L'Accademia di Belle Arti di Brera e la formazione della Pinacoteca
L'Istituto Lombardo Accademia di Scienze e Lettere
di Paolo Colussi

1. Nascita dell'Accademia
Verso
la metà del Settecento il gusto sta cambiando in Europa. Lo stile barocco,
diventato poi barocchetto o rococò, con il suo eccesso di volute capricciose e
asimmetriche ha ormai stancato. Un diffuso clima di nuova austerità si sta
diffondendo e trova negli Illuministi dei geniali portavoce, ascoltati con
entusiasmo dalle nuove generazioni. E' da questo sentimento diffuso, che
raggiungerà il suo apogeo con la Rivoluzione francese, che nasce il nuovo stile
neoclassico, in principio in forme più semplici e lineari che si richiamano al
Rinascimento, poi in forme più maestose e imponenti che rinviano a Roma e
all'antica Grecia.
La
storia del neoclassico a Milano inizia a Parma, dove nel 1752 viene aperta
l'Accademia di Belle Arti sotto la direzione del francese Petitot, propugnatore
del ritorno alle forme classiche. In questa scuola si formano molti dei futuri
insegnanti di Brera.
Milano
a quest'epoca però è ancora in pieno barocchetto. La nuova generazione in grado
di apprezzare il nuovo stile esplode negli anni '60 e trova il suo epicentro
nel famoso gruppo del "Caffè". Anche la corte di Vienna, piena di debiti dopo
quarant'anni di guerre, apprezza questo modo austero di decorare palazzi e
arredi. Quando l'arciduca Ferdinando, il figlio diciassettenne di Maria Teresa,
deve sposare Maria Beatrice d'Este e stabilirsi a Milano, si decide di
rinnovare l'aspetto della città e la sua stessa residenza secondo il nuovo
stile. Dopo la fugace apparizione del Vanvitelli, tocca all'architetto
Piermarini questo compito che prende il via con i lavori di ristrutturazione
dell'antica Corte Ducale viscontea per renderla adeguata ai suoi nuovi augusti
inquilini. Gli artisti chiamati per questo lavoro prevengono da Parma e
aderiscono in modo più o meno deciso al nuovo gusto. Sono lo scultore Giuseppe
Franchi, il pittore Giuliano Traballesi, il decoratore Giocondo Albertolli. Da questa collaborazione durante i lavori
nel Palazzo Reale, nata in modo abbastanza occasionale, nascerà il nucleo
fondatore della nuova Accademia.
L'idea
di creare a Milano una scuola capace di diffondere il nuovo stile, migliorando
la situazione artistica e artigianale della città, è di questi stessi anni e
rientra nel vasto piano del Kaunitz orientato a sviluppare l'economia della
Lombardia austriaca. Lo scioglimento della Compagnia di Gesù (1773) e la
chiusura del Collegio offre l'occasione per la fondazione della nuova scuola.
Sarà sempre il Piermarini ad occuparsi di tutto, dai lavori di sistemazione del
palazzo di Brera all'organizzazione della scuola. Nel palazzo ancora
incompleto, va quindi a stabilirsi il nuovo gruppo di insegnanti-collaboratori
del Piermarini e il 22 gennaio 1776 viene solennemente inaugurata la nuova
Accademia di Belle Arti. Il primo presidente è Alberico Barbiano di Belgioioso,
figlio di quell'Antonio che stava impiegando il Piermarini e il suo gruppo nei
grandiosi lavori del suo palazzo in piazza Belgioioso. Segretario
dell'Accademia è l'abate Albuzio che occupava la carica provvisoriamente in
attesa di trovare un segretario che fosse non solo un conoscitore d'arte, ma
anche un esperto esecutore. Due anni dopo, quando arriva a Milano il bolognese
Carlo Bianconi, l'organico dell'Accademia si può dire completo.
