“L’elettricità
è come l’aria, ti accorgi che c’è solo quando ti manca”.
In
questa saggia massima di un tecnico dell’ENEL, ascoltata dopo il recente
black-out elettrico della fine di settembre 2003, è implicita una domanda: “ma
come facevano i nostri bisnonni a vivere senza elettricità?” od in termini
equivalenti, “quando si è cominciato a vivere facendo conto sull’elettricità?”.
A questa domanda cercheremo di dare qualche risposta per il “caso Milano”, che
rappresenta ad ogni buon conto un ottimo punto di vista per come i fatti si
svolsero in Italia e nel mondo.
I
primi contatti che i milanesi ebbero con i fenomeni elettrici furono
probabilmente riservati ai pochi privilegiati che nei salotti buoni della
Milano del ‘700 furono partecipi di una delle mode di quel tempo, quella di
impressionare dame e cicisbei con qualcuno di quegli strani effetti
dell’elettricità statica (scosse, scintille, capelli drizzati, ecc.), che
scienziati professionisti o dilettanti andavano indagando, e un po’ alla volta
comprendendo. Verso la fine del ‘700 ci fu poi modo di appassionarsi ai
dibattiti fra Galvani e Volta sulla natura dei fenomeni elettrici, e qualcuno
avrà assistito di persona alle dimostrazioni della pila di Volta, un’invenzione
fondamentale per innescare, nella prima metà dell’800, gli utilizzi pratici
delle correnti elettriche "deboli" nel campo della telegrafia e di
altre applicazioni[1], che cominciarono sicuramente a coinvolgere un maggior numero di
cittadini.
Nella
prima metà dell’800 si andarono consolidando le conoscenze scientifiche che
permisero di comprendere a fondo l’elettricità, e tecnici ed ingegneri se ne
andarono un po’ alla volta appropriando, creando congegni e macchine per il
loro utilizzo.
Per
assistere ad un primo significativo esempio di utilizzo a Milano di correnti
elettriche “di potenza”, bisogna arrivare al 1877, quando, la sera del 18 marzo, fu fatta la prima
dimostrazione di illuminazione pubblica elettrica con una potente lampada ad
arco posta in cima ad una torre appositamente eretta in piazza del Duomo. Questo episodio non ebbe seguito fino al giugno del 1881, quando in
occasione della grande Esposizione Nazionale allestita nell’area dei Giardini
Pubblici, la Galleria Vittorio Emanuele venne illuminata con 25 lampade ad arco
della Siemens, per una potenza complessiva di 20.000 candele. A quanto sembra
la dimostrazione non fu però pienamente convincente perché il flusso luminoso
non era costante ed ogni otto ore bisognava sostituire i carboncini delle
lampade ad arco.
Un
utilizzo dell'elettricità per l'illuminazione pubblica sembrava ancora lontano,
ma gli eventi stavano maturando rapidamente. In Occidente si era negli anni di
quella che gli storici hanno definito la "seconda rivoluzione
industriale", e l'Italia del nord si apprestava ad entrare nella sua
prima, consistente fase di industrializzazione. Le informazioni circolavano
veloci a livello mondiale, e grazie all'opera di figure lungimiranti quali
l'ingegner Giuseppe Colombo del Politecnico, Milano
sarebbe presto diventata una della prime città europee dotata di illuminazione
pubblica elettrica.
L'ing.
Colombo aveva avuto modo di conoscere alla Mostra Internazionale
dell'Elettricità di Parigi nella primavera del 1881, il sistema elettrico
Edison, e di apprezzarne la validità tecnica; con la competenza ed anche il
buon fiuto imprenditoriale che lo caratterizzavano, egli aveva subito iniziato
dei contatti commerciali con la Compagnie
Continental Edison di Parigi, che curava gli interessi di Edison in Europa,
giungendo ad un accordo per acquistare a buon prezzo i macchinari che la Edison
aveva portato a Parigi per l’Esposizione.
