Da città pagana a capitale cristiana
Dal 286 Milano è una delle quattro capitali dell’impero
romano. La zona intorno a Porta Romana risentì poco degli interventi urbanistici
atti ad adeguare la nostra città al suo nuovo rango di capitale, con
Treviri, della parte occidentale
dell’Impero. I cambiamenti si evidenziarono in maniera dirompente
nell’assetto urbano non appena il cristianesimo diventò la religione di stato,
soppiantando gli altri culti.
La città romana pagana si qualificava per la presenza di
edifici pubblici, quali la basilica forense, il tempio alla triade capitolina,
l’anfiteatro, le terme e poi, in epoca imperiale, il circo voluto accanto ai
palazzi imperiali. L’affermazione del cristianesimo portò a uno svuotamento
dell’importanza di questi edifici, identificati – giustamente - con la
tradizione pagana. Anche se i cattolici non rappresentavano la maggioranza
della cittadinanza, il boicottaggio di questi edifici pubblici decretò col
tempo la loro chiusura.
Le arene caddero in disuso, perché i giochi circensi
(combattimenti o corse) erano preceduti da sfilate di carri con simulacri di
idoli; si facevano sacrifici propiziatori e di ringraziamento; c’era poi la
polemica contro i collegi sacerdotali incaricati della gestione dei giochi. Oltre
alla natura “idolatrica” dei giochi, si condannava la promiscuità negli spalti
fra gli spettatori, esecrata da tutti i padri cristiani, primo fra tutti S.
Ambrogio. I giochi gladiatori comportavano spesso la morte dei combattenti,
ripudiata dall’etica cristiana, che riconobbe nell’arena il palcoscenico per il
supremo combattimento per la fede, il martirio.
Il circo poté sopravvivere come luogo consacrato
all’apparizione pubblica dell’imperatore, la cui residenza era nei palazzi
vicini, e per la corsa dei carri.
Nei teatri si davano rappresentazioni troppo spinte e
sugli attori peserà per secoli la condanna della Chiesa.
Abolita infine - o fortemente disapprovata - la frequentazione
dei bagni pubblici, le terme, sempre per motivi di pudicizia, e la
partecipazione ai banchetti pubblici offerti dagli imperatori.
La città pagana si svuotava progressivamente del suo senso,
lasciando solo il simulacro esteriore degli edifici come un guscio di lumaca
abbandonato e occupato da un altro corpo.
I cristiani cattolici (o nicei, come si diceva allora)
potevano incontrarsi nella basilica episcopale come ecclesia (assemblea
dei fedeli per la messa o per altri riti collettivi) o nelle loro domus
o nelle grandi basiliche cimiteriali per celebrare i martiri della fede o i
beati.
Al calendario pagano con le sue festività si affiancò il
calendario cristiano, con un tempo proprio scandito dalla domenica e i giorni
dedicati al natale di santi e beati (martirologi).
Il centro della vita cristiana si trasferì dal foro all’area
della basilica cattolica, con le due chiese – la vetus e la nova
o maior, i due battisteri e la domus episcopi (vedi), nella quale si dirimevano anche questioni legali relative ai fedeli.
L’imperatore Graziano, pupillo del
vescovo Ambrogio
Per
un certo periodo si era costituita un’alleanza formidabile tra il vescovo di
Roma Damaso, il vescovo di Milano Ambrogio, che in Damaso aveva il suo modello e
riferimento, e il giovane imperatore Graziano, che nel 381 aveva trasferito la
sua corte da Treviri a Milano.
I più rivoluzionari provvedimenti legislativi presi da
Graziano furono:
- Aprile 380: confisca di tutti i
luoghi di culto pagani o eretici a favore dei nicei;
- Novembre 382: editti per la soppressione del titolo di
pontefice massimo agli imperatori, abolizione del mantenimento delle vestali e
degli altri collegi sacerdotali pagani, che subirono la confisca dei loro beni
a favore dei nicei; rimozione dell’altare della Vittoria nel Senato romano.
