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 Il Sestiere di Porta Romana

La basilica Apostolorum

di Maria Grazia Tolfo

 

La progettazione del 382 d.C.

Nei progetti del vescovo Ambrogio e del suo pupillo, il giovane imperatore Graziano, la via trionfale doveva esplicitamente riferirsi a Roma, ognuno con una diversa motivazione: per Graziano si trattava di emulare Costantino e di conferire alle tradizioni romane un volto cristiano; per Ambrogio si trattava di sottolineare la fedeltà alla chiesa pietrina e quindi alla fede nicea, nella sua perenne e instancabile lotta per la supremazia sul cristianesimo ariano.

A modello per la basilica trionfale milanese venne scelta la basilica Apostolorum sulla via Appia, dalla quale papa Damaso avrebbe inviato dei brandea (stoffe) venuti in contatto con le reliquie degli apostoli Pietro e Paolo.
Oltre a sottolineare il primato della cattedra di S. Pietro e il rapporto di fedeltà indiscutibile con la chiesa romana e il suo vescovo, Ambrogio aveva una ragione particolare per amare la basilica Apostolorum romana: vi era il sepolcro gentilizio degli Urani, la famiglia del padre, nel quale era sepolta la sua parente Sotere, vergine velata di vita esemplare e perciò in odore di santità[1].

Basilica Apostolorum di Roma (poi di S. Sebastiano). Così sarebbe dovuta apparire anche la basilica Apostolorum di Milano annessa alla via trionfale

Nei progetti la basilica milanese avrebbe dovuto presentarsi a navata unica, delle stesse dimensioni di quella romana, con l’abside separata dal presbiterio da un triforio (fornice tripartito) per creare un sacello, altare al centro della navata, sulla quale si aprivano due mausolei parimenti separati dalla navata centrale da trifori; i mausolei equivalevano anche per dimensioni al mausoleo (singolo) della basilica romana.

Nei piani di Graziano c’era forse l’intenzione di avere il proprio mausoleo in questa basilica, come potrebbe suggerire l’uso del triforio, elemento architettonico tipico dell’ingresso alle celle funerarie.
Purtroppo Graziano morì assassinato nel 383 da quelli che, con ottica scevra da particolarismi, potremmo definire “patrioti” romani, che non avevano apprezzato i suoi decreti a favore del cattolicesimo. Il vescovo Ambrogio si adoperò affinché il corpo di Graziano gli fosse restituito, ma il giovane imperatore non verrà sepolto a Milano.

Dal 384 al 386, anno della consacrazione, il vescovo milanese operò un cambio di rotta nel simbolismo della pianta della basilica trionfale, rinunciando al deambulatorio e realizzando la prima basilica a croce libera dell’occidente cattolico, consapevole della provocazione che innescava nei confronti dei cristiani ariani, avversi al simbolismo della croce. Pur essendogli venuto a mancare il sostegno di papa Damaso, morto nel 384, Ambrogio ribadì la sua assoluta fedeltà alla cattedra di Roma nella persona di papa Siricio (384-399).

Per valutare pienamente la trasformazione ci rifacciamo agli studi di Francesco Tolotti sulle basiliche paleocristiane dedicate agli Apostoli a Roma, Milano, Como e Verona. Qui di seguito vediamo il disegno delle piante delle basiliche di Roma e di Milano messe a confronto, nel rispetto delle proporzioni dei due edifici. E’ facile comprendere come il deambulatorio, ampio quanto le absidiole dei bracci, decadde in fase di realizzazione, rinunciando al raccordo con la via porticata. L’insieme risultò meno elegante e funzionale ma molto simbolico, liberando da ogni camuffamento la croce nella pianta.

Confronto tra le basiliche Apostolorum di Roma e di Milano (da F. Tolotti, in Ambrogio e la cruciforme, p. 115). Le dimensioni della basilica milanese sono: corpo longitudinale lungh. 56 m e largh. 14,20; ogni braccio del transetto misura in lungh. 18,50 m e in largh. 14,20; gli emicicli hanno un diametro di 6 m; altezza della navata 13,15 m.

