Fra
le tante comodità del vivere moderno, le tele-comunicazioni sono quelle che
negli ultimi 10-15 anni hanno compiuto i progressi più impressionanti. Certo,
la grande e rapidissima diffusione dei telefoni cellulari è avvenuta quando ci
eravamo da tempo abituati ad una capillare presenza dei telefoni nella vita di
tutti i giorni, grazie a un sistema di telefonia fissa molto complesso ed
articolato, che si era formato e consolidato nel corso di circa un secolo.
L’entusiasmo con cui i telefoni cellulari sono stati accettati, e grazie al
quale si sono diffusi, può far sorgere la curiosità di sapere se l’introduzione
dei telefoni fissi sia stata altrettanto travolgente; questa domanda ci riporta
alle origini della storia del telefono, ed in particolare a quello che accadde
a Milano, a partire dai due decenni di fine ’800 che furono così pieni di
fermenti e trasformazioni in tutti gli aspetti tecnici del vivere moderno.
Diversi
storici della materia sono concordi nel sottolineare, che a differenza
dell’America, da cui il telefono proviene, e nella quale ebbe una
rapida diffusione, i suoi inizi in Europa non furono ovunque entusiasmanti.
Agli occhi del Vecchio Continente questo nuovo congegno appariva più come uno
strano giocattolo scientifico che come un apparecchio di qualche uso pratico;
gli europei si erano ormai abituati ad apparecchi telegrafici molto evoluti, e
mal tolleravano le frequenti defiances dei primi telefoni. Inoltre c’era
il fatto che i telefoni facevano potenzialmente concorrenza al telegrafo, e dunque allo Stato che ne aveva quasi ovunque il monopolio. Così per
esempio nel 1880 il governo inglese accusò la United Telephone Company di aver
violato il monopolio del telegrafo, definito in una legge del 1863, e la
costrinse a limitare il suo raggio di azione. Ciò non toglie che altrove
fossero i funzionari stessi delle Poste e Telegrafi ad intuire le potenzialità
del telefono; così, per esempio, i primi telefoni Bell vennero introdotti in
Germania dopo la pubblicazione su "Scientific American" di un
articolo che richiamò l'attenzione di Heinrich von Stephan, direttore del
Ministero Imperiale delle Poste, che ne favorì l'utilizzo per il collegamento
di uffici postali non dotati di telegrafo.
In
Francia la presentazione del telefono avvenne nel 1877 all'Accademia delle
Scienze e l'anno seguente all'Esposizione Universale di Parigi, senza però
convincere molto il pubblico; ancora nel 1881 alla Mostra Internazionale dell'Elettricità di Parigi, la lampada ad
incandescenza di Edison ricevette molta più attenzione del telefono.
I primordi del telefono a Milano
Il
fatto più importante per l'introduzione del telefono in Italia fu la presenza
all'Esposizione di Filadelfia del 1876 del prof. Giuseppe Colombo,
del Politecnico di Milano, e di due attivi imprenditori milanesi, i fratelli
Gerosa. Ritornato in patria Colombo presentò una
relazione sulla base della quale l'ing. Marco Maroni, capo dell'Ufficio
Telegrafi delle Ferrovie, costruì autonomamente e presentò a Milano, l’anno
successivo, il primo telefono italiano.
Nel
dicembre 1877, in un articolo sul giornale “La Perseveranza”, il prof. Colombo
scriveva:
“... ora non solo il telefono è già in uso, ma nella stessa Milano, grazie agli
studi di un nostro egregio cittadino, si poté avere la fortuna di constatarne
gli effetti, quasi nello stesso momento in cui l’apparecchio veniva
dall’inventore introdotto in Europa”.
Più
o meno nello stesso periodo, sempre a Milano, i fratelli Gerosa iniziarono a costruire telefoni su licenza Bell;
con uno di questi apparecchi fu effettuato il 30 dicembre 1877, un primo collegamento sperimentale. Così
ne riferiva il “Corriere della Sera”:
“I fratelli Gerosa fecero a Palazzo Marino un nuovo esperimento col telefono,
sistema Bell, di nuova loro costruzione… L’esperimento ebbe luogo fra il corpo
di guardia dei Pompieri nel suddetto palazzo Marino e la caserma comunale di
san Gerolamo, messi in comunicazione col filo telegrafico che serve per gli
incendi. La distanza si può calcolare in circa tre chilometri”.
