La progettazione del 382 d.C.
Nei progetti del vescovo Ambrogio e del suo pupillo, il
giovane imperatore Graziano, la via trionfale doveva esplicitamente riferirsi a
Roma, ognuno con una diversa motivazione: per Graziano si trattava di emulare
Costantino e di conferire alle tradizioni romane un volto cristiano; per
Ambrogio si trattava di sottolineare la fedeltà alla chiesa pietrina e quindi
alla fede nicea, nella sua perenne e instancabile lotta per la supremazia sul cristianesimo ariano.
A modello per la basilica trionfale milanese venne scelta la
basilica Apostolorum sulla via Appia, dalla quale papa Damaso avrebbe
inviato dei brandea (stoffe) venuti in contatto con le reliquie degli
apostoli Pietro e Paolo.
Oltre a sottolineare il primato della cattedra di S. Pietro
e il rapporto di fedeltà indiscutibile con la chiesa romana e il suo vescovo,
Ambrogio aveva una ragione particolare per amare la basilica Apostolorum romana: vi era il sepolcro gentilizio degli Urani, la famiglia del padre, nel
quale era sepolta la sua parente Sotere, vergine velata di vita esemplare e
perciò in odore di santità.
Basilica Apostolorum di Roma (poi di S. Sebastiano). Così sarebbe dovuta apparire anche la basilica Apostolorum di Milano annessa alla via trionfale
Nei progetti la basilica milanese avrebbe dovuto presentarsi
a navata unica, delle stesse dimensioni di quella romana, con l’abside separata
dal presbiterio da un triforio (fornice tripartito) per creare un sacello,
altare al centro della navata, sulla quale si aprivano due mausolei parimenti separati dalla navata centrale da
trifori; i mausolei equivalevano anche per dimensioni al mausoleo (singolo)
della basilica romana.
Nei piani di Graziano c’era forse l’intenzione di avere il
proprio mausoleo in questa basilica, come potrebbe suggerire l’uso del
triforio, elemento architettonico tipico dell’ingresso alle celle funerarie.
Purtroppo Graziano morì assassinato nel 383 da quelli che,
con ottica scevra da particolarismi, potremmo definire “patrioti” romani, che
non avevano apprezzato i suoi decreti a favore del cattolicesimo. Il vescovo
Ambrogio si adoperò affinché il corpo di Graziano gli fosse restituito, ma il
giovane imperatore non verrà sepolto a Milano.
Dal 384 al 386, anno della consacrazione, il vescovo
milanese operò un cambio di rotta nel simbolismo della pianta della basilica
trionfale, rinunciando al deambulatorio e realizzando la prima basilica a croce
libera dell’occidente cattolico, consapevole della provocazione che innescava
nei confronti dei cristiani ariani, avversi al simbolismo della croce. Pur
essendogli venuto a mancare il sostegno di papa Damaso, morto nel 384, Ambrogio
ribadì la sua assoluta fedeltà alla cattedra di Roma nella persona di papa
Siricio (384-399).
Per valutare pienamente la trasformazione ci rifacciamo agli
studi di Francesco Tolotti sulle basiliche paleocristiane dedicate agli
Apostoli a Roma, Milano, Como e Verona. Qui di seguito vediamo il disegno delle
piante delle basiliche di Roma e di Milano messe a confronto, nel rispetto
delle proporzioni dei due edifici. E’ facile comprendere come il deambulatorio,
ampio quanto le absidiole dei bracci, decadde in fase di realizzazione,
rinunciando al raccordo con la via porticata.
L’insieme risultò meno elegante e funzionale ma molto simbolico, liberando da
ogni camuffamento la croce nella pianta.
Confronto tra le basiliche Apostolorum di Roma e di Milano (da F. Tolotti, in Ambrogio e la
cruciforme, p. 115). Le dimensioni della basilica milanese sono: corpo
longitudinale lungh. 56 m e largh. 14,20; ogni braccio del transetto misura in
lungh. 18,50 m e in largh. 14,20; gli emicicli hanno un diametro di 6 m;
altezza della navata 13,15 m.
