cura, i nostri vescovi, che attraverso l'immagine dei misteri della nostra religione, espressa in pittura o con qualunque altro mezzo, il popolo viene istru­ito e rafforzato nel ricordare e custodire gli articoli della fede. Così da tutte le sacre im­magini deriva un gran frutto, non solo perchè al popolo vengono fatti presenti i benefi­ci e i doni largitigli dal Cristo, ma anche perchè attraverso i santi vengono messi sotto gli occhi dei fedeli i miracoli e i salvifici esempi di Dio, così che essi ne rendano gra­zie a Dio, impostino la loro vita morale a imitazione dei santi, e siano spronati ad ado­rare e ad amare Dio e a vivere nella pietà. E chi insegnasse in modo contrario a questi decreti, sia condannato.

"Se poi in queste sante e salutari devozioni si fosse insinuato qualche abuso, il sa­cro concilio vuole ardentemente che questi siano subito eliminati, affinchè non venga eseguita alcuna immagine di falsi dogmi o che dia occasione a errori pericolosi per gli incolti. Così, quando capitasse di rappresentare episodi della sacra scrittura a utilità della plebe incolta, si insegni al popolo che la divinità non sta nelle figure, come se potesse esser vista da occhi corporei e fissata in forme e colori. Analogamente, venga eli­minata ogni superstizione nell'invocazione dei santi, nella venerazione delle reliquie e nell'uso sacro delle immagini. Si faccia cessare ogni turpe richiesta; si vieti infine ogni lascivia, così che le immagini non siano dipinte od ornate con bellezze provocanti. E la gente non approfitti della celebrazione dei santi o della visita alle reliquie per banchetti e ubriacature, come se le feste in onore dei santi dovessero trascorrere tra eccessi e licenze. In conclusione, i vescovi devono usare in questo campo la massima cura e diligenza perchè, se alla casa di Dio spetta la santità, nulla vi si veda di disordinato, di fat­to al contrario o alla rinfusa, nulla di profano e nulla di indecente.

"Perchè queste disposizioni vengano più fedelmente osservate, il sacro concilio ha stabilito che a nessuno sia lecito, in nessun luogo e in nessuna chiesa, per quanto autonoma a qualunque titolo, porre o far porre alcuna immagine inconsueta, se non ap­provata dal vescovo. Nemmeno si dovranno ammettere nuovi miracoli nè accettare nuove reliquie senza il riconoscimento e l'approvazione del vescovo: costui, appena abbia avuto notizia di tali fatti, dopo aver riunito a consiglio teologi e altre persone pie, farà ciò che giudicherà conforme alla verità e alla pietà. Se poi in tal materia rimarrà da estirpare qualche abuso o qualche difficile dubbio, o comunque vi sia qualche grave problema, il vescovo, prima di decidere sulla questione, sentirà il parere del metropo-lita e dei vescovi della provincia riuniti in concilio provinciale: sempre tenendo pre­sente che nulla di nuovo e sinora non trattato dalla Chiesa può essere decretato senza aver consultato il santo romano pontefice."

Qualche indicazione di lettura.

1. L'arte è considerata dai Padri conciliari come un mezzo di comunicazione di massa, che ha dunque come destinatario privilegiato il "popolo", in particolare la "plebe incol­ta". In quanto tale deve rispondere a precisi caratteri qualitativi di cui artisti e committenti portano la responsabilità.

2. In quanto produzione di immagini, l'arte è veicolo di culto, poichè  le immagini di personaggi e fatti della storia biblico-cristiana vengono considerate strumenti di istruzione e ammonimento per i fedeli e quindi giusto oggetto di onore e venerazione.

3. Nell'affermare questo principio i Padri si scontravano con forti obiezioni secondo cui la venerazione delle immagini era una un atteggiamento superstizioso e paganeggiante che andava combattuto anzichè promosso dalla Chiesa. Queste obiezioni erano tra i cavalli di battaglia del protestantesimo, ma serpeggiavano da sempre anche in ambienti cattolici. Ancor più forti erano le analoghe obiezioni che venivano mosse nei confronti del culto delle reliquie.

4. Per far fronte a queste obiezioni i Padri sono costretti a distinzioni e precisazioni. Anzitutto devono ammettere la possibilità di abusi e l'urgenza d'interventi per sanarli. Inoltre devono precisare che

- I santi non sono operatori di benefici, ma solo intercessori presso Dio, che ne è l'u­nico operatore. Non a caso, solo a Dio spetta, da parte dei fedeli, l'adorazione, mentre ai santi spetta solo la venerazione.

- Non sono le immagini in sè a emanare un potere salvifico, ma l'atteggiamento di fe­de che esse ispirano verso Dio e il Figlio, il quale rimane l'unico Salvatore.

<<< [ a indice]

>>> [a Federico]

 

 

Carlo Borromeo, Instructiones Fabricae et Suppellectilis ecclesiasticae, Libri duo, 1577

(edizione da me usata: ISU - Università Cattolica, traduzione di Zelia Grosselli, 1983, 2 voll. A questa si riferiscono i numeri di pagina che seguono le citazioni)

 

Libro I. Regole sulla chiesa in generale

Libro II: Regole sulla suppellettile

Unità di misura usate (stima mia): cubito = cm 45 ca.; oncia = cm 2,2 ca.

 

LIBRO I

Cap. I: Ubicazione della chiesa

Possibilmente in luogo elevato, così che vi si possa accedere per 3-5 scalini. Se la zona è pianeggiante, si costruisca un basamento di altezza adeguata. Se la zona è in declivio, ricavare per sbancamento uno spiazzo che garantisca almeno 12 cubiti di piano per ogni lato. Il lato a monte venga rinforzato con muri di contenimento e provvisto di canali di drenaggio.

La chiesa deve risultare il più possibile lontana da luoghi malsani e rumorosi. Non de­ve confinare muro a muro con altri edifici. Può essere congiunta tramite muro all'abitazione del vescovo o dei sacerdoti. Solo l'abitazione del custode o sacrestano può essere adiacente o sovrapposta alla sacrestia, purchè non abbia aperture che guardino direttamente in chiesa.

La chiesa dev'essere abbastanza ampia da poter accogliere, oltre ai fedeli della zona di competenza, quelli che vi potessero accorrere per particolari ricorrenze, tenendo presente che per ogni persona è necessario lo spazio di almeno un cubito e 8 once in ogni direzione, al net­to di pilastri e colonne. [Circa 60 centimetri: standard abitativo più generoso di quello offer­to dagli odierni trasporti pubblici!] <<<

Cap. II: Forma della chiesa

La pianta più autorizzata dalla tradizione, cioè quella delle Basiliche romane maggiori, è a croce "oblunga" [= latina]. Consigliabili anche la croce greca o quella a T. "L'edificio roton­do fu un tempo usato per i templi pagani, e assai meno presso il popolo cristiano" ( pag. 13).

Così il Borromeo liquida la pianta centrale. Ha di certo presente il Pantheon, ma sem­bra ignorare che la maggior parte dei templi pagani ha pianta rettangolare, mentre pianta centrale hanno insigni basiliche paleocristiane come S. Stefano Rotondo e S. Costanza a Ro­ma, S. Vitale a Ravenna, S. Lorenzo a Milano ecc. Ammette la pianta centrale, vedremo, solo per i battisteri.

Sono possibili anche piante diverse, a giudizio dell'architetto e previa approvazione del vescovo.<<<

Cap. III: I muri esterni e la facciata

Gli altri criteri costruttivi possono essere liberamente adottati dal vescovo su consiglio dell'architetto.

"Si osservi tuttavia questo criterio circa i muri esterni, e cioè che quelli laterali e quello posteriore non siano decorati da immagini; il muro anteriore [= la facciata] sa­rà invece tanto più decoroso e solenne quanto più sarà ornato di immagini o pitture re­lative alla storia sacra.

S. Paolo Converso

Fianchi spogli e facciata decorata in San Paolo Converso. Come questa, altre chiese costruite o decorate in epoca borromaica (San Maurizio, San Fedele, Santa Maria della Passione, Santa Maria presso San Satiro…) seguono le indicazioni del cardinale. Incisione di Domenico Aspari, 1788 <<<

 

"Nella pia decorazione della facciata, ideata secondo la struttura della chiesa e la grandezza dell'edificio, l'architetto prenderà cura non solo che non vi sia nessuna im­magine profana, ma anche che quanto rappresentato lo sia il meglio possibile, a secon­da delle disponibilità, e si accordi con la santità del luogo.

"Si badi inoltre che sulla facciata di ogni chiesa, specie se parrocchiale, al di so­pra della porta principale, all'esterno, si dipinga o si scolpisca decorosamente e pia­mente l'immagine della beatissima Vergine Maria con il Figlio tra le braccia; sulla sua destra si porrà l'effigie del Santo o della Santa cui è intitolata la chiesa; sulla sinistra quella del Santo o della Santa maggiormente venerato dal popolo di quella parrocchia; o almeno, se non si possono avere le tre figure, si farà l'immagine del solo santo o San­ta cui è intitolata la chiesa. Se poi la chiesa è intitolata all'Annunciazione, all'Assunzio­ne o alla Natività di Maria, l'immagine della beatissima Vergine sarà in relazione al ti­tolo in questione. Sarà poi compito dell'architetto provvedere con solerzia a che questa parte della struttura sia difesa durevolmente dalla pioggia e dalle intemperie.

"Le altre sculture o pitture e gli altri ornamenti, cospicui o modesti, che contribu­iscono a rendere maestosa e solenne la facciata della chiesa saranno stabiliti dal Vesco­vo, sentito se necessario il parere dell'architetto, a seconda del tipo di edificio ecclesia­stico che si vuole costruire." (pagg. 15-16). <<<

Cap. IV: Atrio, portico e vestibolo

"Vi sarà poi davanti alla chiesa un atrio, fatto su consiglio dell'architetto a secon­da dello spazio a disposizione e della struttura dell'edificio, cinto da ogni parte da por­tici ed ornato decorosamente con altri elementi architettonici. Se poi per la scarsità di spazio o per motivi economici non sia possibile costruirlo, si faccia in modo che da­vanti alla chiesa vi sia almeno un portico. Questo, costituito da colonne marmoree o pilastri di pietra o in laterizio, uguaglierà in lunghezza tutta la facciata della chiesa e sarà ampio ed alto proporzionalmente alla sua lunghezza.

"Sarà opportuno che ogni chiesa parrocchiale abbia un portico di questo tipo. Se per motivi economici non si potrà avere nemmeno questo, si provveda almeno a co­struire davanti alla porta principale un vestibolo [noi diremmo un protiro o pronao] di forma quadrata, con solo due colonne o pilastri alquanto distanti da essa; esso sarà un po' più ampio della porta della chiesa". ( pag. 17)

L'atrio cui l'autore si riferisce è il quadriportico del tipo di quello antistante S. Ambro­gio, ed è un elemento piuttosto raro in ogni tempo. A Milano è presente, oltre che nella citata basilica, solo in S. Maria presso S. Celso e alla Certosa di Garegnano. Non sembra che le "Instructiones" ne abbiano incentivato l'adozione, anzi proprio in quest'epoca viene demolito quello di S. Lorenzo. Abbondano invece, e proprio nell'area geografica e cronologica dei Borromei, portici e pronai che conferiscono decoro e levità non solo a monumenti già di per sè notevoli come il S. Gaudenzio di Varallo, ma anche a chiese per il resto rustiche e modeste come se ne trovano dovunque tra il Cusio e la Bergamasca. <<<

Comnago (VB)                                                           Varallo Sesia (NO)                         <<<

Cap. V: Il tetto

Nessun vincolo nella forma sia esterna che interna (soffitto). Impor­tanti invece gli accorgimenti contro la pioggia e l'umidità, quali il far cadere i displuvii lonta­no dal­le pareti e il circondare queste ultime con una pavimentazione di pietra per prevenire le infil­trazioni. Il soffitto a lacunari, tipico di molte basiliche romane, è raccomandabile per il suo "significato mistico", ma quello a volta è meno vulnerabile agli incendi, ed è anch'esso vi­sibi­le "in antiche e insigni basiliche della città e della provincia di Milano" ( pag. 19) <<<

Cap. VI: Il pavimento

"Nella chiesa insigne, nelle cappelle maggiori, negli altri edifici ecclesiastici di importante struttura" non sia fatto in laterizio ma in marmo o in pietra levigata, magari lavorati a intarsio o mosaico. Il laterizio è permesso solo in chiese e cappelle minori. "Sul pavimento, comunque esso sia, non dev'esservi nessuna croce dipinta o a rilievo, nè altra immagine o storia sacra, nè altra figura che simboleggi i sacri misteri ( pag. 20).

