La
guerra tra Mario e Silla
Cosa
successe a Medhelan dal 196 a.C., quando cominciò a gravitare nell’orbe
romano? Inizialmente gli abitanti si limitarono a fare gli alleati, entrando
come ausiliari provinciali nell’esercito romano. La riforma della base del
reclutamento proposta nel 107 dal console Caio
Mario dovette conquistare l’Insubria alla causa del partito popolare da
lui rappresentato. Mario ammetteva per la prima volta i “proletari” al
servizio volontario e retribuito per sedici anni.
Quando
alla fine del 91 a.C. scoppiò la guerra tra Roma e i soci italici, Cn. Pompeo Strabone ricorse nell’anno 89 a un provvedimento d’urgenza,
la lex Pompeia de Transpadanis, per concedere il diritto
latino alla popolazione celtica cisalpina, onde assicurarsi il suo
appoggio o anche solo la neutralità. Vennero allo scopo individuate dieci
tribù (circoscrizioni) poco affollate, suscitando in ogni caso una vivace
opposizione a Roma. Mediolanum,
incluso il territorio di Como, venne iscritto nella tribù Oufentina. Lo stato di colonia latina permetteva a Mediolanum
di conservare le sue leggi, i suoi magistrati, la sua moneta, acquistando il
diritto di commercio. I coloni, fittizi
nel caso della nostra città, non godevano del diritto elettorale né passivo
né attivo a Roma, né potevano appellarsi al popolo romano contro le sentenze
dei magistrati.
Nello
scontro che seguì fra Mario e il rappresentante del Senato, Silla,
Mediolanum parteggiò per il perdente Mario. Non tutta la Cisalpina
si schierò con Mario (e ovviamente non tutti i mediolanensi) visto che nell’87
quando Mario e Cinna assediavano Roma, il Senato romano mandò a chiamare
aiuti in Cisalpina, dove erano disseminate le colonie romane da Rimini a
Cremona. Il rientro a Roma di Mario diede il via a feroci vendette contro la
nobiltà; il fatto che le teste dei senatori venissero esposte nel Foro,
pratica finora estranea ai Romani, ci fa supporre che tra i mariani fossero
presenti molti Celti.
Nell’anno
86, morto Mario e con Cinna dittatore, vennero finalmente eletti i censori che
dovevano registrare nelle tribù i nuovi cittadini. L’operazione procedette
per circa due anni, ponendo parimenti le basi per la centuriazione,
onde definire i confini amministrativi delle colonie. Ma i lavori s’interruppero
nuovamente per tre anni a causa del ritorno di Silla e del riaccendersi della
guerra civile.
Nuovamente
abbiamo notizie indirette della posizione filo-mariana assunta da Mediolanum,
perché Frontino nei suoi Stratagemata
(I 9,3) narra del massacro dei senatori
mediolanensi ad opera dei soldati del ventenne Cn. Pompeo, uno dei più valenti ed energici luogotenenti di Silla e
figlio di Pompeo Strabone. Le rappresaglie di Silla fecero impallidire quelle di Mario e si
avventarono particolarmente contro i membri più in vista dell’ordine
equestre, da sempre schierato nel partito mariano. Le esecuzioni romane si
riproposero infatti, seppur su scala minore, nelle città italiche che avevano
simpatizzato per il partito mariano. La “decapitazione” del senato
mediolanense fu comunque consolidata con la dichiarazione di inabilità e di
ineleggibilità ai pubblici uffici anche dei figli dei proscritti.
Silla,
per mantenere le promesse di donativi fatte alle sue truppe, confiscò le
proprietà fondarie dei mediolanensi che figuravano nelle sue liste, tra cui
quella di P. Valerio Catone, che
diventerà capo-scuola della corrente poetica dei neoteroi
(politicamente repubblicani), attivi a Roma all’epoca di Giulio Cesare. Non
bisogna dimenticare che era stato proprio Mario a far entrare nell’esercito
i proletari, che al congedo si attendevano dal generale il loro compenso.