La consacrazione del 386
Nonostante fosse nata come basilica del trionfo imperiale,
la realizzazione della basilica Apostolorum rimase probabilmente solo a
carico della chiesa cattolica. Considerando i periodi di inattività dovuti alle
turbolenze degli anni successivi alla morte di Graziano e il cambio di
progetto, la costruzione poté procedere coi materiali di recupero dei vecchi
edifici pagani del foro, demoliti in seguito ai decreti imperiali.
La navata, larga un quarto della lunghezza, rimase quella
progettata inizialmente. Il modulo era 4 quadrati in lunghezza più l’abside e
tre nel transetto.
Rinunciando al deambulatorio e trasformando i mausolei
previsti per i membri della corte imperiale in bracci del transetto, Ambrogio
trasformò la pianta in crux capitata (croce libera), un modello
applicato per il momento solo nelle basiliche volute da Costantino a Betlemme e
a Costantinopoli.
Il modello di riferimento ideale divenne l’Apostoleion
di Costantinopoli, costruito mezzo secolo prima. Possiamo conoscere l’Apostoleion
costantiniano grazie a Eusebio, che ne descrive l’interno: cruciforme, con un
tamburo sulla crociera sotto il quale si trovava il recinto del presbiterio;
all’interno della recinzione era l’altare con accanto il sarcofago
dell’imperatore (traslato nel 359 in un mausoleo) e dodici stele in onore degli
Apostoli. Nel 359 erano state deposte nell’altare le reliquie di tre apostoli.
Apostoleion
di Costantinopoli, fondata da Costantino (ricostruzione ipotetica secondo Hans
Christ, Ambrogio e la cruciforme, p. 36)
La consacrazione della basilica avvenne sabato 9 maggio 386,
data che leggiamo ugualmente polemica nei confronti di quella parte ariana
dell’esercito che non si voleva inizialmente turbare, dal momento che la festa
delle “forze armate” si svolgeva il 10 maggio con i giochi in onore di Marte
(festa dei vessilli).
Non si era ancora persa l’eco della guerra civile che era scoppiata a Milano
tra il vescovo cattolico e la corte imperiale ariana rappresentata
dall’imperatrice Giustina per l’assegnazione delle basiliche in occasione della
Pasqua. Dobbiamo quindi immaginare la città spaccata pericolosamente in due, la
corte con l’esercito nella festa laica, il vescovo coi fedeli alla basilica Apostolorum,
entrambi a gareggiare per occupare la via trionfale!
Secondo una tradizione
medievale, le reliquie – dei brandea o pezzi di stoffa venuti a contatto
con gli apostoli Pietro e Paolo – arrivarono a Milano portate da un anziano e
autorevole prete romano, Simpliciano, destinato a succedere ad Ambrogio sulla
cattedra vescovile di Milano nel segno dell’obbedienza a Roma.
Ambrogio compose un inno dedicato agli apostoli Pietro e
Paolo, che si cantò per la prima volta in occasione della festa dei due santi,
il 29 giugno 386. Tra le strofe che sottolineano il primato
del soglio di Pietro vi sono la 6° “Hinc
Roma celsum verticem/ devotionis extulit,/ fondata tali sanguine,/ et vate
tanto nobilis. ” e l’8° “Prodire quis mundum putet, concorrere plebem
poli, electa gentium caput, sedes magisteri gentium”.
Secondo una tradizione arrivata fino ai nostri giorni, il
vescovo con tutto il clero metropolitano, si portavano alla basilica Apostolorum
al vespro del 28 giugno, considerato giorno di digiuno, e per la solenne
funzione del giorno successivo. Dopo il vangelo della messa, il vescovo
milanese teneva la sua omelia o ne concedeva l’onore a un ospite, come accadde
con Gaudenzio, vescovo di Brescia e suo prestigioso suffraganeo.
Dal canto suo, Siricio ribadiva la missione del papa romano
nella Chiesa: “L’apostolo Pietro in persona sopravvive nel vescovo di Roma. Se
il papa porta il peso di tutti coloro che hanno bisogno del suo appoggio, non
dubito che il beato apostolo Pietro non porti con lui e in lui questo peso
formidabile”.
