Filippo Maria Visconti
di Maria Grazia Tolfo
“Se…”, ovvero come ti condiziona un tema natale
Filippo Maria, ultimo dei Visconti a governare il Ducato, sia che fosse per educazione o per sensibilità
personale sia che fosse solo per moda, non mosse passo senza un pronostico favorevole. Molte delle sue decisioni politiche, inspiegabili con qualsiasi logica, andrebbero rilette
sulla griglia degli influssi astrali fausti o infausti. E’ noto l’episodio del 1431 in cui si rifiutò d’incontrare l’imperatore Sigismondo che
attendeva a Milano di ricevere la corona di re d’Italia, solo perché gli astri sconsigliavano iniziative politiche.
Filippo Maria era nato nel castello di Porta Giovia a Milano il 23 settembre 1392, un lunedì “verso il sesto minuto dopo il levar
del sole”, così dice il suo biografo Pier Candido Decembrio
e così lo riferiamo per gli appassionati dei temi natali. La madre, Caterina
Visconti, aveva avuto diverse gravidanze abortite, anche a causa della consanguineità che la legava al marito Gian Galeazzo. Gli
astrologi dello Studio di Pavia (Giovanni Campari, Pietro da Sarzana, Giovanni di Catalogna, Luchino Pietrasanta, Tommasino Codronchi, Stefano da Seregno) dovettero essere un po’
perplessi per qualche aspetto non proprio positivo degli astri, perché il loro responso fu “se fosse giunto alla maturità, avrebbe di molto superato ogni retaggio di
gloria della famiglia”. Dietro questo “se” si nascondevano ombre minacciose, pericoli mortali che potevano venire da malattie come da … assassini, e gli astri “inclinano,
non necessitano”, per cui qualche smagliatura nelle trame del Destino si poteva anche creare.
Il medico che lo aveva fatto nascere, Giovanni Francesco de Balbis, per compiacere forse il Duca Gian
Galeazzo, lo aveva dichiarato sano e di robusta costituzione. Poiché invece il bambino godeva – si fa per dire – di pessima salute, il dottor de Balbis incolpò
“certe lunghe febbri” che avevano indebolito il piccolo, “a tal punto che per la magrezza gli si vedevano solo le ossa e appariva la spina dorsale congiunta al torace. Per
molti anni, data una debolezza congenita, dovette portare il collo spalmato da uno strato di cera” (cap. LVI). Come se non bastasse, il rachitismo gli deformò i piedi che non
erano in grado di sostenerlo per lungo tempo, costringendolo da bambino a camminare sorretto da cinghie e da adulto a usare un bastone o ad appoggiarsi a qualcuno. Quel “se”,
come un tarlo malefico, scavò un buco nella psiche di Filippo Maria che divenne presto una voragine a causa della prematura scomparsa di entrambi i genitori.
Alla morte del padre nel 1402, Filippo Maria aveva dieci anni e abbastanza consapevolezza da vedere la sua vita in continuo pericolo
per i torbidi che accompagnarono la reggenza della sua amata ma dissennata mamma Caterina. Per motivi di sicurezza – Milano era preda di guerre civili -, il minore dei Visconti
fu inviato al Castello di Pavia, città di cui era conte, sotto il controllo di Castellino Beccaria, membro della più illustre famiglia del luogo, e di Marziano da Tortona (Marziano de’ Rampini da S. Aloisio), figura esemplare
di pedagogo, studioso e astrologo. Studiò anche con Giovanni di Thiene che, secondo il Decembrio, badava più all’educazione morale che a quella letteraria. Quando nel 1410 Facino
Cane s’impadronì anche di Pavia, Filippo Maria sembrava aver toccato il fondo della sua esistenza: “di giorno in giorno
sempre più trascurato e trasandato, spesso vagolava solo per la città, occupato in faccende da individuo comune”. Filippo Maria non dimenticherà e sarà pronto a saldare il
debito con la vedova di Facino, Beatrice, sposandola per poi farla giustiziare nel 1418.
