Bianca di Savoia
(1336-1387)
di Maria Grazia Tolfo
Bianca era nata nel 1336 a Chambéry, secondogenita
del quarantacinquenne Aimone di Savoia e della ventenne Violante (Yolanda) del
Monferrato. Sua mamma era figlia di Teodoro Paleologo, uno dei figli minori
dell'imperatore di Bisanzio, che nel 1306 era arrivato da Costantinopoli a prendere possesso dei beni materni
nel Monferrato, portandovi una ventata di cultura bizantina, nel bene e
nel male.
Suo padre Aimone era detto "il Pacifico", ma avrebbero fatto meglio a
soprannominarlo "il Prolifico", perché oltre ai cinque figli
legittimi, ne aveva avuti almeno altri sette da varie dame, tutti allevati a corte
(1).
L'infanzia della piccola Bianca si svolse tra i
castelli di Chambéry, Thonen, Bourg, Evian, Chillon e Morges, situati sulle
rive dei laghi di Ginevra, Annecy e Bourget, ma la spensieratezza fu di
breve durata perché la mamma Violante morì presto, dando alla luce il 23 dicembre 1342 Ludovico,
che non le sopravvisse. Venne sepolta nell'abbazia di Hautecombe, che Aimone aveva recentemente dotato di una cappella privata, riccamente ornata.
Pochi mesi dopo, il 22 giugno 1343, sarebbe morto anche il padre, dopo aver
designato
come tutori dei figli legittimi e naturali Amedeo III conte di Ginevra e Ludovico II di Savoia-Vaud. Nel
testamento veniva esplicitato che, in caso di morte dei figli maschi legittimi, la
contea sarebbe stata ereditata da Amedeo di Ginevra, mentre a Bianca sarebbe
rimasta la baronia del Bauges. I piccoli orfani avevano rispettivamente nove anni Amedeo,
sette anni Bianca e cinque anni Giovanni.
Nella sua corte personale Bianca viveva come una
principessina: la nutrice Eleonora di Chignin, una coppia di camerieri, un
sarto, servitori di cucina, di cantina, scudieri, chierici di cappella, tutti
erano esclusivamente al suo servizio. Bianca non mancava di eseguire i suoi
esercizi quotidiani di equitazione e si dilettava a curare i fiori del giardino nel palazzo di
Bourget. Nelle feste pubbliche partecipava alla messa nella chiesa parrocchiale e allora s'incantava a guardare le sculture sul pontile, realizzate un
secolo prima, che animavano davanti ai suoi occhi la vita e la passione di
Cristo.
La vita in una corte di minor importanza come quella
sabauda non deve farci trarre la conclusione
che una cultura provinciale venisse impartita alla piccola Bianca. Suo nonno
Teodoro proveniva da Costantinopoli, l'altro nonno
Amedeo V aveva sposato in seconde nozze Maria di Brabante e la loro figlia
Giovanna era l'imperatrice di Bisanzio! La stessa Maria di Brabante aveva
portato in Savoia una ventata di cultura dalle corti del nord e anche dopo il
matrimonio continuava a frequentare le Fiandre, dove comprava selle e tessuti, e
Parigi, dove viveva sua zia Maria, vedova di re Filippo III. Da Parigi Maria di
Brabante portò alla biblioteca dei Savoia alcuni codici cavallereschi, miniati
dai suoi connazionali fiamminghi e da artisti normanni. Il gusto contagiò il
marito, che si riforniva a Parigi per le tapezzerie e per le vetrate dei suoi
castelli e nelle Fiandre per l'acquisto di testi profani.
Bianca e i suoi fratelli giocavano a scacchi (puntando soldi), e si divertivano a
leggere e a recitare i romanzi del Sacro Graal. Nella primavera del 1345 i
giovani Savoia hanno il sommo onore di assistere a un torneo che dura otto
giorni, organizzato fuori dalle mura di Chambéry in onore di Amedeo VI, che ha
assunto il titolo di conte. Neanche a dirlo, vince la squadra dell'Ordine della
Tavola Rotonda.
Nel 1348 la vita protetta di Bianca venne turbata da due
eventi terribili: la morte del fratello Giovanni, che da anni soffriva di una
forma di congiuntivite virale e la Peste Nera, "che era stata diffusa dagli
Ebrei che avevano inquinato le fonti d'acqua". Per quanto assurde ci
possano sembrare oggi queste accuse di guerra batteriologica ante litteram,
nello sconcerto generale per quella pestilenza improvvisa che mieteva tante
vittime anche Bianca dovette crederle plausibili. Suo fratello Amedeo ebbe una
crisi mistica e fece voto perpetuo di digiunare interamente il venerdì e il
sabato e di mangiar di magro il mercoledì (in un'epoca di anoressici e
vegetariani come la nostra, potrebbe sembrare una bazzecola!); prese l'abitudine
di frequentare i monaci di S. Antonio nel Viennese che curavano il fuoco di S.
Antonio, e di fare donazioni cospicue
ai più importanti santuari della sua contea.
Nel 1346 Bianca aveva conosciuto di sfuggita,
come fanno i bambini quando c'è una visita di estranei importanti, Galeazzo e
Bernabò Visconti, cacciati da Milano dal loro zio Luchino per motivi a lei ignoti.