Qualche
giorno dopo (3-4 gennaio 1878), sul giornale “Il Sole” , compariva questo annuncio
commerciale, che ci fornisce una sintetica descrizione di come funzionavano
questi primi apparecchi:
“Il
Telefono di recentissima invenzione è un apparecchio col quale si può
comunicare a voce per lunghissime distanze, e può così sostituire il telegrafo;
il suo maneggio è assai semplice. Un apparecchio doppio e completo consistendo
in due Telefoni, serve per parlare e per ricevere le risposte, senza bisogno di
pila, l’elettricità essendo sviluppata per induzione. Ogni apparecchio,
costruito dalla stessa fabbrica che li fornisce alla Direzione Telegrafi
dell’Impero Tedesco, costa con 20 metri di filo doppio, Lire 32. Ogni metro di
filo in più costa Cent. 30. Unico deposito in Milano presso la succursale
dell’EMPORIO FRANCO-ITALIANO, C. Finzi e C., in via S. Margherita 15, Casa
Gonzales. Contro vaglia postale di L. 32 si spedisce dappertutto bene imballato
e con relative istruzioni (porto a carico del committente).”
L’annuncio
sembra pubblicizzare un prodotto tedesco, ma come si è già accennato esisteva
anche una produzione locale, in quanto i fratelli Gerosa avevano iniziato a
costruire di apparecchi telefonici nella loro Officina di via Vittoria Colonna,
che sarebbe diventata il nucleo produttivo originario della Alcatel-Face, una
delle società più importanti per tutta la telefonia italiana[1].
Altri
esperimenti locali simili a quello citato di Milano furono effettuati nello
stesso periodo anche a Roma, Torino e Trieste, mentre la prima sperimentazione
ufficiale di telefonia interurbana avvenne il 28 febbraio 1878, con un
collegamento fra Roma e Tivoli, utilizzando la esistente linea telegrafica in
filo di ferro lunga 29 Km.
Le prime reti
telefoniche italiane furono tutte a breve raggio (la tecnica per il momento non
consentiva altro), e sviluppate nelle città più importanti quali Milano,
Bergamo, Bologna, Bari, Ferrara, Venezia. Si trattò di iniziative
gestite da privati che non ebbero vita facile né grande sviluppo prima della
fine dell’800.
Ritornando
a Milano, nonostante pochi giorni dopo il primo esperimento della fine del
1877 sul giornale “Il Sole” fosse comparso anche questo trafiletto:
“Il
sig. Reynolds, rappresentante del sig. Bell, l’inventore del telefono, avendo
ottenuto il brevetto di esclusività per l’Italia, si propone di formare una
Società Telefonica Italiana in principio di questo anno…”, bisognò
arrivare al maggio del 1881 per assistere alla costituzione, a poche
settimane di intervallo l’una dall’altra, di due società per l'esercizio
pubblico dei telefoni, la “Italo-Americana” con sede in via Orefici, e la
“Italiana”, con sede in piazza Filodrammatici.
Le due società, che nel 1884 si
fusero dando origine alla “Società Telefonica Lombarda” diretta da Edoardo
Gerosa, poterono iniziare ad operare in quanto dal 1 aprile di quell’anno il
ministro dei Lavori Pubblici aveva approvato il “Capitolato per le concessioni
del servizio telefonico all’interno delle città e loro sobborghi”; si trattava
del primo quadro legislativo su una materia che negli anni successivi trovò non
pochi impacci nel sistema delle concessioni statali, che avevano durate troppo
brevi (all’inizio solo tre anni) per indurre la concessionarie a realizzare
impianti durevoli (allo scadere delle concessioni era inoltre prevista
la cessione gratuita degli impianti allo Stato)[2].
Le
linee aeree stese dalle due società, costituite da fili di bronzo fosforoso o
di acciaio zincato da 3 mm, correvano sui tetti o lungo le facciate delle case
raggiungendo gli abbonati della città e dei dintorni e collegandoli con le
centrali di via Orefici, piazza Filodrammatici, via Palermo e via Sant'Andrea [3].
Gli
apparecchi telefonici forniti da queste società erano già più evoluti dei
primi telefoni di Bell, sopra descritti. Ogni abbonato della “Società
Italo-Americana” disponeva di un apparecchio dotato di un campanello
avvisatore e di una manovella con la quale si azionava il piccolo generatore
di corrente che serviva ad attivare il segnale di chiamata alla centrale; una
pila Leclanché, inoltre, alimentava il microfono. Quest'ultimo veniva appeso ad
una leva che manteneva il commutatore in posizione di riposo quando non si
voleva parlare, o di collegamento alla linea quando si sollevava il microfono
stesso per attivare una comunicazione. La
“Società Italiana” usava invece apparecchi in cui sia il campanello avvisatore
che il microfono venivano alimentate da pile voltaiche.