Medico? Se è anche astrologo è meglio
Marziano da Tortona morì nel 1425, lasciando il suo pupillo in balìa di altri personaggi non meno infarciti di sapere astrologico,
ossia i medici di cui si circondava il Duca. A detta del Decembrio, Filippo Maria era iatro- ma non farmaco-dipendente (cap. LVII): “Stava
uccellando e, chiamato il medico, insisteva per sapere la ragione di quella fitta alla testa o al petto… Oppure, trattandosi di un dolore nuovo, perché lo avesse provato. Quanto
alle medicine che gli venivano prescritte, al momento di prenderle, le faceva portare in giro di qua e di là, poi, chiamato il pranzo, diceva che il loro momento era passato.”
La quantità di medici che ebbe al suo servizio è davvero impressionante, ma forse non supera quello che consuterebbe oggidì un capo di stato.
Pietro Lapini da Montalcino era stato medico dell’anti-papa Giovanni XXIII, ossia del cardinale Cossa, ma deposto dal
Concilio di Costanza nel 1415. Due anni dopo il Lapini si spostò al servizio di Filippo Maria, per il quale svolse missioni diplomatiche, ma
per lo più rimase a Pavia dove insegnò nel locale Studio.
Nel 1428, anno del suo secondo e non meno sfortunato matrimonio con Maria di Savoia, Filippo Maria era
assistito dai medici-astrologi Luigi Terzaghi e Stefano Fantucci di Siena, secondo il principio che due e meglio di uno, anche perché la diffidenza era forte e le
precauzioni infinite.
Dieci anni dopo fece venire nel Ducato Elia di Sabbato, un professionista di grido, il migliore sulla piazza resosi disponibile
grazie all’incresciosa proliferazione degli anti-papi. Il soggiorno di Elia a Milano durò sei anni, poi nel 1444 tornò nelle Marche, lasciando il suo “mecenate” in una
condizione fisica ed economica disastrosa. Negli ultimi anni era entrato nelle grazie di Filippo Maria Antonio Bernareggi, che oltre ad essere suo medico-astrologo
personale, era anche alchimista. Ebbe una cattedra per l’insegnamento nello Studio di Pavia, ma soprattutto dovette fornire gli ultimi pronostici all’ormai sfatto Duca. Lo
assistette nelle cure Filippo Pellizzone, milanese, che “non gliele mandava a dire”, sfidando la incommensurabile suscettibilità ducale.
Il duca non permetteva a nessuno di presentarsi al suo cospetto con colori scuri e lui stesso si vestiva di rosso porpora o di bianco. Le scarpe “militari” erano di
due colori diversi: bianca la destra, ametista la sinistra. Quando la sua stazza enorme gli impedì del tutto i movimenti, vestì alla turca, con un kaftano lungo fino ai piedi e
con una sorta di turbante in testa che non abbandova mai.
Una cieca fede negli astri
Anche in un’età così disincantata come la nostra, l’interrogazione delle stelle non ha perso il suo fascino – gli affari che ruotano intorno
al mondo dell’astrologia sono vertiginosi -, ma a nessuno (speriamo) verrebbe in mente di sostituire un’analisi del sangue o una TAC con un’osservazione sui transiti nel tema
natale. Interrogati ancora sulla Fortuna, gli astri hanno perso il loro valore predittivo sulla salute. Ma nell’antichità l’esame degli aspetti planetari e stellari era il
primo che si faceva.
La “bibbia” era Tolomeo; il suo III libro dei Pronostici al capitolo 13 elencava le malattie croniche e le posizioni
planetarie pericolose per la salute. Ne diamo un piccolo esempio, invitando chi fosse interessato a leggerlo, visto che è ancora ristampato.