Lo sfortunato pupillo Graziano e il trionfo cristiano vennero
censurati nella memoria, anche perché l’esercito, composto in prevalenza da
ariani, ben difficilmente avrebbero accettato di celebrare un trionfo in una
basilica così palesemente cattolica.
Abbandonata ogni prudenza, la basilica si presentava al momento
della sua consacrazione con una inequivocabile pianta a croce libera, la crux
capitata, simbolismo sottolineato da Ambrogio nel caso che a qualcuno fosse
sfuggita la sua intenzionalità.
La riconsacrazione del 395
Il ministerio di Ambrogio fu tutt’altro che pacifico e la
sua presenza a Milano si fece veramente precaria, più volte a rischio di
perdere la vita e sempre con la spina nel fianco del vescovo ariano imposto
dalla corte. Dovette scontrarsi con l’imperatrice vedova Giustina, ariana; con
usurpatori pagani; con il cattolicissimo imperatore Teodosio, insofferente alle
ingerenze del vescovo milanese, succeduto a un giovane Valentiniano II, che
Ambrogio aveva sperato di manovrare negli interessi cattolici e per questo
nuovamente assassinato.
Il vescovo milanese, pur sofferente di una grave malattia
degenerativa, che lo obbligava a letto con febbri devastanti, ebbe però più a
cuore della sua vita il destino della chiesa cattolica e della sua diocesi.
Dopo la morte dell’imperatore Teodosio, avvenuta a Milano
nel gennaio 395, tutte le conquiste che pensava di aver stabilizzato sembravano
essere messe nuovamente in discussione per il fatto che l‘undicenne imperatore
Onorio, figlio di Teodosio, era sotto la tutela del generale vandalo Stilicone.
Unica sua alleata sembrò essere la moglie del generale e figlia adottiva di
Teodosio, Serena.
I tumulti degli ariani scoppiati nell’aprile 395 e
appoggiati da Silicone, l’incombere dei barbari che si erano spinti all’interno
dell’impero come un’epidemia mortifera che dilaghi senza possibilità di cure,
l’assenza di un imperatore dalla corte milanese, avevano destabilizzato la
città e messo in serio pericolo l’esistenza del vescovo e dei suoi fedeli.
Ambrogio dimostrò un’altra volta come riuscisse a far leva
sull’ingenuità dei fedeli per recuperare l’unità intorno al loro vescovo.
Formidabile conoscitore diremmo oggi dei mass-media, tirò fuori il jolly di un’
“inventio” che consolidasse il suo potere presso il giovane Onorio e il
consenso popolare, nell’eventualità che il generale Silicone, tutore insieme
alla moglie Serena del giovane sovrano, spostasse il favore della corte
nuovamente verso l’arianesimo.
Seguiamo la narrazione di Paolino, biografo di Ambrogio e
testimone oculare.
32.2. Esumato il corpo del santo martire Nazaro
sepolto in un cimitero fuori della città, lo trasferì nella basilica degli
Apostoli, che è a Porta Romana. 3. E noi vedemmo nel sepolcro, ove giaceva il
corpo del martire – di cui fino ad oggi non possiamo sapere quando abbia
compiuto la Passione -, il suo sangue ancora così fresco, quasi fosse stato
versato in quello stesso giorno, ed anche il suo capo, ch’era stato reciso
dagli empi, così integro e incorrotto con i capelli e la barba, da sembrarci
lavato e composto nel sepolcro nel momento stesso in cui fu esumato. 4. E
perché stupirsi, se il Signore aveva già promesso nel Vangelo che non un
capello del loro capo andrà perduto? Ed anche fummo avvolti da tal profumo, che
vinceva la soavità di tutti gli aromi.
