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Chi ha inventato il telefono?

di Gian Luca Lapini

 

 

Chi ha inventato il telefono? A questa domanda si sente rispondere con nomi diversi a seconda della nazione in cui ci si trova: Innocenzo Manzetti[1] o Antonio Meucci in Italia, Charles Bourseil in Francia, Graham Bell o Elisha Gray in America, Philippe Reis in Germania, David Hughes in Inghilterra, Poul La Cour in Danimarca.

Il telefono di Meucci (verso il 1865)E' abbastanza nota per non doverla ripetere la triste vicenda del brevetto "rubato" ad Antonio Meucci[2] (recentemente il Congresso degli Stati Uniti ha riconosciuto la effettiva primogenitura dell’invenzione di Meucci rispetto a Bell). Se andiamo però al di là dell'epica e della retorica nazionale, questo episodio non fa altro che dimostrare che lo sviluppo di un'invenzione di vasta portata, come quella del telefono, già nel secolo scorso era inscindibilmente legata alla capacità dell'inventore di essere imprenditore di se stesso oppure di saper almeno trovare mezzi e imprenditori (non tutti possono essere degli Edison) con la voglia di sostenere le sue scoperte.

Ripercorrendo molto sinteticamente un percorso che molti storici della tecnologia hanno un po’ alla volta chiarito, si può dire che le conoscenze elettriche di base necessarie allo sviluppo del telefono, che non sono differenti da quelle utilizzate per il telegrafo, erano già disponibili verso il 1831. Bisognava però concepire l’idea che fosse possibile trasformare e riprodurre la voce e i suoni tramite un segnale elettrico, cosa che fu enunciata teoricamente dal francese Charles Bourseul nel 1854, senza però che egli desse un seguito pratico, neanche di laboratorio, alla sua intuizione. I primi esperimenti parzialmente riusciti di riprodurre suoni, ma non il discorso articolato, furono opera, nel 1861, del fisico tedesco Johann Reis; egli realizzò un rudimentale “microfono” a diaframma, che vibrando apriva e chiudeva un circuito elettrico, così come aveva suggerito Boureul. Ma non era questa la strada giusta, perché per riprodurre il suono era necessario realizzare un dispositivo in grado di produrre un segnale continuo. Fu quello che Alexander Graham Bell (1847-1922, americano di origine scozzese) seppe, o ebbe la fortuna, di poter fare: così semplificando una vicenda sicuramente complessa, legata ad una invenzione in cui ebbero parte molti soggetti, possiamo tranquillamente affermare, come fanno la maggior parte degli storici, che Bell inventò il telefono e che la prima fatidica frase trasmessa per telefono fu il prosaico grido "Mr. Watson, come here. I want you" che Bell pronunciò dopo essersi versato dell'acido sui pantaloni.

Il 3 marzo 1876, fu depositato a Boston, un brevetto[3] a nome di Bell e dei suoi soci finanziatori (G.G. Hubbard, un avvocato, suo futuro suocero, e T. Sanders, un commerciante di pellami) per un dispositivo (che a ogni buon conto egli non chiamava ancora telefono) capace di "migliorare la telegrafia". Bell avrebbe infatti continuato a rimarcare:
“… tutti gli altri apparecchi telegrafici producono segnali che richiedono di essere tradotti da esperti, e tali strumenti sono perciò estremamente limitati nelle loro applicazioni, ma il telefono parla, e per questa ragione può essere utilizzato per quasi ogni compito nel quale si usi il linguaggio”.

E' interessante ricordare due vicende che avvennero pochi mesi dopo la data di deposito del brevetto di Bell. Prima di tutto la Western Union, potentissima società telegrafica statunitense, non intuendo o temendo le potenzialità dell'invenzione, si rifiutò di acquistare questo brevetto, che Bell avrebbe ceduto volentieri per una cifra in fondo modesta, pari a 100.000 $. Bell e i suoi finanziatori, fra cui suo suocero, decisero allora di fare da soli: iniziarono a costruire qualche modesto impianto di collegamento punto a punto (in pratica dei citofoni) e fondarono quella che sarebbe stata la capostipite di un colosso delle telecomunicazioni, la Bell Telephone Company.