La
centuriazione
Per
l’iscrizione a una tribù occorreva dimostrare il censo, che era a base
agraria. Onde uniformare il censo insubre con quello romano si dovette
procedere a una centuriazione, più a fini
contabili che per la resistemazione dei confini di proprietà o per la
deduzione di coloni. I Romani infatti evitavano di fare assegnazioni di terre
in località dove i campi erano già messi proficuamente a coltura e l’agro
milanese era già abbondantemente sfruttato nella parte settentrionale. La
nostra centuriazione fu probabilmente un censimento catastale in base a una
formula standard, senza escludere che potessero essere immessi sul mercato i
terreni intorno al santuario celtico e quelli meridionali impantanati e da
bonificare. La mappatura catastale ebbe inizio nell’anno 86 e procedette per
due anni, venendo sospesa fino all’anno 81, quando in Cisalpina, trasformata
in provincia, venne inviato un governatore. Era il momento del governo
aristocratico sillano, al quale Mediolanum
si era dimostrata così ostile da vedere estromessa tutta la sua
rappresentanza politica.
I
parametri per la centuriazione variavano entro una base standard di 20 x 20 actus (708 m), 20 x 21 actus
(708 m x 743 m) o di 21 x 21 actus. Il termine tecnico è quello di una “formula” per la
definizione dell’ampiezza delle sortes,
cioè dei lotti di terra, diversa a seconda della natura del suolo e dell’ampiezza
del territorio disponibile, tenuto conto che venivano assegnati solo lotti
effettivamente coltivabili. Stranamente per Mediolanum
non si è ancora potuto stabilire definitivamente la misura della centuria:
per il prof. Mirabella Roberti sarebbe di 20 x 21 actus, secondo i nostri calcoli sembrerebbe di 23 x 23 actus
(ca. 800 m di lato). E’ possibile quindi che nell’agro milanese la mancanza di
riconoscimento dei limiti delle centurie derivi dalla preesistenza di un
sistema di piccoli poderi difficilmente riconducibile alle formule, ma che un’operazione
di censimento catastale sia stata effettuata su base 23 x 23 actus, che assumerebbe un significato un po’ punitivo per i
possidenti insubri e vantaggioso per l’assegnazione di terre ai veterani.
Dato il particolare momento politico, una tale manovra da parte del Senato
romano potrebbe essere plausibile (ma in attesa di verifica).
Si
potrebbe rintracciare la centuriazione nelle immediate vicinanze di Mediolanum
nella zona poi nota come “Brera
guasta”,
estesa tra via Orti, via Lamarmora, via Commenda e nella zona di via Brera. “Brera”
o “braida”
in latino medievale risulta da una forma corrotta di “praedia”,
poderi, e potrebbe riferirsi agli appezzamenti della centuriazione, come
dimostrerebbe la maglia delle vie.
L’ascesa
di Pompeo Magno
Per
volere di Silla nell’81 a.C. la Cisalpina diventò infine provincia,
retta da un governatore al comando
di truppe - l’unico esercito armato presente sulla penisola italiana! -,
senza colleghi nell’esercizio della carica, non soggetto al controllo e al
veto dei tribuni, investito del supremo potere amministrativo, militare e
giudiziario. Il governatore apparteneva alla classe senatoria romana e portava
con sé la sua equipe di segretari, scribi, littori ed altri, costituendo il
primo nucleo di burocrazia statale in una provincia.
Ma
la pace non era ancora arrivata. Nel 78 M.
Emilio Lepido, eletto console con l’assenso di Silla, nel cui partito
militava, propose la restituzione agli ex-proscritti delle terre confiscate a
favore dei sillani e fomentò una rivolta
nella Cisalpina, avvalendosi del governatore M.
Giunio Bruto. Dobbiamo intendere che il partito popolare era ancora molto
forte nella Cisalpina e che i due abbandonarono il partito aristocratico
appena ne intravvidero la possibilità? Non bisogna dimenticare che Giunio
Bruto (il padre del futuro tirannicida) disponeva dell’unico esercito
regolare armato nella penisola italica. Per rinsaldare la base della sua
allenza Lepido avanzò la proposta di estendere
la cittadinanza romana ai Transpadani, come era stato fatto nell’89 per
i Cispadani liberi, ma perché la legge passasse bisognerà attendere il 49
a.C.