La segreteria di Carlo Bianconi (1778-1801)
Quando
arriva a Milano, Carlo Bianconi ha 46 anni. Membro di una famiglia agiata e
conosciuta in Europa grazie alla fama acquistata da alcuni suoi membri, il
Bianconi aveva già alle spalle una carriera di studioso e di artefice di gusto
neoclassico. Dopo aver lavorato a Bologna (paliotto dell'altare della cappella
di San Domenico) si era trasferito a Roma, centro del nuovo indirizzo
culturale. Giunto a Milano, inizia a studiare la città, i suoi monumenti e il
suo patrimonio artistico dando alle stampe nel 1783 la "Nuova Guida di Milano per gli Amanti delle
Belle Arti e delle Sacre, e Profane Antichità milanesi", che avrà
presto una nuova edizione ampliata e numerose ristampe successive. Negli stessi
anni, approfittando anche del caos provocato dalle soppressioni giuseppine,
acquista moltissimi disegni artistici e architettonici. Alla sua morte lascerà
agli eredi più di 20.000 pezzi tra disegni e incisioni, la gran parte dei quali
andrà dispersa in collezioni private. Si salvano per la città solo i 400
disegni della cosiddetta "Raccolta Bianconi" conservati alla
Biblioteca Trivulziana.
Questa
grande raccolta viene creata dal Bianconi come strumento per la politica
educativa dell'Accademia. Era infatti contrario alla raccolta di quadri come
modelli per pittori e decoratori. I pochi quadri che allora vengono depositati
a Brera in seguito alle soppressioni di chiese e conventi, vengono perciò
chiusi in magazzino o venduti (ad esempio, la Vergine delle Rocce di Leonardo viene prima offerta a Giuseppe II e
poi venduta ad una antiquario inglese). Anche la raccolta di Gessi ad uso dei
pittori e degli scultori resta molto modesta nei vent'anni di gestione Bianconi
dell'Accademia. Del resto gli orientamenti della corte di Vienna, e dello
stesso Piermarini, non erano tanto rivolti a innalzare il livello artistico
della città quanto a migliorare il gusto soprattutto attraverso l'insegnamento
dell'Ornato, cattedra tenuta egregiamente da Giocondo Albertolli. La classe di
Ornato sarà infatti subito la più frequentata dell'Accademia e quella che darà
i frutti migliori nel campo delle arti minori. Si pensi ad esempio allo
sviluppo della bottega dei Maggiolini che avvierà in Lombardia la grande
industria del mobile, tuttora fiorente.
Un
altro motivo che sconsiglia il Bianconi dal riunire opere d'arte a Brera è la
carenza di spazio. Va ricordato che in quest'epoca c'è ancora il ginnasio, ci
sono le Scuole Palatine, la Società Patriottica, la Biblioteca e
l'Osservatorio. Un terzo del cortile d'onore, verso la piazzetta di Brera, è
inoltre ancora in costruzione. All'Accademia restano perciò i locali dell'ex
Collegio al piano terreno e alcuni locali verso via Borgonuovo per gli scultori
e le abitazioni dei professori. Tra questi c'è il Parini, entrato a Brera come
insegnante delle Scuole Palatine e passato poi all'Accademia per preparare gli
allievi alla conoscenza delle storie mitologiche e delle allegorie ancora molto
di moda. Dal 1791 il Parini sarà anche nominato Sovrintendente del Palazzo di
Brera, un titolo onorifico dovuto alla fama del poeta.
L'ultimo
decennio del secolo, tormentato dall'arrivo dei Francesi e poi dal breve
ritorno degli austro-russi, lascia abbastanza indisturbata l'Accademia di Belle
Arti. All'inizio degli anni '90, come conseguenza del programma di
germanizzazione dell'impero avviato da Giuseppe II, arrivano a Brera
l'architetto viennese Leopoldo Pollack e il pittore Martino Knoller come
insegnante di Colorito (II cattedra di pittura). Si cerca, all'inizio con poca
fortuna, di creare la cattedra di incisione, presente normalmente nelle altre
Accademie.
