La Centrale elettrica di via Santa Radegonda
di
Gian Luca Lapini
La prima centrale elettrica
non solo italiana, ma dell’Europa Continentale[1],
fu di tipo termoelettrico e sorse in una piccola area compresa fra le vie Santa
Radegonda ed Agnello, vicinissimo al fianco sinistro del Duomo. Per la sua
costruzione furono acquistati i locali del teatro di Santa Radegonda[2],
che era ormai in disuso da qualche anno. Nel corso del 1882-83, il teatro fu demolito ed al suo posto fu eretto l’edificio della Centrale, che
accoglieva al primo piano le caldaie a carbone ed al piano terra le macchine
alternative a vapore e le dinamo. Fu inoltre costruita una ciminiera di
mattoni (alta 52 metri), che si vede
chiaramente svettare di fianco al Duomo nelle fotografie di fine ‘800; evidentemente i nostri trisnonni avevano meno preoccupazione di noi
sulla “qualità dell’aria” o più semplicemente facevano quel che potevano!
La potenza elettrica delle quattro dinamo installate
(circa 350 kW complessivi, quanto bastava per accendere 4800 lampade ad
incandescenza da 16 candele, alimentate a 100-110V) era modesta per i nostri
standard, ma cospicua per il suo tempo[3].
In effetti uno dei motivi di successo del sistema Edison fu la notevole potenza
delle sue dinamo, che erano state soprannominate proprio per questo
“Jumbo”, come il famoso elefante del circo Barnum. L'energia elettrica
prodotta era in corrente continua e veniva distribuita tramite conduttori
interrati[4] in una piccola area compresa fra piazza
del Duomo, piazza della Scala, e la Galleria. Gli utenti della
Centrale furono i negozi dei portici settentrionali di pza Duomo, i locali
eleganti che si affacciavano sulla Galleria, il Teatro Manzoni[5]
ed il Teatro della Scala[6],
gli unici probabilmente disposti a pagare[7]
quasi il doppio delle tariffe di una equivalente illuminazione a gas; va detto
comunque che la società del gas aveva abbassato notevolmente le sue tariffe in
vigore quell’anno nella zona centro, proprio per battere la concorrenza
dell'energia elettrica.
La vita del primo impianto di
via Santa Radegonda fu piuttosto breve; in effetti il sistema
Edison era nel suo complesso ben progettato[8],
ma aveva dei forti limiti per quanto riguardava la distanza utile di
trasmissione della corrente. Già due anni più tardi, quando la società Edison
ebbe dal Comune il primo incarico di illuminazione stradale, i macchinari furono
potenziati con l'installazione di 8 dinamo del tipo Thomson-Houston
esclusivamente dedicate all'alimentazione di lampade ad arco stradali.
Nel 1898 nell’adiacente officina di via Agnello venne
installato un gruppo di “convertitori rotanti” per trasformare in corrente
continua la corrente alternata proveniente dalla nuova Centrale Idroelettrica di Paderno; nei locali di
Santa Radegonda venne inoltre installata una batteria di accumulatori che
doveva servire ad evitare accensioni troppo frequenti della Centrale
Termoelettrica di Porta Volta e ad alimentare, insieme ai convertitori, sia la
rete tranviaria che la esistente rete in corrente continua che serviva il
centro cittadino.
Gli impianti di via Santa
Radegonda furono demoliti nel 1926, ed al loro posto sorse il cinema Odeon. Il
frettoloso passante milanese che percorra questa via, potrà con un po’ di
attenzione individuare la lapide commemorativa posta, nel centenario della
costruzione, a ricordo della Centrale.
[1] Alcuni testi sostengono che
si trattò della prima centrale elettrica ad entrare in servizio in Europa; ad
onor del vero è più esatto dire che fu
la prima dell’Europa Continentale, perché la primissima centrale europea fu
quella del Holborn Viaduct, entrata in servizio a Londra circa un anno prima,
nell’aprile del 1882. Si trattava di un impianto che utilizzava la stessa
tecnologia Edison, e quindi molto simile a quelli di New York e Milano, anche
se di potenza inferiore, e non dotato
di una vera e propria rete di distribuzione, in quanto destinato ad illuminare
il solo viadotto da cui prendeva il nome.
[2] Questo teatro era stato
inaugurato nel 1819 e ristrutturato nel 1851. Esso era sorto su un’area
occupata fino al 1781 da un convento di monache benedettine, che era stato
demolito per aprire la nuova via S.Radegonda, voluta dal Piermarini per
facilitare l’accesso, da Palazzo Reale, alla Scala. Nel teatro si svolgevano,
fra l’altro, anche spettacoli di burattini.
[3] Nel progetto originale
della Centrale le macchine dovevano essere tre, ma furono portate a quattro
appena iniziato l’impianto. La centrale iniziò quindi a funzionare nel giugno
1883 con quattro dinamo, ma il loro
numero fu portato a sei già nella seconda metà del 1883, quando la Società ebbe l’incarico di illuminare
la Scala. Le dinamo ruotavano alla velocità di 350 giri al minuto, azionate da
due diversi tipi di macchine a vapore, a loro volta alimentate da cinque
caldaie a tubi inclinati tipo Babcock & Wilcox.
[4] A differenza della rete
realizzata dalla Edison a New York, che usava il sistema “a tre fili”, nel
quale le dinamo venivano collegate a
coppie mettendo in comune un filo centrale (si risparmiava così un
filo), quella milanese utilizzava un sistema a due fili. I conduttori
principali sotterranei, o feeders, erano costituiti da una coppia di sbarre
semicircolari di rame, inserite in tubi di ferro, riempiti di una miscela di
isolante. Questi tubi venivano congiunti fra di loro mediante scatole di
giunzione, riempite anch’esse della stessa miscela isolante.
[5] Il teatro Manzoni non era quello che attualmente porta questo nome, ma
si trovava in piazza S. Fedele, sul lato opposto a quello della chiesa.
[6]
Nell'estate 1883 la giunta municipale di Milano (nella quale l'ing. Giuseppe
Colombo era consigliere) accolse con procedura d'urgenza, per motivi di
sicurezza, l'offerta del Comitato di illuminare elettricamente la Scala.
All'inaugurazione della stagione lirica, il giorno di Santo Stefano dello
stesso anno, tutto il teatro era illuminato con 2880 lampade.
[7] Per i grossi utenti la
tariffazione avveniva a forfait, ed essi potevano mantenere la luce accesa
giorno e notte. La Centrale alimentava comunque anche qualche appartamento
privato ed in questo caso l’utente pagava a consumo; non c’erano ancora i
contatori elettromagnetici ed il consumo veniva misurato tramite un sistema
elettrolitico sulla base della perdita di peso di un elettrodo di zinco.
[8] Molto semplice, ma
ingegnoso, era il sistema di regolazione delle macchine elettriche. La corrente
di alimentazione degli elettromagneti delle dinamo era modulata a seconda dei
bisogni tramite regolatori azionati a mano,
coi quali si variava la resistenza del circuito di derivazione. Un apparecchio
automatico avvertiva gli operatori, tramite un campanello e due lampade di
diverso colore, se il voltaggio era superiore od inferiore a quello previsto,
in modo che la potenza prodotta venisse adeguata al numero di lampade
contemporaneamente accese.
Ultima
modifica: venerdì 30 gennaio 2004
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