Chissà se provò almeno curiosità nei confronti di questi milanesi coi quali a
breve si sarebbe trovata fatalmente imparentata. Infatti per tenere a freno la politica espansionista del marchese del Monferrato,
Visconti e Savoia sottoscrissero una Lega il 22 ottobre 1349, nella quale entrò
anche il matrimonio tra Bianca e Galeazzo. Lo sposo, ormai ventinovenne, aveva
già due figli naturali, Cesare
e Beatrice;
Bianca aveva solo tredici anni e non era mai uscita dalla sua contea.
Indubbiamente Galeazzo dovette affascinarla come un
principe delle favole cavalleresche, se è vera anche una minima parte della
descrizione tracciata da Paolo Giovio in Le vite di dicianove huomini
illustri, 1561:
"Avanzando di dignità di corpo e di
leggiadria di bellezza i più delicati giovani, riusciva anco allora molto più
grande e più bello di se stesso quando, con una nuova foggia, si lasciava
crescere i capegli di color d'oro, e spesse volte acconciandogli in treccie, e
tallora lasciandogli andar giù per le spalle, gli assettava in una cuffia di
rete o con una ghirlanda di fiori; perché ciò si gli aveniva molto essendo
egli bianco e riguardevole del color di latte e con una barba bionda, come si
può vedere per molte imagini di lui, e massimamente in una armata a cavallo, la
quale si vede nella rocca di Pavia alla sinistra loggia".
Mentre Bianca era proiettata nel suo futuro di
moglie, suo fratello Amedeo, appena quindicenne, diventava padre di un bel
maschietto, Antonio, nato da una sua avventura precoce.
Il contratto nuziale si stipulò il 26 maggio 1350
nella Sala delle Udienze della Curia dell'arcivescovo di Milano Giovanni
Visconti: Galeazzo donava a Bianca 50.000 fiorini d'oro da impegnare
nell'acquisto di terre in Savoia e il 21 agosto iniziavano i preparativi per le
nozze.
Il corredo che Bianca portava con sé a Milano doveva
essere all'altezza del suo prestigio: ricchi panni, sete pregiate, pellicce rare
e calde, acconciature, calzature, selle ricoperte da fini gualdrappe, tutti
questi oggetti vennero ricercati nei migliori centri europei. Verso la metà di
settembre Galeazzo muoveva verso Rivoli, dove era stata predisposta la
cerimonia.
Il 18 settembre 1350 nel palazzo di Bourget Amedeo VI e gli ambasciatori
viscontei Oberto Turchi e Ughetto Aprile sottoscrivevano il contratto di
matrimonio per cui si depositavano 40.000 fiorini nel vicino monastero di
Hautecombe. Bianca portava in dote Yenne sul Rodano, poco lontano da Bourget. Il
21 settembre la contessina lasciava l'amato palazzo del Bourget per la natia
Chambéry, dove visitava le chiese e il convento dei Francescani per raccogliere
le benedizioni; il mattino del 22 settembre il corteo nuziale si metteva in
marcia per Rivoli, salutato dalla popolazione in festa: Bianca cavalcava tra il
fratello Amedeo e il conte Amedeo III di Ginevra, seguivano Giovanna di Borgogna, la
contessa di Ginevra Mahaut de Boulogne con le figlie Maria e Bianca e un corteo
di damigelle, venivano infine tutti gli ufficiali di corte, i frati minori e il
clero al seguito del vescovo di Ivrea; gli scudieri splendidamente adornati con
gli stemmi dei loro cavalieri custodivano gli animali da soma carichi delle
casse col corredo.
Il corteo passò per Montmélian, attraversò la
Maurienne e risalì la tortuosa valle dell'Arc. Ad Aiguebelle-sur-Arc si
fermarono nel castello allestito per la cena e il pernottamento. Il 23 settembre
si diressero a Epierre e a la Chambre, il 24 raggiunsero St Jean, St Michel de
Maurienne e Lanslebourg; a mezzogiorno del 25 superarono il Moncenisio e
raggiunsero in serata Susa, accolti dal balivo Aimone di Challant. Toccando
Avigliana domenica 26 settembre, nel pomeriggio giungevano a Rivoli, una
cittadina dominata dal suo castello sulla collina. Qui, ospite del castellano
Rodolfo di Moutiers, attendeva Galeazzo.
Il 27 settembre nella casa di Bartolomeo Dro si
compivano i preliminari delle nozze: Galeazzo ratificava i contratti stipulati
dai suoi procuratori in Savoia, Bianca metteva le sue mani in quelle dello sposo
che, col bacio di rito, le giurava amore ed assistenza. Infine, con la consegna
di una penna, il fratello Amedeo dava a Galeazzo la solenne investitura della
contea di Yenne.
Il matrimonio religioso fu celebrato il 28 settembre nella cappella del castello
dal vescovo di Ivrea, che dava l'avvio alle grandi feste con giostre e
spettacoli per tutto il resto della settimana. A vincere furono i quattordici
cavalieri del Cigno Nero, ovviamente sabaudi, che si strinsero nell'ordine
omonimo e si giurarono eterna alleanza. I cavalieri sfoggiavano sulle armi e sugli abiti un cigno
nero con le zampe e il becco rosso.