Il servizio di
commutazione nelle centrali era tutto svolto manualmente da donne che
lavoravano di fronte a speciali banchi, ognuno dei quali controllava 50
abbonati, ciascuno individuato da una piastrella di legno riportante il suo
numero. Quando un abbonato si metteva in comunicazione con la centrale la sua
piastrella si ribaltava: l'operatrice si accorgeva così della richiesta, si
faceva dire dall'abbonato con chi voleva collegarsi e procedeva alle necessarie
commutazioni per metterlo in contatto con la persona voluta. Se i due abbonati
appartenevano allo stesso banco l'operatrice non doveva far altro che
introdurre due "caviglie" (spinotti) uno nel posto corrispondente al
terminale del primo abbonato ed una in quello del secondo; se apparteneva ad un
altro banco doveva avvertire la sua collega in modo da mettere prima in
comunicazione i due banchi e poi ripetere la precedente operazione. Se poi
l'abbonato richiesto faceva capo ad un'altra centrale si provvedeva al
collegamento tramite un altro banco speciale ed un commutatore che era
denominato di tipo "svizzero", mediante il quale si poteva mettere il
contatto la stazione centrale con una qualsiasi delle succursali.
Nel
maggio 1884 venne attivato il servizio telefonico pubblico fra Milano e Monza
(distanza circa 20 Km), che costituiva la prima vera linea interurbana
italiana. I cavi seguivano il percorso della tramvia Milano-Monza. La tariffa
per la conversazione era di 50 centesimi ogni cinque minuti.
Per
un significativo sviluppo di linee interurbane bisognò comunque attendere
l’introduzione di perfezionamenti tecnici che superassero il problema della
notevole attenuazione dei segnali con la distanza. La “pupinizzazione”
(inventata da Pupin verso il 1900), consisteva nella introduzione di bobine di
induzione a distanze regolari (circa 1800 m) lungo i cavi; la
“kraruppizzazione” (inventata verso il 1902), consisteva nell’aumentare in
modo graduale l’induttanza della linea.
Successivamente, quando furono
disponibili le valvole termoioniche (l’invenzione del diodo è del 1904 e quella
del triodo del 1906), l’utilizzo degli amplificatori elettronici permise il
passaggio alla trasmissione con cavi interrati multicoppia, sui quali in poco
spazio potevano essere concentrate un gran numero di linee. Il perfezionamento
delle tecniche di costruzione e realizzazione di questi cavi fu uno degli
elementi fondamentali dello sviluppo della rete telefonica: infatti grandi
erano i vantaggi che essi consentivano, ma se il loro isolamento non era
perfetto si verificavano fenomeni di “diafonia”, cioè il passaggio di una
conversazione da una coppia di fili a un’altra.
Oltre
che nel campo delle apparecchiature telefoniche, Milano ebbe in questo senso
un’altra occasione per diventare un centro nodale dell’industria telefonica
italiana, in quanto la Pirelli (fondata nel 1878, e già leader nel campo dei
cavi telegrafici ed elettrici) coi suoi stabilimenti milanesi si affermò
rapidamente come il punto di riferimento industriale italiano[4]
nella produzione dei cavi telefonici.
Milano
nodo fondamentale della rete telefonica nazionale
Dopo
il 1900, a Milano e nel resto d'Italia, all'iniziale scarso coinvolgimento dello
Stato che aveva seguito una politica di concessioni ai privati subentrò un
programma di riscatto delle concessioni che gradualmente scadevano, così che,
già nel 1907[5], lo Stato
gestiva 173 linee interurbane contro le 81 ancora in mano ai privati. A Milano
passò alla Stato la “Società Telefonica Alta Italia”, che era a sua volta
subentrata, nel 1893, alla già citata Società Telefonica Lombarda.
La
gestione statale si dimostrò però onerosa e poco efficiente[6],
anche perché lo Stato aveva in genere rilevato impianti mal realizzati ed in
cattive condizioni di manutenzione; si preparò così il terreno per una nuova
inversione di rotta.