“Per stabilire un quadro generale, bisogna osservare in particolare il Discendente e il segno che tramonta immediatamente prima (a 150°
dall’Ascendente). Se Marte e/o Saturno transitano sui gradi immediatamente seguenti i luoghi citati o vi proiettano raggi in quadratura/opposizione, lasciano supporre malattie e
affezioni somatiche. I segni zodiacali che comprendono la parte afflitta all’orizzonte indicano la parte del corpo che verrà colpita. Saturno presiede all’orecchio destro, la
milza, la vescica, la flemma, le ossa; Giove gli organi di tatto, i polmoni, le arterie, lo sperma; Marte l’orecchio sinistro, i reni, le vene, i genitali; il Sole gli organi
della vista, il cervello, il cuore, i nervi e tutta la parte destra; Venere gli organi dell’olfatto, il fegato e la carne; Mercurio il linguaggio, i riflessi, la lingua, la bile,
il sedere; la Luna gli organi del gusto, la gola, lo stomaco, il ventre, l’utero e tutte la parte sinistra (…) Per un’analisi particolareggiata sono state oggetto di
osservazioni speciali certe configurazioni planetarie, cause di malattie croniche, per via degli effetti che si accompagnano in linea di massima al ripetersi delle posizioni. Per
esempio: cecità a un occhio si verifica col semplice transito della Luna, congiunta o opposta al Sole su uno degli angoli suddetti
(…) Entrambi gli occhi saranno colpiti quando Marte e Saturno formano aspetti con Sole e Luna congiunti nello stesso segno oppure anche in opposizione: Marte provoca cecità per
colpi, urti, ferro e scottature; se è in aspetto con Mercurio, l’incidente avrà luogo nelle palestre o in aggressioni di delinquenti. Saturno invece provoca cecità per
cataratta, gelo, glaucomi e simili accidenti”.
Basta così, è solo un esempio che spiega come il superstizioso Filippo Maria, forse minato da un tema natale non proprio
favorevole, ritrovasse negli astri la spiegazione delle proprie malattie. Ciò non toglie che nel 1445 Filippo Maria diventasse prima orbo e poi completamente cieco, situazione
insostenibile per una personalità paranoica come la sua.
“Guerre stellari”
Il Quattrocento, pur nella sua crudeltà e precarietà di vita, è l’ultimo secolo dei sognatori e delle favole. I
prìncipi si sfidano a duello lanciandosi il guanto, gli eserciti pongono assedi che sembrano campeggi estivi, le alleanze hanno la mobilità delle nuvole a marzo e, soprattutto,
gli astrologi, come gli antichi Magi, sono impegnati a indovinare ciò che le stelle esigono, sconsigliano, facilitano. Se il Duca di Milano fu totalmente e acriticamente asservito
agli astri, non dimentichiamo che si trovava in buona compagnia e che gli Estensi, ad esempio, lo superavano.
Ciò premesso, sentiamo cosa scriveva il nostro testimone privilegiato al cap. LXVIII della sua
biografia su Filippo Maria: “Concedeva tanto credito agli astrologi e all’astrologia come scienza da far venire a sé i più esperti di
tale disciplina e dal non prendere quasi nessuna iniziativa se non dopo averli consultati. Dietro le istruzioni di costoro, sceglieva i giorni adatti alla guerra, quelli alla
pace, e investigava quali fossero i migliori per mettersi in viaggio e quali per riposare. Progettando alcunché di crudele o di grande, li aveva a consiglieri e dava loro
retta fin nei minimi particolari. Non so dire se si comportasse così per insipienza o piuttosto per ragionamento, né per quale altra ragione s’inducesse a simili credulità.