 

La consacrazione del 386

Nonostante fosse nata come basilica del trionfo imperiale, la realizzazione della basilica Apostolorum rimase probabilmente solo a carico della chiesa cattolica. Considerando i periodi di inattività dovuti alle turbolenze degli anni successivi alla morte di Graziano e il cambio di progetto, la costruzione poté procedere coi materiali di recupero dei vecchi edifici pagani del foro, demoliti in seguito ai decreti imperiali.

La navata, larga un quarto della lunghezza, rimase quella progettata inizialmente. Il modulo era 4 quadrati in lunghezza più l’abside e tre nel transetto.

Rinunciando al deambulatorio e trasformando i mausolei previsti per i membri della corte imperiale in bracci del transetto, Ambrogio trasformò la pianta in crux capitata (croce libera), un modello applicato per il momento solo nelle basiliche volute da Costantino a Betlemme e a Costantinopoli[2].

Il modello di riferimento ideale divenne l’Apostoleion di Costantinopoli, costruito mezzo secolo prima. Possiamo conoscere l’Apostoleion costantiniano grazie a Eusebio, che ne descrive l’interno: cruciforme, con un tamburo sulla crociera sotto il quale si trovava il recinto del presbiterio; all’interno della recinzione era l’altare con accanto il sarcofago dell’imperatore (traslato nel 359 in un mausoleo) e dodici stele in onore degli Apostoli. Nel 359 erano state deposte nell’altare le reliquie di tre apostoli.

Apostoleion di Costantinopoli, fondata da Costantino (ricostruzione ipotetica secondo Hans Christ, Ambrogio e la cruciforme, p. 36)

La consacrazione della basilica avvenne sabato 9 maggio 386, data che leggiamo ugualmente polemica nei confronti di quella parte ariana dell’esercito che non si voleva inizialmente turbare, dal momento che la festa delle “forze armate” si svolgeva il 10 maggio con i giochi in onore di Marte (festa dei vessilli)[3]. Non si era ancora persa l’eco della guerra civile che era scoppiata a Milano tra il vescovo cattolico e la corte imperiale ariana rappresentata dall’imperatrice Giustina per l’assegnazione delle basiliche in occasione della Pasqua. Dobbiamo quindi immaginare la città spaccata pericolosamente in due, la corte con l’esercito nella festa laica, il vescovo coi fedeli alla basilica Apostolorum, entrambi a gareggiare per occupare la via trionfale!

Secondo una tradizione medievale, le reliquie – dei brandea o pezzi di stoffa venuti a contatto con gli apostoli Pietro e Paolo – arrivarono a Milano portate da un anziano e autorevole prete romano, Simpliciano, destinato a succedere ad Ambrogio sulla cattedra vescovile di Milano nel segno dell’obbedienza a Roma[4].

Ambrogio compose un inno dedicato agli apostoli Pietro e Paolo, che si cantò per la prima volta in occasione della festa dei due santi, il 29 giugno 386[5]. Tra le strofe che sottolineano il primato del soglio di Pietro vi sono la 6° “Hinc Roma celsum verticem/ devotionis extulit,/ fondata tali sanguine,/ et vate tanto nobilis. ” e l’8° “Prodire quis mundum putet, concorrere plebem poli, electa gentium caput, sedes magisteri gentium[6].

Secondo una tradizione arrivata fino ai nostri giorni, il vescovo con tutto il clero metropolitano, si portavano alla basilica Apostolorum al vespro del 28 giugno, considerato giorno di digiuno, e per la solenne funzione del giorno successivo. Dopo il vangelo della messa, il vescovo milanese teneva la sua omelia o ne concedeva l’onore a un ospite, come accadde con Gaudenzio, vescovo di Brescia e suo prestigioso suffraganeo.