Nell'autunno
del 1881, proprio ad opera di
Colombo, si costituì a Milano, con l'appoggio di grossi istituti di credito, il
“Comitato promotore per le
applicazioni dell'energia elettrica in Italia”. Il Comitato, con l’aiuto
di A.G. Acheson, uno dei collaboratori di Edison distaccato in Francia,
promosse nel 1882 alcune iniziative dimostrative usando le macchine acquistate
a Parigi (la dinamo usata in quell’occasione è ancora conservata nell’atrio del
palazzo della Edison Spa, in Foro Bonaparte).
Per il Carnevale del
1882 fu illuminato il ridotto della Scala e, nel novembre dello stesso anno, i
portici e i negozi del palazzo settentrionale di piazza del Duomo in occasione
della loro inaugurazione. Fu un grande successo, ed in quei giorni il "Corriere
della Sera" scrisse: "Dell'illuminazione non esageriamo
punto dicendo che ha veramente meravigliato. Coloro che si propongono di
applicare l'illuminazione elettrica su grande scala nella nostra città hanno
vinto iersera una grande battaglia."
Così fu rapidamente
decisa la costruzione di una centrale elettrica, utilizzando il sistema Edison. Il progetto della Centrale
fu approvato da Edison stesso in occasione del viaggio che Colombo fece a New
York per studiare da vicino l'organizzazione della costruzione ed il progetto
della Centrale Elettrica di Pearl Street (fu la prima al mondo), che Edison
stava là realizzando. Ritornando dall'America egli portò con sé un altro dei
migliori assistenti di Edison, J.W. Lieb, che fu il direttore responsabile dei
lavori di costruzione della centrale milanese di Santa Radegonda che concettualmente
era assai simile a quella di New York.
Superata
rapidamente la fase del "Comitato", nella gestione della centrale
subentrò la “Società Generale di
Elettricità sistema Edison”, costituita nel gennaio 1884 con apporti di
capitale dai più bei nomi della Milano industriale e finanziaria, società con
la quale sarebbero stati da allora fortemente intrecciati i destini
dell'elettricità a Milano e in Italia.
Peraltro,
i risultati dei primi esercizi della "Edison" furono tutt'altro che
brillanti e solo dopo il 1885, quando il Comune affidò alla Società, in via
sperimentale, l'illuminazione pubblica della piazza del Duomo, dei portici
settentrionali, della Galleria e di piazza della Scala, gli affari cominciarono
a migliorare.
Questi primi esperimenti
di illuminazione stradale vennero effettuati con lampade ad arco Siemens; altre
lampade ad arco del tipo Thomson-Houston furono installate nel 1886 per
illuminare corso Vittorio Emanuele, via Manzoni ed altre vie centrali.
Intanto
la Union des Gaz aveva intrapreso un'aspra azione
giudiziaria nei confronti del Comune, nel tentativo di salvaguardare la sua
posizione di monopolio nel campo dell'illuminazione pubblica. Questa vertenza
si risolse nel 1887, e nell'agosto di quell'anno poté così essere stipulata una
prima convenzione quinquennale fra il Comune e la Edison per l'illuminazione
elettrica della città (che sarebbe poi stata rinnovata per altri dieci anni).
In
vista dell'incremento del servizio di illuminazione stradale la Edison
intraprese la costruzione di un nuovo impianto termoelettrico, in via G.B.Vico,
vicino al Carcere di S.Vittore: l'ubicazione decentrata di questa centrale, che
sarebbe entrata in servizio nel giugno 1889 con una potenza di 240 kW, era resa
possibile dall'adozione del sistema Thomson-Houston che usava sempre corrente
continua, ma che consentiva un raggio utile di distribuzione della corrente
superiore a quello del sistema Edison.