(C’è da stupirsi che nel gennaio 383 Graziano fosse
assassinato a Lione?)
Tra il 381 e la fine del 382 va collocata l’ideazione di una
via trionfale cristiana, progettata per celebrare la vittoria schiacciante
sugli ariani ottenuta dal vescovo Ambrogio nel Concilio di Aquileia del 381, da
lui voluto e nel quale aveva ricoperto il ruolo di protagonista. In quegli anni
si poteva veramente credere che l’eresia ariana fosse stata definitivamente
estirpata e che per il paganesimo fosse solo questione di pochi mesi…
I decreti di Graziano per lo sradicamento del paganesimo
ebbero immediate ripercussioni sui riti più antichi e fondanti l’impero. La
cerimonia più imponente e importante per l’imperatore, il suo trionfo o il suo
ritorno da una campagna militare nella sua capitale, non poteva più svolgersi
nella tradizione pagana, anche perché non c’erano più sacerdoti a poterla
continuare; si doveva progettare una via trionfale nel segno del cristianesimo!
Si scelse per la progettazione la via che conduceva a Roma e
la si dotò di un arco trionfale, di portici e, soprattutto, al centro del
percorso, di una basilica cristiana.
La via trionfale
L’arco
La via trionfale iniziava con un arco a tre fornici,
impostato su un monumento funebre. Aveva il fornice centrale di circa 8 m, pari
all’ampiezza della carreggiata, e in tutto arrivava ai 14,75 m di larghezza.
Per apprezzarne la maestosità aggiungiamo due note: l’arco di Costantino a
Roma, il maggiore che sia rimasto, ha un fornice centrale di 6,50 m; l’arco
trionfale milanese, che una pervicace tradizione vuole quadrifronte, resistette
a tutte le demolizioni delle incursioni gote e bizantine e, sotto forma di
rocca, verrà smantellata solo dalle truppe imperiali del Barbarossa.
L’arco fu attribuito nelle leggende medievali al console
Marcello, il conquistatore della capitale insubrica, poi a Massimiano per
deduzione logica, essendo l’imperatore alla quale era stata assegnata Milano
come capitale.
Gli scavi della MM3 hanno permesso di stabilire finalmente
che la via trionfale datava all’ultimo quarto del IV secolo e che quindi
coincideva con il breve ma denso periodo della grande alleanza tra il giovane
imperatore Graziano e il vescovo Ambrogio.
Ausonio, a Milano nel 379, nella descrizione encomiastica
che fa di Milano tace su un complesso monumentale così prestigioso, che gli
avrebbe permesso di tessere le lodi del committente. E’ un motivo in più per
collocare la progettazione della via trionfale intorno al 381-382.
La via porticata e l’ergasterium
La strada venne rialzata di 70 cm per evitare che si
allagasse, porticata e allargata a 8 m di piano stradale, che diventavano 9,30
m con i marciapiedi. Sotto i portici presero alloggio botteghe di venditori e
di artigiani, che conferirono alla zona il nome di ergasterium (vedi). Gli scavi recenti hanno potuto anche stabilire che
tipo di botteghe fossero alloggiate e hanno avanzato ipotesi su come potessero
presentarsi, tutto sommato senza una grande differenza dalle solite vie
porticate che conosciamo nelle nostre città.
La basilica trionfale
Al centro della via porticata, sull’area un tempo occupata
dalla caserma dei gladiatori e prossima all’anfiteatro, Ambrogio eresse la
basilica Apostolorum (vedi), che nel trionfo
cristiano giocava un ruolo primario.
Dell’edificio preesistente esiste il perimetro di un muro
conservato nei sotterranei della basilica. Il materiale archeologico reperito
negli scavi di ripristino appartiene a diverse situazioni: usato come
riempimento per la costruzione della basilica e proveniente dalla zona del
foro; appartenente agli edifici dell’area su cui sorgerà la basilica; del
sepolcreto successivo alla costruzione della basilica.