Il 2 ottobre i due sposi raggiungevano Torino,
ospiti del principe Giacomo di Acaia, cugino in seconda di Bianca, presso il quale si trattennero fino al 3,
domenica, accolti sontuosamente dalla moglie Sibille des Beaux nel castello di
Porta Fibelliona (palazzo Madama); quindi si avviarono verso Milano, scortati da
52 cavalieri agli ordini di Amedeo de Beauvoir, onde evitare brutte
sorprese da parte di Giovanni II del Monferrato.
Il solenne ingresso nella capitale viscontea ebbe
luogo il 7 ottobre e i festeggiamenti per la nuova coppia durarono più giorni,
includendo anche il matrimonio di Ambrogio,
figlio di Lodrisio Visconti.
Inizialmente la coppia andò a vivere nel palazzo di
S. Pietro all'orto, del quale sfortunatamente non possediamo alcuna descrizione
(si trovava sul luogo della prima sede della Banca Popolare di Milano). Per
ragioni di stato la giovane sposa restò subito sola a sbrigarsela nel suo nuovo
mondo, perché il 23 ottobre Galeazzo fu spedito dallo zio Giovanni a prendere
possesso di Bologna. La salute di Galeazzo era già compromessa. Si dice che
soffrisse di gotta, ma viene il dubbio che la sua malattia, sempre più
deformante e devastante, fosse l'artrite reumatoide. Già nel dicembre di
quell'anno, a soli 29 anni, Galeazzo dovette essere sostituito a Bologna dal
fratello Bernabò a causa dei suoi impedimenti fisici. Fu in grado di tornare a
casa solo nel gennaio successivo e da quel momento iniziò la vera vita
coniugale di Bianca.
Il primogenito vide la luce il 15 ottobre 1351. Amedeo
di Savoia giunse a spron battuto a rendere
omaggio all'erede, regalandogli una nutrice per non indebolire la giovane madre.
Lo vollero chiamare Giovanni Galeazzo.
La seconda figlia, Maria, nacque alla fine del 1352 e nel 1354 fu la volta di
Violante, che ebbe il nome della sua rimpianta madre ... e la stessa vita
sfortunata.
Nel 1355 suo fratello Amedeo sposava Bona di Borbone, sorella minore di
Giovanna, moglie del re di Francia. Era l'inizio dell'alleanza, mediata da suo
fratello, tra la sua famiglia e la corte parigina. Amedeo, dal 1353, aveva
scelto di vestirsi sempre di verde. E' vero che era il colore consigliato dai
medici per preservare malattie agli occhi (forse la morte del fratello Giovanni
aveva lasciato un segno indelebile), ma per Amedeo divenne il suo portafortuna e
volle che tutto intorno a lui, dall'arredamento alle divise dei suoi soldati
fosse verde, un'ossessione che gli valse l'appellativo di "conte
Verde".
La corte milanese non brillava però né per cultura,
né per mecenatismo artistico e fu quindi un conforto per Bianca l'arrivo a Milano
di un personaggio che le si affiancherà come un angelo custode,
rallegrandone i giorni e confortandola con la sua cultura: Francesco Petrarca.
Quando Giovanni Visconti morì il 5 ottobre 1354 ci
fu un gran trambusto alla corte milanese, perché i tre fratelli Visconti
dovevano spartirsi il territorio e la città di Milano. Petrarca
pronunciò in quell'occasione il discorso introduttivo della cerimonia, svoltasi
l'11 ottobre 1354, sotto gli auspici di una calcolata configurazione astrale
positiva - ma non sufficiente a impedire la morte di Matteo esattamente un anno
dopo.
Come si sentiva Bianca all'interno di questi pericolosi sommovimenti interni?
Persino la terribile suocera Valentina Doria aveva alzato il dito accusatore contro i figli
accusandoli di fratricidio. Poiché Bianca riteneva suo marito innocente, prese
a temere anche la sola vicinanza di Bernabò e da quel momento insistette presso
il marito per rinforzare le difese del palazzo di Azzone al Broletto Vecchio,
dove erano traslocati. Dal 1358 Galeazzo iniziò a costruire una possente
recinzione, ma per Bianca era ancora troppo poco, tanto più che dal palazzo di
Bernabò in S. Giovanni in Conca al palazzo di Azzone c'era un passaggio
sopraelevato...
Pietro Azario, cronista e testimone piuttosto
infastidito dalla confusione che portarono alla città i continui cantieri
edilizi, ci ha lasciato questa vivida descrizione:
Fece demolire dalle fondamenta quelle case e molte
altre vicine, senza lasciare in piedi una sola pietra, eccetto la cappella di S.