Lo scopo è, ovviamente, che tali immagini non vengano calpestate, ma è una norma che non sembra diffusa al di fuori delle "Instructiones": si pensi alle cattedrali di Siena e de La Valletta, i cui pavimenti sono totalmente coperti di storie sacre o di tombe. <<<

Cap. VII: Le porte

"Si badi bene (...) che le porte non siano arcuate, poichè devono essere diverse dalle porte delle città, bensì quadrangolari, quali si vedono nelle Basiliche più antiche. Inoltre non dovranno essere troppo basse nè di struttura modesta, ma, secondo uno dei criteri fondamentali dell'architettura, saranno alte il doppio della loro larghezza

"Nella parte superiore si potrà aggiungere una cornice decorosamente lavorata sulla quale si imposti una lunetta a emiciclo o a scafo rovesciato [forse a ogiva] in cui si dipingano o scolpiscano le immagini sacre come sopra prescritto, così come si vede nelle antiche e più insigni Basiliche milanesi.

Leone nel portale del duomo di Lodi <<<

"Le porte si apriranno sulla facciata della chiesa; saranno dispari, e almeno tante quante sono le navate della chiesa stessa. Se la chiesa è a più navate, la mediana, ove possibile, data la sua ampiezza, abbia alla propria estremità tre porte; se la chiesa pos­siede un'unica navata, vi siano almeno tre porte sulla facciata: infatti le basiliche roma­ne insegnano che le entrate della chiesa debbono essere molteplici per vari motivi, tra cui la separazione degli uomini dalle donne.

"La porta mediana dovrà distinguersi dalle altre per ampiezza e per ornamento, so­prattutto nella Cattedrale; sarebbe bene che fosse ornata con figure di leoni sull'esempio del tempio di Salomone, che le fece scolpire sui basamenti per significare la vigilanza dei presuli; portali così ornati si vedono poi in parecchie cattedrali della provincia di Mila­no.
>>> [a “De Pictura” pag. 28]

"I battenti o valve delle porte della chiesa dovranno dare l'idea non tanto di orna­mento quanto di robustezza. Converrà pertanto che siano di cipresso o di cedro, o al­meno di noce, lavorati a rilievo che non imiti la levità della pittura, ma che sia ben e­videnziato con pio lavoro di scultura; le porte delle chiese più insigni saranno ancor più convenientemente rivestite da lamine di bronzo ed ornate di sacre immagini a ce­sello, tanto più che, secondo la tradizione, le valve delle basiliche romane erano non di bronzo ma d'argento, o ricoperte d'argento." (pagg. 21-22)

Ovviamente le porte della chiesa dovranno possedere serrature robuste ed efficienti, azionabili solo dall'interno.

"Sul retro e sui lati della chiesa non si aprirà nessuna porta, se non dove sia ne­cessario un ingresso o alla sacrestia o al campanile, al cimitero o alle abitazioni dei mi­nistri ecclesiastici. Soprattutto, non si apriranno porte in corrispondenza di un altare o nelle zone laterali di esso, nè in alcun luogo che dia direttamente sull'altare, perchè non ne derivi qualche pericolo di ostacolo, irriverenza o disturbo ai sacri ministeri" (pagg. 22-23)  <<<

Nelle disposizioni sin qui viste si evidenziano alcuni dei temi che ricorreranno nell'o­pera:

- l'idea di chiesa come luogo privilegiato, che va isolato e distinto dal contesto edilizio in cui si trova;

-  il frequente richiamo agli esempi paleocristiani;

- il senso della gerarchia tra gli elementi architettonici: la facciata prevale sui fianchi, la porta centrale sulle laterali ecc. Essa rispecchia simbolicamente la gerarchia che deve go­vernare la società cristiana: il parroco sui fedeli, il vescovo sui parroci, il papa sui vescovi.

- l'importanza del numero dispari degli elementi, fatto che solo in parte si può spiegare con le esigenze gerarchiche;

- l'insistita separazione tra uomini e donne alle funzioni.    <<<

Cap. VIII: Le finestre

"La forma più usata per le finestre nelle chiese è quella che le vede arrotondate nella parte superiore e, sui lati, più larghe verso l'interno che verso l'esterno, come an­che insegna il significato mistico tramandatoci dai Padri." ( pag. 24)

In termini attuali, le finestre descritte sono centinate e strombate. Quanto al significato mistico, qui come in tutti gli altri casi analoghi, il Borromeo non lo spiega, dandolo probabil­mente per saputo dal pubblico di esperti ed ecclesiastici cui si rivolge.

"Si faranno delle finestre laterali nella navata centrale, se l'altezza del tetto lo consente, e nelle navate minori, in numero dispari su entrambi i lati, ordinate al centro di ciascun intercolumnio, in modo da corrispondersi in linea retta, e non molto distanti dallo zooforo o dall'epistilio del tetto [termini indicanti il cornicione che marca il rac­cordo tra le pareti e il soffitto o tra queste e l'imposta della volta]

"Come principale fonte di luce per la chiesa e la cappella maggiore, si aprirà una finestra circolare a mo' di occhio, proporzionata alle misure della chiesa, sulla facciata, sopra la porta principale e la si ornerà al di fuori secondo la struttura dell'edificio. An­che in corrispondenza delle altre navate ve ne sarà una di forma oblunga sulla facciata, a giudizio dell'architetto."

L' "occhio" è naturalmente il rosone, mentre le finestre laterali di facciata richiamano l'impostazione solariana di S. Maria delle Grazie, S. Pietro in Gessate ecc. Molte delle "In­structiones" si riferiscono a modelli già esistenti.

A sinistra, la facciata di S. Maria delle Grazie col rosone e le finestre laterali. A destra l'interno della cupola della stessa chiesa <<<

"Si può ricevere luce, però, per la chiesa e la cappella [maggiore] anche dalla cu­pola (...) Nella cappella maggiore e in ciascuna delle minori, in rapporto alla loro gran­dezza e forma, vi saranno finestre su entrambi i lati, per ricevere luce dall'una e dell'al­tra parte. Se poi non è possibile ricevere luce dai lati e non è sufficiente quella che pe­netra dalla finestra circolare e dalle altre della facciata nè da altre parti, si prenderà lu­ce dalla parete di fondo della cappella. Si badi tuttavia che le finestre della parete di fondo non occupino nemmeno la più piccola parte dello spazio proprio di un qualsiasi altare; e ancora e soprattutto, che non diano direttamente sull'altare addossato alla stes­sa parete, e non siano nemmeno immediatamente sopra di esso.

"Se tuttavia non è possibile prendere luce da altre parti in modo adeguato e deco­roso, la finestra che necessariamente dovrà aprirsi sopra l'altare sarà leggermente incli­nata verso l'esterno nella sua parte inferiore [si riferisce ovviamente al vano, non al ve­tro] e lì rivestita di laterizio o di una solida tavola di marmo o lastra di bronzo, in mo­do che l'acqua defluisca tutta all'esterno, e all'interno non ne penetri neanche una goc­cia.

"Si prenda poi cura, se accade di costruire la chiesa in luogo montuoso o partico­larmente battuto dal vento, che le finestre, ovunque si aprano, ma soprattutto quelle a settentrione, siano fatte in modo da non recar danno ad alcuna parte della chiesa nè pe­ricolo alle sacre funzioni, o disagio ai fedeli in preghiera.

"Le finestre si ubicheranno in alto, e in modo tale che chi sta fuori non possa guardare dentro. Dove sia necessario aprire una finestra meno alta di quanto detto (...), la si munirà di imposte con vetri che non sia possibile aprire dall'esterno per guardare all'interno. Tutte le finestre, ovunque siano, dovranno essere munite, ove possibile, d'inferriate cui si aggiunge la struttura in vetro o comunque trasparente, non dipinta in alcuna sua parte se non, al massimo, con l'immagine del Santo cui è dedicata la chiesa o la cappella, perchè si riceva maggior luce (...) Tuttavia, di qualunque tipo e comun­que siano fatte, le finestre dovranno essere tali da potersi aprire o rimuovere in caso di esalazioni di vapore verificatesi all'interno della chiesa o della cappella" (pagg. 24-27).

Forte è dunque nel Borromeo la cura per la luce, secondo una tendenza che emerge spesso nell'architettura e nell'arte lombarda. Notevole è anche la sua attenzione all'igiene, al­la sicurezza e alla "privacy" del fedele, tutti caratteri che nel luogo privilegiato della chiesa trovano attuazione più che nelle strutture civili, anche ricche, del tempo. <<<

Cap. IX: La scalinata e i gradini della chiesa.

Se occorrono più gradini di quanto richiesto nel cap. I, questi devono essere sempre in numero dispari e intervallati, ogni 3 o 5, da un pianerottolo; ma anche le rampe tra i pianerottoli devono risultare in numero dispari. Ogni gradino deve misurare circa 8 oncie in alzata e un cubito in pedata.   <<<

Cap. X: La cappella maggiore[= quella che ospita l'altar maggiore]

"Il sito di questa cappella si deve scegliere in fondo alla chiesa, in luogo alquanto elevato. La sua parte posteriore dovrà essere rivolta verso oriente, anche se nel suo re­tro vi fossero delle abitazioni civili. Non dovrà essere rivolta verso l'oriente solstiziale ma verso quello equinoziale" (pag. 29)

Se non siamo astronomi non ce ne accorgiamo, ma nel corso dell'anno il punto da cui sorge il sole cambia continuamente, percorrendo nei due sensi un tratto dell'orizzonte. Al cen­tro di questo tratto c'è il punto in cui il sole sorge agli equinozi (21 marzo, 23 settembre), agli estremi quelli in cui sorge ai due solstizi (21 giugno, 21 dicembre ). Il punto equinoziale dun­que indica l'oriente medio, quello rispetto a cui le oscillazioni annuali sono meno sensibili. Questa ricerca dell'oriente "vero" verso cui orientare la chiesa non è un capriccio del nostro autore ma è comune da sempre nel mondo cristiano, e non solo. L'oriente è per tutte le civiltà il luogo da cui, col sole, nasce la vita e la divinità, qualunque sia, si manifesta in modo privi­legiato.

"Se non è possibile questa impostazione, a giudizio del Vescovo e su sua licenza, la si potrà costruire volta verso un'altra direzione, ma in tal caso si abbia almeno cura, se possibile, di non volgerla verso settentrione ma verso meridione. In ogni caso dovrà essere volta ad occidente quella cappella in cui, secondo il rito della chiesa, il sacerdo­te celebri la messa all'altar maggiore col viso rivolto verso il popolo." ( pag. 29)

Dunque è il sacerdote che deve guardare a oriente. Ma occorre anche qui una spiega­zione. Oggi, dopo il concilio Vaticano II, è normale che il celebrante sia rivolto verso i fedeli, ma prima questa era l'eccezione, attuata solo in certi rituali: di solito il sacerdote guardava nella stessa direzione dei fedeli, quindi voltava loro le spalle. Ecco perchè la cappella mag­giore (quella dove c'è l'altar maggiore) dev'essere volta a oriente. Ma dove vige l'eccezione l'orientamento dev'essere opposto.

"La cappella sarà coperta a volta e degnamente ornata con mosaici o altra insigne decorazione pittorica o architettonica (...)  Il suo pavimento sarà più alto di quello della chiesa, in rapporto alla posizione e al tipo di chiesa cui appartiene: se questa è una par­rocchiale sarà più alto, come minimo, di otto oncie e al massimo di un cubito; se è una collegiata o cattedrale, oppure una parrocchiale insigne, sovrasterà non meno di un cu­bito e non più di un cubito e sedici oncie. Quando poi nella cappella maggiore esiste il luogo detto "confessione" [in questo caso sembra trattarsi della cripta] il criterio di elevazione del pavimento verrà adeguatamente e decorosamente riferito all'altezza di questo luogo." (pagg. 30-31)

I gradini per la salita alla cappella maggiore, in marmo, "solida pietra" o laterizio solo se manchino quei materiali, saranno in numero dispari, e l'autore si dilunga sulle possibili combinazioni derivanti dal rapporto fra l'altezza dei gradini (non più di otto oncie) e l'eleva­zione della cappella.

Risparmieremo al lettore le più minuziose tra le questioni dimensionali che abbondano nell'opera, ma dobbiamo segnalare che tali questioni, agli occhi dell'autore, hanno un ruolo essenziale. Ritroviamo, nel discorso sulla cappella maggiore, la concezione gerarchica del­l'architettura e l'insistenza sul numero dispari.     <<<

La differenza tra cripta e "confessione".

A sinistra, la cappella mag­giore del duomo di Piacenza con l'altare sopraelevato sulla cripta, di cui si vedono ai lati i due ingressi

A destra la "confessione" di S. Pietro a Roma: la struttu­ra non eleva l'altare e vi si entra attraverso un vano a­perto a livello del pavimento   <<<

 

 

 

 

 

Cap. XI: L'altar maggiore

"L'altar maggiore della cappella potrà essere ubicato in modo che dal gradino più basso dell'altare stesso ai cancelli di recinzione della cappella vi sia uno spazio di otto cubiti o anche più, ove lo consenta, o anzi lo richieda per motivi di proporzione, l'am­piezza della chiesa. Tale spazio sarà comodo e utile al numeroso clero che si riunisce per la Messa solenne e le funzioni divine" (pag. 32)

Segue un elenco degli artifici da attuare per ottenere o aumentare le misure date in casi difficili. Tra questi presenta qualche interesse quello di espandere la gradinata della cappella maggiore verso la navata con un tracciato poligonale, come appare ad esempio nel duomo di Milano.