Rientrò
in campo Pompeo Magno, che nel 77 sconfisse Bruto a Modena, facendolo
giustiziare. Com’è possibile che la colonia “mariana” di Mediolanum
si sia convertita successivamente alla fedeltà verso Pompeo, macchiatosi
anche dell’eliminazione del suo senato? Pompeo viene così definito:
Uomo
di poche idee costruttive e fondamentalmente incline al conservatorismo, la
sua ambizione personale non si spingeva gran che oltre la mira di conseguire
la fama di generale provetto e la posizione onorifica di princeps
in seno alla classe dirigente della Repubblica.
La conversione di Pompeo al partito democratico era avvenuta per motivi di
opportunismo, soprattutto in seguito ai rovesci subiti in Spagna contro l’esercito
mariano di Sertorio, e quindi una motivazione
ideologica gli era del tutto estranea. Ma forse fu solamente il suo appoggio agli equites,
che sembrano essere stata la classe sociale più importante di Mediolanum,
ad assicurargli quella fedeltà che si protrarrà alla memoria fino ai tempi
di Augusto.
Dal
punto di vista politico e culturale cosa comportò per i mediolanensi lo
statuto provinciale e il diritto latino? Che i notabili celti esercitando la
magistratura delle colonie prendevano la cittadinanza
romana, venendo inseriti nelle liste elettorali della tribù Oufentina.
S’impegnavano a sostenere militarmente il Senato romano e a rispettarne le
leggi, anche se la colonia manteneva il diritto che le era proprio. Nonostante
non ci fosse l’obbligo, gli Insubri decisero di sospendere la coniazione della dracma padana per unificarsi
al sistema monetario romano.
Il
governatorato di Aulo Gabinio
Al
primo consolato di Pompeo Magno è legata localmente la memoria dell’amministrazione
di Aulo Gabinio, al quale viene attribuita la “ri-fondazione”
della città romana, dopo la civilizzazione portata dal console Marcello. La memoria ha tipicamente stravolto il fatto storico, per cui
riesce particolarmente difficile capire quando e cosa effettivamente successe.
Se
la presenza di Aulo Gabinio in Cisalpina è legata al consolato di Pompeo, l’anno
non può che essere stato il 70 a.C., perché durante il secondo consolato
pompeiano Gabinio era proconsole in Siria e durante il terzo, nel 52, era in
esilio per accuse di peculato. Verrà richiamato da Cesare nel 49 per
combattere contro i pompeiani e morirà l’anno dopo a Salona. Per fare il
governatore in una provincia occorreva appartenere al rango senatoriale come
censo. La funzione del governatore era quella di assicurare l’ordine
pubblico, amministrare la giustizia, sorvegliando la vita religiosa e il
funzionamento dei templi, garantire la riscossione delle imposte e proteggere
i confini, per cui si può pensare che la carica doveva essere assegnata solo
a persone già avanti nel cursus honorum.
L’anno
70 a.C. s’inserisce in un periodo molto alto perché si realizzino tutte le
opere che la storiografia locale gli attribuisce. Senza pretendere di dare
validità storica alla tradizione, vediamo cosa dovrebbe essere stato
realizzato da questo personaggio enigmaticamente popolare a Mediolanum,
dal momento che le sue mire sembravano rivolte solo verso l’Oriente.
Il
primo a citare Gabinio fu il trecentesco
Flos florum, secondo il quale questo “governatore” diede alla
metropoli celtica la dignità di una città romana e il Besta aggiunge che
ciò avvenne sotto il consolato di Pompeo
Magno:
ad
imitationem magnae Romae inter muros civitatis plura palatia erexit et
aedificia ut capitolium, theatrum,
ippodromium, compitum, verzarium
et harena.
Il
compitum
L’accenno
al compitum, che non è un edificio
ma un luogo che indica un crocicchio, data la rilevanza conferitagli nel testo
ci rimanda alla definizione sacrale della prima pianta di Mediolanum,
conseguente alla centuriazione da poco avviata e forse ancora in atto.
La
centuriazione avveniva secondo un procedimento incentrato sull’incrocio
ortogonale di assi, che partivano da un punto di riferimento nella campagna, e
da un orientamento che non frazionasse il territorio (ad es. il corso dei
fiumi o il crinale di monti). Il punto di partenza veniva definito l’umbelicus
e l’incrocio delle ortogonali riceveva un carattere sacrale, il compitum. Fortunatamente è rimasto tale toponimo nell’area di via S.