Secondo, la nuova società decise di non vendere gli apparecchi telefonici, ma di noleggiarli, iniziando una procedura che venne in seguito adottata da tutte le società telefoniche e che è stata a lungo l'unica accettabile per uno sviluppo uniforme delle apparecchiature e dell'utenza.

Crescendo la domanda di impianti, i collegamenti punto a punto di dimostrarono subito poco idonei a soddisfare le sia pur modeste esigenze dei primi abbonati; si arrivò così, nel gennaio 1878, alla costruzione del primo centralino a 8 linee e 21 telefoni, realizzato a New Haven nel Connecticut, nel quale più utenti condividevano ancora la stessa linea.

Schema di telefono Bell (circa 1876)Spaccato di ricevitore/trasmettitore tipo Bell (circa 1876)Nel frattempo altri inventori erano comparsi sulla scena, in particolare Thomas Edison, che iniziata la sua carriera come telegrafista, diede importanti contributi anche alla telefonia, soprattutto con il perfezionamento del microfono[4] a resistenza variabile (a capsula di carbone). In effetti i primi apparecchi concepiti da Bell (così come quelli di Meucci) erano degli strumenti per convertire i suoni in elettricità, e viceversa. Infatti dovevano essere alternativamente usati come trasmettitore e come ricevitore. Questi dispositivi erano abbastanza adatti a fungere da ricevitori, ma svolgevano molto peggio la funzione di trasmettitori, in quanto le deboli correnti elettriche che essi generavano per la pressione della voce su una membrana, in un avvolgimento di filo sottile immerso nel campo magnetico di una calamita, non potevano andare molto lontano. A questo inconveniente si rimediò con l’invenzione del microfono a capsula di carbone, un dispositivo che permetteva di modulare con i suoni la tensione di una batteria, e quindi di immettere sul filo molta più energia.

Microfono a carbone con tromba diritta (fine ‘800)

L'invenzione del microfono consentì anche alla Bell di migliorare la qualità dei suoi apparecchi e di realizzare telefoni in cui ricevitore e trasmettitore erano separati, mentre prima, come già accennato, si doveva usare alternativamente lo stesso dispositivo per ascoltare e per parlare.

Vennero inoltre realizzati dei dispositivi accessori per poter attuare la chiamata, avvertendo il corrispondente della intenzione di comunicare. Inizialmente si trattava di suonerie azionate dalle stesse pile che alimentavano il telefono, ma presto si passò alle suonerie “polarizzate” funzionanti con la corrente alternata prodotta da un piccolo generatore mosso da una manovella. Altri componenti, come i ganci di commutazione, furono presto introdotti per facilitare l’uso dell’apparecchio. Quando si appendeva la cornetta al gancio i fili della linea erano commutati sulla suoneria, che era così pronta ad avvisare di una chiamata. Appena si rispondeva, alzando la cornetta, i fili erano commutati al circuito microfonico.

Schema di telefono con leva di sgancio automatico e
generatore per suoneria (verso 1885)

In sostanza nella maggior parte degli apparecchi telefonici in uso fin verso la fine dell’800, il microfono ed il ricevitore erano separati, ma già verso il 1890 cominciarono ad apparire telefoni dotati di una cornetta impugnando la quale si portava all’orecchio il ricevitore e contemporaneamente ci si trovava il microfono davanti alla bocca.

Cornetta per telefono (fine ‘800)Apparecchio telefonico Ericsson, con cornetta e generatore a manovella (verso 1890)

 

Il rapido incremento degli utenti (che avvenne soprattutto negli Stati Uniti) pose presto dei grossi problemi nelle centrali di commutazione, che fin verso la fine dell'800 erano quasi tutte manuali, e richiedevano l'impiego di un gran numero di centraliniste.

Sala operatrici telefoniche (inizi ‘900)

Già nel 1889, comunque, l'americano Almon B. Strowger brevettò un commutatore automatico con selettore rotativo a cento passi, che l'utente poteva attivare mediante un pulsante posto sul suo telefono.[5] Con questo sistema fu messa in servizio a La Porte (Indiana, USA) nel 1892, la prima centrale automatica, che serviva 75 utenti.

Commutatore automatico di Strowger (verso 1890)Commutatore automatico di Strowger (verso 1890)

Le prime grandi centrali automatiche, come quella di Berlino che usava il sistema Siemens-Strowger, cominciarono ad entrare in servizio verso il 1900.