La segreteria di Giuseppe Bossi (1801-1807)
Al
rientro a Milano di Napoleone dopo il breve periodo austro-russo, nel giugno
del 1800, la situazione è molto cambiata. Anzitutto il gusto neoclassico, come
si accennava all'inizio, è ormai orientato verso l'antica Grecia con la
tendenza ad un progressivo aumento dell'enfasi retorica fino al culmine
rappresentato dallo Stile Impero. Partito il Piermarini, l'architettura a
Milano è nelle mani del Cagnola (Arco delle Pace) e del Canonica (Arena), per
la scultura ci si riferisce a Canova (statua di Napoleone) e per la pittura
all'Appiani (Fasti di Napoleone nella Sala delle Cariatidi). Nessuno di loro
insegna a Brera, dove troviamo ancora il Franchi e il Traballesi, artisti ormai
antiquati rispetto alle nuove tendenze. La cattedra di architettura è occupata
da Giacomo Albertolli (fratello di Giocondo) aiutato da Carlo Amati, che
resterà poi indiscusso maestro fino alla metà del secolo.
La
vera novità di questa prima fase dell'epoca napoleonica è rappresentata
dall'arrivo di un giovane quasi sconosciuto a Milano: Giuseppe Bossi. Nato a
Busto Arsizio nel 1777, dai 15 ai 18 anni aveva studiato pittura a Brera, poi
era andato a Roma dove aveva frequentato Antonio Canova conquistandosi la sua
stima e amicizia. Nel 1801 ritorna a Milano e ottiene grandi riconoscimenti con
il grande quadro (purtroppo distrutto nel 1943) intitolato "Riconoscenza
della Cisalpina a Napoleone". La sicura fede napoleonica, l'amicizia di
Canova, il carattere intraprendente del giovane convincono le autorità a
nominarlo nuovo segretario dell'Accademia al posto del Bianconi, ormai anziano
e considerato di tendenze antifrancesi. Giuseppe Bossi accetta il posto e
divide il proprio stipendio con l'ex segretario per i pochi mesi nei quali
questo è ancora in vita (il Bianconi muore il 15 agosto 1802).
Grazie
al Bossi, l'Accademia vive questi anni come un periodo di grande fervore di
iniziative. Alla fine del 1801 Bossi va ai Comizi di Lione dove viene elaborata
la struttura della nuova Repubblica Italiana, preludio al prossimo Regno
d'Italia. Da Lione va a Parigi dove si procura numerosi gessi per l'Accademia
oltre a libri e incisioni per la futura biblioteca (fino ad allora c'era
soltanto la biblioteca personale del Bianconi). Durante questo soggiorno il
Bossi acquista anche per sé il Cristo
morto del Mantegna, che i suoi eredi lasceranno alla Pinacoteca nel 1824.
Tornato da Parigi può quindi creare la Biblioteca dell'Accademia (i rapporti
con la Biblioteca Nazionale non sono mai stati buoni!) e iniziare la lunga
guerra per la salvaguardia del patrimonio artistico che, con alterne vicende,
viene ancora oggi combattuta dalla Soprintendenza di Brera. Una delle prima
battaglie del Bossi è quella per l'acquisto dello Sposalizio di Raffaello che
si troverà in quegli anni (1804-6) sulla via del mercato antiquario. Un'altra
battaglia (perduta) riguarda la demolizione dell'arco romano di Castelvecchio a
Verona.