Dal canto suo, Siricio ribadiva la missione del papa romano nella Chiesa: “L’apostolo Pietro in persona sopravvive nel vescovo di Roma. Se il papa porta il peso di tutti coloro che hanno bisogno del suo appoggio, non dubito che il beato apostolo Pietro non porti con lui e in lui questo peso formidabile”[7].

Lo sfortunato pupillo Graziano e il trionfo cristiano vennero censurati nella memoria, anche perché l’esercito, composto in prevalenza da ariani, ben difficilmente avrebbero accettato di celebrare un trionfo in una basilica così palesemente cattolica.

Abbandonata ogni prudenza, la basilica si presentava al momento della sua consacrazione con una inequivocabile pianta a croce libera, la crux capitata, simbolismo sottolineato da Ambrogio nel caso che a qualcuno fosse sfuggita la sua intenzionalità.

 

La riconsacrazione del 395

Il ministerio di Ambrogio fu tutt’altro che pacifico e la sua presenza a Milano si fece veramente precaria, più volte a rischio di perdere la vita e sempre con la spina nel fianco del vescovo ariano imposto dalla corte. Dovette scontrarsi con l’imperatrice vedova Giustina, ariana; con usurpatori pagani; con il cattolicissimo imperatore Teodosio, insofferente alle ingerenze del vescovo milanese, succeduto a un giovane Valentiniano II, che Ambrogio aveva sperato di manovrare negli interessi cattolici e per questo nuovamente assassinato.

Il vescovo milanese, pur sofferente di una grave malattia degenerativa, che lo obbligava a letto con febbri devastanti, ebbe però più a cuore della sua vita il destino della chiesa cattolica e della sua diocesi.

Dopo la morte dell’imperatore Teodosio, avvenuta a Milano nel gennaio 395, tutte le conquiste che pensava di aver stabilizzato sembravano essere messe nuovamente in discussione per il fatto che l‘undicenne imperatore Onorio, figlio di Teodosio, era sotto la tutela del generale vandalo Stilicone. Unica sua alleata sembrò essere la moglie del generale e figlia adottiva di Teodosio, Serena.

I tumulti degli ariani scoppiati nell’aprile 395 e appoggiati da Silicone, l’incombere dei barbari che si erano spinti all’interno dell’impero come un’epidemia mortifera che dilaghi senza possibilità di cure, l’assenza di un imperatore dalla corte milanese, avevano destabilizzato la città e messo in serio pericolo l’esistenza del vescovo e dei suoi fedeli.

Ambrogio dimostrò un’altra volta come riuscisse a far leva sull’ingenuità dei fedeli per recuperare l’unità intorno al loro vescovo. Formidabile conoscitore diremmo oggi dei mass-media, tirò fuori il jolly di un’ “inventio” che consolidasse il suo potere presso il giovane Onorio e il consenso popolare, nell’eventualità che il generale Silicone, tutore insieme alla moglie Serena del giovane sovrano, spostasse il favore della corte nuovamente verso l’arianesimo.

Seguiamo la narrazione di Paolino, biografo di Ambrogio e testimone oculare.

32.2. Esumato il corpo del santo martire Nazaro sepolto in un cimitero fuori della città, lo trasferì nella basilica degli Apostoli, che è a Porta Romana. 3. E noi vedemmo nel sepolcro, ove giaceva il corpo del martire – di cui fino ad oggi non possiamo sapere quando abbia compiuto la Passione -, il suo sangue ancora così fresco, quasi fosse stato versato in quello stesso giorno, ed anche il suo capo, ch’era stato reciso dagli empi, così integro e incorrotto con i capelli e la barba, da sembrarci lavato e composto nel sepolcro nel momento stesso in cui fu esumato. 4. E perché stupirsi, se il Signore aveva già promesso nel Vangelo che non un capello del loro capo andrà perduto? Ed anche fummo avvolti da tal profumo, che vinceva la soavità di tutti gli aromi.