Si
dovette comunque attendere il 1923 per giungere ad un riassetto completo del
comparto telefonico nazionale che portò ad una parziale ri-privatizzazione del
servizio: lo Stato mantenne la sola gestione diretta della rete a grande
distanza, tramite l’Azienda di
Stato per i Servizi Telefonici, lasciando
ai privati la gestione delle reti urbane ed a media distanza. In
concomitanza con la nascita dell’azienda statale, ci fu anche una completa
riorganizzazione del comparto privato: scomparvero le 64 piccole società
telefoniche pre-esistenti e dal 1 luglio 1925 entrarono in funzione cinque
sole società pluri-regionali. Piemonte e
Lombardia vennero affidate alla STIPEL[7]
(Società Telefonica Interregionale Piemonte e Lombardia), sotto la cui
gestione Milano divenne un importante nodo telefonico.
Questo
riassetto diede un buon impulso alla telefonia italiana che ancora nei primi
anni ’20 era notevolmente indietro rispetto alle altre nazioni sviluppate (la
diffusione del telefono a Milano ed in Italia era ancora modestissima[8]).
Fra le altre cose, l’ammodernamento degli impianti fece calare drasticamente i
tempi di attesa per avere una chiamata, e le interruzioni per guasto.
Milano
fu interessata da importanti interventi tecnici: dapprima la costruzione della
prima centrale automatica[9]
cittadina, a Porta Romana, realizzata nel 1923 dalla Siemens Italiana
(utilizzando il sistema Strowger-Siemens), e poi la posa del cavo sotterraneo
Torino-Milano-Laghi che collegava i più importanti centri del Piemonte e della
Lombardia, allacciandosi nel contempo alla rete telefonica nazionale.
Anche
se oggi per noi può sembrare banale, gli utenti dovettero abituarsi a fare a
meno delle telefoniste (ad ogni modo, solo per le chiamate urbane), e diventare
“telefonisti di se stessi”, imparando a comporre il numero richiesto con il
disco combinatore ed a riconoscere i segnali di libero e occupato.
Così
un quotidiano di quei giorni informava i lettori della novità (da “L’Italia”, 23 marzo 1923):
“Nel
pomeriggio d’ieri è stata inaugurata la prima sottocentrale telefonica
automatica di porta Romana…
…Come
abbiamo potuto rilevare altra volta, cogli apparecchi automatici ogni abbonato
diventa telefonista di sé stesso…
…il
numero deve essere combinato esclusivamente col gancio alzato, perché il disco
non gira se il gancio è abbassato; appositi segnali acustici avvertono anche se
l’abbonato chiamato è libero o se è occupato. L’abbonato chiamato, se è libero,
riceve un avviso intermittente ogni due secondi. Durante la conversazione
nessuno può includersi per troncarla…
...per
ora solo gli abbonati compresi fra il 50.000 ed il 59.999 possono comunicare
fra di loro col sistema automatico. Tutte le altre comunicazioni si
stabiliscono componendo i seguenti numeri: 9 per i numeri ancora a sistema
manuale, 01 per le prenotazioni interurbane, 02 per l’ufficio informazioni, 03
per l’ufficio reclami.”
Bisogna
ricordare che queste iniziative avevano avuto la loro origine ancora nel 1917,
quando una commissione di studio presieduta dall’ing. Semenza aveva tracciato
le linee di sviluppo della telefonia italiana che sarebbero rimaste valide
fino a circa il 1930. Sulla base di questi studi Pirelli, Western e Tedeschi
(società di cavi torinese) avevano costituito un consorzio per promuovere lo
sviluppo delle reti telefoniche interurbane. Questo consorzio si era poi
trasformato, nel 1921, nella SIRTI (Società Italiana Reti Telefoniche
Interurbane) che negli anni ’20 svolse gran parte del lavoro di realizzazione
del piano Semenza, e più oltre, fino al 1943, realizzò i principali
collegamenti italiani a grande distanza, con cavi amplificati ed
apparecchiature prodotte in parte su licenza americana (Western Electric) ed in
parte su licenza tedesca (Siemens).
Le nuove società create dalla privatizzazione, investirono
discrete risorse nella promozione delle loro attività. Per esempio, per
migliorare le trasmissioni locali la STIPEL introdusse, nel 1928, il duplex (poi adottato anche dalle altre
compagnie telefoniche) che permise di estendere il servizio contenendo le
tariffe. Si cercò anche di riutilizzare al meglio il personale in esubero a
causa dell’introduzione dei sistemi di connessione automatica, offrendo nuovi
servizi agli abbonati. Nel 1928, per esempio, l’annuario degli abbonati
elencava 18 servizi a disposizione del pubblico, fra i quali la chiamata taxi,
la sveglia telefonica, le informazioni sugli orari dei mezzi pubblici e sulle
estrazioni del lotto, e la segreteria telefonica. Non mancarono anche gli
sforzi nel campo della comunicazione per cercare di migliorare i rapporti con
la clientela facendo comprendere la complessità del sistema telefonico.