Paolo in Compito, che coincide anche con l’antica intersezione di due assi
viari celtici, quello per Brescia e quello per Pavia. Oltre al toponimo, che
per altro significa normalmente anche solo crocevia, non è rimasto niente che
giustifichi la nostra ipotesi, cioè che da quel punto sia iniziata la
delimitazione delle mura di Mediolanum.
Sempre
facendo ricorso al corpo di leggende, il compitum
era rimasto nella nostra memoria collettiva per i giochi che vi si svolgevano
annualmente. Il Grazioli, concorde nell’assegnare l’istituzione dei giochi
a Gabinio, aggiunge che i giochi si celebravano nel
giorno seguente le kalende di gennaio ad onore dei Lari o per quelli che erano
morti in pellegrinaggio.
I
Compitalia
erano una festa di capodanno mobile, annoverata fra i sacra popularia, una festa rionale in onore delle entità
protettrici del territorio, cioè degli antenati degli attuali abitanti (nel
nostro caso gli Insubri). Due chiese avevano mantenuto il titolo di “in
compito”: S. Paolo, all’angolo
tra l’omonima via e corso Vitt. Emanuele, e S.
Martino, verso piazza Beccaria. Data l’usanza milanese di esaugurare
edifici pagani dedicandoli a S. Martino, potrebbe indicare la posizione della
cappella ai Lares Viales, mentre S.
Paolo indicherebbe la presenza di un cippo, forse a ricordo del punto dal
quale si iniziò la costruzione delle prime mura romane.
Ci
sono comunque alcune considerazioni da fare: il 70 a.C. sembra a confronto con
le altre città cisalpine un periodo molto precoce per un’operazione del
genere; le mura non sono emerse in tutto il loro perimetro, il che lascia
intendere che, seppure si tracciò il solco e s’iniziò a costruirle, le
mura non vennero completate, forse a causa dei rivolgimenti politici del
periodo.
La curia
e il Capitolium
Secondo
la testimonianza del Sironi, Aulo Gabinio fece costruire un
Il viridarium
Sempre
a quest’epoca risalirebbe la delimitazione di parchi e giardini, che per
tutta l’età celtica avevano costituito un tutt’uno con il tessuto
abitativo - eccezion fatta per i boschi sacri. Scrive Benzo Alessandrino che
il viridarium era
quasi
paradisus diversis insitum arboribus amoenum erat iuxta
moenia civitatis, ubi consules et senatores sua corpora recreabant, in quo
fructum et florum immensa divrsitas aviumque inclusarum...clarissima melodia.
In medio erat ydolum Februae dii
Martis genitricis sedens in aureo throno, quae super apparatum bellorum
responsa dabat: hic loco hodie vulgo Verzarium
dicitur.
Il
Verziere nel Quattrocento si trovava in piazza Fontana, a ridosso della Porta
Tonsa romana. Più difficile è capire donde sia pervenuta a Benzo la leggenda
che Februa desse responsi per la guerra.
Concludendo,
cosa possiamo accettare di quanto la tradizione assegna al “fondatore”
Gabinio? Con molta circospezione gli si può riconoscere una delimitazione
sacrale della città e il Capitolium; ci sembrano invece databili all’età
augustea la sede dei seviri augustali, il teatro e i giochi compitali, per non
parlare ovviamente dell’arena e del circo, costruzioni posteriori anche all’impero
augusteo.
Altri
governatori della Cisalpina
Per
quanto riguarda i governatori della Cisalpina, disponiamo di testimonianze
storiche che vengono assolutamente ignorate dalla memoria locale, mentre
alcuni che non hanno mai ricoperto tale carica - e non ci stupirebbe se anche
Aulo Gabinio rientrasse nella categoria - vengono incensati e ricoperti di
meriti.
Marco
Giunio Bruto,
padre del tirannicida, fu governatore nel 78 a.C., cadendo vittima della
ribellione di M. Emilio Lepido contro Silla. Ma Mediolanum
non lo ricorda e della famiglia elogia solo il figlio tirannicida.
Nel
74 è proconsole della Cisalpina C.
Aurelio Cotta, l’anno successivo impegnato nelle guerre mitridatiche, ma
ignorato dagli storici locali. Tra il 66 e il 65 aveva ricoperto la carica Cn.