L'anno
1803 segna la seconda nascita dell'Accademia. L'1 settembre vengono approvati
gli Statuti che assegnano il governo dell'istituto a un Corpo Accademico di 30
membri tra docenti e artisti esterni di chiara fama. Questo consiglio si
riunisce una volta al mese eleggendo di volta in volta il proprio presidente
(ci sono dunque ancora residui di democrazia diretta di stampo giacobino);
l'unica carica costante è quella del segretario. Le materie di insegnamento
vengono ampliate in un programma più ampio di formazione. Sono previste scuole
di architettura, pittura, scultura, prospettiva, ornato, elementi di figura,
incisione e anatomia. Elementi di figura, prospettiva e anatomia sono aggiunte per
fornire una più completa preparazione di base a tutti gli allievi. Gli
insegnanti sono ancora gli stessi del 1776. Si è aggiunto Domenico Aspari per
insegnare Elementi di figura. Rinnovata nello Statuto e nelle materie,
comunque, l'Accademia viene riaperta ufficialmente il 25 ottobre come
"Accademia Nazionale".
Oltre
all'insegnamento, gli statuti prevedevano per l'Accademia un'altra importante
attività, mirante a sprovincializzare la scuola e a farla conoscere in tutta
Europa: i Premi. Erano previsti premi di prima classe destinati agli artisti
europei che inviavano un loro elaborato rispondente ai quesiti elaborati dalla
commissione. Premi di seconda classe per gli allievi delle Accademie. Tra il
1803 e il 1806 fervono i preparativi per il bando e la successiva esposizione
dei premi. Oltre alle opere presentate dai concorrenti si pensa di allestire
alcune sale con capolavori di pittura provenienti dalle chiese e dai conventi
soppressi in questi anni. Si iniziano a strappare gli affreschi da S. Maria della
Pace, S. Marta, S. Maria di Brera (prima il Foppa, poi gli altri). Tavole e
tele dal Quattrocento al Settecento iniziano ad arrivare a Brera da Milano e da
altre città del Regno d'Italia. Una commissione guidata dall'Appiani decide se
devono andare in Francia, restare nella capitale Milano o essere smistate in
altre città o Accademie per ragioni didattiche o di prestigio. I preparativi
per l'esposizione decide di collocare queste opere al primo piano del cortile
d'onore nelle sale situate lungo la via Brera e la piazzetta che erano
utilizzate come aule dell'Accademia. Di fronte alle carenze di spazio si
comincia a pensare ad un utilizzo della chiesa, dividendola in due piani.
Nel
1805, morto Giacomo Albertolli, la cattedra di architettura era passata allo
Zanoja, mentre la cura del palazzo è assegnata a Pietro Gilardoni, che seguirà
tutte le modifiche di Brera nei prossimi trent'anni. Il Gilardoni è incaricato
di studiare la divisione della chiesa e la realizzazione dei saloni superiori
da adibire ad esposizione. Il Bossi suggerisce di utilizzare la navata sud per
creare un corridoio adibito a mostra di disegni. Il 1806 segna il culmine della
carriera del Bossi all'Accademia, che pubblica in quest'anno le Notizie
delle opere di disegno prima guida ragionata della futura Pinacoteca.
Il
clima politico sta però rapidamente cambiando, la repubblica è diventata regno,
Napoleone è diventato imperatore. Le istanze democratiche e giacobine dei primi
tempi sono ormai apertamente condannate. Malgrado lo statuto, anche Brera deve
adeguarsi al nuovo andamento delle cose e accettare un presidente dotato di
piena autorità. Giuseppe Bossi non accetta la novità e dà immediatamente
(gennaio 1807) le dimissioni, sostituito prontamente dall'accomodante Zanoja,
che pochi anni dopo accetterà altrettanto prontamente di cantare gli elogi dei
rientranti Asburgo. Da allora fino alla morte prematura (9 dicembre 1815),
Giuseppe Bossi si dedicherà agli studi (soprattutto Leonardo e il Cenacolo),
all'insegnamento nella scuola aperta nella sua casa di via S. Maria Valle e
alla pittura. Celebri di quest'ultimo periodo della sua vita sono
l'autoritratto di Brera e la Cameretta Portiana.