"L'altezza dell'altar maggiore sarà, dalla predella, di due cubiti e otto oncie, o al massimo dieci; la lunghezza di cinque cubiti o più, in rapporto alla lunghezza e alle misure del luogo. Inoltre, se di fronte o sui lati c'è spazio, si costruiranno tre gradini, cioè uno formato dalla predella e due altri sottostanti: questi ultimi dovranno essere in marmo o pietra solida, o, se ciò non è possibile, in laterizio [seguono le misure]. Il ter­zo gradino, formante la predella, sarà in tavole di legno [seguono le misure].Ove poi, grazie all'ampiezza della chiesa e dell'altar maggiore, vi sia spazio per più gradini, se ne potranno costruire cinque, dell'altezza e larghezza prescritti sopra.

"Sotto l'arco di volta della cappella maggiore, in ogni chiesa, specie se parroc­chiale, sarà adeguatamente collocata una croce con l'immagine di Cristo crocifisso, in legno o altro materiale, di fattura pia e decorosa. Se non è possibile collocarlo in quel luogo per l'eccessiva bassezza dell'arco o della volta, si appenderà alla parete sopra l'arco stesso, nella parte esterna sotto il soffitto, oppure addirittura sopra la porta della cancellata della cappella" (pagg. 34-35)   <<<

Cap. XII: Il coro [= la serie di sedili ("stalli") in cui tutti i sacerdoti addetti a una certa chiesa cantano i salmi e le altre orazioni quotidiane nelle "ore canoniche"]

"Il coro (...) dovrà essere separato dalla parte della chiesa dove stanno i fedeli e chiuso da cancelli" ( pag. 36).

Per il resto esso potrà essere collocato o davanti all'altar maggiore, "secondo l'uso anti­co", o dietro di esso, mentre dimensioni, forma e ornamento saranno a giudizio dell'architetto.

Dovunque sta il clero ci devono essere chiari e solidi elementi di separazione rispetto al luogo dei fedeli.      <<<

amiens
Pianta della cattedrale di Amiens

 

canterbury
Pianta della cattedrale
di Canterbury
canterbury interno
Coro della cattedrale di Canterbury
S. Maria Gloriosa dei Frari
Pianta della chiesa di
S. Maria dei Frari a Venezia
frari interno
Coro della chiesa di
S. Maria dei Frari
leon
Pianta della cattedrale di Leon
leon interno
Coro della cattedrale di Leon

La posizione del coro (C) nelle cattedrali di Amiens, Can­terbury, Leon e nella chiesa dei Frari a Venezia. A fianco l’in­gresso monumentale del recinto (trascoro) che lo separa dai fedeli.   <<<
  >>> (a “De Pictura” l. II cap. XIII)

Ovviamente il coro è presente solo nelle chiese officiate da una grande comunità (catte­drali, collegiate, abbazie…). Quanto all’”uso antico”, esso si trova ancora presso i monaste­ri, nelle cattedrali di Spagna e dei paesi da essa influenzati (es. le Fiandre) oltre che in In­ghilterra, ove però la complessa articolazione spaziale delle chiese non permette di identifi­care facilmente il “centro” del percorso liturgico. L’uso “moderno” è in vigore almeno dal medio evo gotico, e ad esso si deve il grande sviluppo della parte absidale delle cattedrali sorte in quel periodo. Viene accolto da S. Carlo, che su di esso imposta la sua ristrutturazione del Duomo. Federico, invece, pur senza intervenire sull’opera del cugino, manifesterà una certa propensione per l’uso antico (si veda il capitolo finale del “De Pictura”)    <<<

Cap. XIII: Il tabernacolo [= il contenitore dell'ostia consacrata, vero cuore della chiesa]

"Poichè per decreto provinciale si deve collocare il tabernacolo della Santissima Eucarestia sull'altar maggiore, converrà dare qui qualche istruzione. Nelle chiese più insigni, ove possibile, sarà opportuno che esso sia di lamine d'argento o di bronzo, in entrambi i casi dorate, o di marmo prezioso. Il corpo del tabernacolo, elegantemente lavorato e ben compatto nelle sue parti, scolpito con immagini dei misteri della Passio­ne di Cristo e decorato con dorature in alcuni punti, presenterà un'ornamentazione ve­neranda e pia. All'interno dovrà essere rivestito di tavole di pioppo o di altro legno del genere, perchè la Santissima Eucarestia sia protetta, grazie a tale rivestimento, dall'umidità del metallo e del marmo (...)

"Sarà ampio in rapporto alla dignità, grandezza ed esigenze della chiesa sul cui altar maggiore si deve collocare. La sua forma sarà ottagonale o rotonda, come più parrà adatta per decoro e pietà alla forma della chiesa. Sulla sommità del tabernacolo vi sarà l'immagine di Cristo che risorge gloriosamente o che mostra le sante piaghe (...)

"Inoltre il tabernacolo, poggiato sull'altare con una base ornata e ferma, sostenuto da solidi gradini decorosamente lavorati o da statue di angeli o da altri sostegni decora­ti con temi religiosi, sarà ben fissato e solido; inoltre sarà munito di chiave." (pagg. 37-39)

Seguono le solite questioni dimensionali sull'accessibilità al tabernacolo e sulle alterna­tive in caso di mancanza di spazio.

"Sotto il tabernacolo non vi dovrà essere alcun armadietto, nè alcun luogo per riporre i libri o gli arredi ecclesiastici [non si tratta di un mobile ma di un oggetto sacro e non può essere adibito ad usi utilitari] (...)

"All'interno il tabernacolo sarà rivestito in ogni parte e ornato di seta rossa, se la chiesa è di rito ambrosiano, o bianca, se è di rito romano. Avrà nella parte anteriore u­na porticina abbastanza larga da permettere di introdurre e togliere facilmente l'osten­sorio [il contenitore manuale con cui il sacerdote mostra l'Ostia ai fedeli] che si chiu­de al suo interno; inoltre si aprirà in modo da potersi completamente ripiegare ai lati, così da non dare impaccio alla mano o al braccio del sacerdote che toglie dal taberna­colo la Santa Eucarestia. La porticina sarà adorna dell'immagine di Cristo crocifisso o risorgente, o che mostra le ferita del petto, o di altra pia effigie".        <<<

Sembra che l'unica forma ammessa dal Borromeo per il tabernacolo sia quella detta a edicola o a tempietto, struttura autonoma di forma press'a poco cilindrica o prismatica che si ap­poggia con un basamento al piano dell'altare (figura a sinistra): è il tipo che si vede, in formato gi­gante, nel duomo di Milano (al centro). In pratica però sembra più usato il tipo ad armadietto, che si apre con uno sportello nella testata dell'altare (a destra).   <<<

Cap. XIV: Cappelle laterali e altari minori

La presenza di altari e cappelle minori nelle chiese era giustificata da almeno due fat­tori:

- l'usanza largamente diffusa tra le famiglie influenti di "patrocinare" una certa chiesa istituendovi uno o più  altari e mantenendo a proprie spese i relativi celebranti, oppu­re fondandovi cappelle a proprio uso

- l'abbandono in cui era caduta la pratica della concelebrazione dei riti, per cui cia­scu­no dei sacerdoti officianti in una chiesa doveva celebrare la messa per proprio conto.

       Entrambi questi fattori sono venuti meno dopo il concilio Vaticano II, per cui oggi cappelle e altari laterali sono una semplice traccia del passato. Ma il Borromeo doveva imporre una di­sciplina al proliferare di queste strutture, e lo fa con le norme che seguono, ispirate sostan­zialmente a un'istanza di ordine e di decoro.

 Quanto all'ubicazione, le cappelle laterali trovano una sede naturale nelle testate dei transetti, se ci sono; possono essere anche ricavate ai due lati della cappella maggiore, avendo cura però che non la superino per dimensioni e splendore e, se la chiesa è a tre navate, che ri­sultino in asse colle laterali.

Anche lungo le navate si possono costruire cappelle; ma allora devono essere quanto più possibile omogenee per aspetto e dimensioni, disposte simmetricamente sui due lati e in asse con gli intercolumnii; non devono comunque occupare la prima campata prossima all'ingresso (in cui si potrà collocare solo il battistero) e devono ricevere luce a sufficienza, magari attra­verso adsidiole finestrate. Non ve ne devono essere comunque in controfacciata o in posizione tale che chi vi dice Messa volti le spalle all'altar maggiore. Devono essere sollevate di almeno un gradino rispetto alle navate, ma non tanto da superare la cappella maggiore, e devono esse­re separate da esse con cancelli o balaustre. L'altare vi va collocato sulla parete di fondo.

Le dimensioni [tralasciamo i particolari!] devono esser tali che i celebranti siano ben visibili anche dall'esterno della cappella e non si disturbino reciprocamente nelle funzioni. Nel definirle, l'autore mostra la sua solita preferenza per i numeri dispari (7, 9, 11 cubiti ecc.). Se manca lo spazio per cappelle vere e proprie, queste possono essere sostituite da semplici alta­ri, purchè inquadrati da una coppia di colonne trabeate e opportunamente cintati. <<<

Cap. XV: Elementi comuni a cappelle e altari maggiori e minori

Materiale: mai legno, ma pietra o, solo in mancanza di questa, laterizio.

Forma: compatta, senza cavità che possano prestarsi a impieghi utilitari. E' consentita la forma a tavolo, purchè non vi si collochi nulla sotto.

Altare e celebrante devono avere sempre sopra di sè una volta o un baldacchino cui si possa facilmente accedere per periodiche pulizie: non può quindi coincidere col soffitto della chiesa. Questa struttura, che l'autore chiama "capocielo", può essere in muratura, in legno o anche in tela e può essere sorretta da colonne o anche pendere dal soffitto della chiesa.

La descrizione non è del tutto chiara, ma nel complesso sembra indicare il ciborio, struttura a tempietto o a baldacchino che sovrasta l'altare in molte chiese: classici esempi, quello di S. Ambrogio a Milano o quelli delle basiliche romane.

Esempio di capocielo pensile                                            Il ciborio di S. Paolo fuori le Mura, Roma
   
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Seguono norme minuziose sull'arredo collaterale all'altare: dal ripostiglio per le sacre ampolle, che deve stare dal lato dell'epistola e incorporare un lavamano, al campanello, che dev'essere collocato in modo da non poter essere azionato per errore fuori tempo, al chiodo per appendere il berretto del sacerdote, che dev'essere dal lato dell'epistola e non superare l'altezza di due cubiti... Quanto alla recinzione, dev'essere alta circa tre cubiti, ma nel cubito più basso l'inferriata o le colonnine devono essere più compatte "per impedire l'ingresso ai cani" ( pag. 58).

L'altare dev'essere rivestito su ciascuna delle facce visibili da tessuto: il pallio sulla fac­cia rivolta ai fedeli, la tovaglia sul piano e sui lati. La mensa sarà in pietra o in marmo.

Interessante, anche se un po' oscura per i non addetti, è la descrizione che segue dell'al­tare consacrato.

Sotto la mensa dell'altare consacrato vi sarà un "sepolcro delle reliquie", raggiungibile tramite un'apertura praticata o sulla fronte o sul retro o sul piano "secondo il criterio di consa­crazione, prescritto dal libro pontificale, che il Vescovo vorrà usare" ( pag. 63). Tale "sepol­cro" sarà chiuso da una tavola in pietra o in marmo recante i nomi dei santi cui le reliquie ap­partengono.

L'autore indica questo luogo anche come una "fossa", per cui possiamo pensare, che, almeno in certi casi, si tratti di una tomba vera e propria come quella che troviamo, ancora una volta, in S. Ambrogio sotto l'altare d'oro.

La mensa dell'altare consacrato sarà coperta di tela cerata, mentre quello non consacrato sarà coperto in legno. Al centro della mensa consacrata si trova l'"altare portatile", consistente in una pietra incastrata in una spessa tavola di legno, il tutto a sua volta infossato nella mensa così da essere appena distinguibile al tatto. E' questa, consacrata dal vescovo, l'elemento pro­priamente sacro dell'altare, tanto che il suo trasferimento trasferisce la consacrazione ad un altro altare.      <<<

Cap. XVI: Luoghi, vasi e loculi in cui si custodiscono le sacre reliquie.

Lo "scurolo" di S. Carlo nel duomo di Milano. Tutta la cassa è di vetro, anche se il santo si sarebbe accon­tentato di una "finestrella" (v. pag. 14)       <<<

"I corpi dei Santi si custodiscono piamente e decorosamente soprattutto in quella parte sotterranea della chiesa detta 'confessione' o volgarmente 'scu­rolo' [è sempre la cripta], quando la chiesa la pos­siede, e negli altari di pietra o sotto di essi, com'è antica usanza. Pertanto sarà opportuno apprestare un'arca di marmo o almeno di solida pietra, assai ben levigata all'interno, fornita di coperchio di tipo fastigiato [forse a forma di tetto con spioventi], che contenga, ben chiusi, i sacri corpi; essa sarà posta all'interno o al di sotto degli altari.

