Chi ha inventato il telefono? A questa domanda si sente
rispondere con nomi diversi a seconda della nazione in cui ci si trova:
Innocenzo Manzetti[1]
o Antonio Meucci in Italia, Charles Bourseil in Francia, Graham Bell o Elisha
Gray in America, Philippe Reis in Germania, David Hughes in Inghilterra, Poul
La Cour in Danimarca.
E' abbastanza nota per non doverla ripetere la triste
vicenda del brevetto "rubato" ad Antonio Meucci[2]
(recentemente il Congresso degli Stati Uniti ha riconosciuto la effettiva
primogenitura dell’invenzione di Meucci rispetto a Bell). Se andiamo
però al di là dell'epica e della retorica nazionale, questo episodio non fa
altro che dimostrare che lo sviluppo di un'invenzione di vasta portata, come
quella del telefono, già nel secolo scorso era inscindibilmente legata alla
capacità dell'inventore di essere imprenditore di se stesso oppure di saper
almeno trovare mezzi e imprenditori (non tutti possono essere degli Edison) con
la voglia di sostenere le sue scoperte.
Ripercorrendo molto sinteticamente un percorso che molti
storici della tecnologia hanno un po’ alla volta chiarito, si può dire che le
conoscenze elettriche di base necessarie allo sviluppo del telefono, che non
sono differenti da quelle utilizzate per il telegrafo, erano già disponibili
verso il 1831. Bisognava però concepire l’idea che fosse possibile trasformare
e riprodurre la voce e i suoni tramite un segnale elettrico, cosa che fu
enunciata teoricamente dal francese Charles Bourseul nel 1854, senza però che
egli desse un seguito pratico, neanche di laboratorio, alla sua intuizione. I
primi esperimenti parzialmente riusciti di riprodurre suoni, ma non il discorso
articolato, furono opera, nel 1861, del fisico tedesco Johann Reis; egli
realizzò un rudimentale “microfono” a diaframma, che vibrando apriva e chiudeva
un circuito elettrico, così come aveva suggerito Boureul. Ma non era questa la
strada giusta, perché per riprodurre il suono era necessario realizzare un
dispositivo in grado di produrre un segnale continuo. Fu quello che Alexander Graham Bell (1847-1922,
americano di origine scozzese) seppe, o ebbe la fortuna, di poter fare:
così semplificando una vicenda sicuramente complessa, legata ad una invenzione
in cui ebbero parte molti soggetti, possiamo tranquillamente affermare, come
fanno la maggior parte degli storici, che Bell inventò il telefono e che la
prima fatidica frase trasmessa per telefono fu il prosaico grido "Mr.
Watson, come here. I want you" che Bell pronunciò dopo essersi versato
dell'acido sui pantaloni.
Il 3 marzo 1876,
fu depositato a Boston, un brevetto[3]
a nome di Bell e dei suoi soci finanziatori (G.G. Hubbard, un avvocato, suo
futuro suocero, e T. Sanders, un commerciante di pellami) per un dispositivo
(che a ogni buon conto egli non chiamava ancora telefono) capace di
"migliorare la telegrafia". Bell avrebbe infatti continuato a
rimarcare:
“… tutti gli altri apparecchi telegrafici producono segnali
che richiedono di essere tradotti da esperti, e tali strumenti sono perciò
estremamente limitati nelle loro applicazioni, ma il telefono parla, e per
questa ragione può essere utilizzato per quasi ogni compito nel quale si usi il
linguaggio”.
E' interessante ricordare due vicende che avvennero pochi
mesi dopo la data di deposito del brevetto di Bell. Prima di tutto la Western
Union, potentissima società telegrafica statunitense, non intuendo o
temendo le potenzialità dell'invenzione, si rifiutò di acquistare questo
brevetto, che Bell avrebbe ceduto volentieri per una cifra in fondo modesta,
pari a 100.000 $. Bell e i suoi finanziatori, fra cui suo suocero, decisero
allora di fare da soli: iniziarono a costruire qualche modesto impianto di
collegamento punto a punto (in pratica dei citofoni) e fondarono quella che
sarebbe stata la capostipite di un colosso delle telecomunicazioni, la Bell
Telephone Company.