Verso
la fine degli anni ‘80 la rapida evoluzione dell'elettrotecnica (che in quegli
anni svolse il ruolo di avanguardia della tecnologia, un po’ come oggi accade
per i computer o per la tecnologia aerospaziale) cominciava a far intravedere
la possibilità del trasporto a grande distanza dell'energia elettrica ; inoltre l'esperienza di gestione delle prime centrali termoelettriche
mostrava la forte incidenza del costo del carbone sui costi di esercizio e
spingeva, soprattutto in un paese povero di combustibili come l'Italia, a
considerare l'utilizzo di risorse idriche per la produzione di energia
elettrica[2].
Per questi motivi, prendendo spunto da un forte aumento del prezzo del carbone
verificatosi nel 1889, la Edison aveva presentato una domanda di concessione di
una derivazione d'acqua sull'Adda, alle rapide di Paderno (che fu concessa nel
1890), ed aveva iniziato il progetto di una centrale idroelettrica, che non fu
però realizzata fino al 1896 a causa della crisi che coinvolse la società nella
generale recessione della economia italiana.
Passato
il periodo di crisi, risanata la Edison anche grazie ad iniziative molto
indovinate e redditizie, come l'accordo con il Comune del 1893 per
l'elettrificazione delle linee tranviarie, e grazie
anche al nuovo corso manageriale espresso dall'entrata nel consiglio di amministrazione
dell'ing. Carlo Esterle, la Centrale di
Paderno fu realizzata, ed entrò in servizio nel 1898[3];
essa era a quel tempo la più grande d'Europa e metteva a disposizione della
città di Milano la potenza di 9.500 kW, non solo per illuminare, ma anche per
far marciare tram ed industrie.
La convenzione
tranviaria prevedeva che qualora la Edison avesse provveduto all'esercizio con
un impianto posto fuori dal territorio comunale avrebbe dovuto realizzare un
altro impianto di riserva, capace di fornire tutta l'energia necessaria alla
continuità del servizio.
Nel 1896 iniziarono così i lavori per la costruzione
di una grande centrale termoelettrica situata a Porta Volta, su un'area
che era appartenuta alla SAO (Società Anonima degli Omnibus); l'impianto,
dotato ancora di macchine a vapore alternative, entrò in servizio nell'aprile
1897 con una potenza iniziale di 2.500 kW. A differenza di quello di santa
Radegonda, l’edificio di questa Centrale esiste ancora (purtroppo molto
deturpato dai graffiti) ed è visibile in fondo alla via Bramante in
un’area di proprietà dell’ ENEL, tuttora occupata da impianti di distribuzione
dell’elettricità.
Con
l'entrata in servizio dell'impianto di Paderno (che è tuttora in funzione con
il nome di Centrale Bertini) l'elettricità cessava di essere un bene scarso e
prezioso, destinato quasi esclusivamente ad impieghi molto pregiati come
l'illuminazione, per trovare il suo principale campo di applicazione nella
forza motrice[4]. L'Edison
dovette preoccuparsi di collocare sul mercato una ingente quantità di energia
elettrica, circa otto volte quella in precedenza disponibile; a questo scopo
iniziò la costruzione di una nuova rete di distribuzione trifase, estesa a
tutta la città, la cui lunghezza raggiunse nel 1900 i 180 km, dei quali 80 ad
alta tensione. D'altra parte la superiorità dell'energia elettrica
portava un po' alla volta ad una espansione "naturale" della domanda,
sia per la progressiva elettrificazione delle attività produttive, sia per
l'espansione delle stesse; la domanda era cioè pronta ad assorbire quanto
l'offerta metteva a disposizione.
La
Edison dovette perciò presto iniziare anche a valutare la convenienza di
sfruttare altre risorse idriche, in proprio od in collaborazione con altri;
nacque così la collaborazione con la “Società
Conti e C.”, fondata nel novembre 1901, che doveva costruire un impianto
sul fiume Brembo, e con la società “Trezzo
d'Adda”, di cui era azionista l'industriale tessile Benigno Crespi, che
avrebbe costruito un altro storico impianto sull'Adda, a Trezzo appunto
(Centrale Taccani, tuttora funzionante).