"Oltre che negli altari, le reliquie potranno es­sere custodite in un altro luogo cospicuo della chie­sa: in tal caso l'arca dovrà essere in marmo più pre­zioso, scolpita all'interno [o all'esterno?] e insigne per ornamento pio e religioso. Essa, sostenuta da quattro o più colonnine anch'esse di marmo, assai ben eseguite (...) sarà decorosamente collocata o nella parte centrale della chiesa, se l'ampiezza lo permette, o nella cappella più insigne, o ancora in quella in cui si custo­disce il Santissimo Sacramento. (...) Se si pone in qualche cappella, la si potrà ubicare nella sua parte posteriore o di fianco all'altare: la si addosserà alla parete o si porrà in una leggera, decorosa concavità di essa; sarà collocata quattro cubiti al di sopra del pa­vimento. (...)

"Affinchè poi i corpi dei Santi o le sacre ossa, incorrotte e inviolate, si conser­vi­no in perpetuo monde da ogni sporcizia e polvere e al sicuro da ogni ingiuria, si pren­derà questa precauzione: ogni arca (...) sarà assai solida e compatta nella parte esterna ed i­noltre rinforzata da ganci di ferro e di piombo su ogni lato, in modo che non si veda nemmeno una fessura; inoltre in essa verrà chiusa un'altra cassa d'oro, d'argento o di stagno (in questi due ultimi casi dorata), di solida fattura, in cui si conservino i sacri corpi. Questi, quando verranno posti in tale cassa, saranno rivestiti e avvolti in tessuto di seta o in un velo ancor più prezioso, del colore adeguato al Santo o alla Santa cui appartengono, disposti secondo il rito e l'istituto ecclesiastico. La cassa o teca o i loculi o i vasi, di qualunque tipo siano, saranno benedetti secondo il rito con la preghiera pre­scritta sul libro pontificale o rituale prima che vi vengano chiuse le sante reliquie (...)

"In ogni cassa sarà chiusa una tavoletta in bronzo in cui siano incisi i nomi dei Santi. Sarà posta anche sull'arca un'iscrizione che indichi con precisione i nomi e i cor­pi dei Santi, il tempo in cui sono stati posti nella chiesa o traslati e altre notizie del ge­nere, purchè certe.

"Le teste dei Santi, affinchè possano essere esposte alla vene­razione dei fedeli in determinati giorni, saranno opportunamente cu­stodite a parte: e cioè chiuse in una teca d'oro o d'argento oppure, se i mezzi non lo consentono, di bronzo dorato, che abbia la forma e riproduca le fattezze della testa, con collo e mezzo busto.

Esempio di busto-re­liquiario       <<<

"Affinchè poi qualche volta si possano vedere ancora integri e con tutte le loro membra i corpi dei Santi custoditi sull'altare o in luoghi cospicui, l'altare o l'arca saranno fatti in modo da avere sulla parte anteriore una finestrella, ornata e ben fatta, munita di una griglia di ferro o di bronzo e solidamente chiusa (...) da cui i corpi stessi si possano vedere." (pagg. 67-71)

L'ampiezza, la cura e la qualità verbale con cui espone queste norme testimoniano l'impegno posto dal Borromeo nel culto delle reliquie, culto cui sembra dedicare una partecipazione emotiva su­periore, ad esempio, a quella che emerge dalla burocratica norma­tiva sull'altar maggiore. E non è tutto, perchè, dopo aver sistemato le reliquie dei corpi interi, l'autore si dilunga sulle reliquie parziali, anche minime, di cui le chiese dei suoi tempi si fregiavano.

Tipico armadio-reliquia­rio       <<<

Le reliquie parziali vanno custodite in appositi contenitori trasparenti proporzionati alle loro dimensioni e corredate da etichet­te coi nomi dei santi di appartenenza (ma  sono ammessi anche  san­ti non identificati). Tali contenitori vanno posti in armadi soprae­le­vati, collocati a loro volta in luoghi ben visibili della chiesa, ma ac­cessibili solo dai sacerdoti in occasione delle ostensioni, fuori dalle quali dovranno essere tenuti ben chiusi. Nelle loro vicinanze ci sa­ranno dei pali terminanti con ganci ai quali i fedeli appenderanno le loro corone del rosario, che verranno poi portate a contatto coi vasi delle reliquie. Non  mancheranno poi, nella chie­sa, le immagini dei santi più illustri di cui vi sono custodite le reliquie e iscrizioni che di tali reliquie narrino la storia.

Dunque il cardinale ammette la "grazia per contatto". A scaricarlo dall'accusa di su­perstizione si può soltanto dire che anche la medicina del tempo attribuiva valore terapeutico a pratiche simili a volte ancor più arbitrarie.  <<<

Cap. XVII: Le sacre immagini o le pitture

"In base al decreto del concilio di Trento e alle costituzioni provinciali, il Vesco­vo deve porre gran cura a che le sacre immagini siano rappresentate in modo pio e re­ligioso; inoltre è stata prevista una gran pena o multa ai pittori e agli scultori perchè non si allontanino, nelle rappresentazioni di cui sopra, dalle regole prescritte. E' stata inoltre prevista una sanzione anche per i rettori ecclesiastici, qualora permettano che nella loro chiesa sia raffigurata o collocata un'immagine insolita e contraria alle dispo­sizioni del concilio tridentino.

 

"Ciò che si deve evitare e ciò che si deve mantenere nelle immagini sacre.

"Innanzitutto non si raffigurerà in chiesa o altrove un'immagine sacra che conten­ga un falso dogma, o che offra agli ignoranti occasione di pericoloso errore, che sia contraria alle sacre scritture o alla tradizione della Chiesa; al contrario, l'immagine sarà conforme alla verità delle Scritture, delle tradizioni, delle storie ecclesiastiche, alle consuetudini e all'uso della madre Chiesa.

"Inoltre, nel dipingere o scolpire sacre immagini, come non si dovrà rappresenta­re nulla di falso, di incerto o apocrifo, di superstizioso e di insolito, così si eviterà rigo­rosamente tutto ciò che sia profano, turpe o osceno, disonesto e procace; e analoga­mente si eviterà tutto ciò che sia stravagante, che non stimoli gli uomini alla pietà, o che possa offendere l'animo e gli occhi dei fedeli.

"Inoltre, per quanto nella rappresentazione di un santo si debba ricercare, si avrà cura di non riprodurre a bella posta l'effigie di un altro uomo vivente o morto.

"Non dovranno trovar posto in chiesa o in altro luogo sacro immagini di bestie da soma, di cani, di pesci o altri animali bruti, a meno che la rappresentazione della storia sacra, secondo la consuetudine della madre Chiesa, non lo richieda specificamente (...)

"Le insegne dei santi

"Le insegne che, con significato sacrale, vengono apposte alle immagini dei san­ti, dovranno essere conformi, in modo adeguato e decoroso, all'istituto ecclesiastico; esse possono essere, ad esempio, l'aureola che si pone attorno al capo dei santi, a mo' di scudo rotondo; le palme nelle mani dei martiri; la mitria e il pastorale che si attribui­scano ai vescovi e altre del genere, e inoltre l'attributo proprio e caratteristico di cia­scun santo. Inoltre bisognerà aver cura che la raffigurazione risponda a verità storica, all'uso della chiesa, ai criteri prescritti dai Padri. Bisognerà far sì  che l'aureola di Cri­sto si distingua da quella dei santi per mezzo di una croce. Inoltre bisognerà badare a non attribuire l'aureola a nessuno che non sia canonizzato. [Di questi temi parla più diffusamente Federico nel cap. VIII del libro II]

"I luoghi non convenienti per le pitture sacre

"Non si rappresenterà alcuna immagine sacra per terra, nemmeno in chiesa; nè in luoghi umidi, che causano col tempo il guasto e il decadimento della pittura; nè sotto le finestre, da dove possa stillare l'acqua piovana; nè in prossimità di punti in cui si debba piantar chiodi; nè, si ribadisca, per terra e in luoghi fangosi. In luoghi simili non si rappresenteranno neanche storie di santi o raffigurazioni o simboli dei misteri litur­gici.

 

"Il rito della benedizione delle immagini

"Non bisogna aver cura solo del luogo, ma anche dell'antico rito ecclesiastico: le immagini dei santi, cioè, una volta eseguite, saranno consacrate con una solenne bene­dizione e preghiere stabilite, prescritte dal libro pontificale o sacerdotale (...)

"Le didascalie con i nome dei santi

"Non è disdicevole che, nel gran numero di immagini che si raffigurano in una chiesa, sotto quelle meno note si scrivano i nomi dei santi rappresentati (...)

"I 'parergi' e le aggiunte per ornamento

"I 'parergi', o accessori, e cioè gli elementi che pittori e scultori sono soliti aggiungere alle immagini per ornamento, non saranno profani, nè voluttuosi, nè volti al diletto estetico, nè estranei alla pit­tura sacra, come ad esempio le teste umane deformi che vengono volgarmente chiamate 'mascaroni' (vedi immagine a destra), o gli uccelli, o il mare, o i campi verdeggianti che si dipingono per il piacere e il diletto della vista e per ornamento; a meno che non siano parte integrante della storia sacra che si rappre­senta, o che si tratti di tavole ex voto, in cui si dipingono, per spiegarne il senso, teste umane ed altro, come detto sopra.

"Gli ornamenti e gli indumenti delle sacre immagini non dovranno avere alcun­chè di vano o che, insomma, si accordi poco o nulla con la santità.

"Le tavolette votive, gli ex voto, le immagini di cera e gli altri oggetti che si suo­le appendere nelle chiese per antica consuetudine e istituto, a ricordo della salute recu­perata o di un pericolo scampato o di una grazia divina miracolosamente ricevuta, do­vranno essere oggetto della cura prescritta sopra, poichè spesso le loro raffigurazioni sono false, indecorose, turpi e frutto di superstizione" (pagg. 79-84)

Questo è l'unico capitolo che il Borromeo dedica all'arte figurativa, perciò l'ho ripro­dotto quasi per intero. La minacciosa apertura, con le sanzioni che attendono gli artisti in­fedeli e i committenti poco vigili (sanzioni che però non compaiono nel decreto conciliare), ci fa capire che le arti erano considerate dalla Chiesa un mezzo di comunicazione sociale al­trettanto valido che la stampa, quindi altrettanto meritevole di attenzione censoria. Di que­st'attenzione il cardinale sembra farsi portavoce inflessibile, proponendo un modello di arte che si può definire "conformista" se non altro perchè dev'essere "conforme" a canoni estrema­mente rigidi.

E' sin troppo facile criticare questi canoni dal punto di vista odierno. Vediamo piuttosto di collocarli storicamente, cercando di capire in quali realtà Carlo e i Padri conciliari vedes­sero i "pericoli" per un'arte ortodossa. I "falsi dogmi" avrebbero dovuto provenire anzitutto dal protestantesimo, ma questa confessione si caratterizza soprattutto per il rifiuto (più o me­no radicale, ma altrettanto censorio di quello cattolico) dei temi più cari al cattolicesimo (santi, Madonne, Eucarestia ecc.), col quale quindi non entra in concorrenza. I "falsi dogmi" si po­tevano più facilmente trovare in certa produzione tardo-rinascimentale, che s'ispirava ai temi di un neo-paganesimo nutrito di magia e di cabala (il cosiddetto ermetismo) e proponeva una religiosità "più autentica" di quella cristiana in quanto fondata su princìpi più antichi ed uni­versali. Abili nel dissimulare le loro idee, gli artisti ermetici si servivano di simboli e "gero­glifici" che spesso inserivano nelle loro opere facendoli passare per semplici decorazioni: so­no forse questi i "mascaroni" con cui san Carlo se la prende, insieme ai tanti casi in cui l'epi­sodio sacro viene preso a pretesto per scene mondane e galanti (si pensi alle "cene" tipo Ve­ro­nese o alle tante Susanne e Cleopatre discinte come Veneri). Come può un vescovo benedire simili immagini?

Curioso ed ermetico appare il precetto di non "riprodurre a bella posta" tra i santi "l'ef­figie di un altro uomo vivente o morto". Per nostra fortuna lo ritroveremo esposto più estesa­mente da Federico nel suo capitolo sui ritratti, (Lib. II, cap. VIII), dove raccomanda di  non dare alle immagini sacre le fattezze di persone reali che non siano di virtù provata, e di non servirsi di tali "ritratti indiretti" a scopi polemici o vendicativi, citando il famoso caso di Mi­chelangelo e Biagio da Cesena da lui trasformato in Minosse.