Gottardo, costruita dal signor Azzone, ed eccetto l'antico torrione e l'altro
nuovamente costruito al tempo del signor Luchino. Queste case, coi loro
ornamenti, dipinti, fontane, oggi varrebbero più di 300.000 fiorini. Fece la
casa di propria abitazione dalle fondamenta a modo suo, e così di presente si
trova, con infinite spese e fastidi per i suoi cittadini, dai quali volle avere,
per poco o per nulla, d'ogni parte e in qualunque modo, maestri, operai,
legnami. Ciò che fu peggio, dopo aver eretto un muro con enormi spese e
fatiche, lo faceva distruggere dalle fondamenta e ne faceva costruire lì
accanto un altro simile. Stancò tutti per fastidi. Né d'inverno, al tempo
delle piogge, né in altra stagione, anche d'estate, mai interruppe la
costruzione dei muri, volte, palazzi e simili d'immensa lunghezza e larghezza,
come aveva decretato. Poiché per la troppa fretta e confusione i muri furono
eretti per la maggior parte con mattoni mutilati e rotti, mostrarono moltissime
fessure e alcuni poco dopo caddero. Si può dunque dire che fece fare due case
insieme, accostate e separate l'una dall'altra, bellissime e con grandi spese
(P. Azario, Cronache, cap. XIV).
Tanto disturbo e tanto lavoro per costruirsi una
dimora sicura fu vanificato da un fatto nuovo: nel 1360 fra' Jacopo Bussolari
cedette Pavia a Galeazzo Visconti e da quel momento Bianca e il marito decisero
di spostare la loro sede nell'antica capitale lombarda, abbastanza lontana e
difesa dalle manovre di Bernabò.
In quel fatidico 1360 anche un altro avvenimento
stava per cambiare il destino di tutta la famiglia di Bianca. Nelle trattative
aperte a Brétigny tra Giovanni II di Francia e Edoardo III d'Inghilterra all'interno della
guerra dei Cento Anni, il re francese doveva versare entro ottobre al re inglese
l'ingente somma di tre milioni di scudi in cambio della rinuncia inglese alla
successione sul trono francese.
Amedeo di Savoia, cognato del principe reggente Carlo V, si propose come
mediatore per raccogliere i fondi e nel giugno 1360 aprì le trattative per il
matrimonio di Gian Galeazzo con Isabella di Valois, che avrebbe dovuto fruttare ai
reali francesi ben 600.000 scudi. Nella delegazione inviata a Parigi per definire gli accordi
c'era anche l'immancabile Petrarca. Stabilita la solvibilità di Galeazzo,
Giovanni II accondiscese al matrimonio della figlia e in settembre Isabella, praticamente
svenduta, arrivò a Milano, portando in dote la contea di Vertus. Il 7 ottobre 1360 si celebrò il matrimonio:
Petrarca coniò per i due sposi il motto A bon droyt e come emblema fu
scelta la colombina raggiata. Bianca gongolava: suo figlio, conte di Veertus, era imparentato con i
re di Francia, di Navarra e con l'imperatore Carlo IV, che poteva chiamare zio!
Quello di Isabella fu però un sacrificio inutile, perché
alla ratifica degli accordi il 24 ottobre la somma per il riscatto del re era
insufficiente e Giovanni II fu costretto a lasciare in ostaggio di Edoardo III due figli. Bianca dovette accogliere la giovane e provata Isabella come una madre e
rassicurarla circa le tristi notizie che arrivavano dalla Francia, con le
compagnie di ventura - i Tard-venus - che rifiutavano lo scioglimento e
devastavano il già martoriato paese.
Nel 1361 Petrarca abbandonava Pavia divenuta pericolosa per il contagio della
peste e si rifugiava ad Arquà, riservandosi di tornare ogni estate a
visitare la sua amica. I consigli letterari e culturali del Petrarca erano
stati preziosi per fondare nel 1361 l'Università di Pavia e costituire la
biblioteca, che nel giro di alcuni anni raggiungerà il migliaio di codici. Il
modello era quello che Carlo V stava assemblando a Parigi - dal 1367 trasferito nel vecchio torrione dei Falconi al Louvre
- per rispondere al
progetto politico di formare un'élite amministrativa colta, motivo per cui i
testi latini venivano tradotti in francese.
Petrarca aveva anche infuso in Bianca l'amore per S. Agostino, il Padre della
Chiesa sepolto in S. Pietro in ciel d'oro a Pavia. Per rendergli omaggio i
Visconti commissionarono nel 1362 agli scultori campionesi un'arca di grande
effetto, che ancora oggi si può ammirare nella basilica pavese.
Quale dolore fu per Bianca perdere nell'aprile del
1362 la figlioletta Maria di 10 anni e non poter godere del conforto
dell'abate Francesco. Per suo marito invece la morte della figlia era solo un intoppo
nella risoluzione della questione spinosa di Asti, che i Visconti rivendicavano
da quando nel 1348 l'aveva occupata Luchino Visconti. Maria era stata destinata a
sposare Ottone II del Monferrato, portando in dote Asti, e invece ora tutto era da rifare.
Le notizie dalla Francia continuavano ad angustiare Isabella: suo padre era
stato costretto a presentarsi davanti alla corte inglese perché uno dei suoi
figli era evaso da Calais, dove era tenuto in ostaggio. Le condizioni di salute
di Giovanni II non erano delle migliori e il sovrano francese morì l'8 aprile
1364 a Londra, nuovamente prigioniero degli Inglesi, per lavare l'onta causata
dal figlio.