Calpurnio Pisone, un “giovane sventato” secondo la lapidaria sentenza
degli storici.
Non
si può dire lo stesso di M. Tullio
Cicerone, console nel 63, rimasto nella memoria collettiva mediolanese
senza che abbia effettivamente ricoperto la carica di governatore:
Milano
fu governata da Cicerone, che
chiama i Galli i migliori e più virtuosi cittadini della repubblica, fior d’Italia
e sostiene che le colonie e i municipio dell’Insubria vivevano in
meravigliosa concordia, sostegno e ornamento principale di Roma.
M.
Tullio Cicerone, nativo della stessa città di Mario e appartenente all’ordine
equestre, cioè di quei ricchi uomini d'affari che ambivano elevarsi ai ranghi
della vecchia aristocrazia; fu dall’inizio della sua carriera un uomo di
Pompeo. La frase citata da C. Cantù si riferisce agli anni successivi alla
sua vittoria su Catilina (63 a.C.), quando si dedicò a realizzare il
programma ideale di riconciliare la nobiltà senatoria e l’ordine equestre (concordia
ordinum). Mentre riservava a se stesso il ruolo di ispiratore, chi doveva
presiederlo era Pompeo.
Il
governatorato di C. Giulio Cesare
Cesare
fu eletto console nel 59 a.C. Prima del termine della carica cercò il mezzo
per disporre di un esercito proprio quale eventuale punto di forza contro gli
altri due colleghi Pompeo e Crasso. Per questa ragione ottenne a partire dal
1° marzo 59 per cinque anni - violando il principio dell’annualità degli
incarichi proconsolari - il governo della Cisalpina, dell’Illiria e della
Gallia Transalpina, disponendo così di un esercito armato che gli permetteva
di intervenire rapidamente nella capitale. Dal 59 al 55 a.C. fu quindi governatore
nella Cisalpina, che utilizzò come punto di appoggio e di reclutamento
per la guerra gallica, facendosi prorogare il mandato per altri cinque anni,
fino al 50 a.C.
Cesare non terminò tranquillamente il suo mandato perché Pompeo era risoluto
a fermarne l’ascesa e con una deliberazione senatoria gli intimò di
lasciare entro il 1° luglio 49 la provincia della Gallia, pena essere
dichiarato “nemico della patria”. Il 13
gennaio 49 Cesare passava il Rubicone e dava inizio alla sua dittatura,
entrando il 1° aprile a Roma.
Il
senato mediolanese insorse nuovamente, sdegnato per l’usurpazione delle
libertà repubblicane. A nulla valse la legge che l’11
marzo 49 L. Roscio Fabato,
partigiano di Cesare, fece approvare per concedere la cittadinanza
romana ai Transpadani. La promozione era un’altra volta un modo per
farsi alleati i Cisalpini e reperire fondi per sferrare l’attacco decisivo a
Pompeo, rifugiato a Salonicco. Mediolanum
non perdonò a Cesare la morte di Pompeo, avvenuta nel 48 in Egitto, per
ordine dei consiglieri di Tolomeo XIII appartenenti alle famigerate truppe
gabiniane. Indicativa di questa avversione a Cesare è anche la formazione a
Roma del gruppo di neoteroi o poeti nuovi, di origine Cisalpina. Liberi
e spregiudicati mentre innovavano lo stile poetico non perdevano occasione per
satireggiare contro Cesare.
Appena
stabilizzato al potere, oltre ad immettere nel Senato romano molti homines
novi provenienti dai municipi italici, Cesare vi portò anche notabili
dalla Cisalpina, coi quali contava di fare una breccia nel fronte pompeiano.
Ma Mediolanum rimproverò a Cesare di aver concesso più
attenzione a Como (Novo-Comum), staccandola dalla capitale insubre e così limitando l’egemonia
che Mediolanum esercitava all’interno
della tribù Oufentina.
La
Lex Julia Municipalis servì a
fissare le norme per il funzionamento dei municipi italici; a molti
provinciali devoti a Cesare venne concesso il rango di senatore e la
cittadinanza romana, al fine di accelerare la romanizzazione delle province.
Il Senato romano raggiunse il numero spropositato di mille senatori.