Possiamo anche ritenere ingenuo il riferimento alla "verità storica" di fatti la cui credi­bilità è affidata soprattutto alla fede; tanto più che per il cardinale tale verità fa tutt'uno con la tradizione raccolta dalla Chiesa, cui egli attribuisce la capacità (conferita dallo Spirito Santo?) di distinguere fra tante leggende e notizie discordi quelle vere o per lo meno più at­tendibili. Arbitrario e discutibile fin che si vuole, è un tentativo di sottoporre l'arte a un crite­rio di verità e di evitare quelle che ancor oggi si chiamano "false comunicazioni sociali": non basta insomma che un fatto sia oggetto di pie leggende e di devozione popolare perchè sia da considerarsi vero.

A far le spese di questo precetto furono anzitutto i vangeli apocrifi, che conobbero in quest'epoca la loro morte iconografica. Ma più esplicita e severa è la condanna, da parte del Borromeo, della superstizione, in cui troviamo una corrispondenza precisa col decreto conci­liare. Ai nostri occhi molte delle pratiche raccomandate da san Carlo sono esse stesse su­perstiziose (si pensi al culto delle reliquie), ma è comunque significativo che egli voglia di­stinguere una religione "vera", fondata su quella che egli, con tutta la Chiesa, ritiene la "pa­rola di Dio", da una religione "falsa", fondata su opinioni umane o su credenze di non "cer­ta" origine divina. Sembra che nel criticare gli "ex voto" il cardinale consideri superstiziosa anche la credenza in miracoli "utilitari" (guarigioni, scampati pericoli ecc.) nelle cui origini o nei cui esiti non è chiaro l'apporto della fede.

Il conclusione, la precettistica carolina (cui si aggiungerà tra mezzo secolo quella di Federico, più ricca e duttile, ma sostanzialmente concorde) ha certamente l'effetto di promuo­vere una pratica artistica uniforme e standardizzata, ma anche quello di spingere gli artisti a misurarsi con la dimensione sacra e con le esigenze comunicative. Se traduciamo la "verità storica" da essa richiesta con "credibilità umana" ci troviamo nell'ambito di una tendenza già da tempo operante nell'area lombarda, sotto forma di concretezza, attenzione al reale e al quotidiano come veicoli del sacro (Bergognone, Lotto...), tendenza che in questa precettistica trova conferma e promozione. Così l'arte italiana non avrà il suo Bosch ma troverà presto un Caravaggio.       <<<

Cap. XVIII: Le lampade o il lampadario

Nei dispositivi d'illuminazione sono am­messe varie forme di lampade, secondo la tradizione. L'importante è che le singole lampade siano sempre in numero dispari, anche quando sono disposte circolarmente attorno a un lam­padario.

Il lampadario dev'essere sempre in asse, mai laterale rispetto all'altare o alle reliquie cui è applicato. Deve distare dal pavimento almeno 7 cubiti e dev'essere collocato in modo che la cera, nel colare, non disturbi le funzioni. Quando in un lampadario si deve accendere una sola luce, si accenderà quella posta al centro.

Qui il numero dispari è in funzione simmetrica e gerarchica. Ma non sempre lo si può spiegare in questo modo     <<<

Cap. XIX: Il battistero

Il battistero di Parma        <<<

Dev'essere presente in tutte le chiese in cui vi sia cura d'anime: cattedrali e parrocchie. Può essere collocato all'esterno della chiesa come cappella indipendente o all'interno della chiesa stessa.

Se è una cappella indipendente, deve trovarsi, a giudizio del­l'architetto, in un luogo volto a mezzogiorno posto a una certa di­stanza dalla facciata. Il "volume" [= perimetro] sarà di circa 33 cu­biti, la struttura "insigne in rapporto al carattere della chiesa" ( pag. 90) e la dedica a S. Giovanni Battista. La pianta potrà essere circo­lare, ottagonale o esagonale, comunque iscrivibile in un cerchio; preferibile su tutte è quella ottagonale. La copertura sarà a volta, il­luminata da una lanterna centrale. Il pavimento sarà rialzato rispetto alla strada di tre o più gradini, comunque meno della chiesa da cui il battistero dipende. La porta, della forma prescritta nel cap. VII, guarderà a occidente e sarà preceduta da un "vestibolo" [pronao]. Vi saranno più finestre, in numero e forma a giudizio dell'architetto. All'interno vi sarà un solo altare presso la parete est, di forma e ca­ratteri conformi al cap. XV. Sopra di esso vi sarà raffigurato il batte­simo di Cristo, scena che non dovrà mancare nemmeno se mancasse spazio per l'altare.

Se è all'interno della chiesa, esso sarà collocato in un apposito sacello piuttosto vicino alle porte d'ingresso e possibilmente dal lato del Vangelo, che è quello di destra per chi entra, sud per le chiese orientate e riservato agli uomini durante la messa. Può occupare una cappella laterale, l'unica che può trovarsi nella prima campata, o uno dei due primi intercolumni, op­portunamente recintato da inferriate e colonne.

L'autore distingue fra i due riti in uso ai suoi tempi: quello romano che prevede la sem­plice aspersione dell'acqua, e quello ambrosiano che prevede l'immersione del battezzando.

"Ubicazione e forma del battistero di rito romano

"Il battistero dovrà essere al centro della cappella: esso, largo undici cubiti e pro­fondo in modo che, dal pavimento della cappella, vi si discenda per meno di tre gradi­ni, per questa discesa e per quella certa sua profondità, presenterà qualche somiglianza con un sepolcro. Ai piedi del gradino più basso vi sarà uno spazio vuoto del diametro di sette cubiti e sedici oncie. Al centro di questo spazio si porrà il fonte o vasca battesi­male, nel quale si trova l'acqua; (...) la sua forma sarà rotonda, ottagonale  o altra, che sia appropriata a quella della cappella. Sarà fatto, se possibile, di un unico blocco di marmo o di altro materiale, oppure da due o più lastre di marmo o pietra (...) Il fondo della vasca sarà ricoperto e rinforzato, se non è monolitico, di croste lavorate di marmo o di granito, assai ben connesse tra loro e unite con bitume. Sarà da ogni lato dolce­mente digradante verso il centro e presenterà alcuni canaletti per mezzo dei quali l'ac­qua sarà condotta verso il foro che si trova al centro, scavato sotto la base di una co­lonnina. Al di sotto del fondo della vasca, in luogo sotterraneo, sarà ricavata come sa­crario una piccola cisterna, nella quale confluisca l'acqua che scorre dalla testa del bambino che viene battezzato.

Il Borromeo vuole probabilmente rilanciare l'idea del battesimo come morte iniziatica, idea che però dopo i primi secoli cristiani sembra essere stata abbandonata: al contrario, dal medio evo in poi i più illustri battisteri innalzano la vasca come un altare o come una "fon­tana di vita". Nè sembra che i precetti del santo abbiano trovato seguito su questo punto.

Battistero di Efeso, sec. IV. Qui è evidente l’assetto sepolcrale caro al Borromeo (a sinistra)
Battistero di Pisa, sec. XII (al centro)
Battistero di Siena, sec. XV (a destra)      
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Al centro del fondo della vasca si innalzerà, fissandola solidamente, una colon­nina di marmo a base triangolare, quadrangolare o esagonale o di altra forma che parrà opportuna, lavorata e ornata bene e decorosamente. Nella parte superiore della colon­nina si collocherà in modo adeguato e decoroso il vaso battesimale, in cui per tutto l'anno si conserva l'acqua. Questo vaso (...) potrà sovrastare la vasca inferiore di circa sedici oncie, calcolando l'altezza  in senso perpendicolare dalla sommità del labbro della vasca inferiore alla sommità del labbro del vaso superiore." (pagg. 93-95)

Questi complicati calcoli hanno lo scopo di garantire al fonte battesimale un aspetto infossato, pur non compromettendone la visibilità.

"Per versare l'acqua sul capo del bambino che si battezza si userà un cucchiaio d'argento (...) L'orlo del cucchiaio, nella parte sinistra, formerà un beccuccio, come un canaletto, dal quale si verserà dolcemente l'acqua sul capo del bambino." ( pag. 95)

Il battistero di rito ambrosiano ha una vasca sola ma le stesse caratteristiche morfologi­che e dimensionali dell'altro. In entrambi i tipi l'acqua va conservata il più possibile pulita co­prendo le rispettive vasche con una "mensa" di legno da aprirsi solo in occasione della ceri­monia. Dopo l'uso l'acqua defluisce in un'apposita cisterna detta "sacrario" e dev'essere tenuta chiusa e lontana dalla vista dei fedeli

In realtà di "sacrari" simili nella chiesa ce ne sono diversi (ne ritroveremo uno tra po­co) perchè l'acqua santa va protetta e custodita anche dopo il suo impiego.

Seguono l'esposizione dell'arredo collaterale del battistero (il contenitore dell'olio santo, che può assumere una forma simile a un tabernacolo, la recinzione con un velario o "cono­peo"...) e di soluzioni alternative, che mantengono però gli elementi essenziali: tra questi vi è sempre l'immagine del Battista o del battesimo di Cristo.   <<<

Cap. XX: Il sacrario

Oltre a quello del battistero, dovrà essere collocato nella cappella maggiore e in sacrestia, ma sempre "lontano dalla vista del popolo". Funge da scarico per l'ac­qua con cui il sacerdote si lava le mani durante la messa, per le ceneri e per altro eventuale materiale residuo delle cerimonie. Potrà avere la forma di una vaschetta coperta o di una cavi­tà a muro, e in ogni caso comunicherà con una cisterna sotterranea.

Perchè "lontano dalla vista del popolo"? L'acqua santa non si può buttar via e va con­servata sinchè i processi naturali di evaporazione e assorbimento non la elimineranno; ma è bene che il popolo non veda questi processi in corso, come se si trattasse di una normale ac­qua reflua.    <<<

Cap. XXI: Le acquasantiere

Collocate possibilmente a destra di chi entra, una per gli uomini e una per le donne [l'autore dà per scontato che i due ingressi siano differenziati], corredate di aspersorio e/o spugna chiusa [per ragioni igieniche?] in una sferetta forata. <<<

Cap. XXII: Amboni e pulpito

[Amboni sono i luoghi balconati da cui si leggono il Vangelo e l'Epistola, dal pulpito il sacerdote dice l'omelia.] Se gli amboni sono due, quello per il Vangelo sarà più alto e posto sul lato sud [= destra di chi entra], che è quello riservato agli uomini; quello per l'Epistola sarà più basso, sul lato nord riservato alle donne. Se è uno solo, sarà sul lato del Vangelo, ma avrà una pedana un po' più alta per quest'ultimo, mentre per l'Epistola ne avrà una più bassa. In entrambi i casi saranno di marmo o almeno rivestiti di tale materiale, con scolpiti temi religiosi. E' consigliabile che abbiano due scale di accesso, una per la salita e una per la discesa.

Il pulpito, tipico delle chiese parrocchiali o di minore sfarzo, può anche essere di legno ben lavorato. In tutti i casi queste strutture dovranno essere collocate in modo tale che chi vi si trova sia visto e udito in ogni parte della chiesa.   <<<

[da sinistra a destra] 1. Ambone cosmatesco, sec. XII (Cava dei Tirreni). 2 Ambone con doppia scala (Kalabaka, Gre­cia). 3 Pulpito con capocielo (Agira, Enna). 4. Ambone moderno, semplice leggio con microfono. L'avvento dell'altoparlante ha messo fuori uso gran parte degli antichi luoghi di lettura e predica­zione. E' rima­sta però la distinzione fra lato dell'Epistola (sinistra per chi entra) e lato del Vangelo (destra)

Cap. XXIII: Il confessionale

Anche nella chiesa più modesta ve ne devono essere al­meno due, per tener distinti gli uomini dalle donne. Se gli officianti sono molti, come nelle cattedrali e nelle collegiate, ve ne sarà uno per ciascuno, sempre distinti fra quelli riservati al­l'uno e all'altro sesso. Dev'essere in legno, chiuso su cinque lati ma aperto sul davanti, con la possibilità però di chiuderlo a chiave con un cancello o un graticcio perchè "quando non c'è il confessore, laici, vagabondi o persone sudicie non vi si possano sedere e dormire oziosamen­te, con irriverenza del ministero che ivi si esercita" ( pag. 124).  Dev'essere diviso vertical­men­te in due ambiti, uno per il sacerdote e uno per il penitente, e dev'essere collocato in modo che il sacerdote si trovi sempre verso l'altar maggiore e il penitente verso la porta. Il tramezzo fra i due ambiti dev'essere aperto da uno sportello che verso il confessore avrà una tendina e verso il penitente una grata piuttosto fitta (con fori "della grandezza di un cece"). Da entrambe le parti vi saranno cartelli pro-memoria per le rispettive funzioni.    <<<

Cap. XXIV: L'assito per dividere la chiesa

Sempre per separare gli uomini dalle donne. Collocato sull'asse principale della chiesa, dalla porta centrale sino all'ingresso della cappella maggiore, sarà alto circa 5 cubiti e avrà sezioni abbassabili in corrispondenza del pulpito o ambone e ove sia necessario seguire una parte della cerimonia che si svolge nel set­tore opposto.