33.1. Esumato il corpo del martire e compostolo in
una lettiga, subito ci dirigemmo con il santo vescovo al luogo di sepoltura del
santo martire Celso, nel medesimo cimitero, per farvi un’orazione. Sappiamo che
egli non aveva mai pregato prima d’allora in quel posto; ma se il santo vescovo
si fosse recato a pregare in un luogo dove non era mai stato per l’innanzi, ciò
significava che gli era stato rivelato un martire. 2. Apprendemmo poi dai
custodi di quel luogo che era stata data loro dai genitori e dagli avi tale
consegna, di non abbandonare mai quel sito per tutta la loro generazione e
progenie, perché vi erano riposti grandi tesori… 3. Traslato dunque il corpo
del martire nella basilica degli Apostoli, dove il giorno avanti erano state
deposte le reliquie degli Apostoli tra la più profonda devozione di tutti,
…
Il cadavere di questo anonimo decapitato, affidato alle cure
dei custodi cimiteriali, preso il nome di Nazaro e assurto – questo sì –
miracolosamente al ruolo di santo, venne tumulato con tutti gli onori
nell’abside, dove era stata predisposta (per Teodosio?) una cella memoriae,
rialzata di alcuni gradini e col catino decorato con una croce a mosaico.
Il testo si commenta da sé, ma a noi premeva sottolineare
che Paolino era stato testimone della deposizione il 9 maggio 395 delle
reliquie degli Apostoli.
Si ebbe quindi una duplice dedica della basilica trionfale:
nell’anniversario della prima dedica del 386, il 9 maggio, si collocarono sotto
l’altare le reliquie dei santi Giovanni, Tomaso e Andrea prelevate dall’Apostoleion
di Costantinopoli in nome del nuovo imperatore Onorio;
il 10 maggio si deposero le reliquie di Nazaro nella tomba già scavata
nell’abside della basilica e rimasta vuota. L’imperatore Teodosio verrà infatti
sepolto nell’Apostoleion di Costantinopoli pochi mesi dopo, nel novembre
395, per cui le reliquie inviate a Milano dovevano sottolineare la continuità
dinastica con i discendenti (si fa per dire) di Costantino e di Teodosio,
tramite il giovane Onorio.
Ambrogio stesso dettò un’epigrafe,
la prima e l’unica composta dal vescovo per una sua basilica, la cui traduzione
recita:
“Ambrogio ha fondato il tempio e lo ha consacrato al
Signore con il nome degli Apostoli e con il dono delle loro reliquie.
Il tempio ha la forma della croce, il
tempio rappresenta la vittoria di Cristo: la sacra immagine trionfale
contrassegna il luogo.
All’estremità del tempio è Nazaro dalla vita santa e il
pavimento è nobilitato dalle spoglie del martire. Là dove la croce ha legato il
sacro capo piegandosi a cerchio, qui è l’estremità del tempio e la dimora per
Nazaro che, vincitore per la sua fede, gode per la pace eterna.
Colui per il quale la croce fu palma di vittoria, nella
croce è accolto”.
Gaudenzio, vescovo di Brescia, particolarmente vicino ad
Ambrogio che cominciava a dare segni di cedimento, ebbe in dono brandea
degli Apostoli e sanguinem gypso collectum dei martiri Gervaso e Protaso
e Nazaro, con cui consacrare la bresciana basilica Concilia Sanctorum
sulla via per Milano. Tenne nel giugno 396 l’omelia in occasione della festa di
Pietro e Paolo nella basilica milanese, in sostituzione di Ambrogio che aveva
ormai grosse difficoltà a parlare a causa della calcificazione della laringe.
Dittico con Serena, il figlio Eucherio e il
generale Stilicone
All’inizio del 397 Serena volle fare un gesto di assoluta
deferenza verso Ambrogio, offrendo i marmi libici per ornare l’abside centrale
dove si trovava la cella memoriae contenente i resti del “martire”
Nazaro. L’offerta appariva come ex voto per il ritorno del marito Stilicone
dalla guerra contro Alarico. L’epigrafe con cui immortalava il suo voto è
sfortunatamente persa, ma nota attraverso una trascrizione:
“Dove situati per cavo regresso sorgono i tetti
e della sacrata croce s’inflette a cerchio il capo
Nazaro di vita immacolata integro corpo è nascosto.
Esulta che questo sia del tumulo il luogo
Che il pio Ambrogio segnò con l’immagine di Cristo.
