Il Sestiere di Porta Romana
Bottonuto, vicolo delle
Quaglie e Cantoncello
di Maria Grazia Tolfo
L’intenso ricambio di
popolazione verificatosi a Milano dal dopoguerra ha fatto sì che si perdesse in
breve tempo la memoria di questo storico luogo, il Bottonuto, che riassumeva in
sé un condensato di storia e leggenda.
Il Bottonuto era una pusterla
aperta nelle mura romane, con i vicoli delle Quaglie e del Cantoncello rimasti
a segnare l’andamento delle mura. Prendeva il nome dall’opera idraulica di
convogliamento delle acque del Seveso – butin-ucum – , un’opera talmente
importante da venire ricordata per secoli come aumatium. (vedi pagina)
Dal Bottonuto si usciva di
città per andare al lago e all’arena, dal IV secolo in poi con la costruzione
della via trionfale lungo il corso di Porta Romana, prevalse l’aspetto militare
e religioso. Secondo Alessandro Colombo la pusterla del Bottonuto e la strada
che vi confluiva (asse Tre Alberghi (scomparsa)-Speronari-Spadari-Armorari)
acquisirono una connotazione militare e divennero la Quintana, ossia la via e
la porta da cui di solito usciva l’esercito, mentre nel nostro caso entrava per
la cerimonia del trionfo nella basilica del foro.
La Pusterla entrò nel XIV
secolo fra i possessi dei Visconti e Bernabò la utilizzò come camminamento che
metteva in collegamento il suo palazzo di S. Giovanni in Conca con la Rocca che
sussisteva dove un tempo era l’anfiteatro gallo-romano.
Grazie alla forma del suo
slargo, sul quale confluivano numerose vie e vicoli, il Bottonuto ebbe un ruolo
centrale nell’accogliere crocette e altaroli durante le pestilenze del Cinque e
Seicento. Nel 1606 si elevò la crocetta del Bottonuto o di S. Glicerio,
dedicata al vescovo milanese attivo tra il 436 e il 438. La crocetta venne
solennemente benedetta l’11 giugno 1607 dal cardinale Federico Borromeo. L’obelisco
di granito rosso di Baveno poggiava su quattro palle di ottone e aveva alla
sommità una croce, che doveva ricordare la Passione di Cristo. Ad essa si
rivolgevano gli occhi di quanti, consigliati dalla prudenza a non uscire per
strada, potevano pregare stando alle finestre delle proprie abitazioni. Mutati
i tempi e svanite le emergenze, nel XVIII secolo presso la crocetta si teneva
il mercato del vino. Nel 1872 l’obelisco, privato della croce, venne trasferito
all’ingresso dei Giardini Pubblici dalla parte di corso di Porta Venezia.
Nello slargo del Bottonuto si
trovava pure un tabernacolo dell’Adorazione dei Magi, in origine affrescato,
poi riportato su tela nel 1723 da Jacopo Paravicini e conservato dentro
un’ancona lignea.
Da immagini di pia devozione
dobbiamo passare bruscamente alle descrizioni che, più o meno strumentalmente,
ci tramandano gli scrittori del Novecento.
“Bisogna turarsi il naso. E’
un ambiente di case malfamate. Vi si vende di tutto. E’ una fogna, una
pozzanghera. In certi momenti il vicolo delle Quaglie e un pisciatoio. Sovente
c’è una ressa di soldati che lascia intendere che vi siano nascoste moltitudini
di vergini. Le finestre sono sporche, diffuse su muri più sporchi di loro (…)
Il sudiciume traspira dalle muraglie. Tutto è abominevole. La gente che vi vive
è fradicia come le vecchie abitazioni del luogo. La demolizione sarebbe un
salvagente. E’ una zona pestilenziale. Tutti fanno pancia, direttamente o
indirettamente sulla prostituzione”. (Paolo Valera, Milano sconosciuta
rinnovata, 1922, pp. 113-117.)
E con queste considerazioni
si optò per la demolizione dello storico luogo, mascherando i progressivi
intenti speculativi con la voglia di moralizzazione e pulizia. Il risanamento
del Bottonuto risultò infatti funzionale all’immissione sul mercato fondiario
di un’area centrale altrimenti declassata e, nel contempo, rispose all’esigenza
di concentrare in un’unica area le operazioni finanziarie e commerciali.
Com’è diverso il tono della
descrizione un trentennio dopo lo sventramento:
“(…) con tanti eloquenti
spiragli aperti sulle sue facciate grige e insegne di trattorie alla buona,
affumicate rivendite di cibi cotti, pesci fritti e polenta calda, rumorose
cantine rinomate per la eccezionale densità dei loro prodotti, targhe di latta
arrugginite, panchine per l’attesa dei facchini pubblici, edicole di giornali,
vespasiano (dopo il 1865), strani scorsi di malfamata destinazione che oggi
nessuno riesce più ad immaginare e che pochi – anche quando se ne cominciò la
demolizione – indugiarono a rimpiangere”. (A. Cassi Ramelli, Il centro di
Milano dal Duomo alla cerchia dei Navigli, Milano 1971, p. 42.)
Facciamo allora qualche nome
di presenze del Bottonuto.
Al n. 3 (4977) era l’antica
osteria delle Due Pernici, con sopra il casino detto “el Peocett”, frequentato
dall’anarchico Bresci come alibi per l’assassinio di Umberto I. Divenne “el
Serrali”.
Il Cantoncello era la parte
chiusa verso S. Clemente. Era noto anche come “stretta degli Ebrei”.
Al n. 4 (4823) c’era
l’albergo Ambrosiano, ma il dato più interessante è che sussisteva sull’aumatium,
come si vide quando si dovettero costruire nel 1897 cinque archi di scarico
sull’alveo del Seveso.
Al n. 5 (4976) c’era
l’Albergo del Cantoncello, di proprietà del signor Marcionni, che voleva farne
un locale alla parigina ma fallì e dovette adeguarsi alle usanze più proletarie
del luogo. (Gutierrez, Dalle guglie al più antico S. Giovanni, 1936, p.
29.)
Altri locali nello slargo
prima della demolizione: el Tramway, la Ringhera nel vicolo delle Quaglie, la
Cà de la Mariuccia Barbisa Ciocattona, l’Albergo Rodi, il Cafè di’ Contratt.
Ultima modifica: martedì 5 dicembre 2006
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