Non ho trovato documenti che dicessero se e in che misura questa disposizione sia stata osservata.    <<<

Cap. XXV: I sedili

La parte riservata alle donne è quella a nord. In essa è concesso l'uso delle "bradelle" [banchi-inginocchiatoio? La descrizione non è chiara] in numero fissato dal ve­scovo e non troppo vicine agli altari. Per gli uomini non sono previsti sedili. Si possono con­cedere solo panche senza schienale da collocare lungo le pareti o longitudinalmente negli in­tercolumnii. Panche e bradelle devono essere comunque facilmente asportabili. [La chiesa non è un salotto!]    <<<

Cap. XXVI: Il campanile e le campane

Il campanile, di dimensioni proporzionate alle dimensioni della chiesa, dev'essere staccato da essa, prossimo al portico o alla facciata e a de­stra di chi entra. Sarà diviso in piani, l'ultimo dei quali, destinato a contenere le campane, avrà aperture più larghe. Se mancano i mezzi, il campanile può anche essere addossato al corpo della chiesa, ma sempre a destra di chi entra [il lato "forte", quello del Vangelo e degli uomi­ni!]. E' anche opportuno che sul campanile sia collocato un orologio che batta le ore e abbia sulla lancetta la figura di una stella.

Le campane saranno in numero da cinque a sette nelle cattedrali, di tre nelle collegiate e da due a tre nelle parrocchiali, "tutte con suono distinto, ben armonizzati tra loro a seconda delle esigenze e del significato dei diversi uffici divini che si celebrano" ( pag. 137). Le cam­pane dovranno recare figure o iscrizioni sacre. Prima dell'installazione, vanno benedette "se­condo l'istituto della Chiesa", e la cerimonia verrà ricordata con un'iscrizione da qualche parte del campanile o della chiesa.    <<<

Cap. XXVII: Sepolcri e cimiteri

"I canoni hanno sancito che i vescovi, i presbiteri e gli altri ecclesiastici siano sepolti nella chiesa.

"Nella cattedrale il luogo della sepoltura dei vescovi potrà essere davanti alle porte o all'ingresso del coro; se però il luogo non è decoroso, se ne sceglierà un altro più conveniente (...) purchè non nel coro nè nella cappella maggiore (...). La sepoltura episcopale si distinguerà dalle altre, anche da quella dei canonici, per il luogo e per qualche insegna adeguata" ( pag. 140)

A destra dei vescovi saranno sepolti i canonici, a sinistra gli altri sacerdoti operanti nella cattedrale. Nelle collegiate vi saranno tre ordini di sepolcri: al centro o prepositi, arcipreti o rettori; ai lati, i canonici da una parte e gli altri sacerdoti dall'altra. Nelle chiese parrocchiali gli ordini di sepoltura saranno soltanto due: quelle dei parroci e quelle dei chierici..

"E' stato decretato che gli altri sepolcri, quelli dei laici, non devono aver posto in chiesa se non per concessione del Vescovo. Se si concederà che essi siano lì posti o co­struiti, non si porranno o costruiranno vicino agli altari (com'è stato proibito dal con­cilio Varense [Francia, sec. VII]) e la bocca del sepolcro disterà dalla loro predella [degli altari] almeno tre cubiti. Non saranno costruiti entro i limiti del coro e della cappella maggiore, e nemmeno entro i cancelli delle cappelle minori, quelli per mezzo dei quali il celebrante è separato dal popolo. Saranno a volta e non sporgeranno in al­cun modo dal pavimento della chiesa, ma saranno ad esso perfettamente pareggiati. Saranno disposti in fila ordinata sull'uno e sull'altro lato della chiesa a destra e a sini­stra, ove ciò sia concesso, in modo che siano in corrispondenza tra di loro." (pag. 142)

Insomma, la gerarchia va mantenuta anche nelle sepolture. Quanto ai laici, zitti e in fila, che non vengano a turbare l'ordine!

Le sepolture devono avere una doppia copertura per evitare esalazioni nocive. Se sono nel pavimento, non ne sporgeranno e non porteranno immagini sacre. Solo su concessione del vescovo vi potranno essere delle scritte.    <<<

"I cimiteri

“I cimiteri, come si può vedere, sono alcuni nel portico o atrio della chiesa, e cioè sulla fronte di essa, altri sul retro, altri sul lato settentrionale, altri sul meridionale, al­cuni tutt'intorno, e non c'è ancor oggi proibizione che vengano istituiti in una singola parte o in tutte. Ma i cimiteri che si trovano sulla fronte o nell'atrio della chiesa, sebbe­ne servano, con la loro vista stessa, a suscitare sentimenti di carità verso i fedeli de­fun­ti, o il ricordo della condizione umana, tuttavia, poichè si trovano sul passaggio alla chiesa e attraverso di essa, assai frequentato, più facilmente diventano luogo di transito per gli animali, per le servitù, per il passeggio, per le adunanze e per altre azio­ni umane indegne di quel sacro luogo (...); pertanto, se possono essere istituiti su di un altro lato, non si conceda che siano ubicati sul davanti della chiesa, negli atrii o nei portici. Li si ubichi piuttosto sul lato settentrionale della chiesa, o sul lato in cui meglio si possa evitare il transito quotidiano (...)

"I cimiteri dovranno essere ampi in rapporto alla chiesa cui sono annessi e al nu­mero degli abitanti del luogo. Di forma potranno essere oblunghi o quadrati, a giudizio dell'architetto e in base alle caratteristiche del terreno. Non devono essere privi di mu­ri, ma circondati da ogni lato. I muri dovranno essere alti da terra circa sette cubiti. (...) I muri saranno al di fuori intonacati di bianco; nei luoghi più insigni sarà decoroso che all'interno i cimiteri siano da ogni lato ornati di portici con pitture e storie sacre. In questi portici potranno disporsi, in fila ordinata e a ugual distanza l'una dall'altra, le se­polture secondo il criterio sopra  esposto. Ove i cimiteri siano privi di portici, i muri dovranno essere ornati almeno da qualche sacra pittura, posta in determinati punti di essi.

Cappelle della Via Crucis delimitano l’ex area cimiteriale di Carpugnino (VB)           <<<

"Al centro dei cimiteri si collocherà una croce di ottone, di marmo o di altra pie­tra, poggiante su una colonna di marmo o pietra o su un pilastro in muratura, e decoro­samente coperta; oppure la si farà in legno, alta. Ove possibile, si costruirà una piccola cappella, volta ad oriente, in cui si recitino le preghiere per i morti (...)   <<<

"L'ossario

"Vi sarà poi all'interno un luogo determinato, circondato da mura e, ove possibile, coperto da tetto a volta, e alla vista di tutti, ["memento mori"!] dove si pongano in or­dine le ossa dei morti via via esumate.  <<<

Colonna crociata e ossario nell’ex cimitero di Carpugnino (VB) <<<

"Le porte del cimitero

"Nella parte anteriore del cimitero possono esservi tre porte (...). Sulla sommità della porta maggiore , posta sulla fronte del cimitero, al di fuori, si porrà l'immagine della croce, recante all'estremità [= alla base?] un cranio. Le porte, da qualunque lato siano, saranno munite e chiuse con solidi battenti, chiavistelli e chiave, e si apriranno solo quando necessario.

"Non ci dovranno essere nei cimiteri viti, alberi, arbusti e cespugli di qualsiasi genere, nè da frutto nè di qualità infruttifera; non dovrà esservi nemmeno fieno o erba che serva da pascolo. Non vi dovranno essere cataste di legna o di travi o mucchi di cemento o di pietre, o in genere alcuna cosa che non si addica alla santità, alla pietà e al decoro del luogo" (pagg. 144-148)   <<<

Certo, il cimitero non è una discarica. Ma lascia sgradevolmente sorpresi che le piante di qualsiasi genere vengano equiparate ai mucchi di pietre come elementi contrari alla santi­tà del luogo. Il cimitero, per il nostro autore, sembra essere una cittadella dei morti da cui e­scludere, con alte mura (sette cubiti, circa tre metri), qualunque essere vivente, compresi, si direbbe, gli stessi parenti dei defunti, visto che l'accesso ad esso è strettamente controllato.

Cap. XXVIII: La sacrestia

Custodia della suppellettile sacra, dev'essere presente in o­gni chiesa, ampia in rapporto al numero dei sacerdoti che vi celebrano. Nella chiese più insi­gni possono esservene due, una per il capitolo e una per i celebranti occasionali. Se vi è spa­zio sufficiente "essa sarà abbastanza distante dalla cappella o dall'altar maggiore da permet­tere che il sacerdote in procinto di celebrare la Messa, insieme ai suoi assistenti, muovano da essa in ordine processionale verso l'altare, com'è antico costume con significato mistico".

Dev'essere preferibilmente orientata a est o a sud, munita di finestre e di pavimento a gattaiolato per impedire il ristagno di umidità e la formazione di muffe. Coperta a volta, o al­meno a lacunari, non deve dare direttamente sulla cappella maggiore (per la ragione appena vista) e deve presentare un doppio ordine di porte per evitare che i "laici" guardino al suo in­terno senza motivo.

Vi sarà un'immagine sacra e possibilmente un altare (o un mobile che lo simuli) presso il quale il sacerdote indossi i paramenti. Vi sarà anche un "oratorio", angolo di preghiera "do­ve il sacerdote in procinto di celebrare la Messa si ritiri e, standovi in raccoglimento, mediti e preghi un po'". Vi sarà una tabella con le orazioni preparatorie alla Messa. Vi sarà un lavabo, possibilmente in pietra, con uno scarico che porti l'acqua lontano dalla sacrestia, e corredato da "un asciugamano bianchissimo".

Vi saranno armadi per i paramenti sacri, per i libri liturgici e per i documenti parrocchia­li, tutti accuratamente puliti e chiusi [si può immaginare la pignoleria dell'arcivescovo su questo punto!]    <<<

Cap. XXIX: Il ripostiglio per custodire i feretri e gli arredi funerari

Dev'essere vi­cino alla sacrestia o al cimitero ma separato da essi perchè destinato a contenere anche oggetti "indecorosi" quali zappe, badili, scale, ramazze ecc.   <<<

Cap. XXX: L'oratorio in cui di quando in quando si deve celebrare la Messa

Ha gli stessi caratteri di una cappella laterale, con un gradino all'ingresso, dove sono i cancelli, e due all'altare. E' orientato come una chiesa, con l'altare opposto all'ingresso e le finestre "poste tanto in alto che chi è fuori non possa guardare all'interno". Può avere cappelle laterali e una cappella maggiore, cui aderisce, possibilmente a sud, una sacrestia, mentre dal lato opposto vi sarà il campanile, o una struttura analoga, con una sola campana.     <<<

Cap. XXXI: Gli oratori in cui non si celebra la Messa

Esempi di oratorio non officiato analoghi a quelli descritti dall’autore: 1. Biandronno (VA); 2. Bottanuco (BG); 3. Calogna (VB); 4. Roatto (AT)<<<

"Gli oratori dove non si celebra la Messa, che sono solitamente costruiti lungo le strade, si edificheranno non nei campi, ma sulla via pubblica, in modo che i viandanti, mossi da sentimenti pii nel vederli, si fermino un po' a pregare.

"Per costruirli si sceglierà un punto della strada un po' elevato e piuttosto lontano dal percorso dei veicoli, così da esser meglio difesi dal fango e dall'acqua sudicia. Sa ranno di forma quadrata, rotonda o altra, quella che paia più opportuna in rapporto alle caratteristiche del luogo, decorosi d'aspetto e ben coperti, perchè le sacre immagini sia­no protette dalla pioggia. Al di fuori saranno intonacati e all'interno ben imbiancati e ornati con un Crocifisso, con l'immagine della Beata Vergine o di qualche santo o san­ta, o ancora con un quadro di soggetto pio appeso alla parete. Non dovranno avere al­tari.

“Ogni oratorio avrà sulla parete anteriore tre finestrelle con solide inferriate, da cui si possa guardare all'interno per pregare stando inginocchiati: due saranno ai lati della porta e la terza sui battenti. Se l'oratorio è piccolo potrà averne una sola, quella sui battenti. Sarà comunque munito di porta e di chiave.

"Gli oratori così stretti da non poter avere nemmeno battenti che si aprano verso l'interno (...) saranno chiusi da cancelli di legno in luogo della porta, mentre il resto dell'edificio sarà come detto sopra. Se sui lati non sono chiusi da pareti, anche su di es­si saranno cinti con cancelli di legno. Non sarà poi inopportuno recingerli tutt'intorno di stanghe per tener lontano cavalli e altri animali. (...)

"Poichè le sacre raffigurazioni che di solito si dipingono sulla parete esterna del­l'oratorio, essendo così esposte, possono sporcarsi di fango o polvere od essere insudi­ciate anche in modo più indecente, non si dipingeranno le pareti esterne se non in alto, dove possono essere protette da ogni danneggiamento" (pagg. 163-165).   <<<

Si sarà notato che la normativa del Borromeo è anche una descrizione delle realtà di cui si occupa. Descrizione che vuol essere idealizzata, ma a volte, in filigrana, ci fa intravede­re realtà molto diverse (cani che scorrazzano in chiesa, vagabondi che dormono nei confes­sionali...). In questo caso la realtà evocata ha qualcosa di romantico, perchè ci fa pensare a quelle cappellette devozionali che ancor oggi si trovano lungo le strade, soprattutto in zone campestri e montane e che  segnano dei punti di quiete, dove la furia edificatoria e moderniz­zatrice così diffusa ai nostri tempi, sembra trovare un limite inviolabile e condiviso, anche dai non credenti.