Il telefono dotato di un disco per la formazione del numero, che ci è stato familiare fino a pochi anni fa, venne introdotto molto gradualmente a partire dal 1896, dopo l'invenzione del disco combinatore decimale, da parte di Keith e Erickson.

Telefono con disco combinatore (modello del 1920)

 



[1] Meno noto di Meucci, Manzetti era nato ad Aosta dove fin dal 1860 sono documentati alcuni suoi riusciti esperimenti con un “telegrafo parlante”, che però non ebbe seguito e fortuna.

[2] Antonio Meucci nacque a Firenze il 13 aprile 1808. Diplomato all’accademia di Belle Arti lavorò al Teatro della Pergola, dove conobbe Ester Mochi. Dopo essersi sposato con Ester, Meucci emigrò a Cuba dove lavorò al teatro Tacon e mise anche in piedi una piccola attività di elettrogalvanica alla quale affiancava una specie di gabinetto medico nel quale usava l’elettricità per il trattamento di varie patologie. Fu durante una di queste sedute che il grido di un paziente venne casualmente convogliato dall’apparecchio, facendogli balenare l’idea di un “telefono parlante”.
Già dal 1849 (Bell era allora un bimbo di due anni) Meucci cominciò a sperimentare su questa idea. Trasferitosi l’anno dopo a New York impiantò una piccola fabbrica di candele nella quale lavorarono molti emigranti italiani, fra i quali anche Giuseppe Garibaldi che fu ospite ed amico di Meucci (la casa del quartiere di Rosebank, dove vissero, è diventata un museo dedicato ai due personaggi, che sono entrati, per diversi motivi nel Pantheon degli eroi italiani).
Affascinato dai fenomeni elettrici egli continuò per vent’anni a lavorare alla sua idea di “teletrofono”, costruendone vari esemplari rudimentali, ma funzionanti. Le sue modestissime attività imprenditoriali non gli consentirono mai di avere a disposizione mezzi sufficienti a sviluppare le sue idee; la sfortuna si accanì su di lui con una malattia della moglie e con un grave incidente nel quale Meucci rimase coinvolto e che lo costrinse a lungo all’inattività. Durante questo periodo, sua moglie, rimasta senza mezzi, vendette per 5$ il suo apparecchio. Una volta guarito, egli tentò nel 1871 di ottenere un brevetto temporaneo, per il quale dovette farsi prestare i 20 $ necessari. Tentò anche di proporre la sua idea alla New York Telegraph Company, che però si dichiarò non interessata all’invenzione. La compagnia, nel cui laboratorio lavorava in quegli anni A. Bell, non gli restituì però mai più i suoi disegni, che risultarono misteriosamente perduti.
Quando Meucci seppe del brevetto di Bell del 1876 scrisse a Garibaldi: “Il telefono, che come tu sai io ho inventato, mi è stato rubato”.
Egli fece causa alla Bell Company, ma nel processo tenutosi nel 1885 il giudice gli diede torto. Meucci morì in povertà nel 1889, prima che si svolgesse il processo d’appello.

[3] Nello stesso giorno, poche ore dopo, fu presentato un brevetto per un congegno assai simile al telefono di Bell, da Elisha Gray, di Chicago, che aveva lavorato indipendentemente a questa idea. Negli anni successivi Bell e Gray si contesero in tribunale la paternità dell’invenzione, ma alla fine giunsero ad un compromesso.

[4] Il microfono era un dispositivo capace di variare la intensità della corrente prodotta da una batteria, in conformità all’intensità dei suoni captati. Prima di Hunnings e White, a cui viene da alcuni storici attribuita la prima invenzione, nel 1878, il professore italiano Augusto Righi aveva presentato all'Accademia delle Scienze di Bologna un microfono a polvere di carbone e d'argento che aveva consentito delle ottime trasmissioni fino a 50 Km di distanza. Il dispositivo non fu però brevettato; evidentemente non solo i poveri emigranti, come Meucci, ma neanche gli accademici italiani avevano un grande senso degli affari!

[5] La vicenda di Strowger è curiosa. Egli era un impresario di pompe funebri e pare che la sua invenzione sia stata sollecitata dal sospetto che la moglie di un suo concorrente, centralinista dei telefoni, deviasse verso il marito le chiamate dirette a lui, facendogli perdere i clienti.

Ultima modifica: lunedì 3 maggio 2004

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