Dal 1362 le condizioni di salute di Galeazzo
erano andate peggiorando (e dato lo stress emotivo cui era sottoposto, l'ipotesi
che si trattasse di un'artrite reumatoide di matrice psico-somatica resta molto
valida); Bianca, per motivi di sicurezza, insistette per spostare tutta la
famiglia nel nuovo castello che Galeazzo aveva fatto costruire in una Pavia
appena conquistata, che era diventata a sua volta una città superdifesa.
Il primo lieto evento celebrato nell'erigendo
castello di Pavia fu la nascita di Gian
Galeazzo il 4 marzo 1366. Si organizzò una grande giostra in onore
dell'erede, alla quale partecipò anche Amedeo di Savoia, che in quell'occasione
promosse la partecipazione viscontea alla crociata contro i Turchi.
Per decorare la nuova sontuosa residenza, Galeazzo
mandò a chiedere artisti alla corte dei Gonzaga, la più raffinata e aggiornata
delle corti del Nord-Italia (lettera a Guido Gonzaga del 23 maggio 1366).
A Pavia Bianca rinacque: coccolava i nipotini Gian Galeazzo
e Azzone (nato nel 1368), si prendeva cura di Isabella, impartiva ordini
agli artisti per le decorazioni e gli arredi, dava feste e ricevimenti, insomma
le sembrava di essere finalmente tornata ai tempi d'oro della vita in Savoia,
quando essere Signora di una contea dava prestigio e privilegi, non solo paure.
Suo fratello Amedeo era intimo della corte parigina del cognato Carlo V ed era
invaghito come lui dei romanzi cavallereschi e dei poemi. Nel 1368 compra da
Guillaume de Machaut un suo romanzo per la favolosa cifra di 310 franchi d'oro.
Guillaume (1300-1371) era all'apice della sua fama come poeta, musicista e
romanziere. Alcuni dei titoli più famosi? La Fontaine amoureuse, Le
Jugement du Roy de Navarre, La Prise d'Alexadrie, Le Remède de Fortune.
Alcuni di questi favolosi codici miniati verranno prestati a Bianca e Isabella
per il loro diletto.
Nel 1368 Bianca fece arrivare da Parigi per lei e
per la nuora Isabella due Libri d'Ore, uno dei quali apparteneva a Bona
di Lussemburgo, la mamma di Isabella morta nel 1349, miniato da Jean le Noir
intorno al 1340. Bianca possedeva una piccola biblioteca
personale costituita tra l'altro da l'Exposition de l'Evangile (BNF ms
fr. 187), il Mirroir de l'ame e il Trésor di Brunetto Latini
(BNF fr 1110), regalo del figlio Gian Galeazzo. E probabile che in questi anni
entrasse al servizio dei Visconti a Pavia anche il famoso Jean
d'Arbois, consigliato forse da Amedeo, per rimanervi fino al 1373.
Un'altra fonte di ispirazione artistica per Bianca era stata la corte inglese.
Nel 1366 era arrivata a Pavia la delegazione guidata da Humphry de Bohun, conte
di Hereford, per trattare il matrimonio tra sua figlia Violante e Leonello di
Clarence, uno dei numerosi figli di Edoardo III e Philippa di Hainault. Il conte
aveva recato in omaggio un calendario miniato che piacque moltissimo a Bona.
Volle copiarlo per farne un Libro
d'Ore per le preghiere sue e di Galeazzo e passò la commissione al
miniatore Jean d'Arbois.
Il matrimonio di Violante, celebrato a Milano il 15
giugno 1368, fu di uno sfarzo così eccessivo da sollevare più critiche che
ammirazione. Non per altro suo marito era costantemente assillato dai soldi,
non pensava che a spremere i sudditi e a mangiare, terrorizzato che qualcuno
cacciasse o pescasse sulle sue terre. Facciamo parlare ancora l'Azario:
Ha ordinato che nessuno peschi i temoli, soprattutto
nel fiume Ticino, e se qualcuno li pescasse per caso, che li porti
immediatamente alla cucina del signore. Quei pesci infatti gli piacciono più di
tutti gli altri. Così fa per la frutta, soprattutto le amarene dolci di Zotego
e Mosezzo, del distretto di Novara, per avere tutte le quali il Comune di Novara
ha sofferto e soffre molte spese. Allo stesso modo si prende cura delle cavalle;
dove sa che c'è qualche cavalla buona per figliare, vuole di necessità
averla" (P. Azario, Cronache, cap. XIV).
La ricerca di animali rari o da caccia si spinse
anche in Inghilterra, dove Galeazzo aveva per interlocutore re Edoardo III,
anche se il povero Leonello era morto subito dopo il matrimonio. Al'ex consuocero
Galeazzo si rivolse anche per chiedere aiuto nella guarigione della sua terribile
malattia.
Petrarca, in una lettera a Tommaso del Garbo,
descrive le sofferenze di Galeazzo, colpito alle articolazioni dei piedi, delle
mani e delle giunture, che "aveva per guisa intorpidite, anzi rattratte e
fatte immobili le estremità inferiori che non solamente il mutare anche un
passo, ma pur lo stare ritto gli era impossibile".