Col prossimo capitolo entriamo invece in tutt'un altro ordine di realtà, l'universo carce­rario dei monasteri femminili

Cap. XXXII: La chiesa delle monache

"Essa potrà essere costruita ad una sola navata e guarderà a oriente, se l'ubicazio­ne del monastero lo consente. Sarà grande in rapporto al luogo in cui si trova, con tetto a volta o a lacunari e costruita, per quanto riguarda tutto il resto, secondo quanto pre­scritto in precedenza.

"L'altar maggiore

"Non avrà una cappella maggiore, ma una parete trasversale che divida la parte più interna della chiesa da quella esterna, dove celebra il sacerdote. L'altare sarà ad­dossato a questa parete, al centro di essa e risponderà alle prescrizioni già date circa l'altezza, la lunghezza e la larghezza dell'altar maggiore. (...)

"La finestra da aprire sopra l'altar maggiore

"Nella parete trasversale, in vista dell'altare, si aprirà una finestra da cui le mona­che possano vedere e udire la Messa. La finestra sarà larga quanto l'altare e alta circa due cubiti (...) Sarà munita di inferriata duplice, i cui due elementi distino tra loro circa dodici oncie. Le sbarre di ciascuna inferriata saranno fitte, in modo che la loro distanza non superi le tre oncie, e saldamente unite e fissate, in modo da non potersi facilmente svellere o separare. Nella parte interna [quella verso il monastero] la finestra presente­rà delle imposte munite di chiavistello e chiave: esse si apriranno ai lati o si alzeranno con una carrucola e una fune." (pagg. 166-167).

"Si badi bene che la finestra sopra l'altare, munita di inferriata, sia fatta in modo che da essa non si possa vedere la pubblica via, specie se vi si tengono spettacoli o se essa è molto frequentata. Per ottenere ciò si costruirà davanti alla porta della chiesa un piccolo atrio con porta su di un lato e non di faccia alla porta della chiesa; oppure, se ciò non è possibile, l'ingresso della chiesa stessa sarà su un lato, a giudizio dell'archi­tetto, secondo le caratteristiche del luogo" (pag. 174)

L'"atrio" di cui si parla qui è probabilmente una bussola del tipo di quelle in legno che si trovano anche oggi all'ingresso di molte chiese.

La parete trasversale di S. Maurizio a Milano, vista dalla chiesa pubblica. Sopra l'altare si nota l'apertura con inferriata verso la chiesa claustrale. A sinistra, sopra l'angioletto, la finestrella per l'e­sposizione dell'Eucarestia; a destra, sotto il Cristo sanguinante, l'apertura per le comunioni. Poichè questa chiesa è stata costruita ben prima dell'episcopato di S. Carlo, alcuni pensano che proprio essa abbia fatto da modello per le "Instructiones" . Su queste si basa sicuramente S. Paolo Converso. <<<

Altre piccole finestre si apriranno nella parete trasversale: quella, a ruota, per passare verso l'esterno i paramenti sacri, quella per esporre eventuali reliquie, sempre custodita da inferriate, quella per l'olio santo, aperta solo verso l'esterno, e quella per somministrare alle monache la comunione (sei oncie per otto, in fondo a una profonda strombatura), chiusa da un doppio ordine di imposte in ferro e bronzo e accessibile dalla chiesa interna solo grazie a una scaletta di legno rimovibile. Nella chiesa esterna vi sarà anche una sacrestia, ma...

"…si badi bene che non vi sia nè finestra nè ruota nè altra apertura del genere, da cui si possa vedere o udire nel monastero delle monache. Per questo motivo il lavabo, che si costruirà nella parte esterna della sacrestia per lavare le mani, non dovrà avere alcuna conduttura per la quale riceva acqua dall'interno del monastero, scaricandola poi altrove. Al di sopra della sacrestia, poi, non vi sarà alcuna costruzione cui le mona­che possano accedere." (pag. 173)

"L'interno della chiesa [dal lato del monastero]

"L'interno della chiesa sarà ad una sola navata, senza cappelle. Il pavimento sarà tutto allo stesso livello, e non rilevato da gradini in alcuna parte. Esso però sarà di un cubito, o un cubito e mezzo, più basso di quello dove si ubicherà l'altare esterno. Biso­gna soprattutto porre cura che la chiesa interna, propria delle monache, non sia costru­ita vicino a strade pubbliche; se ciò non si può evitare a causa dell'ubicazione del luo­go, non dovranno esservi finestre nella parete volta verso la via, ma si riceverà luce dalla parte attigua al monastero. Sarà il contrario nella chiesa esterna, le cui finestre si apriranno non sul monastero ma sulla pubblica via.

"Il campanile

"Il campanile dev'essere annesso alla chiesa interna delle monache: nè la sua por­ta, nè le finestre, nemmeno una fessura guarderanno verso la chiesa esterna. Sarà alto in rapporto alla chiesa, ma più basso di quanto la struttura e la forma richiedano (...) I fori per le campane saranno stretti, in modo che vi passino solo le funi. La  porticina sarà molto solida, chiusa con due chiavistelli, due serrature, due chiavi differenti (...) (pagg. 174-176).

Di tutto il monastero, la chiesa è il punto più esposto ai pericoli del mondo, per cui ab­bisogna di accorgimenti particolari. Oltre allo sbarramento di ogni possibile punto di comu­nicazione con l'esterno, anche lo sguardo delle monache è ostacolato dal livello del loro pavi­mento, che, essendo più basso di quello della chiesa esterna, rende inaccessibile alla vista non solo la finestra dell'altare, ma anche la feritoia della comunione. Persino il campanile va tenuto basso perchè non serva da vedetta; e dai fori delle corde quali mai strumenti di Satana potranno passare? Ma tutto questo non è che l'inizio. Si veda il capitolo seguente, che è an­che quello conclusivo della parte architettonica delle "Instructiones".   <<<

Cap. XXXIII: Il monastero femminile

"Il luogo per costruire questo monastero sarà scelto secondo gli avvertimenti del canone Agatense [Gallia, sec. VI] e, com'è logico, distante dai monasteri di monaci e regolari, ma anche dalle canoniche e dagli edifici sacri in genere, dalle chiese colle­giate, dalle torri, dalle pubbliche mura, dagli avamposti, dal terrapieno, dalla rocca e da edifici particolarmente alti, dai quali si potrebbe vedere all'interno di esso. Ove pos­sibile, non sarà adiacente ad alcun edificio laico, ma da esso separato da un certo spa­zio. Sarà lontano anche da piazze, mercati, botteghe, vie per le quali transitano con frequenza animali da soma, carri, veicoli ed altro di tal genere, ed anche da luoghi in cui la folla accorra e faccia strepito.

"D'altra parte si curi di non stabilire l'ubicazione del monastero in un luogo na­scosto e molto lontano dal consorzio umano, e nemmeno fuori dalle mura della città, del paese e della località in genere, cosa che il concilio di Trento ha giudicato inadatta al monastero delle monache" (pagg. 177-178)

Segue la descrizione minuziosa di tutti i locali: sala capitolare, refettorio, cucina, forno, dispensa, dormitorio. Quest'ultimo sarà sempre al piano superiore e vi si potrà accedere solo per una scala, o al massimo per due, così da poterlo facilmente chiudere. Potrà essere, secon­do le regole vigenti nei vari Ordini monastici, o in un unico locale o diviso in celle. Nel primo caso avrà finestre sui lati brevi e sarà comunque diviso in cubicoli da stuoie o tende. Nell'altro caso, le celle avranno circa sette cubiti di lato, una finestrella, una porta apribile anche dall'e­sterno e conterranno un solo letto. Si potranno anche fare celle più grandi, ma allora "dovran­no contenere almeno tre letti o più, a giudizio dei superiori, ma mai, per nessun motivo, due" (pag. 198). [L'autore non dice la motivazione di questo precetto, ma è un silenzio eloquente]. In ogni caso non vi saranno camini. Per l'inverno però è prevista la presenza di una stanza ri­scaldata ("ipocausto"). Non mancano laboratori, farmacia, orto e le strutture per le novizie, con scuola e alloggi separati. Per l'igiene vi sono latrine, lavatoi e un luogo apposito per lava­re i capelli.

Naturalmente non vi devono essere finestre che guardino all'esterno del convento; se proprio è necessario bisognerà apporvi la solita pesante transenna con fori distanti almeno un'oncia. "Non si aprirà però per nessun motivo una finestra, per quanto piccola possa essere, nè nelle parti inferiori nè in quelle superiori del monastero, che dia sulla pubblica strada" (pag. 199)

"I parlatori o celle per i colloqui

"Il parlatorio, sia esterno che interno, dovrà essere costruito in luogo non remoto e nascosto, ma visibile a tutti, e vicino alla porta dell'auditorio del monastero. Le fine­stre del parlatorio interno [la parte cioè dove stanno le monache] riceveranno luce dal­l'interno del monastero; quelle del parlatorio esterno [quello dove stanno i visitatori] dalla parte rivolta verso l'esterno. Si porrà inoltre cura a che non vi sia nella parete tra l'uno e l'altro parlatorio alcuna finestra, eccetto quelle appositamente fatte per i collo­qui.

"Le finestre per i colloqui

Francesco Guardi: Il parlatorio delle mona­che. Venezia, Ca' Rezzonico.
Siamo oramai nel '700 e forse S. Carlo non avrebbe gradito questo parlatorio-salotto con amplissime finestre, dove si danno convegno intere famiglie e per intrattenere i più piccoli c'è addirittura il teatro dei burattini.     <<<

"La finestra per i colloqui sarà munita di doppia inferriata, con uno spazio di cir­ca dodici oncie tra l'uno e l'altro elemento [come nella finestra del divisorio della chie­sa]. L'inferriata avrà sbarre fitte, solidamente fissate, distanti l'una dall'altra non più di tre oncie. Si appresterà inoltre una lamina di ferro, poco più larga della finestra da ogni parte, che, fissata alla parete dalla parte interna, cioè quella del monastero, e saldata con bitume, aderisca dall'interno all'inferriata. Essa recherà numerosi fori della gran­dezza di un cece, distanti l'uno dall'altro circa tre oncie. Al centro avrà una finestrina quadrata della misura di sedici oncie, chiusa con serratura, sbarra e chiave. Dalla parte interna la finestra sarà poi ricoperta di tela nera, fissata a un telaio apribile.

"Nei monasteri in cui vige la regola che dalla finestra del parlatorio non si possa­no in alcun modo vedere le monache, essa avrà un'inferriata semplice. Sarà coperta di lamina di ferro senza finestrella e il telaio non sarà apribile.

“Dove, a causa del numero delle monache, vi è necessità di due, tre o più finestre, sarà bene costruirle in un unico luogo o cella, se è comodo, nel modo prescritto, ma facendo sì che esse, poste in fila ordinata, distino l'una dall'altra almeno cinque cubiti. Si potranno anche separare per mezzo di divisori, purchè in essi vi sia una finestra o u­n'apertura da cui ogni monaca che ha in corso un colloquio possa essere vista dalle al­tre che parlano alle altre finestre. (...)   <<<

"Le porte

Ve ne saranno due, una per le persone e una per le merci. La prima avrà battenti solidi, sbarre e chiavistelli con due chiavi diverse. Vi si aprirà uno spioncino e un portoncino più pic­colo, non meno accuratamente chiusi.

"La posizione di questa porta deve essere tale che, quando essa venga aperta, le monache dall'interno non possano vedere la pubblica via, ma anzi la vista sia impedita da un atrio frapposto. Oppure la porta sarà aperta su un lato e da essa non si guarderà direttamente all'interno, ma su una parete vicina al vestibolo (...) Vicino alla porta si costruirà una piccola cella dove le monache portinaie facciano i loro lavori e siano pronte a rispondere a coloro che bussano. Si porrà lì presso anche una ruota, che dia nella cella delle portinaie o in un luogo vicino." (pagg. 187-178)

Anche la porta carraia sarà solida e ben munita di chiavistelli. Al suo interno poi vi sarà una transenna per garantire un ulteriore isolamento durante le operazioni di scarico delle merci.

"Le ruote [= sportelli girevoli per passare oggetti]

La "ruota" era spesso destinata al ricevimento di infanti rifiutati.     <<<

La ruota posta in chiesa o presso la porta o in altro luogo prescritto sarà o di bronzo o di legno, in tal caso rivestito diligentemente con lamine dette "de tola" [= di latta?]. Sarà alta un cubito e otto oncie, larga un cubito, ma all'imboccatura non dovrà essere più larga di sedici on­cie. Sarà tutta ben commessa e compatta, in modo che da nessuna parte vi sia una fessura, anche piccola, da cui si possa guardare fuori. All'interno, dalla parte del monaste­ro, avrà un uncino o una piccola sbarra ben fissata per la chiusura; non potrà esser gi­rata dall'esterno, a meno che non sia sbloccata dalle monache che sono all'interno. Dal­la parte interna sarà chiusa con solidi battenti, sbarra, serratura e chiave.