Il muro dell'edificio demolito per costruire la basilica è
visibile sullo sfondo. I reperti si riferiscono al materiale rinvenuto negli
scavi e utilizzato per l'edificazione di S. Nazaro
Dal
trionfo pagano al trionfo cristiano
“Il trionfo era la più sfarzosa cerimonia dell’antichità,
concessa dal senato al magistrato in possesso del comando supremo dell’esercito
(imperium maius), che avesse riportato una vittoria cruenta su un nemico
straniero in una campagna militare favorevole. Lo scopo del corteo trionfale
era religioso: sciogliere i voti fatti all’inizio della spedizione al tempio di
Giove Capitolino. Uno dei momenti culminanti era il passaggio del generale
vincitore sotto la Porta Triumphalis, rito cui si assegnava un valore
catartico. Poi si accentuò il carattere politico e spettacolare della pompa.”
Il guerriero romano – indoeuropeo in senso più ampio –
poteva ottenere la vittoria solo se animato da furor, che se era
indispensabile contro i nemici diventava invece pericoloso quando veniva rivolto
all’interno della propria patria. Il trionfatore doveva quindi scaricarsi di
questa sacra energia prima di fare ingresso in città. Le armi dovevano essere
lasciate fuori dal pomerium perché erano le spolia di un sacro
pericoloso, di un’energia marziana. Ecco perché c’era un tempio dedicato a
Marte fuori dalle mura, dove lasciare le armi e fare un sacrificio solenne al
dio della guerra, prima di sciogliere i voti al tempio di Giove capitolino. Va
da sé che a Milano non è stato identificato il luogo dove sorgeva il tempio di
Marte fuori dalle mura.
Già così abbiamo alcuni elementi su cui riflettere: lo scopo
del corteo era religioso, i voti erano fatti al tempio capitolino
e andavano sciolti al tempio di Marte, tutto ciò è in evidente rotta di
collisione con il credo cristiano.
Comincia a delinearsi la portata della rivoluzione causata
dalle soppressioni religiose volute da Graziano? Avendo privato di significato
religioso i luoghi di culto pagani, ne conseguì un ripensamento di tutta la
cerimonia e una netta differenziazione fra luoghi pagani e cristiani.
Immaginiamo come poteva svolgersi il nuovo trionfo: il
trionfatore passava sotto l’arco trionfale, deponeva prima le armi e il furor nella basilica extramurana, che data la sua ubicazione sull’area dei giochi
assolveva alla funzione che prima era svolta dal tempio di Marte. Appendeva
quindi al baldacchino sopra l’altare come ex-voto
la corona d’oro della vittoria, a volte abbinata a una croce, e poi il corteo
trionfale entrava disarmato in città e si dirigeva a sciogliere i voti nella
basilica maior e forse anche nella basilica forense con valenza civica.
Simbologia della corona
Nelle raffigurazioni delle basiliche paleocristiane troviamo
la presenza irrinunciabile della corona appesa sopra l’altare. E’ uno dei
simboli sacri che appartiene all’inconscio collettivo. Pur migrando nei suoi
significati, lo ritroviamo nelle stesse cerimonie militari con le corone
deposte ai caduti, nelle corone di alloro natalizie con valore apotropaico,
come corone da porre sul capo per designare la funzione regale, nel matrimonio
bizantino che ripropone con buona approssimazione l’antico rito romano.
A noi interessa in questo contesto per comprendere appieno
quale ruolo rivestiva la basilica Apostolorum sulla via trionfale cristiana.
Come fonte usiamo il trattato De corona di
Tertulliano. “Il comandante, prima della purificazione delle truppe per la
battaglia, si pone sul capo la corona che, a campagna conclusa, rappresenta il
segno della vittoria (I, 1)”.
Questa corona andava lasciata nella basilica trionfale, come
ringraziamento al dio cristiano che aveva concesso protezione e sostenuto il
suo esercito. Sappiamo come veniva appesa sotto un baldacchino grazie ai
mosaici di poco posteriori di Ravenna.
Mosaico ravennate
con corona appesa