33.1. Esumato il corpo del martire e compostolo in una lettiga, subito ci dirigemmo con il santo vescovo al luogo di sepoltura del santo martire Celso, nel medesimo cimitero, per farvi un’orazione. Sappiamo che egli non aveva mai pregato prima d’allora in quel posto; ma se il santo vescovo si fosse recato a pregare in un luogo dove non era mai stato per l’innanzi, ciò significava che gli era stato rivelato un martire. 2. Apprendemmo poi dai custodi di quel luogo che era stata data loro dai genitori e dagli avi tale consegna, di non abbandonare mai quel sito per tutta la loro generazione e progenie, perché vi erano riposti grandi tesori… 3. Traslato dunque il corpo del martire nella basilica degli Apostoli, dove il giorno avanti erano state deposte le reliquie degli Apostoli tra la più profonda devozione di tutti, …[8]

 

Il cadavere di questo anonimo decapitato, affidato alle cure dei custodi cimiteriali, preso il nome di Nazaro e assurto – questo sì – miracolosamente al ruolo di santo, venne tumulato con tutti gli onori nell’abside, dove era stata predisposta (per Teodosio?) una cella memoriae, rialzata di alcuni gradini e col catino decorato con una croce a mosaico.
Il testo si commenta da sé, ma a noi premeva sottolineare che Paolino era stato testimone della deposizione il 9 maggio 395 delle reliquie degli Apostoli.

Si ebbe quindi una duplice dedica della basilica trionfale: nell’anniversario della prima dedica del 386, il 9 maggio, si collocarono sotto l’altare le reliquie dei santi Giovanni, Tomaso e Andrea prelevate dall’Apostoleion di Costantinopoli in nome del nuovo imperatore Onorio[9]; il 10 maggio si deposero le reliquie di Nazaro nella tomba già scavata nell’abside della basilica e rimasta vuota. L’imperatore Teodosio verrà infatti sepolto nell’Apostoleion di Costantinopoli pochi mesi dopo, nel novembre 395, per cui le reliquie inviate a Milano dovevano sottolineare la continuità dinastica con i discendenti (si fa per dire) di Costantino e di Teodosio, tramite il giovane Onorio.

Ambrogio stesso dettò un’epigrafe[10], la prima e l’unica composta dal vescovo per una sua basilica, la cui traduzione recita:

Ambrogio ha fondato il tempio e lo ha consacrato al Signore con il nome degli Apostoli e con il dono delle loro reliquie.
Il tempio ha la forma della croce, il tempio rappresenta la vittoria di Cristo: la sacra immagine trionfale contrassegna il luogo.
All’estremità del tempio è Nazaro dalla vita santa e il pavimento è nobilitato dalle spoglie del martire. Là dove la croce ha legato il sacro capo piegandosi a cerchio, qui è l’estremità del tempio e la dimora per Nazaro che, vincitore per la sua fede, gode per la pace eterna.
Colui per il quale la croce fu palma di vittoria, nella croce è accolto”.
[11]

 

Gaudenzio, vescovo di Brescia, particolarmente vicino ad Ambrogio che cominciava a dare segni di cedimento, ebbe in dono brandea degli Apostoli e sanguinem gypso collectum dei martiri Gervaso e Protaso e Nazaro, con cui consacrare la bresciana basilica Concilia Sanctorum sulla via per Milano. Tenne nel giugno 396 l’omelia in occasione della festa di Pietro e Paolo nella basilica milanese, in sostituzione di Ambrogio che aveva ormai grosse difficoltà a parlare a causa della calcificazione della laringe.