Nonostante quanto si è
appena detto, comunque, la politica tariffaria della Edison, che anche dopo la
costruzione della centrale idroelettrica di Paderno aveva mantenuto le tariffe
precedenti (1 lira al kWh, quando nella maggior parte delle altre città
italiane era attorno a 0,6 lire al kWh), contribuiva a frenare un più vasto
impiego dell'energia elettrica.
Cominciò
perciò a maturare negli ambienti politici democratico-socialisti ed in quelli
liberali più legati ai gruppi tessili, grandi consumatori di energia, l'idea di
una alternativa alla Edison. Grazie anche al movimento di opinione che aveva
portato alla legge del 1903 sulla municipalizzazione dei servizi pubblici
(similmente a quanto successo in Inghilterra e in Germania), proprio alla fine
di quell'anno venne deliberato di non rinnovare il contratto di fornitura di
energia per la illuminazione pubblica alla Edison e di costruire una centrale
termoelettrica comunale per la produzione dell'energia necessaria non solo ai
servizi pubblici (illuminazione stradale, sollevamento acqua potabile,
illuminazione edifici comunali), ma anche per la distribuzione di elettricità
ai privati. La decisione fu assai travagliata: comportò gravi spaccature
all'interno della maggioranza del Consiglio Comunale ed una crisi
amministrativa, ma sicuramente provocò gli effetti sperati. Infatti ancor prima
che l'impianto fosse completato l'Edison decise di abbassare le tariffe per fronteggiarne
la concorrenza; nell'arco di due anni, dal 1904 al 1906, il prezzo dell'energia
elettrica venduta dalla Edison scese fino a 0,65 lire al kWh, allineandosi ai
valori medi italiani.
La
Centrale Comunale di piazza Trento, costruita alla periferia sud della città, entrò in servizio nel
giugno del 1905 con la potenza di 2.400 kW (gradualmente portati fino a 12.500
kW nel 1909); era dotata non più di motori alternativi, ma delle moderne
turbine a vapore[5] realizzate
dalla Franco Tosi di Legnano e di alternatori Oerlikon, e le sue caldaie erano
alimentate dal carbone che arrivava nel vicino scalo ferroviario di Porta
Romana.
Le
potenze di cui aveva ormai bisogno Milano (che era in periodo di forte
espansione) non si potevano però più generare in città, ed il Comune riuscì a
fare concorrenza alla Edison solo quando trovò il modo di sfruttare, come
l'Edison stessa aveva fatto, l'energia idraulica. Fu merito di Giuseppe Ponzio, docente del Politecnico e nuovo assessore ai lavori pubblici nell’amministrazione
retta da Ettore Ponti, l'acquisizione nel 1906 delle concessioni per un
cospicuo complesso di forze idrauliche localizzate in Valtellina che avrebbero
consentito di trasmettere a Milano una potenza stimata di quasi 30.000 kW[6].
Il
primo impianto idroelettrico comunale, quello di Grosotto, fu costruito speditamente fra il 1907 e il 1910, su
progetto dell'ing. Giacinto Motta del Politecnico. L'impianto
raccoglieva le acque dell'alto corso dell'Adda con un canale derivatore di 12
km ed inviava a Milano l'energia prodotta, con un elettrodotto trifase a 65.000
Volt, lungo ben 150 km[7].
Grazie
all'azione calmieratrice prodotta da questo impianto, il costo dell'energia
elettrica a Milano scese ancora, raggiungendo le 0,4 lire/kWh nel 1910[8].
Intanto un referendum popolare, tenutosi nel dicembre 1910, sanciva la
costituzione della “Azienda Elettrica Municipale”, alla quale furono conferiti
tutti gli impianti elettrici comunali e fu affidato il servizio di
illuminazione pubblica.