E' ancora il Petrarca, veramente familiare ai Visconti a Pavia, che narra come
un Vallese, Guglielmo de Luzia, che aveva fama di gran dottore, fosse venuto
intorno al 1365 alla corte di Pavia dietro lauto compenso. Ma la guarigione
promessa ritardava e, anzi, Galeazzo era peggiorato a tal punto che il medico
suggerì "doversi ricorrere a certi libri di magia, che diceva sacri, dai
quali soltanto si può apprendere a tanto male il rimedio, ond'è che ha
prescritto di farne ricerca, ma in quale parte del mondo né io so, né sallo
egli stesso" (F. Petrarca, Epistole senili, I).
Cinque anni dopo l'inizio della cura la malattia era
progredita, per cui Galeazzo raccontava ad Edoardo d'Inghilterra come Guglielmo
da Luzia gli avesse confermato che la sua malattia non dipendeva dalla gotta,
bensì da un maleficio, che si sarebbe potuto togliere recitando le formule di
un libro sacro. Sfortunatamente non conosciamo la risposta di re Edoardo.
Quindi, nonostante la fede nella magia, non si ricava il quadro di una corte
così imbevuta di testi e rituali magici, come verrà descritta a Parigi per
incolpare la povera Valentina
qualche decennio più tardi.
E' possibile che una modalità di tortura escogitata
da Galeazzo, detta "la Quaresima" per la sua durata di 40 giorni, gli fosse stata
suggerita dai suoi lancinanti e inestinguibili dolori. L'Azario così la
riassume (e tanto ci deve bastare):
li faceva mutilare a poco a poco tutte le membra
(soprattutto se si trattava di un prete) e li faceva incarcerare finché
sopravveniva la morte (P. Azario, cap. XIV).
L'avvio di questa atrocità è il 1362, quando
appunto ci fu la recrudescenza della malattia. Come si comportava Bianca di
fronte a questo aspetto del marito? Che considerazione aveva di lui?
Pavia viscontea riprodotta in un affresco in S.
Teodoro, con S. Antonio abate in primo piano (attribuito a Bernardino Lanzani,
1522)
Alla morte di Giovanni Paleologo, marchese del
Monferrato, si riaprì la solita spinosa questione della successione. A giugno
l'esercito visconteo, al comando di Francesco d'Este, Jacopo dal Verme, Ambrogio
Visconti, Ruggero Ranieri detto Cane, Ugolino da Saluzzo e John Hawkhood detto
Giovanni Acuto, pose l'assedio ad Asti. Era presente alla sua prima uscita in
campo anche Gian Galeazzo. Poiché anche Amedeo di Savoia aspirava alla
conquista della città, per Bianca si prospettava la triste scena che vedeva
fronteggiarsi come nemici suo fratello e suo figlio.
Mentre Bianca si aspettava che tutto sarebbe stato
sistemato per via diplomatica, non credendo capace suo fratello di mettersi
contro di lei, Amedeo firmò il 17 luglio ad Avignone l'adesione alla Lega
anti-viscontea e si fece nominare da Ottone di Brunswick custode del marchesato
finché i giovani eredi non avessero raggiunto la maggior età. Era la
guerra!
Bianca spedì come guardia-spalle del figlio
Cavallino de' Cavalli e Stefano Porri, ma questo non evitò che il ventunenne
conte di Vertus, per dimostrare la sua valentia come capitano, inviasse allo zio
Amedeo il guanto di sfida a singolar tenzone. Come erano ormai lontani i tempi
dell'Ordine del Cigno nero! Non se ne fece niente, forse dietro le suppliche di
Bianca. Il giovane Gian Galeazzo si dovette sentire più volte in conflitto: da
una parte i capitani che lo incitavano a dare ordini di attacco, dall'altra la
madre che gli mandava in continuazione ambasciate di attendere mentre lei
trattava col fratello. Il risultato fu che le truppe prestate da Bernabò si
ritirarono e l'Acuto confluì addirittura nelle truppe avversarie.
In agosto l'imperatore Carlo IV tolse il vicariato
imperiale per l'Italia ai Visconti e lo assegnò ad Amedeo VI, mentre papa
Gregorio IX da parte sua scioglieva i sudditi viscontei dal giuramento di
fedeltà, con l'ordine d'infrangere i trattati stipulati coi Visconti; li privò
della dignità cavalleresca e diede ordine di confiscare i loro beni ovunque si
trovassero. Non per sua volontà, ma Bianca si trovava a difendere gli interessi
degli odiati Visconti contro la sua gente, i Savoia e i Paleologo.
Se è vero che le disgrazie non vengono mai sole,
bisogna ammettere che quell'anno 1372 per Bianca fu ben triste: a settembre
moriva sua nuora Isabella partorendo un maschietto, Carlo, che morì a sua volta
entro l'anno. A Bianca non restava che farsi carico del dolore del figlio e
della cura dei tre piccoli orfani Gian Galeazzo, Azzone e Valentina.
Nella primavera successiva si aspettava l'attacco delle truppe di Amedeo: Bianca
vide con orrore quei terribili mercenari che scorazzavano per il suo bel parco
davanti alle finestre del castello di Pavia, montando per spregio le preziose
giumente del marito. Erano più da temere le soldataglie che non il fratello,
col quale il marito si era accordato per fare una "piccola guerra",
sufficiente sì ad indebolire i Visconti, ma non decisamente vantaggiosa per il
papa. Il 7 maggio 1373 l'esercito visconteo venne sconfitto a Montichiari e i
rapporti tra Bianca e il fratello subirono una brusca interruzione, ma il legame
che univa almeno Bianca ad Amedeo era troppo forte per spezzarsi.