Dittico con Serena, il figlio Eucherio e il generale Stilicone

All’inizio del 397 Serena volle fare un gesto di assoluta deferenza verso Ambrogio, offrendo i marmi libici per ornare l’abside centrale dove si trovava la cella memoriae contenente i resti del “martire” Nazaro. L’offerta appariva come ex voto per il ritorno del marito Stilicone dalla guerra contro Alarico. L’epigrafe con cui immortalava il suo voto è sfortunatamente persa, ma nota attraverso una trascrizione:

Dove situati per cavo regresso sorgono i tetti
e della sacrata croce s’inflette a cerchio il capo
Nazaro di vita immacolata integro corpo è nascosto.
Esulta che questo sia del tumulo il luogo
Che il pio Ambrogio segnò con l’immagine di Cristo.
Con marmi libici Serena fiduciosa orna
Per gioire lieta del ritorno del coniuge Stilicone
Dei suoi fratelli e dei suoi figli
[12].

Questo favore della sorte durò molto poco…

 

Divisione funzionale degli spazi interni

Pianta

La basilica era stata progettata insieme alla via trionfale. Il modulo era il quadrato. Si entrava in chiesa da un atrio che riproponeva le stesse dimensioni della navata interna fino all’incrocio col transetto (2 quadrati). Svolgeva la stessa funzione di spazio destinato ai non battezzati o ai non cattolici delle altre basiliche cattoliche.

Assonometria e planimetria della basilica Apostolorum di Milano

 

Entrato in chiesa, il pubblico si distribuiva lungo la navata unica, larga 14,20 m e lunga 28 m, con un soffitto a cassettoni sostenuto dalle capriate. Durante i restauri l’arch. E. Villa individuò sopra l’arcone d’ingresso al braccio destro del transetto l’impronta dell’attacco dei cassettoni una quota di 13,15 metri dal piano di calpestio originario, mentre nei bracci del transetto il soffitto era di poco superiore agli arconi. La navata doveva essere rischiarata da finestre regolarmente distribuite nella parte superiore, i bracci del transetto e l’abside, previsti con funzione di mausolei, si dovevano presentare con luce più attenuata.

Nel quadrato centrale si trovava la recinzione che conteneva l’altare maggiore, sormontato dal ciborio al quale appendere la corona votiva; da qui si accedeva ai bracci del transetto attraverso i trifori (ottenuti con colonne e capitelli di recupero da edifici pubblici pagani smantellati[13]), dai quali pendevano delle cortine con funzione isolante. Si trattava di edifici con funzione di mausoleo, ma non è escluso che servissero da cappella nelle celebrazioni della messa per la corte o che si prestassero a creare spazi di preghiera più raccolti. Ogni braccio era dotato di due absidiole simmetriche, destinate alle sepolture dei dignitari e alle agapi di commemorazione. Terminavano con una testata piana (absidata solo nei rifacimenti romanici).
Il clero si accomodava oltre la recinzione e l’abside.

Il pavimento dell’intera basilica era in opus sectile bianco e nero, come in tutte le basiliche lombarde paleocristiane.
Sopraelevata rispetto al presbiterio e chiusa da un triforium si trovava infine l’abside centrale, destinata in origine a essere una cella memoriae per la sepoltura forse di un imperatore, dal 395 divenuta l’ultima dimora di Nazaro.

Gli altari

Il punto centrale della basilica era l’altare, fulcro della liturgia. Nato in origine come tavolo in legno per l’agape serale, l’altare si era trasformato nel IV secolo in arredo di pietra e aveva preso il nome di tumba se conteneva le reliquie dei martiri o dei confessori. Da mensa intorno alla quale si disponevano i fedeli, l’altare era diventato un oggetto sacro inaccessibile al pubblico, anche per evitare manomissioni per sottrarre le preziose reliquie.

Poiché l’altare maggiore acquistò un significato esclusivamente sacramentale, era recintato e avvicinabile solo dal clero, si crearono altari laterali sui quali deporre le offerte o da utilizzare per le agapi.