Il primo provvedimento fu comunque quello di amnistiare i pompeiani, con esiti
molto diversi. Mentre ad esempio Catone Uticense preferì suicidarsi piuttosto
che scendere a compromessi con Cesare, Cicerone e il nipote dell’Uticense,
Marco Giunio Bruto, accettarono l’amnistia. E sarà proprio Bruto, il futuro
tirannicida, a ottenere da Cesare il governo della Cisalpina nel 46 a.C.,
succedendo a Marco Calidio, governatore nel 47. Questo è anche l’anno in
cui Cesare scrisse la Guerra civile,
pubblicata postuma, con la quale si proponeva di dare un valore super
partes alla sua guerra e di fare di se stesso un eroe positivo nella
tragedia che, “contro la sua volontà”, aveva sconvolto l’Italia. Nelle
sue memorie attribuisce ai nobili e a Pompeo tutta la responsabilità dell’inizio
e della prosecuzione della guerra civile, per cui la fine di Pompeo appare
come un’inevitabile punizione. Il ritratto di Pompeo dato da Cesare è
complesso, ambiguo, perché l’immagine stessa dell’uomo, dell’antico amico (e complice)
diventato avversario e nemico, ha vissuto ambigua nella mente di Cesare ed è
rimasta politicamente e storicamente irrisolta.
Il foro
E’
Giulio Cesare che istituisce il modello del foro, realizzando a Roma il forum Julium, un’area rettangolare di 160 m x 75 m, orientato
SE-NO, fiancheggiato da botteghe, con a un’estremità il tempio di Venus
Genitrix, che conteneva la statua della dea realizzata dallo scultore
neo-attico Arkesilaos e dipinti di Timomachos di Bisanzio. La trovata
urbanistica s’imporrà e verrà letta a Roma più come manifestazione del
potere monarchico che come soluzione per il disbrigo delle faccende
municipali.
Dopo
Farsalo Cesare attuò una politica di clemenza nei confronti dei pompeiani. Nel
46 nominò governatore per la Cisalpina Marco Giunio Bruto, che successe
nell’incarico a Marco Calidio.
Bruto,
secondo il racconto di Plutarco, godette a Milano di notevole celebrità:
Si
dimentica spesso che la cultura plurisecolare di un popolo non si
sradica come un albero e che la cultura colonizzatrice si sovrappone a
fatica nel corso di decenni, ma difficilmente cancella il preesistente, che
arriva diluito in dosi omeopatiche ma ancora efficiente fino ai nostri giorni.
La
cultura celtica vantava una tradizione orale di poesia, storia, religione,
astronomia, medicina, costumi e l’uso del diritto privato nella risoluzione
delle controversie, da concentrarsi soprattutto in occasione delle grandi
feste. Tutto ciò dovette cambiare gradualmente ma radicalmente a partire dal
momento in cui Medhelan divenne una colonia latina.
La giustizia
Fu il settore che subì i cambiamenti più radicali: le controversie si
risolvevano verbalmente davanti a un giudice nel foro che stava in piedi per i
processi privati o in un tribunale fornito di sedili per le cause penali. A
partire dall’inizio del III sec. a.C. Roma aveva pubblicato un formulario
giuridico, del quale i pontefici erano in origine i custodi. A Medhelan l’area riservata alle controversie era stata probabilmente il brolo, uno
spazio aperto di fianco a un laghetto attraversato da un ponte. Bisognava
cambiare tutto. Dall’età cesariana c’erano due magistrati romani a
decidere sulle liti, e non stentiamo a immaginare la fatica che dovettero fare
per imporre il diritto pubblico sulla voglia di farsi giustizia da soli
seppure sotto l’occhio vigile dei druidi.
La
religione
Questo è un argomento di tale complessità da risultare per forza riduttivo e
approssimativo l’accenno che qui facciamo. Il concetto fondamentale è che
la religione romana esisteva solo a Roma o dove stavano cittadini romani
maggiorenni e con pieni diritti civili. Fintanto che Mediolanum
fu una colonia di diritto latino, gli unici ad essere autorizzati a celebrare
secondo il rituale romano erano i governatori col loro seguito (esclusi
ovviamente i servi) e gli Insubri che, per aver rivestito una carica pubblica,
avevano ricevuto la cittadinanza romana. La città rimaneva nel suo insieme
territorio straniero per il pantheon romano, che vi aveva una specie di “consolato”.