Nel 1374 Galeazzo era ormai totalmente paralizzato;
stese un elenco delle elemosine da fare tutto l'anno in una specie di calendario
a metà fra i Fasti romani e il menologio cristiano: previde i giorni di
digiuno, quelli in cui gli erano apparsi in sonno i defunti, le commemorazioni
dei suoi antenati ... un inno alla morte, ispirato dal dolore della malattia.
Il 6 giugno 1374 Bianca accompagnò Gian Galeazzo a
Casale Monferrato per trattare la pace con Amedeo e cercare di ristabilire l'alleanza
interrotta. Fu in realtà lei a gestire l'incontro, perché il figlio mostrava
un certo fastidio a rapportarsi con lo zio, un idolo infranto.
Per risolvere la questione di Asti, Bianca e suo
fratello pensarono di far sposare nell'agosto 1377 la vedova Violante a Ottone
II del Monferrato, detto Secondotto. Non ancora soddisfatto, nel febbraio 1378 Gian
Galeazzo occupa Asti - con la scusa di aiutare il cognato - e la considera sua
contea, suscitando le ire dell'ormai ostile zio Amedeo. Bianca ne era al
corrente o il suo amato Gian Galeazzo era diventato maestro nella dissimulazione
anche con lei?
Quello che Bianca non aveva
messo in conto era il prematuro decesso del marito: il 4 agosto 1378 Galeazzo si
spegneva a Pavia dopo lunghi periodi di strazio e la sua scomparsa creava uno
squilibrio nello Stato visconteo a vantaggio di Bernabò.
Il lutto non distolse Bianca dagli affari quotidiani: si
fece confermare dal figlio la signoria su S. Colombano, Graffignana e Binasco e
le proprietà di Coazzano, Gentilino e Corte Nova di Pavia (quelle di
Monza e Abbiategrasso nel 1380 andranno alla nuova nuora Caterina, figlia di
Bernabò, in cambio di Vigevano).
Libero dal controllo paterno, Gian Galeazzo manovrò
per eliminare definitivamente il cognato marchese del Monferrato, lasciando
così un vuoto di potere ad occidente. Anche in questo caso non è credibile che
la madre ne fosse al corrente, come pure la sorella Violante, che alla fine di
dicembre 1378 fece ritorno a Pavia nuovamente in gramaglie. Nel frattempo procedevano i piani di Gian Galeazzo per acquisire la corona di Sicilia
sposando Maria d'Aragona, un modo per scavalcare le ambizioni espansionistiche
dello zio Bernabò e tenersi però lontano da lui.
Bernabò accondiscese che il nipote sposasse Maria
d'Aragona, a patto che gli lasciasse l'intera Sigoria viscontea. I figli di Gian
Galeazzo avrebbero dovuto quindi sposare i figli di Bernabò e la loro dote
entrare nel patrimonio comune. Il 14 settembre 1378 Gian Galeazzo accondiscese a
fidanzare il giovane Azzone con Elisabetta, ma
tutte queste prime manovre matrimoniali vennero sospese, perché nell'attesa che
i Visconti si accordassero Maria d'Aragona venne
rapita da un suo cugino e costretta a sposarlo.
Bianca si sentì veramente con le spalle al muro,
alla mercé dei raggiri di Bernabò, che pensava di avere ormai in pugno Gian
Galeazzo. Anche se l'allontanamento del nipote dai territori viscontei era
sfumato, Bernabò era intenzionato a proseguire nella politica dei matrimoni
forzati tra cugini. Questo delirio ebbe inizio nel 1380: il 15 novembre
Gian Galeazzo fu fatto sposare a Caterina,
lui che era stato sposato a una Valois ed era conte di Vertus! L'ambiziosa
Bianca visse molto male questa imposizione, aggravata dal lutto che funestò le
nozze: Azzone,
l'ultimo figlio maschio superstite di Isabella di Valois, moriva proprio il
giorno delle nozze, facendo
sembrare le feste uno sberleffo alla sua memoria. Le condoglianze che la nonna e
il padre affranti ricevettero da Bernabò furono volutamente così superficiali,
da imprimersi a fuoco nella loro memoria. Fu proprio da questa data che Bianca e
il figlio iniziarono a tessere la trama del colpo di stato che avrebbe
assicurato loro il dominio assoluto sullo Stato visconteo. Ciò non impedì
all'invadente Bernabò di pretendere il fidanzamento fra suo figlio Carlo
e la giovane Valentina, figlia di Gian
Galeazzo ed erede dei beni già del fratello Azzone, in qualità di ultima
discendente in Lombardia del re di Francia.
Bianca dissimulava i suoi piani e si occupava dei suoi domini. Ad
esempio il 4 febbraio 1381 raccomandava ai reggitori del Comune di Vigevano,
città da lei recentemente acquisita, di
riparare il castello che il figlio premuroso le aveva regalato col borgo. Si
preoccupò anche di raccogliere gli Statuti di Vigevano in un unico Corpus, di
istituire una scuola pubblica, di aprire un mercato e fare il primo censimento.