Nella cella memoriae, la tomba che custodiva le reliquie di S. Nazaro emergeva dal pavimento con una cassa di marmo, ancora in situ in occasione della visita pastorale del vescovo Carlo Borromeo del 25 luglio 1567, che nella sua relazione scrive: “A tergo dicti altaris estat arca lapidea seu marmorea super terram constructam in signum corporis divi Nazarii”.[14]

Col tempo la presenza di reliquie nell’altare divenne indispensabile, il segno distintivo di una basilica. Ma non era così facile procurarsene e quindi o ci si accontentava di semplici oggetti posti a contatto con tombe di martiri (olio di lampada, fazzolettini, schegge di legno, ecc.) o con un po’ di spregiudicatezza – il fine giustifica i mezzi? -  si “inventavano” i martiri…

 

segue - ritorna



[1] Ambrogio e la cruciforme…, p. 306. Sotere è citata da Ambrogio ad esempio e con orgoglio nelle sue lettere e un suo ritratto ideale verrà inserito nei mosaici absidali della basilica Ambrosiana.

[2] Un altro modello a croce greca libera era il martyrium di S. Babila presso Antiochia, costruito nel 381.

[3] Il primo accenno alla consacrazione della basilica è in una lettera di Ambrogio a sua sorella Marcellina, scritta verso il 20 giugno 386, su come aveva risolto la crisi suscitata dalla sua richiesta di essere sepolto sotto l’altare della basilica Martyrum, in procinto di essere consacrata. Siccome molti gli avevano risposto di mettere piuttosto sotto l’altare reliquie di martiri “come aveva già fatto con la basilica Romana”, il 17 giugno Ambrogio aveva trovato ad hoc i corpi dei “martiri” Gervaso e Protaso coi quali aveva dedicato la basilica Ambrosiana venerdì 19 giugno 386.

[4] Il primo accenno a Simpliciano quale latore delle reliquie apostoliche lo si ha in Landolfo Seniore nella Cronaca milanese del secolo XI, troppo tardo per essere assolutamente credibile.

[5] Non entriamo nel merito della effettiva paternità di Ambrogio nella composizione di questo inno, che gli è stato attribuito per motivi linguistici e stilistici. Cfr. Gino Molon, S. Ambrogio. I suoi inni, NED 1996, pp. 146-150 in latino con testo a fronte in quattro diverse traduzioni in italiano e i relativi brani tratti dalla predicazione del vescovo Ambrogio.

[6] 6°: “Si leva Roma al vertice / per la pietà credibile, / con questo sangue è celebre /, con tanto vate è nobile”.
8°: “La folla è incontenibile: dal ciel venir t’immagini. E’ scelta Roma a cattedra e a capo d’ogni popolo”, Molon, p. 146.

[7] Nazareno Fabbretti, I vescovi di Roma. Breve storia dei Papi, Edizioni Paoline, Cinisello B. 1986, p. 59.

[8] Abbiamo seguito Vita di Ambrogio in Vite dei santi a cura di Christine Mohrmann, Fondazione Lorenzo Valla/ Arnoldo Mondatori, 1989, pp. 95-97.

[9] Martyrologium Hieronymianum, anno 450, P.L. 30, 449 e ss. : “Mediolano de ingressu reliquiarum Apostolorum Iohannis Andrete et Thomae in basilica ad portam Romanam”. La confusione è fatta con il 386, quando invece la consacrazione venne fatta con le reliquie degli apostoli Pietro e Paolo.

[10] Attualmente è visibile nella basilica una copia ottocentesca.

[11] Epigrafi, Milano 1971, trad. I. Gualandri (presso la Sacrestia della basilica di S. Nazaro)

[12] Ambrogio e la cruciforme.., pp. 229, 319.

[13] Sono rimaste quattro colonne, due in granito grigio e due in granito rosa, riposte dopo i restauri dietro l’abside della basilica.

[14] Ripreso da F. Tolotti in Ambrogio e la cruciforme, p. 125.

Ultima modifica: domenica 4 febbraio 2007

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