Così detta dal fiume Ufente nel territorio di Priverno, tribù costituita
nel 318 a.C. nel territorio dei Volsci.
Il provvedimento legislativo di
Pompeo Strabone fu seguito nell’88 da quello del tribuno P.
Sulpicio Rufo, sostenitore di Mario, che ripartiva tutti gli Italici che
avevano ottenuto la cittadinanza romana con la guerra sociale in
tutte le preesistenti 35 tribù. La proposta, che mirava a trattare i nuovi cives in modo equo, provocò nel Senato romano la proclamazione
dello iustitium, ossia della
sospensione generale degli affari pubblici come in caso di invasione!
Plutarco,
Vite parallele, Pompeo, 8: “Pompeo accorse in Gallia (Cisalpina), ove
compì prodezze ammirevoli... straordinarie”.
Un actus
= 120 piedi romani = da 35,174 m a 34,5 m. Un piede romano varia da 0,2931 m
a 0,2875 m. La centuria di 23 x 23 actus
equivale a 654.517 mq. La pianta augustea di Torino era di 19 x 21 actus; il
territorio centuriato a nord-est di Padova era di 20 x 20 actus (Archeo,
gennaio 1993, p. 27)
Mirabella
Roberti, Milano romana,
Milano 1984, nota 17, p. 21. Il calcolo di 23 actus
di lato si basa sulla misura del perimetro delle mura urbiche. U.
Tocchetti Pollini conferma che, mentre per la Lombardia orientale e per la
Lomellina non è stato possibile riconoscere il tracciato della
centuriazione, per il territorio di Milano e Como si sono incontrate più
difficoltà. Cfr. L’avviamento del fenomeno urbano, op. cit., p. 116.
M.
Giunio Bruto aveva sposato Servilia,
figlia di Quinto Servilio Cepione, la cui famiglia si era distinta per l’appoggio
agli Italici nella guerra sociale.
M.
Cary-H.H. Scullard, Storia di
Roma, II, Il Mulino, Bologna 1981, p. 119.
Ottenuto con la minaccia dell’esercito il consolato nel 70 a.C., senza
aver seguito il cursus honorum,
Pompeo si rivolse a M. Terenzio
Varrone, l’uomo più erudito di questo periodo, perché gli stendesse
un pro-memoria su come si doveva presiedere il Senato.
Troviamo un’analoga attribuzione dell’impianto murario a Pompeo Magno per Verona, Pavia, Lodi e Alba nelle rispettive
tradizioni locali, mentre dal punto di vista giuridico ed archeologico si è
preferito spostare il tutto all’età cesariana, quando le colonie latine
cisalpine divennero municipi romani. Anche per Bergamo si parla di un primo
assetto territoriale verso l’89 a.C. senza attribuzioni specifiche (U.
Tocchetti Pollini, L’avvio
del fenomeno urbano, op. cit., pp. 116, 124).
Il
giovane Gabinio venne inviato nell’anno 83 da Silla nel Ponto a soccorrere
Licinio Murena che aveva proditoriamente rotto la pace stipulata con re
Mitridate. L’esperienza segnò Gabinio, che impostò la sua carriera con l’obiettivo
di tornare in Oriente. Il suo consolato nel 58 ebbe come unico scopo quello
di farsi assegnare la Siria dietro pressione di Cesare, in cambio della
condanna di Cicerone. Dal 57 al 55 lo vediamo brigare nella provincia di
Siria per rimettere sul trono d’Egitto Tolomeo Aulete, a protezione del
quale lasciò la sua guardia gabiniana, un esercito raccogliticcio e
pericoloso, colpevole dell’assasinio di Pompeo nel 48.
Flos florum, cap. 131, f.
110.
Anche a Bergamo l’incrocio di cardo e decumano è ricordato dalla Torre
del Gòmbito.
Grazioli,
De praeclaris, p. 212; C.
Torre, Ritratto di Milano,
p. 357.