Mentre gli apparecchi, gradualmente, assumevano le forme che
ci sarebbero poi state familiari per vari decenni, i servizi
telefonici acquistavano un peso sempre più grande per l’industria pubblica
nazionale, tanto che nel 1933, l'IRI, che era il
detentore dei pacchetti azionari di maggioranza della STIPEL, della TELVE e della TIMO, diede vita alla STET, Società Torinese Esercizi Telefonici.
Gli anni ’30 videro anche la sperimentazione e lo sviluppo
di nuove tecnologie di trasmissione dei segnali derivate dai progressi della
radio, che avrebbero col tempo liberato la rete telefonica dalla necessità dei
cavi. Fu così nel 1940 che da Milano si creò il primo collegamento con Roma
tramite un ponte-radio che aveva due sole stazioni ripetitrici, sul Monte
Cimone e sul Terminillo.
Al
termine della seconda guerra mondiale l’Italia si ritrovò con una rete locale e
nazionale gravemente danneggiata. Alla sua ricostruzione ed espansione
parteciparono attivamente le principali società telefoniche italiane che si
erano quasi tutte insediate a Milano: la SIEMENS, che doveva poi entrare nel
1950 nel gruppo statale IRI-STET, la FACE (Fabbrica Apparecchiature per
Comunicazioni Elettriche), che era stata fondata nel 1935 dalla Standard
Elettrica Italiana, l’AUTELCO (nata nel 1926 dalla americana Automatic
Electric). A queste bisogna aggiungere la ERICSON-FATME, che aveva sede a Roma.
A
Milano nacque anche nel 1946, per iniziativa dell’ing. Floriani, la TELETTRA
che ebbe inizialmente un ruolo importante nello sviluppo di nuove tecnologie di
trasmissione multipla su cavo ed in seguito diede un fondamentale contributo
alla realizzazione della rete dei ponti radio ed alla trasformazione del
sistema telefonico nazionale in una rete digitale, controllata da computers.
Il decollo dello sviluppo della rete telefonica italiana
avvenne a partire dagli anni ’60. Nel 1962 c’erano ancora solamente 8,5 apparecchi
ogni cento abitanti, ma l’inizio di una forte tendenza alla crescita era già
evidente dal fatto che le aziende non riuscivano a soddisfare le nuove
richieste e le attese per avere un telefono si allungavano[10].
Gli ingenti flussi migratori interni in atto in quegli anni fecero crescere
enormemente anche la richiesta di comunicazioni interurbane (che iniziarono ad
aumentare al ritmo del 15-20% all’anno). In venti anni gli abbonati al
telefono quadruplicarono, passando da 4,2 milioni a 16,5 milioni.
Val
la pena di ricordare anche alcuni dei numerosi riassetti societari, che hanno
accompagnato questo forte sviluppo:
- nel 1957: scaddero le concessioni trentennali approvate nel
1925. Lo Stato si accaparrò l'esercizio del servizio telefonico, stabilendo che
"le concessioni dei servizi telefonici ad uso pubblico possono essere
accordate solo a società per azioni, il cui
capitale sia direttamente o indirettamente posseduto dallo Stato".
Anche i pacchetti azionari della TETI e della SET confluirono nella STET.
- nel 1962, a seguito della nazionalizzazione delle aziende elettriche, la SIP
(Società Idroelettrica Piemontese) investì proficuamente i capitali provenienti dall’esproprio nel settore delle telecomunicazioni.
Così nella SIP, Società Italiana per
l'Esercizio Telefonico, confluirono le primitive cinque concessionarie. Il
servizio fu progressivamente razionalizzato per mezzo dell'unificazione delle
tecnologie e dell'estensione della teleselezione (conclusa nel 1970) su tutta
la penisola (l’Italia, fu il terzo paese europeo, dopo Olanda e Germania, a
completare il servizio di teleselezione automatica su scala nazionale).
- nel 1994: è avvenuto l'ultimo grande riassetto nel settore
delle telecomunicazioni, prima della nuova liberalizzazione del servizio: dall'unione
tra SIP, Telespazio, Intel e Sirrn è nata TELECOM ITALIA, gestore
unico del servizio telefonico (il cui monopolio è stato presto rotto, è storia
contemporanea, delle varie Wind, Infostrada, Tiscali, Tre, ecc).
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Breve storia del telefono (in italiano)
Breve storia del telefono (in inglese)