La
domanda di energia elettrica andò crescendo a Milano, nel secondo decennio del
'900, a ritmi sostenuti. Questa crescita non si arrestò neanche con la Grande
Guerra perché al calo del consumo di energia per l'illuminazione (dovuto
all'oscuramento notturno) fece da contrappeso l'aumento dei consumi industriali
per le produzioni belliche. Inoltre il passaggio alla gestione municipale delle
tranvie avvenne proprio nel periodo della guerra ed in base agli accordi l'AEM
dovette farsi carico della fornitura della necessaria energia elettrica: a
questo scopo fu rapidamente costruito fra il 1916 ed il 1917 (nonostante si
trovasse in zona di guerra) l'impianto della Boscaccia Nuova, della potenza di
2.000 kW. A questo fece seguito l'impianto del Roasco[9], che sfruttava le acque raccolta dalla diga del Fusino, in val Grosina.
L'immissione in rete nel 1922 dei quasi 15.000 kW forniti da questo impianto
contribuì a risolvere la carenza di energia che nei primi anni '20 aveva
portato a frequenti black-out ed a gravi disagi, nonostante le restrizioni ai
consumi "voluttuari" (vetrine, insegne luminose, riscaldamento
elettrico, ecc.) imposte agli utenti dalle ordinanze municipali. Il continuo
aumento dei consumi, avrebbe poi indotto l'AEM ad iniziare nel 1921 la costruzione della prima diga di Cancano (in val Fraele,
sopra Bormio, terminata nel 1928) in modo da creare un vasto bacino di accumulo
stagionale che consentisse di sopperire alle magre invernali dell'Adda e di
garantire la regolarità del servizio.
Ritornando
di qualche anno indietro, osserviamo innanzi tutto che già verso il 1910 poteva
a grandi linee considerarsi conclusa, per l'industria elettrica italiana, la
fase che aveva portato nei circa 25 anni precedenti alla costituzione delle
principali società ed alla determinazione delle zone di influenza delle singole
imprese[10].
L'elettricità era intanto diventata una risorsa energetica determinante per lo
sviluppo industriale, tant'è vero che secondo una statistica del 1911 il 42%
delle macchine delle industrie trasformatrici funzionava ormai elettricamente.
Anche la tecnologia elettrica, dopo l'estremo fermento degli ultimi vent'anni
dell'ottocento, si era come più assestata, potendo ormai contare su macchine e
sistemi notevolmente perfezionati: turbine idrauliche ad alto rendimento adatte
ad ogni genere di salto e di portata, turbine a vapore di taglia sempre
crescente, alternatori, trasformatori e linee di trasmissione sempre più
potenti ed affidabili, dighe e bacini sempre più imponenti[11].
La Edison si diede da fare per consolidare le posizioni raggiunte,
approfittando della costante e vigorosa crescita della domanda, procedendo alla
realizzazioni di altri impianti idroelettrici (da tempo progettati) che
richiedevano forti investimenti, ma che una volta costruiti garantivano un
basso costo di esercizio. Venne così accelerata la costruzione della Centrale di Robbiate d’Adda il
cui scopo era quello di produrre nuova energia e di migliorare l'utilizzo della
centrale di Paderno. A questo scopo fu costruita a sbarramento dell'Adda una
diga a paratoie metalliche, poco a monte del ponte in ferro di Paderno, dalla
quale si dipartiva un canale derivatore lungo circa 4,6 km, in buona parte in
galleria, che portava l'acqua alle sei turbine Francis ad asse orizzontale della
potenza complessiva di circa 30.000 kW. La Centrale entrò in servizio verso la
fine del 1914; parte dell'energia da essa prodotta andò ad alimentare la
ferrovia Milano-Lecco nell'ambito di un apposito contratto di fornitura
stipulato con le Ferrovie dello Stato. Qualche anno più tardi con la
costruzione della centrale di Calusco d’Adda, entrata in servizio nel 1920,
venne anche sfruttato il modesto salto creato dalla diga sull'Adda di Robbiate,
per produrre altri 3.600 kW. Anche queste due storiche centrali sono tuttora in
funzione e ben visibili recandosi sull’Adda. La prima, dotata di un edificio di
notevole pregio architettonico, ha preso il nome di Centrale Esterle, in
memoria di uno dei primi amministratori della società Edison; la seconda si
chiama ora Centrale Semenza. Un bell’esempio di solidità e di continuità
industriale!