Secondo, la nuova società decise di non vendere gli apparecchi telefonici, ma di noleggiarli, iniziando una procedura
che venne in seguito adottata da tutte le società telefoniche e che è stata a
lungo l'unica accettabile per uno sviluppo uniforme delle apparecchiature e
dell'utenza.
Crescendo la domanda di impianti, i collegamenti punto a
punto di dimostrarono subito poco idonei a soddisfare le sia pur modeste
esigenze dei primi abbonati; si arrivò così, nel gennaio 1878, alla costruzione del primo
centralino a 8 linee e 21 telefoni, realizzato a New Haven nel Connecticut, nel
quale più utenti condividevano ancora la stessa linea.
Nel frattempo altri inventori erano comparsi sulla scena, in
particolare Thomas Edison, che
iniziata la sua carriera come telegrafista, diede importanti contributi anche
alla telefonia, soprattutto con il perfezionamento del microfono[4]
a resistenza variabile (a capsula di carbone). In effetti i primi apparecchi
concepiti da Bell (così come quelli di Meucci) erano degli strumenti per
convertire i suoni in elettricità, e viceversa. Infatti dovevano essere
alternativamente usati come trasmettitore e come ricevitore. Questi
dispositivi erano abbastanza adatti a fungere da ricevitori, ma svolgevano
molto peggio la funzione di trasmettitori, in quanto le deboli correnti
elettriche che essi generavano per la pressione della voce su una membrana, in
un avvolgimento di filo sottile immerso nel campo magnetico di una calamita,
non potevano andare molto lontano. A questo inconveniente si rimediò
con l’invenzione del microfono a capsula di carbone, un dispositivo che
permetteva di modulare con i suoni la tensione di una batteria, e quindi di
immettere sul filo molta più energia.
L'invenzione del microfono consentì anche alla Bell di
migliorare la qualità dei suoi apparecchi e di realizzare telefoni in cui
ricevitore e trasmettitore erano separati, mentre prima, come già accennato, si
doveva usare alternativamente lo stesso dispositivo per ascoltare e per
parlare.
Vennero inoltre realizzati dei dispositivi accessori per
poter attuare la chiamata, avvertendo il corrispondente della intenzione di
comunicare. Inizialmente si trattava di suonerie azionate dalle stesse pile che
alimentavano il telefono, ma presto si passò alle suonerie “polarizzate”
funzionanti con la corrente alternata prodotta da un piccolo generatore mosso
da una manovella. Altri componenti, come i ganci di commutazione, furono presto
introdotti per facilitare l’uso dell’apparecchio. Quando si appendeva la
cornetta al gancio i fili della linea erano commutati sulla suoneria, che era
così pronta ad avvisare di una chiamata. Appena si rispondeva, alzando la
cornetta, i fili erano commutati al circuito microfonico.
In sostanza nella maggior parte degli apparecchi telefonici
in uso fin verso la fine dell’800, il microfono ed il ricevitore erano
separati, ma già verso il 1890 cominciarono ad apparire telefoni dotati di una
cornetta impugnando la quale si portava all’orecchio il ricevitore e
contemporaneamente ci si trovava il microfono davanti alla bocca.
Il rapido incremento degli utenti (che avvenne soprattutto
negli Stati Uniti) pose presto dei grossi problemi nelle centrali di
commutazione, che fin verso la fine dell'800 erano quasi tutte manuali, e
richiedevano l'impiego di un gran numero di centraliniste.
Già nel 1889,
comunque, l'americano Almon B. Strowger brevettò un commutatore automatico con selettore rotativo a
cento passi, che l'utente poteva attivare mediante un pulsante posto sul suo
telefono.[5]
Con questo sistema fu messa in servizio a La Porte (Indiana, USA) nel 1892, la prima centrale automatica, che serviva 75 utenti.
Le prime grandi centrali automatiche, come quella di Berlino
che usava il sistema Siemens-Strowger, cominciarono ad entrare in servizio
verso il 1900.
Il telefono dotato di un disco per la formazione del numero,
che ci è stato familiare fino a pochi anni fa, venne introdotto molto
gradualmente a partire dal 1896,
dopo l'invenzione del disco combinatore
decimale, da parte di Keith e
Erickson.