Verso una grigia normalità
Gli
anni seguenti dell'Accademia vedono spegnersi progressivamente l'impatto sulla
città dell'istituzione, che tende a diventare sempre più un servizio scolastico
dove i giovani non trovano una spinta vivace verso le innovazioni, ma anzi un
freno accademico, fino all'aperta opposizione tra scuola e correnti artistiche
nuove che si registrerà con la Scapigliatura e con le avanguardie del
Novecento. Anche la presenza di maestri importanti come Pompeo Marchesi e Hayez
per molti decenni dell'Ottocento non arricchisce realmente la scuola, data
anche la saltuarietà dell'insegnamento di queste illustri figure molto
impegnate con i loro committenti.
In
epoca recente, di fronte alle richieste sempre più pressanti di spazi da parte
della Pinacoteca e della Biblioteca, l'Accademia si trova in condizioni più che
disagiate, quasi un intruso costretto a vivere negli "scantinati" del
Palazzo. Nata per arricchire le industrie della città di modelli eleganti e
stilisticamente corretti, oggi è surrogata su questo versante dalle numerose
scuole private di grafica e design sorte per rispondere a questa domanda,
mentre arranca sul versante artistico alla ricerca di una propria identità.
2. La Pinacoteca
La formazione e il primo periodo al servizio dell'Accademia
Il
grande successo dell'esposizione del maggio 1806 comporta subito una serie di
conseguenze che daranno il via al primo nucleo della Pinacoteca. Tranne le
numerose e scelte collezione private racchiuse nei palazzi nobiliari, a Milano
non c'era mai stata una raccolta d'arte di Corte, come quelle di Mantova,
Modena, Firenze, Roma e Napoli. Le soppressioni giuseppine avevano messo sul
mercato molte pitture e sculture, che però, anche per l'opposizione del
Bianconi, non erano approdati all'Accademia, ma erano state vendute a
collezionisti privati. Unica eccezione, i grandi quadri settecenteschi dei SS.
Cosma e Damiano (attuale Teatro Filodrammatici) di Pierre Subleyras, Pompeo
Batoni e Giuseppe Bottani. Le soppressioni della Cisalpina e la nuova tecnica
di strappo degli affreschi fanno confluire a Brera molte opere provenienti da
chiese e conventi della città. Inoltre, il ruolo di capitale assunto da Milano
nella Repubblica Italiana e poi nel Regno d'Italia, portano a Brera numerose
altre opere di altre città, destinate parte a Parigi e parte a una nuova
esposizione permanente da realizzarsi a Milano. Nel maggio 1806 si impone
quindi un problema di spazi, che viene risolto con la divisione in due piani
della chiesa. Due terzi del piano terreno sarebbe servito per il Museo di
Antichità (sculture medievali e lapidi romane), il piano superiore, diviso in
quattro ampi locali, viene destinato alle pitture. Allontanatosi il Bossi, lo
Zanoja e altri insistono perché si demolisca anche la facciata della chiesa per
ottenere un allargamento della prima sala. Per soli 4 metri di ampliamento
viene quindi demolita la facciata di Giovanni di Balduccio, non senza imbarazzo
e opposizione da parte dei molti conoscitori d'arte della città.
Il
1808 è l'anno dei grandi arrivi. Tra le opere principali acquisite in
quest'anno e ancora esposte possiamo ricordare la Pala Sforzesca da S. Ambrogio ad Nemus, I Tre Arcangeli di Marco d'Oggiono da S. Marta, la Madonna
col Bambino di Andrea Mantegna da S. Giorgio a Venezia.