Ma Bernabò incalzava e il 18 aprile 1381 anche la vedova Violante doveva
sposare un altro figlio del nemico, Ludovico,
mentre Valentina veniva risparmiata perché Bernabò disponeva diversamente per
suo figlio Carlo.
A dare un'accelerata ai piani di Bianca furono due
eventi: l'imminente matrimonio tra Lucia
Visconti e Luigi II d'Angiò, che avrebbe portato Bernabò ad avere una figlia
sul pur traballante trono di Napoli, e la morte di suo fratello Amedeo il 1°
marzo 1383 a causa di un'epidemia di peste. Vedova e senza il fratello con cui
consigliarsi, Bianca decise di giocare il tutto e per tutto. Doveva impedire a
Bernabò di concretizzare la sua alleanza angioina, che avrebbe definitivamente emarginato il
figlio Gian Galeazzo, ridotto ormai a un precario ruolo da comprimario. Prima di
tutto invia nel 1383 il consigliere Pasquino Capelli a Parigi per saggiare la
disponibilità della corte francese a sostenere i suoi piani, apparentemente per fare nuova incetta di
codici. Non conosciamo la risposta della corte francese.
La regia del colpo di stato del 6 maggio 1385 venne
ascritta da tutti senza dubbio a lei. In un poemetto composto per le imminenti le feste di nozze di
Lucia viene inserito come personaggio proprio Bianca, che avrebbe sognato un
drago in atto d'inghiottire il suo amato Gian Galeazzo. Gian Galeazzo non fu meno abile della mamma: da
bravo dissimulatore riuscì ad ingannare con la sua mansuetudine fino alla fine lo zio Bernabò,
tenendo allo scuro di tutto sua moglie Caterina. Sarà questa una dote di
carattere che trasmetterà a suo figlio Filippo
Maria.
Che ruolo giocò Bianca dopo il colpo di stato per
tenere a bada la prole di Bernabò? A parte i maschi imprigionati o esiliati, a
corte restavano numerose figlie ancora giovani, tutte sorelle di sua nuora, non
dimentichiamolo. E soprattutto come si comportò con Caterina? Bianca la
terrorizzava, in qualche modo la colpevolizzava di non riuscire a dare un erede
maschio a suo figlio, ignorando i problemi di eugenetica fra cugini di primo
grado. Quando Caterina abortiva o quando nacque una bambina morta subito dopo, Bianca ne
incolpava Bernabò, che avrebbe brigato per non lasciare eredi a Gian Galeazzo.
Liberata dall'incubo di Bernabò,
Bianca tornò a mirare in alto per sistemare la sua famiglia. Poiché Valentina
era rimasta nubile, venne proposto un matrimonio con Giovanni di Goerlitz,
fratello dell'imperatore Venceslao di Boemia - casata alla quale Valentina
apparteneva per parte di nonna materna. C'era anche la possibilità di farla
diventare regina di Napoli al posto di Lucia,
che quale perdente poteva essere tranquillamente accantonata. Oppure si poteva fidanzarla col
cugino Luigi di Turenna, fratello del re di Francia. Insomma, Bianca e Gian
Galeazzo si fecero prendere da un tourbillon di sogni e trattative sulla pelle
della povera ragazza. Alla fine rimase quest'ultima possibilità, meno
prestigiosa delle altre due e con problema della consanguineità.
La dispensa arrivò alla fine del 1386 e Bianca ebbe
tutto il tempo di presiedere ai preparativi per il corredo, che doveva essere
fantastico. Una nonna vittoriosa ma stanca presenziò al matrimonio per procura
celebrato l'8 aprile 1387 a Milano. Ma la nipotina non la lascerà, rimarrà a
Pavia in tempo per assistere ai suoi funerali. Bianca infatti morì il 31
dicembre 1387, a soli 51 anni. Volle essere sepolta nel monastero di S. Chiara
detto dell'Annunziata, che aveva fondato nel 1380 a Pavia. Il monastero verrà
soppresso nel 1782 e venduto nel 1803 (Pavia, Archivio di Stato, cart. 15377).
Note
(1) Aimone era nato
il 15.12.1291. Oltre ai figli legittimi, ebbe Umberto (m. 1374), Oggero (m.
luglio 1372), Amedeo, Giovanni, canonico di Losanna (m. 1349 ca.), Maria che
sposerà Andrea Buoncristiani e vivrà a Chambéry, Donata, monaca in Provenza e
un'altra figlia della quale manca il nome (G. Oliva, I Savoia, p. 93)
C. Dell'Acqua, Il palazzo ducale Visconti in Pavia e
Francesco Petrarca, Pavia 1874
C. Dell'Acqua, Bianca Visconti di Savoia in Pavia e l'insigne monastero di S.
Chiara. La reale sua fondazione, Pavia 1893
R. Farina (a cura di), Dizionario biografico delle donne lombarde, Milano 1995
D. Muratore, Bianca di Savoia e le sue nozze con Galeazzo II Visconti, in
"Archivio Storico Italiano", 1907, pp. 5-104
G. Oliva, I Savoia, Oscar Mondadori, 1998
Ultimo aggiornamento: mercoledì 13 novembre 2002
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