L'infermeria. Separata dagli altri ambienti, riproduce in miniatura il convento, con cucina, refettorio, lavatoio, latrine ecc. ecc. suoi propri. A differenza del convento, le celle sono munite di camino.

L'educandato delle fanciulle. Anche questa, quando esiste, è una struttura separata e indipendente rispetto al convento.    <<<

"Gli orti o il giardino delle monache

"Gli orti delle monache, a causa dei molti pericoli di violare la clausura, non do­vranno essere vasti. Quando infatti, per la loro ampiezza, non possono facilmente esse­re cinti di mura, accade che si possa avere accesso o vista di parti del monastero. Per­tanto essi misureranno da ogni parte cento cubiti o poco più. Saranno cinti su ogni lato da muri spessi un cubito e otto oncie, alti da terra non meno di sedici cubiti. (...)

"Non si pianteranno all'interno, vicino ai muri, talee o altre piante, o viti, o alberi di qualsiasi genere, e nemmeno all'esterno, se non alla distanza di almeno sei cubiti. Non si pianteranno alberi troppo grandi in fondo agli orti, ma arbusti piuttosto bassi e radi. Non vi si faranno cataste di legna o covoni di paglia o fieno. Non vi si costruirà nessuna capanna, nemmeno piccolissima. (...)

"Se attraverso gli orti scorre acqua per mezzo di una fossa o di canali, si baderà che tale acquedotto sia coperto molto solidamente con pietra o cemento per la lunghez­za di sei cubiti circa dalla bocca da cui entra l'acqua, calcolando lo spazio esterno ed interno. La bocca per cui entra l'acqua all'inizio della copertura di pietra o cemento, e l'altra bocca alla fine della copertura stessa, da cui l'acqua esce, saranno munite di can­celli di ferro da entrambe le parti. Lo stesso si farà in fondo al giardino, dove l'acqua esce. L'acquedotto stesso si potrà fare senza cancelli se lo si coprirà tutto per l'estensio­ne intera del fondo per cui l'acqua fluisce. Se è necessario fare qualche deviazione, o per irrigare gli orti o per la lavanderia, si potranno deviare dove si vuole dei ruscelletti attraverso piccoli fori e poi ancora ricondurli all'acquedotto." (pagg. 203-205)

Vita dura insomma per suor Gertrude: nemmeno un Egidio acrobata o sommozzatore potrebbe attentare alla sua vocazione. Ma se proprio il diavolo riuscisse a insinuarsi nell'ani­ma delle monache, sono pronti altri rimedi.

"Il carcere e il luogo di ritiro

"I monasteri dovranno avere, come un tempo, un solido carcere in cui chiudere, a seconda della gravità delle colpa, quelle suore che, sottraendosi alla disciplina, abbiano agito male. Il carcere sarà ben lontano dalla strada pubblica e dagli edifici vicini, anzi, sarà ubicato all'interno del piano superiore del monastero, discosto dai luoghi frequen­tati dalle monache. Ben munito, solidamente costruito, con una buona volta, avrà una finestrella di un cubito con robuste inferriate, alta dal pavimento, da cui entri poca lu­ce; e avrà una porticina munita di battenti doppi: in quelli interni si aprirà una fine­strella piccolissima. La porta sarà chiusa con doppia serratura e doppie sbarre. Esso a­vrà anche dei ceppi, come è stato raccomandato nelle antiche regole, e delle manette di ferro per legare le monache imprigionate se ce n'è bisogno. Nel carcere non vi sarà il camino, e nessun foro se non la latrina, dotata di sottili tubature.

"Non lontano dal carcere vi sarà il luogo di ritiro, più libero e più comodo della prigione. Qui le monache, separate dalle altre, faranno qualche volta una salutare peni­tenza per colpe più lievi" (pagg. 205-206)

Il confessionale. Ha la stessa struttura del parlatorio, ma è ubicato e costruito in modo tale che la voce della suora penitente possa essere udita solo dal confessore [è l'unico luogo del convento che garantisce una perfetta "privacy"].

L'alloggio del confessore. Da utilizzarsi solo quando il sacerdote debba pernottare pres­so il convento per somministrare i sacramenti a una suora gravemente malata. Due locali indi­pendenti e riscaldati ma completamente separati dal convento e ed estremamente angusti e spartani: "In tal modo vi saranno minori, o nessuna, comodità e occasione di rimanervi, se non per causa di necessità" (pag. 209).

L'alloggio esterno dei servi e dei coloni di passaggio. Anch'esso separato e da usarsi solo per necessità. "Non sarebbe sconsigliabile che esso fosse un po' distante dall'edificio del monastero, in modo almeno da non toccarlo con il tetto" [La separazione dei tetti sottolinea, anche simbolicamente, la separazione delle comunità] .

La residenza delle converse [= religiose che seguono la regola ma non hanno fatto pie­na professione, pertanto non sono legate alla clausura]. Dev'essere contemporaneamente a­perta e chiusa verso il resto del monastero. Chiusa come il resto del monastero verso l'esterno, sarà anche indipendente da questo, e verso di esso avrà una porta che potrà venire aperta o chiusa, secondo le occasioni, solo dalle monache professe. Presso questa porta ci sarà uno spioncino attraverso il quale la superiora potrà controllare i movimenti delle converse.  <<<

 

"Accorgimenti generali per il monastero femminile

Le mura, a parte quelle dell'orto di cui si è già detto, non dovranno essere alte meno di 24 cubiti. Non vi saranno camini prominenti verso l'esterno. Gli spazi interni dovranno essere abbastanza ampi da poter accogliere più suore di quelle che vi risiedono in un dato momento

"Ma la più grande precauzione si ponga a che in nessun parlatorio esterno, in nes­suna residenza del confessore o dei coloni e servi di passaggio, in nessuna parete ester­na del monastero, in nessun edificio costruito esternamente, vi sia un luogo elevato cui le monache possano accedere; e nemmeno nelle parti alte vi sia un luogo più alto che dia accesso ad altri, per nessun motivo.

"Bisognerà inoltre badare che tutti gli ingressi, i vestiboli, gli angiporti e luoghi del genere che vi siano nel monastero non siano oscuri o in penombra, ma piuttosto il­luminati e ben visibili. Infine, in tutti gli angoli, gli ingressi, le scale, le zone terminali in genere, vi sarà qualche sacra immagine, piamente rappresentata" (pagg. 211-213)

Si conclude qui la parte architettonico-strutturale delle "Instructiones", senza che ci vengano date norme sui monasteri maschili.    <<<

 

LIBRO II: La suppellettile

Parte I

Vengono minuziosamente elencati tutti gli arredi e i capi d'abbigliamento litur­gico per le quattro categorie di chiese: cattedrale, collegiata, parrocchiale, comune. Ogni cor­redo deve tener conto del grado di solennità della cerimonia, della dignità del celebrante e del­la chiesa e dell'occasione liturgica: in base a queste ultime ogni paramento  dovrà essere in cinque colori: bianco, rosso, viola, ver­de, nero. Occorreranno poi capi di ricambio per ragioni igieniche e per prevenire l'usura.

Parte II: Forma della suppellettile

Ogni oggetto è descritto, anche qui, con estrema minuzia, con indicazioni su materiali, misure ecc. Diamo solo qualche esempio.   <<<

"Il calice

"Il calice sarà di oro puro o, se non è possibile per mo­tivi economici, di argento puro dorato sia all'interno che al­l'esterno. Il piede potrà essere d'ottone dorato, se non può essere d'oro o d'argento per la povertà della chiesa. Esso sa­rà largo, in rapporto al resto, in modo che il calice rimanga ben saldo dove lo si posa e non possa cadere; sarà di forma [= sezione] esagonale o altra del genere.

"Sulla superficie del piede vi saranno decorazioni, non tuttavia tali da impacciare le mani, che portino il significato di qualche sacro mistero di Passione. Non vi saranno in al­cun modo figurazioni con fini meramente estetici. Il nodo nel mezzo, decorosa­mente ornato, non presenterà alcuna sporgenza che renda scomoda la presa o che rischi di ferire le dita, soprattutto nel momento in cui, durante la Messa, il calice è sorretto dal pol­lice e dall'indice uniti del celebrante [*]. La coppa, abbastan­za stretta al fondo, dovrà allargarsi gradualmente sino al lab­bro superiore. Quest'ultimo non dovrà piegarsi nè in dentro nè in fuori.

[*] L'autore si riferisce a una pia usanza secondo cui  il sacerdote, dopo aver toccato il corpo di Cristo all'Elevazione, doveva tenere uniti il pollice e l'indice per non toccare altre cose fino alla Comunione; in quella fase quindi egli reggeva il calice con le altre dita.

"Il calice più grande e più prezioso, di oro puro e ornato di immagini sacre cesel­late, che si usa nelle Messe solenni, avrà una circonferenza di almeno diciotto oncie; sarà alto in tutto quattordici oncie, e sarà più grande nella cattedrale, nella collegiata e nella parrocchiale insigne. Il calice più piccolo, che si usa nella Messa non solenne, a­vrà la circonferenza di quattordici oncie e sarà alto dodici." (pagg. 141-142)       <<<

Tipico calice con "nodo" a metà del piede     <<<

"La patena [= piatto per contenere l'ostia consacrata]

"La patena dovrà essere, come il calice, d'oro o d'argento; se è d'argento dovrà essere completamente dorata; non sarà lavorata nè sarà incisa nemmeno da un cerchio tracciato col compasso, se non in modo assolutamente superficiale. Il labbro esterno sarà circolare e molto sottile, in modo da permettere di raccogliere facilmente anche i frammenti dell'ostia santa. Avrà al centro una leggera concavità che si adatti all'orlo superiore del calice" (pag. 143).  

Materiali preziosi, dunque, per tutti gli oggetti che vengono a contatto col corpo di Cri­sto. Per gli altri, dipende anche dai mezzi della chiesa e dall'occasione liturgica.  <<<

“Il rivestimento del seggio episcopale

“Il seggio episcopale, posto per antica tradizione in un luogo elevato e cospicuo, dovrà essere rivestito in modo degno a seconda delle solennità. Pertanto, il suo rivestimento sarà di raso di seta, liscio, non intessuto d’argento e d’oro. I suoi gradini saranno rivestiti con tappeti o panni di lana” (pag. 152)     <<<

“L’abaco

“L’abaco (cioè la tavola su cui si dispongono i grandi vasi d’oro e d’argento, di fattura insigne, necessari agli uffici divini, ed alcuni paramenti come la mitra ed altri) sarà lungo cinque cubiti o poco più (…) Sarà sorretto da due o tre treppiedi di quercia o di noce per corroborarne la solidità. La tovaglia dell’abaco, di lino prezioso o di bisso, elegantemente confezionata, sarà ampia, in modo da giungere, sul davanti e sui lati, sino a terra (…). I vasi esposti sui gradini ad ornamento dell’abaco avranno forma di ampolla (…), saranno alti un cubito o poco più; quelli al centro saranno alquanto più alti. Saranno d’oro e d’argento, cesellati a soggetti non profani ma religiosi” (pp. 154-155).          <<<

Gli oggetti sacri vanno dunque esibiti con quel fasto che ne sottolinei la funzione nel quadro del rito salvifico.

“I candelieri per l'altare

Possibilmente in oro o argento, o almeno in ottone o legno dora­to. Meglio se a sezione triangolare, piamente decorati e disposti simmetricamente, tre a destra e tre a sinistra col Crocifisso in mezzo.

In questo modo l'altare riceve quell'imposta­zio­ne che ancor oggi è tipica delle chiese tradizio­nali. La si veda per esempio in S. Maria della Pas­sione: cinque gradini, pallio in questo caso sosti­tui­to con un pannello intarsiato al cui centro s'in­trave­de un reliquiario ovale; i sei candelabri che inqua­drano il Crocifisso, poco visi­bile sopra lo sportello del ta­bernacolo; grande ciborio a tem­pietto che si apre in due ante rivestite con altri pic­coli reliquiari e culmi­na con la statua del Cristo ri­sorto; il tutto in marmi e pietre preziose.     <<<

La trattazione si conclude con una serie di di­rettive sulla pulizia sistematica dei locali e degli ar­redi ecclesiastici.

Anche in questo caso dobbiamo osservare che i criteri d'igiene e decoro applicati dal Borro­meo alla chiesa sono molto più rigorosi di quelli vigenti all'epoca nelle abitazioni private, anche ricche, e probabilmente negli stessi ospedali. <<<  

 

 

 

San Carlo in preghiera circondato dalle immagini delle molte istituzioni religiose da lui fondate     <<<

 

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Ultima modifica: mercoledì 23 giugno 2010

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