[1] Meno noto di
Meucci, Manzetti era nato ad Aosta dove fin dal 1860 sono documentati alcuni
suoi riusciti esperimenti con un “telegrafo parlante”, che però non ebbe
seguito e fortuna.
[2] Antonio Meucci nacque a Firenze il 13 aprile 1808. Diplomato all’accademia di Belle
Arti lavorò al Teatro della Pergola, dove conobbe Ester Mochi. Dopo essersi
sposato con Ester, Meucci emigrò a Cuba dove lavorò al teatro Tacon e mise
anche in piedi una piccola attività di elettrogalvanica alla quale affiancava
una specie di gabinetto medico nel quale usava l’elettricità per il trattamento
di varie patologie. Fu durante una di queste sedute che il grido di un paziente
venne casualmente convogliato dall’apparecchio, facendogli balenare l’idea di
un “telefono parlante”.
Già dal 1849 (Bell era allora un bimbo di due anni)
Meucci cominciò a sperimentare su questa idea. Trasferitosi l’anno dopo a New
York impiantò una piccola fabbrica di candele nella quale lavorarono molti
emigranti italiani, fra i quali anche Giuseppe Garibaldi che fu ospite ed
amico di Meucci (la casa del quartiere di Rosebank, dove vissero, è diventata
un museo dedicato ai due personaggi, che sono entrati, per diversi motivi nel
Pantheon degli eroi italiani).
Affascinato dai fenomeni elettrici egli continuò per
vent’anni a lavorare alla sua idea di “teletrofono”, costruendone vari
esemplari rudimentali, ma funzionanti. Le sue modestissime attività
imprenditoriali non gli consentirono mai di avere a disposizione mezzi sufficienti
a sviluppare le sue idee; la sfortuna si accanì su di lui con una malattia
della moglie e con un grave incidente nel quale Meucci rimase coinvolto e che
lo costrinse a lungo all’inattività. Durante questo periodo, sua moglie,
rimasta senza mezzi, vendette per 5$ il suo apparecchio. Una volta guarito, egli
tentò nel 1871 di ottenere un brevetto temporaneo, per il quale dovette farsi
prestare i 20 $ necessari. Tentò anche di proporre la sua idea alla New York
Telegraph Company, che però si dichiarò non interessata all’invenzione. La
compagnia, nel cui laboratorio lavorava in quegli anni A. Bell, non gli
restituì però mai più i suoi disegni, che risultarono misteriosamente perduti.
Quando Meucci seppe del brevetto di Bell del 1876 scrisse a
Garibaldi:
“Il telefono, che come tu sai io ho inventato, mi è stato
rubato”.
Egli fece causa alla Bell Company, ma nel processo tenutosi
nel 1885 il giudice gli diede torto. Meucci morì in povertà nel 1889, prima che
si svolgesse il processo d’appello.
[3]
Nello stesso giorno, poche ore dopo, fu presentato un brevetto per un congegno
assai simile al telefono di Bell, da Elisha Gray, di Chicago, che aveva
lavorato indipendentemente a questa idea. Negli anni successivi Bell e Gray si
contesero in tribunale la paternità dell’invenzione, ma alla fine giunsero ad
un compromesso.
[4] Il microfono era un dispositivo capace di
variare la intensità della corrente prodotta da una batteria, in conformità
all’intensità dei suoni captati. Prima di Hunnings e White, a cui viene da
alcuni storici attribuita la prima invenzione, nel 1878, il professore italiano Augusto Righi aveva presentato
all'Accademia delle Scienze di Bologna un microfono a polvere di carbone e
d'argento che aveva consentito delle ottime trasmissioni fino a 50 Km di
distanza. Il dispositivo non fu però brevettato; evidentemente non solo i
poveri emigranti, come Meucci, ma neanche gli accademici italiani avevano un
grande senso degli affari!
[5] La vicenda di Strowger è curiosa. Egli era un
impresario di pompe funebri e pare che la sua invenzione sia stata sollecitata
dal sospetto che la moglie di un suo concorrente, centralinista dei telefoni,
deviasse verso il marito le chiamate dirette a lui, facendogli perdere i
clienti.