In
effetti la Edison, che ne è tuttora proprietaria, era già diventata negli anni
’20 uno dei più solidi e potenti gruppi industriali italiani (diventando nel
1931 anche il gestore della rete del gas di Milano). Il
bel palazzo di Foro Bonaparte 31, nel quale essa si insediò nel 1923, e dove
c’è tuttora la sede centrale, può esserne considerato un po’ il simbolo (questo
palazzo era stato originariamente costruito nel 1892 dall’architetto Enrico
Combi, sul sito delle ex-scuderie di Palazzo Litta, per la società Strade
Ferrate del Mediterraneo).
Nonostante la sua
potenza industriale, che gradualmente si estese su una buona fetta dell’Italia
settentrionale, la Edison non fu mai l’unico attore sulla scena elettrica
milanese, dove si mosse presto, come si è visto, anche la AEM, che comunque,
per statuti, rimase sempre esclusivamente legata ai bisogni della città.
Alla fine degli anni ’20 alla guida dell’AEM arrivò il professor
ingegner Albino Pasini. Egli aveva amicizie ed appoggi nel Regime, ma anche
un'ottima competenza imprenditoriale ed era sorretto da un genuino entusiasmo
per l'Azienda Elettrica, che sotto la sua guida ottenne dei positivi risultati,
concludendo anche, nel dicembre del 1929, un importante accordo di mercato con
la Edison ed altre importanti società elettriche.
Per adeguare le linee di trasporto alla capacità degli impianti in
Valtellina nel periodo 1928-1932 l’AEM provvide alla costruzione di due linee a
130.000 Volt (in sostituzione delle vecchie quattro linee a 60.000 Volt
costruite nel 1910) con le quali fu in grado di trasportare a Milano una
potenza di 120.000 kW. Nel 1932, poi fu aggiunta una terza linea sempre a
130.000 Volt, portando la lunghezza complessiva degli elettrodotti a 500 km
circa.
Continuando nella espansione degli impianti di produzione e di
distribuzione, a Grosotto fu costruita, ed entrò in attività nel 1932, una nuova
stazione all'aperto per la trasformazione dell'energia a 130.000 Volt, mentre a
Milano sorse la Ricevitrice Nord (in via Ponte Nuovo, tra Crescenzago e Gorla),
con un imponente edificio che spicca ed è tuttora ben riconoscibile nel
frammentario tessuto periferico urbano. Si estese la rete di
distribuzione, aumentarono le utenze: i cavi posati raggiunsero quasi il
migliaio di chilometri, alla fine dei 1930, gli utenti AEM divennero circa 158
mila, l'energia immessa in rete in vent'anni fu pressoché decuplicata,
raggiungendo i 272 milioni di kWh.
Nel 1934 si procedette a trasformare tutte le vecchie linee di trasporto
da 60.000 a 130.000 Volt, in città entrò in servizio la nuova stazione
Ricevitrice Sud, in V.le Ortles, anch’essa caratterizzata da un imponente
edificio in cui si riconosce facilmente l’Era in cui fu costruito.
A Limito fu inoltre costruita una cabina di smistamento collegata alle
due ricevitrici. Si moltiplicarono le stazioni di conversione e di
trasformazione: sorsero in viale Elvezia, in piazza Po, in piazza Trento, in
via Caracciolo, oltre che presso le ricevitrici Nord e Sud, e presso le
stazioni di via Gadio e di via Benedetto Marcello (tuttora ben riconoscibili
nel tessuto urbano). Si lavorava intanto alla costruzione dell'impianto
idroelettrico di Stazzona, che consentiva un ulteriore sfruttamento delle acque
dell’Adda a valle di Tirano. Con la sua entrata in servizio nel 1938, in
complesso la potenza delle centrali idroelettriche della Valtellina arrivò a
circa 170.000 kW.