E’ da ritenere che sul pregiudizio di una indeclinabile fatalità abbia finito col convincersi che tutto succedeva per destino: motivo per cui andava continuamente dicendo
che le cose non avvengono mai secondo la loro progettazione. Sul punto di mettersi per acqua, intanto differiva il viaggio per più di qualche giorno; poi, come in un demoralizzato
contendere dell’animo, giungeva davanti all’imbarcazione in atteggiamento attonito, stupefatto; e altrettanto faceva dovendo montare a cavallo. Durante il novilunio, soleva
nascondersi nelle stanze interne; chiuso in un assoluto, incredibile silenzio, teneva lontani da sé i magistrati, e non affidava ai suoi nessuna risposta, per nessuno. Lo stesso
atteggiamento, lo prendeva durante il plenilunio, seppur con minore rigidità. Nella biblioteca di Pavia conservava un orologio, opera quasi
divina, la più degna di memoria tra tutte quelle del nostro tempo, costruita da Giovanni padovano, nella quale si potevano distinguere i moti dei sette pianeti. Appunto per trarne
le relative indicazioni Filippo Maria lo teneva sempre in funzione.”
Se dai commenti fin qui seguiti del Decembrio avete ricavato
l’impressione di un suo scetticismo nei confronti dell’astrologia, ricredetevi. Mentre il biografo è pronto a sorridere della superstizione o credulonità del Duca, non esita
a riconoscere per le sconfitte belliche il potere profetico degli astri (cap. LXIX): “Mirabile certamente, e tale da stupirne, il fatto che tutte le sconfitte dei suoi eserciti,
dopo essere state previste o almeno intuite, si siano verificate in un giorno stabilito (…) Fu notato che simili pronostici avevano preceduto esattamente di sei mesi le
sconfitte, e che il mercoledì, a questo proposito, si era rivelato giornata in particolar modo triste e infausta.” Riuscite a immaginare, dopo un’osservazione così
“scientificamente” statistica, come si paralizzasse Filippo Maria per i sei mesi successivi a un pronostico sfavorevole?
Un mondo di presagi
Pier Candido Decembrio nella sua biografia segue in maniera puntuale la traccia delle Vite dei Cesari di Svetonio, che
puntualizza sempre i segni attraverso i quali il Destino si lascia leggere. Il cap. LXVII è dedicato a queste letture superstiziose del Duca: “Qualora in sogno gli si fosse
presentato un presagio sfavorevole, da sveglio si dava a scongiurarlo. Perciò, rivolto ad oriente, supplicava a voce sommessa: modo di preghiera che veniva detto secretum;
quindi si girava verso occidente; infine alle rimanenti parti del cielo”. Cap. LXVII: “Fece tagliare i sorbi dovunque si trovassero, asserendo di aver appreso che la loro ombra
era un incentivo di peste… Ordinò di sterminare tutti i corvi… Se per sbaglio gli capitava di infilare la scarpa sinistra invece della destra, lo considerava pessimo auspicio.
Altra ragione di timore: sentir cantare gli uccelli in modi insoliti, specie di notte. Infausto imbattersi di venerdì in qualcuno che si fosse rapato, o catturare il mattino con
le mani uccelli, o montare a cavallo nella festa di S. Giovanni Decollato”. Poiché temeva più di tutti i temporali, “fece coniare una medaglia d’oro raffigurante i moti
dell’etere tenuti lontani per virtù degli astri”. Cos’altro si poteva fare in mancanza di parafulmini?
La biografia di Filippo Maria si conclude con i segni che, per
tre anni, annunciarono la sua imminente morte, ma questo passo più che mai è untopo letterario (cap. LXX): “Per tre anni, prima che Filippo Maria morisse,
si susseguirono singolari presagi della sua fine. A Milano la sala principale della reggia avita andò crollando nel corso di una sola giornata senza che nessuno se ne accorgesse.
Poco prima che Filippo Maria morisse, a notte fonda, senza nessuno a sfondarle, crollarono le porte del palazzo ducale. E’ da dire però
che maggiori e più chiari presagi s’erano registrati al momento della morte di suo padre, Gian Galeazzo. Infatti, prima che
s’infirmasse, una stella chiomata, di quelle che vengono dette comete, per tre mesi continui rifulse apparendo sul tramontar del sole; e sul perdurare della malattia, a sua volta
perdurò, e appena lui morì, disparve.”
Ultima modifica: martedì 14 gennaio 2003
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