Con marmi libici Serena fiduciosa orna
Per gioire lieta del ritorno del coniuge Stilicone
Dei suoi fratelli e dei suoi figli”.
Questo favore della sorte durò molto poco…
Divisione funzionale degli spazi interni
Pianta
La basilica era stata progettata insieme alla via trionfale.
Il modulo era il quadrato. Si entrava in chiesa da un atrio che riproponeva le
stesse dimensioni della navata interna fino all’incrocio col transetto (2
quadrati). Svolgeva la stessa funzione di spazio destinato ai non battezzati o
ai non cattolici delle altre basiliche cattoliche.
Assonometria e
planimetria della basilica Apostolorum di Milano
Entrato in chiesa, il pubblico si distribuiva lungo la
navata unica, larga 14,20 m e lunga 28 m, con un soffitto a cassettoni
sostenuto dalle capriate. Durante i restauri l’arch. E. Villa individuò sopra
l’arcone d’ingresso al braccio destro del transetto l’impronta dell’attacco dei
cassettoni una quota di 13,15 metri dal piano di calpestio originario, mentre
nei bracci del transetto il soffitto era di poco superiore agli arconi. La
navata doveva essere rischiarata da finestre regolarmente distribuite nella parte
superiore, i bracci del transetto e l’abside, previsti con funzione di
mausolei, si dovevano presentare con luce più attenuata.
Nel quadrato centrale si trovava la recinzione che conteneva
l’altare maggiore, sormontato dal ciborio al quale appendere la corona votiva;
da qui si accedeva ai bracci del transetto attraverso i trifori (ottenuti con
colonne e capitelli di recupero da edifici pubblici pagani smantellati),
dai quali pendevano delle cortine con funzione isolante. Si trattava di edifici
con funzione di mausoleo, ma non è escluso che servissero da cappella nelle
celebrazioni della messa per la corte o che si prestassero a creare spazi di
preghiera più raccolti. Ogni braccio era dotato di due absidiole simmetriche,
destinate alle sepolture dei dignitari e alle agapi di commemorazione. Terminavano con una testata piana (absidata solo nei
rifacimenti romanici).
Il clero si accomodava oltre la recinzione e l’abside.
Il pavimento dell’intera basilica era in opus sectile
bianco e nero, come in tutte le basiliche lombarde paleocristiane.
Sopraelevata rispetto al presbiterio e chiusa da un triforium
si trovava infine l’abside centrale, destinata in origine a essere una cella
memoriae per la sepoltura forse di un imperatore, dal 395 divenuta l’ultima
dimora di Nazaro.
Gli altari
Il punto centrale della basilica era l’altare, fulcro della
liturgia. Nato in origine come tavolo in legno per l’agape serale,
l’altare si era trasformato nel IV secolo in arredo di pietra e aveva preso il
nome di tumba se conteneva le reliquie dei martiri o dei confessori. Da mensa intorno alla quale si disponevano i fedeli,
l’altare era diventato un oggetto sacro inaccessibile al pubblico, anche per
evitare manomissioni per sottrarre le preziose reliquie.
Poiché l’altare maggiore acquistò un significato
esclusivamente sacramentale, era recintato e avvicinabile solo dal clero, si
crearono altari laterali sui quali deporre le offerte o da utilizzare per le
agapi.
Nella cella memoriae, la tomba che custodiva le
reliquie di S. Nazaro emergeva dal pavimento con una cassa di marmo, ancora in
situ in occasione della visita pastorale del vescovo Carlo Borromeo del 25
luglio 1567, che nella sua relazione scrive: “A tergo dicti altaris estat
arca lapidea seu marmorea super terram constructam in signum corporis divi
Nazarii”.
Col tempo la presenza di reliquie nell’altare divenne
indispensabile, il segno distintivo di una basilica. Ma non era così facile
procurarsene e quindi o ci si accontentava di semplici oggetti posti a contatto
con tombe di martiri (olio di lampada, fazzolettini, schegge di legno, ecc.) o
con un po’ di spregiudicatezza – il fine giustifica i mezzi? - si “inventavano” i martiri…