Milano continuava a svilupparsi; nascevano nuovi quartieri, c’era lavoro,
le strade erano percorse dalla prima utilitaria, la "Topolino.
L’elettricità era un bene che certo non si sprecava, nelle case di allora, dove
cominciava ad apparire qualche modesto elettrodomestico, ma le case cittadine
ne erano ormai tutte dotate. Nelle ricorrenze speciali la piazza del Duomo e le
strade adiacenti, così come il corso Vittorio Emanuele, erano illuminate in modo
sfolgorante, prelevando energia da due cabine ai fianchi del Duomo, nate
proprio per provvedere a questa illuminazione straordinaria. Purtroppo
l’aumento dei consumi d’energia, come la commissione amministratrice spiegava
al podestà, aveva una causa che indicava l’avvicinarsi della tragedia della
guerra:
"...Lo stato d’emergenza creatosi in Europa nel 1939 ha determinato vaste
ripercussioni sull'andamento delle industrie in generale e segnatamente nelle
industrie manifatturiere. Come immediata conseguenza, nella industria elettrica
italiana si è verificata dovunque una maggiore richiesta d’energia per
l'intensificazione delle lavorazioni belliche, che nella nostra Azienda si è
concretata in un aumento d’erogazione per forza motrice pari al 12,06 per cento
sul 1938, mentre le utilizzazioni per luce hanno segnato un normale incremento
di circa il 2,79 per cento..."
L'AEM per fare fronte alle nuove e alle future necessità, studiò la
realizzazione di un altro grande serbatoio in val di Fraele, a monte di quello
di Cancano, a circa duemila metri di quota. Iniziarono quindi i lavori per il
serbatoio di San Giacomo della capacità di 64 milioni di metri cubi d'acqua e
per la grande diga di sbarramento, con altezza massima di quasi cento metri con
un coronamento lungo circa un chilometro. La costruzione di questa enorme diga
pose una serie di difficoltà, a cui il “genio italico” non mancò di trovare
soluzioni autarchiche. Per esempio per il trasporto del cemento, che arrivava
dalle cementerie in speciali vagoni fino a Tirano, ultima stazione ferroviaria
della valle, fu costruita dalla AEM una linea filoviaria lunga ben 62
chilometri che arrivava fino alle pendici dello Stelvio, da dove con due
teleferiche, il cemento raggiungeva i cantieri.
Ma si poté lavorare solo un anno prima che l'Italia fosse travolta dalla
tempesta della guerra. Gli spaventosi bombardamenti del '43-'44 colpirono a
morte anche l'illuminazione cittadina. La sede dell'AEM fu devastata, duramente
colpite furono varie sottostazioni cittadine. I lavori nelle centrali idroelettriche in costruzione, che erano
continuati, dopo l’Armistizio vennero interrotti irrimediabilmente e non
furono ripresi se non dopo la fine della Guerra.
Al ritorno della pace la città di Milano poté comunque contare
sull’energia fornita da un patrimonio d’impianti in Valtellina rimasti
sostanzialmente intatti e da quelli che furono abbastanza rapidamente
completati (la diga di San Giacomo fu inaugurata nel 1950). Fu grazie
anche a loro se in capo a pochi anni il mondo poté parlare di “miracolo
italiano”.
Terminiamo qui la storia dei primi cinquant’anni di elettricità a Milano,
un periodo sufficiente a comprendere come essa sia potuta entrare nella nostra
vita di ogni giorno, e diventare indispensabile come l’aria.
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Approfondimenti:
Ai primordi dell'energia elettrica
Produzione e distribuzione dell'energia elettrica
La Centrale elettrica di via Santa Radegonda
La storia della Azienda Elettrica Municipale di Milano