Sempre
nel 1808 inizia il cosiddetto "Inventario napoleonico", primo elenco
progressivo delle opere custodite a Brera, che verrà tenuto in modo puntuale e
ordinato fino al 1842. Il 15 agosto 1809, genetliaco di Napoleone, il museo
viene aperto ufficialmente nelle nuove sale ricavate dalla chiesa. Gli arrivi
comunque proseguono con un ritmo sempre più incalzante. Nel 1811 arrivano da
Bologna i Carracci e Guido Reni, da Bergamo il Polittico del Foppa,
dall'Arcivescovado vengono collocati a Brera (un deposito forzato!) i primi 23
quadri della Collezione Monti. Altre preziose acquisizioni di quest'anno sono
la pala di Piero della Francesca, da Urbino, e il Polittico di S. Luca del
Mantegna, da Padova. A questo punto la collezione è davvero degna di costituire
un importante museo. Importante testimonianza del livello raggiunto è la
pubblicazione del volume Pinacoteca del Palazzo Reale delle Scienze e
delle Arti di Robustiano Gironi con le incisioni di Michele Bisi e altri.
L'ultimo tassello per dare alla raccolta la completezza necessaria, viene posto
nel 1813 con l'arrivo della Cena di Rubens e del ritratto di Rembrandt.
Il
crollo del regime napoleonico è seguito subito da una profonda crisi della
Pinacoteca. Molti quadri vengono restituiti alle città d'origine, molti altri
sono assegnati a chiese della Lombardia senza alcun criterio preciso, solo in
base alle richieste. La chiesa di S. Marco, per esempio, è quasi interamente
decorata da opere provenienti da Brera. Nel 1815, su 892 opere registrate
nell'inventario, solo 301 sono esposte a Brera. Dopo la morte dell'Appiani
(1817), la raccolta subisce anche qualche pesante "fregatura". Il
mercante d'arte L. De Sivry offre nel 1820 un quadro di Caravaggio (falso) in
cambio di 5 opere tra cui un Crivelli (vero).
La
Pinacoteca, dal 1814 al 1882, resta affidata all'Accademia ed è praticamente
chiusa al pubblico. I custodi della scuola possono accompagnare nei saloni gli
ospiti illustri o qualche studioso di passaggio. Qualcosa continua comunque ad
arrivare. Dagli eredi di Giuseppe Bossi viene acquistato nel 1824 il Cristo morto del Mantegna. Nel 1826
vengono acquistati parte degli affreschi del Luini della Villa Pelucca di
Monza. Contemporaneamente Brera funziona sempre come un "supermercato del
quadro" dove i parroci possono prendere quello che desiderano per
abbellire le loro chiese. Persino la grande Crocifissione
del Bramantino, uno dei massimi capolavori del museo, viene assegnata a una
chiesa. Nel lungo periodo dalla Restaurazione all'unità d'Italia, il fatto di
maggior rilievo per le raccolte di Brera è rappresentato dalla donazione
Oggioni del 1855. Si tratta di circa 80 quadri di piccole dimensioni, tra cui
due vedute di Francesco Guardi e le predelle del Lotto. In questo stesso
periodo il cortile si arricchisce delle statue e dei busti tuttora presenti,
tra i quali meritano una citazione la statua del Beccaria di Pompeo Marchesi
sullo scalone e quelle di Gabrio Piola e Tommaso Grossi di Vincenzo Vela nel
cortile d'onore.
Con
l'arrivo di Vittorio Emanuele II le cose sembrano cambiare. Viene deliberata la
collocazione nel cortile della statua di Napoleone del Canova, un omaggio al
"fondatore" (in quel momento era meglio non ricordare Maria Teresa)
ed anche un omaggio indiretto a Napoleone III. Nel 1861 Giovanni Morelli inizia
a compilare il primo Catalogo della Pinacoteca, cercando di mettere ordine tra
le attribuzioni spesso strampalate dei dipinti. Nel 1867 viene finalmente
aperto il Museo Patrio di Archeologia al piano terreno della chiesa e questo
comporta l'apertura del portone centrale sulla piazzetta. Si comincia a pensare
ad una nuova sistemazione giuridica della Pinacoteca che ne consenta l'accesso
al pubblico.