Il pomerio
in origine era un ampio circuito, appunto di forma circolare come le capanne
preistoriche, per indicare che la città era la casa comune. Varrone fa
derivare urbs da orbis, “cerchio”
e da urvum, “curvo”. Per il
rapporto tra religione e urbanistica cfr. Mario Torelli - Pierre Gros,
Storia dell'urbanistica. Il mondo romano, Laterza Bari 1988, pp. 19-23.
Milano
tecnica, op. cit., p. 22.
M.
Bolla, Le necropoli romane di
Milano, Milano 1988, pp. 62-63, tav. XXXIII.
U.
Tocchetti Pollini, L’avviamento
del fenomeno urbano, op. cit., pp. 129-130. Questa somiglianza riapre la
questione irrisolta per Como di un impianto urbano all’epoca di Pompeo,
che potrebbe essere il Magno invece del padre Strabone. Sarebbe interessante
il confronto con le fondazioni della cerchia urbana in conglomerato di
ciottoli messe in luce a Laus Pompeia.
P.
Tozzi, Caratteristiche e problemi di viabilità, op. cit., p. 69; Storia
di Milano, I, 495-6.
E’
interessante questo inciso, perché ci informa sulla possibile ubicazione
della sede dei seviri augustali,
magistratura istituita da Augusto.
Besta,
op. cit., p. 128. La tradizione è quella di Galvano Fiamma, che fu il primo
a parlarne.
Torre,
op. cit., p. 360.
Per
una strana coincidenza oggi esistono un obitorio e l’ospedale proprio
sulla stessa area.
D.
Caporusso, Nuovi scavi
archeologici, in Bollettino d’Arte, 43 (1987), pp. 68-69.
G.
Fiamma, Chronicon extravagans, fol. 45, cap. 40.
Marte è il primogenito di Giove e Giunone, che qui viene detta “Februa”.
Benzo
Alessandrino, op. cit., p. 27
Cantù,
op. cit., p. 3. Nell’orazione Pro
Fronteio 16, 31 però Cicerone la pensa diversamente da come vorrebbe il
Cantù: “Guardateli esibirsi nel foro, pieni di allegria, di arroganza,
minacciandoci, ispirando paura con la sonorità terribile della loro lingua
barbara...”.
Famosi sono rimasti i versi del veronese Catullo;
meno conosciuti i lavori di Elvio
Cinna, del cremonese M. Furio
Bibaculo, avverso anche ad Augusto, di Valerio
Catone, il capo-gruppo, che aveva perso i suoi beni nella guerra sillana,
autore di un poema perso sulla storia di Britomarto.
Cesare dà le mura a Novo-Comum
poco dopo il 59 a.C. deducendovi 5000 coloni, di cui 500 greco-siculi. Il
perimetro era quello di un rettangolo di m 445 x 650.
P.G.
Michelotto, Milano romana: dai
Celti all’età imperiale, in Storia illustrata di Milano, p. 12;
Giorgio Luraschi, Aspetti di vita pubblica nella Como dei Plini, Como 1986,
p. 9.
G.
Ferrara, introduzione a G.
Cesare, La guerra civile, Rizzoli, Milano, 6a ed. 1996, p. 18.
R.
Bianchi Bandinelli, L’arte
romana, Editori Riuniti, Roma 1984, p. 35.
Giorgio
Giulini, Sopra l’anfiteatro
di Milano, Milano, Agnelli, 1757, p. 15.
Lo
troviamo citato nel De situ (X
secolo), in Landolfo seniore; Benzo Alessandrino lo dice “secretus
locus publicum”.
G.
Fiamma, Chronicon majus, fol. 109, cap. 263.
Plutarco, Vite parallele, Bruto, 6.
Romussi,
op. cit., p. 30. La fonte è Plutarco,
Vite parallele, Dione-Bruto, 5. Il
partito “pompeiano” doveva essere forte in tutta la Cisalpina se Augusto
definiva scherzosamente il suo storico patavino Tito Livio “pompeiano”,
ossia filo-repubblicano e ammiratore di Bruto (M.
Grant, Letteratura romana,
pp. 129-130).
J.
Scheid, La religione di Roma, UL Bari 1993, pp. 14, 17.
J.
Scheid, op. cit., pp. 59-60.
C.I.L., V, da 5786 a 5791.
Strabone, morto nel 20 d.C., fornisce i dati fino all’età augustea.
Cesare,
De bello gallico, IV, 5
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