L'autonomia e l'apertura al pubblico
Nel
1882 la Pinacoteca si separa dall'Accademia diventando un istituto
amministrativamente e scientificamente autonomo. La direzione viene affidata a
Giuseppe Bertini, l'autore delle vetrate della facciata del Duomo e figlio di
Gian Battista, autore dei grandi finestroni absidali. E' previsto il pagamento
di un biglietto d'ingresso. Il primo lavoro da fare è quello del catalogo, che
il Morelli aveva appena iniziato. Non si tratta soltanto di esaminare e
schedare le opere presenti in Brera, il compito più gravoso è quello di
inventariare (e in qualche caso recuperare) le moltissime opere disperse tra
chiese e palazzo pubblici della Lombardia. Nasce così il primo catalogo del
Carotti (1893-95) al quale seguiranno quelli di Corrado Ricci (1901, 1907) e di
Malaguzzi Valeri (1908).
Nel
1898 diventa direttore Corrado Ricci e Brera viene rivoluzionata. Nel cinque
anni della sua direzione partono per il Castello Sforzesco, appena
ristrutturato da Luca Beltrami, tutte le opere del Museo Patrio di Archeologia
(statue di Bernabò Visconti, di Gastone di Foix, lapidi, ecc.) ed anche 209
dipinti e 66 sculture dell'Ottocento che in seguito verranno collocati nella
Villa Reale di via Palestro. Il Ricci modifica completamente tutto l'assetto
del museo, suddividendo le opere per scuole regionali. Attraverso un gioco di
scambi con la Biblioteca e l'Accademia, Corrado Ricci riesce finalmente a
ottenere tutto il giro dei locali del primo piano del cortile d'onore. I locali
vengono muniti di lucernari e le finestre sono murate. La nuova sistemazione
elegante e prestigiosa curata dal Ricci rende finalmente la Pinacoteca di Brera
una dei maggiori musei italiani. Arrivano da allora donazioni (dono Sipriot di
63 quadri), depositi (Cristo alla colonna
di Bramante da Chiaravalle), acquisti. Con la successiva e lunga direzione di
Ettore Modigliani (1908-34) si effettuano altri importanti acquisti (Canaletto,
Piazzetta) soprattutto di scuola veneta. Inizia la collaborazione con il museo
dell'architetto Piero Portaluppi che si protrarrà per quarant'anni. Nel 1926
nasce l'associazione Amici di Brera che si farà carico di importanti restauri e
acquisti, tra cui spicca quello della Cena
di Emmaus del Caravaggio (questa volta vero!). Allontanato Ettore
Modigliani in seguito alle leggi razziali, tocca al Pacchioni gestire la
Pinacoteca nel suo momento peggiore, durante la guerra. I bombardamenti del
1942, e soprattutto quelli dell'agosto 1943, colpiscono in pieno Brera. Brucia
il soffitto dei saloni napoleonici e viene danneggiata molto gravemente l'ala
del palazzo verso la piazzetta di Brera. La parte inferiore della chiesa si
salva grazie alla tenuta dei soffitti dei saloni. Nel dopoguerra, dopo un breve
periodo di Modigliani, tocca a Fernanda Wittgens occuparsi dei lavori di
restauro e del nuovo allestimento, curato ancora una volta dal Portaluppi. Nel
giugno 1950 il museo riapre rinnovato. Oltre alla nuova saletta di Raffaello,
il Portaluppi ha realizzato un ambiente apposito (tuttora esistente) per il
Settecento con archi e colonnine.
Nel
frattempo il gusto è cambiato. Negli anni '50 e '60 il grande pubblico scopre i
pittori giotteschi e tardogotici. A Brera viene costruito un ambiente apposito
per ospitare gli affreschi trecenteschi di Mocchirolo mentre viene acquistato
il Cristo Giudice di Giovanni da
Milano dalla dispersione della Collezione Contini Bonacossi di Firenze. Anche i
Tarocchi Brambilla sono un acquisto
del dopoguerra (1971). Alla crescita del patrimonio durante la gestione Dell'Acqua
(1957-73) fa riscontro però un dissesto generale dell'edificio, spesso chiuso
per danni e infiltrazioni. Nel 1972 sembra che molti problemi siano risolti con
l'acquisto di Palazzo Citterio, ma purtroppo ancora oggi (estate 2003) siamo
molto lontani dal traguardo.
3. L'Istituto Lombardo Accademia di Scienze e Lettere
Poco
dopo l'arrivo dei Francesi in Italia, il 9 novembre 1797, viene fondato
l'Istituto Nazionale della Repubblica Cisalpina con sede a Bologna. E'
un'Accademia dove i migliori esponenti nel campo delle scienze, delle lettere e
delle arti si riuniscono per concordare le attività nei rispettivi campi e per
scambiarsi informazioni e idee alla ricerca di una base comune del nuovo
sapere. E' anche un modo di tributare un adeguato riconoscimento onorifico alle
personalità più eminenti. Primo presidente sarà Alessandro Volta. L'istituto
resta a Bologna fino al 1810, quando viene deciso di trasferirlo nella capitale
del Regno d'Italia e a Brera. A Milano ci sarà la sede centrale, mentre sezioni
staccate vengono create a Bologna, Venezia, Padova e Verona. A Brera, data
l'aspra lotta per gli spazi tra tutti gli inquilini già operanti, non è facile
trovargli una collocazione. Alla fine si decide di sistemare alcuni locali al
primo piano sul lato est verso via Borgonuovo, tra cui anche l'appartamento già
occupato dal Parini.
Con
la caduta di Napoleone, l'Istituto viene conservato. Cambia solo il nome in
I.R. Istituto del Regno Lombardo-Veneto di Scienze Lettere ed Arti. Nel 1838,
tra le grazie concesse dall'imperatore ai suoi sudditi in occasione
dell'incoronazione, c'è anche quella di suddividere l'istituto in due parti
eguali tra Milano e Venezia. Nasce così, accanto a quello veneto, l'Istituto
Lombardo di Scienze Lettere ed Arti. Dopo l'unità d'Italia viene eletto
presidente a vita Alessandro Manzoni (che non vuole saperne) e scompare il
termine "Arti", già rappresentate da altre istituzioni. Nel 1870
viene istituito un premio per chi introduce in Lombardia una nuova industria.
Altri premi vengono poi istituiti grazie a donazioni di privati.
La
vita dell'istituto continua indisturbata a Brera fino al 1959 quando la massa
dei libri accumulati nella sua biblioteca (oltre 200.000) consiglia un
trasferimento. L'occasione si offre con la disponibilità dell'adiacente palazzo
Landriani in via Borgonuovo 25, dove viene solennemente inaugurata la nuova
sede nel centenario dell'indipendenza. Da allora il salone della biblioteca, decorato
con gli affreschi cinquecenteschi forse del Cesariano, viene chiamato Salone
del Centenario.
Visita anche questi siti:
Pinacoteca di Brera
Il sito ufficiale della Pinacoteca.
Amici di Brera
Mimu
La pinacoteca nel sito dei musei di Milano.
Pinacoteca
di Brera
Guida alla pinacoteca (in inglese)
con molte opere visualizzabili.
Accademia di Belle Arti
di Brera
Il sito ufficiale della scuola.
Bibliografia
L'Accademia di Belle Arti
AA.VV.,
Mostra dei Maestri di Brera (1776-1859),
Milano, Palazzo della permanente, 1975 (Biblioteca d'Arte, Cons 15 C 78)
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Carlo, Nuova guida di Milano,
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Giuseppe, Scritti sulle arti, a cura
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Caimi,
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La Pinacoteca
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Rosalba, Brera. Storia della Pinacoteca e
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L'Istituto
Lombardo
L'Istituto Lombardo
Accademia di Scienze e Lettere, Milano,
Palazzo di Brera, 1959 (in vendita presso la Biblioteca dell'Istituto in via
Borgonuovo 25)
Ultima modifica: lunedì 7 luglio 2003
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